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Mi sono innamorata di uno juventino
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E-book189 pagine2 ore

Mi sono innamorata di uno juventino

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Info su questo ebook

Torino, 26 aprile 2015. Una frizzante domenica di primavera, ma non una giornata qualunque. Parte della città, quella amante del calcio, si sta preparando per vivere la partite delle partite: il derby della Mole. Lei prova una certa euforia che sfocia in ansia ma con la speranza nel cuore attende il fischio di inizio per poter tifare come al suo solito. Lui è abituato a vedere la sua squadra vincere per questo è seduto tranquillo e rilassato con l'aria di chi sa già il risultato dell'incontro. Nel fragore dello stadio, i loro occhi si incrociano dando vita così ad una match vivace, a qualcosa di inaspettato soprattutto se Lei è Granata e Lui bianconero. Emozioni nuove che portano alla consapevolezza che il risultato finale non è così importante se la partita è stata giocata con grinta, passione ed amore. E non solo nel gioco del calcio.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita21 nov 2017
ISBN9788871636474
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    Anteprima del libro

    Mi sono innamorata di uno juventino - Francesca Perreca

    casuale.

    Ringraziamenti

    Solitamente questa parte dovrebbe essere scritta alla fine di un libro ma, diciamocela tutta, la maggior parte delle volte non viene presa in considerazione perché letto l'ultimo capitolo e scoperto come la storia finisce, il libro viene chiuso.

    Per questo motivo, desidero da subito ringraziare coloro che hanno reso possibile questo mio sogno coltivato da tempo, questo colpo di testa, questa idea che mi balenava da anni nel cervello.

    Ringrazio mia mamma che con il suo «Ma se lo pubblichi, poi me lo farai leggere?» mi ha spronata a scriverlo ma la ringrazio soprattutto per essersi sorbita tutte le partite del Toro condite dalle mie relative imprecazioni. Povera donna, per lei è stata una specie di via crucis che però ho cercato di rendere meno penosa facendo con lei la manicure.

    Ringrazio mio papà che è stato la mia memoria e sotto sotto il colpevole di questa mia passione viscerale, di questa fede indiscussa che, nonostante tutti i tormenti, non cesserà mai. Ringrazio mia sorella Emanuela che è stata la prima lettrice di questo mio tentativo di romanzo ed il suo verdetto è stato che è un bel libro, quindi se lo dice lei dovete assolutamente fidarvi. Ringrazio le mie super amiche Lucia Valentina Paola Silvia Eleonora Sara Raffaella che si sono esaltate all'idea che potessi scrivere, poi preoccupate che raccontassi di loro ma infine rincuorate dal fatto che è un libro di pura fantasia. Quindi abbiamo giustamente brindato, come solo noi sappiamo fare.

    Ringrazio Cinzia che tra una poppata, un pianto ed un tentativo di far dormire la piccola Bianca ha trovato il tempo di realizzare la copertina, ideata con una sola indicazione: il titolo.

    Ringrazio Daniele che in un momento molto particolare della mia vita mi ha dato la possibilità di potermi dedicare a me stessa ed in questo periodo ho capito che non è per nulla facile scavare dentro il proprio cervello anche perché nel mio c'è un grande caos.

    Ringrazio il mio ex, ebbene si anche lui, perché se non fosse diventato il mio ex probabilmente questo libro non sarebbe mai nato.

    Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato le cosiddette dritte, tutti coloro che mi hanno consigliato di arricchire alcuni capitoli, tutti coloro che mi hanno criticato in modo costruttivo ed anche tutti coloro che mi hanno invitato caldamente a non coltivare mai più questa mia passione. Gli ultimi evidentemente non li ho presi in considerazione.

    Infine ringrazio te che dopo tanto tempo hai creduto in te stessa.

    A te,

    che hai imparato a sorridere

    Capitolo 1

    Mio papà si chinò su di me cercando di attorcigliarmi la sciarpa intorno al collo come meglio sapeva fare. Mia mamma, mi infilò una merendina nella borsetta, che non volevo portare con me perché, a mio avviso, non era appropriata per dove dovevo andare. Ma lei insistette, ed in questo fu ed è una maestra nel farlo. Dopo avermi chiesto se ne volevo due di saccottini, non prese in considerazione la mia risposta negativa così ne aggiunse un altro a tradimento e con la scusa di iniziare la sua tiritera di raccomandazioni.

    «Stai sempre vicino a tuo padre, non andare a zonzo da sola perché è pericoloso e men che meno non dare retta a nessuno. Mi stai ascoltando? Hai capito bene quello che ti ho detto?» disse aggiustandomi la sciarpa.

    «Si mamma» le risposi.

    In realtà quello che mi aveva appena detto non era stato recepito al 100%, poiché la mia testa stava già viaggiando con la fantasia e cercava di immaginare quello che sarebbe accaduto da lì a breve.

    «Ho capito, ho capito» ripetei per ben due volte enfatizzando anche con il pollice alzato per non farla ulteriormente preoccupare.

    Mia mamma si sentì leggermente rincuorata, ma aveva capito che ero troppo euforica per concentrarmi sulle sue ammonizioni anche perché lesse chiaramente sul mio volto paffuto, la gioia nell'aver realizzato quel desiderio espresso mesi prima nel giorno del mio compleanno, mentre soffiavo le candeline sulla torta al cioccolato.

    Con il suo dolce sorriso mi disse «Allora divertiti, amore mio!» poi mi schioccò un bacio sulla guancia e mentre mi accarezzava la testa si rivolse a mio papà. Con tono perentorio gli ripeté che non mi doveva assolutamente perdere di vista, che non doveva distrarsi per nulla al mondo e gli ricordò «Amore, non dimenticarti che la bambina è poi con te!»

    Mio papà la guardò, inclinò la testa sul lato destro facendole l'occhiolino poi arricciò le labbra formando un leggero ghigno e le rispose «Cercherò di ricordarmene» con espressione chiaramente ironica che mia mamma non colse dato che la vidi sudare freddo. Poi, guardando meglio la faccia da furbetto che aveva mio papà, lo sgridò «Fai il serio, per favore!» dandogli un colpetto sulla spalla.

    I miei genitori sono così. Fanno queste adorabili scenette da quasi 40 anni: mia mamma si preoccupa agitandosi per ogni cosa e mio papà la prende un po' in giro scherzandoci su per smorzare la tensione. Lei però si altera ed allora iniziano a punzecchiarsi come due ragazzini per poi fare la pace. Non mi capacito ancora se lo fanno apposta, ma forse è anche questo il segreto del loro amore.

    Appena usciti di casa mi rimbombavano ancora nelle orecchie tutte le parole di mia mamma ma le dimenticai appena mio papà mi prese per mano.

    «Su, dai accelera il passo» mi incalzò e così cercai di tenere il suo ritmo veloce.

    Sotto sotto percepii che anche mio papà non stava più nella pelle perché molto probabilmente aveva fiutato che anche io, come quando accadde a lui, non sarei stata più la stessa.

    Quella domenica 26 aprile 1987 qualcosa di speciale avrebbe cambiato la mia visione della vita e papà ne sarebbe stato un po' il complice.

    «Ora vedi di starmi sempre vicino perché se ti perdo poi tua madre chi la vuole sentire» mi disse cercando di stringermi a sé con l'intenzione di proteggermi. Così un po' preoccupata mi avvicinai a mio papà e mi avvinghiai al suo braccio. Intorno a me il caos regnava sovrano.

    D' improvviso una specie di nodo mi si formò in gola e non era dovuto alla sciarpa attorcigliata ma a qualcosa di inspiegabile che saliva prepotentemente su per le corde vocali sotto forma di grido di gioia facendo incalzare il battito del mio cuore che si poteva sentire da sotto la giacca.

    Chissà se quelli attorno potevano capire il turbinio di sensazioni che si stava facendo largo dentro di me, nella mia mente, nel mio stomaco e nel mio piccolo muscolo cardiaco. Sono ancora convinta di sì perché io riuscii a sentire le loro.

    Davanti a me, che ero alta come un funghetto del sottobosco, avevo una marea di persone urlanti che commentava e sbraitava, condendo ogni affermazione con parolacce ed epiteti decisamente pittoreschi. Eravamo uno sopra l'altro, gente che sbucava da ogni angolo e si appendeva come Tarzan, alcuni che sventolavano le bandiere sopra la mia testa, altri con i tamburi ed intonavano cori tutti in rima che echeggiavano ovunque. Ero come incantata e nonostante le urla, le spinta e la paura di perdere mio papà mi sentivo parte integrante di questo mondo visto solo alla TV. Mi sembrava di stare in un luogo familiare come nel soggiorno di casa. La curva e gran parte dello stadio si era tinto di un solo ed unico colore: quello del sangue che scorre nelle vene, quello del vino che mio nonno mi concedeva di sorseggiare con le pesche immerse, quello della passione e dell'amore vero, il Granata.

    I miei occhi iniziarono a luccicare per lo stupore e più osservavo quello che mi circondava più non riuscirono a dare una spiegazione logica del perché la mia anima si sentiva così sconvolta ma allo stesso tempo coinvolta.

    Il rettangolo verde era immenso come quello di Holly e Benji, grande al punto tale che ne vedevo solo una parte e se avessero fatto gol dall'altra parte non sarei riuscita a vedere nulla.

    Ma poco importava il cuore mi batteva e c'era un derby da vivere.

    Fischio d'inizio.

    Fin dalle prime battute la squadra Granata sembrava più motivata ma nonostante questo il loro gioco era impreciso a differenza degli strisciati che erano più pratici e tecnici. Ma d'un tratto ecco il terremoto: un'azione insidiosa di Serena fece tremare tutta la curva , ma fortunatamente il tiro colpì la traversa ed i tifosi Granata potettero fare un sospiro di sollievo fino all'intervallo. Un primo tempo piuttosto modesto che a tratti sfociò nella noia. Nel secondo era necessario tirare fuori il tremendismo Granata, ma gli ardori furono subito sopiti dal gol di Brio che portò il risultato in vantaggio per i bianconeri. Ma è nell'ultimo quarto d'ora che i calciatori del Toro incalzarono e cercarono di avanzare nella metà campo avversaria. Dossena tentò da fuori

    area una bella stoccata ma solo brividi. Nell'aria, però si respirava l'odore del gol. Lentini crossò lungo, vedendo libero Cravero che la buttò dentro insaccando così il pareggio. Corse come un matto fin sotto la curva che esplose in un boato. Risultato finale 1 a 1. Un pareggio che sapeva anche un po' di vittoria.

    Io non capii più nulla e guardandomi intorno percepivo la vita. L'ansia, il nervoso, la gioia, il tormento e la passione. Un mix di sentimenti e sensazioni che sopraggiungevano da un momento all'altro senza poterle controllare.

    Un po' come quando ti innamori.

    Ed io quella domenica mi innamorai in modo viscerale di un modo di essere. Ero stata ufficialmente contagiata perché tifare Toro non è per tutti.

    «Maaaammaaaaa veramente, non puoi capire che meraviglia» urlai entrando in casa sventolando la sciarpa.

    Raccontai per filo e per segno la partita, le azioni, i falli ed i gol e mi sentii completamente frastornata e rapita da quel mondo visto solo in TV la domenica sera quando prima di cena si guardava 90° minuto e si controllava la schedina giocata con papà.

    «Ho deciso! Voglio essere una Granata Girl, sposare un Ultras ed essere felice per sempre con lui tifando Toro».

    Mia mamma sgranò gli occhi ed il terrore invase ogni parte del suo volto, come se avesse visto ed udito un demone. Iniziò a camminare su e giù per la casa tutta agitata e dopo aver sentito la mia perentoria affermazione quella impossessata sembrava però lei.

    Si fermò e senza pensarci su sentenziò: «La bambina non verrà più con te allo stadio!» continuò «Ti rendi conto delle cose che dice? Ha solo 6 anni e sta vaneggiando» disse rivolgendosi verso mio papà «Adesso a questa chi la ferma più! La colpa è tua, te ne rendi conto?» sospirò preoccupata.

    Mentre preparava la cena continuava a ripetere a voce bassa come se stesse recitando il rosario «Ma cosa ho fatto di male? Cosa? Due in casa così non posso farcela a sopportarli».

    Capitolo 2

    L'anno era iniziato in modo decisamente piacevole ed il gelido gennaio mi aveva regalato una calorosa domenica piena di gioia, colma di grinta grazie alle galoppate di Rizzitelli ed Angloma che ci dettero una delle massime soddisfazioni per un tifoso Granata: vincere il derby battendo i gobbi con un bel 3 a 2. La voglia di ripete l'impresa del girone di andata si era trasformata in bramosia, in necessità di rivalsa, in desiderio di vendicare tutti gli altri derby. Quella domenica 9 aprile 1995 era una bella giornata di sole, una di quelle giornate proprio ideali per vincere di nuovo, vedere i pigiami soccombere e colorare ancora la mia meravigliosa Torino di Granata.

    Mia mamma negli anni si rassegnò a questo mio amore, unico e sincero verso il Toro e si mise il cuore in pace per le mie idee sulla mia futura vita amorosa. Nonostante fossi ancora piccola e quindi non completamente forgiata come Granata Girl, il non essere sugli spalti con i fratelli di fede, soprattutto quando il Toro giocava in casa, era una sofferenza. I no di mamma erano perentori ed ogni volta che tentavo e la imploravo, sbattendo gli occhioni, le sue negazioni erano come poter sentire infilzare in profondità la spada di Longino. La sua preoccupazione nel non farmi andare allo stadio non scemò per nulla, anzi gli eventi e gli scontri fra gli ultras che sistematicamente annunciavano ogni domenica al telegiornale della sera la agitavano sempre di più, dandole così ragione sul fatto che andare a vedere la partita fosse pericoloso.

    Non era importante se si crepavano di mazzate a San Siro o si accoltellavano a Marassi, io al Delle Alpi non potevo assolutamente andarci, nemmeno se a portarmi fosse stato il Mahatma Ghandi in persona. Oltre ad avere il terrore delle possibili risse,

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