Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'ombra dell'ultimo gran maestro
L'ombra dell'ultimo gran maestro
L'ombra dell'ultimo gran maestro
E-book136 pagine1 ora

L'ombra dell'ultimo gran maestro

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Quando la Scientific Explora, una delle maggiori reti televisive del vecchio continente, gli affida il compito di realizzare un documentario sui templari, Luciano Moreschi è convinto che finalmente la sua carriera decolli. Ma girando “L’Ombra dell’ultimo Gran Maestro”, questo il titolo, in realtà è la sua vita a cambiare per sempre. Luciano s’imbatte in personaggi ambigui e temibili, indecifrabili e affascinanti. Come Margherita Corti, storica della Chiesa, che lo porta a conoscere aspetti nascosti e inquietanti dei cavalieri del Tempio. E le profezie che Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro dell’Ordine templare, ha lanciato dal rogo contro papa Clemente V, il re di Francia Filippo il Bello, la monarchia e il papato stesso. L’esistenza di Luciano è travolta, il regista si trova a compiere atti che mai avrebbe solo immaginato. Atti che metteranno in pericolo la sua vita, che forse la salveranno. Perché ciò che sta per scoprire è un segreto inconfessabile e tremendo. Segue quella linea rossa che parte dai cavalieri templari e si snoda fino a Marcinkus, Pecorelli, Gotti Tedeschi, Benedetto XVI, a papa Francesco e alla massoneria. E a molti altri ancora…
LinguaItaliano
Data di uscita14 gen 2014
ISBN9788868855765
L'ombra dell'ultimo gran maestro

Leggi altro di Claudio Foti

Correlato a L'ombra dell'ultimo gran maestro

Ebook correlati

Fenomeni occulti e soprannaturali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su L'ombra dell'ultimo gran maestro

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'ombra dell'ultimo gran maestro - Claudio Foti

    EPILOGO

    L'ombra dell'ultimo Gran Maestro

    L’OMBRA DELL’ULTIMO GRAN MAESTRO

    Claudio Foti e Stefano Valente

    Rimangono ovunque simboli arcani

    Romane opere, santi segreti adombrano

    Prologo

    Prologo

    Terrasanta, anno 1213.

    I cavalieri galoppavano l’uno dietro l’altro, le loro cavalcature forti e vigorose solcavano quel territorio arido senza indugio. Gli occhi dei destrieri fissi sul terreno, quelli dei templari alti sull’orizzonte a controllare che non vi fossero pattuglie saracene in vista. Poi, le due dozzine di mantelle bianche, su cui erano cucite croci rosso-sangue, rallentarono fino ad arrestarsi davanti a un inghiottitoio tenebroso.

    I templari smontarono da cavallo e si diressero in fretta al suo interno. La grotta, buia e umida, dalle pareti gocciolanti, li accolse dentro la sua bocca. Avanzavano in fila, pronti a estrarre le armi al minimo segnale d’allarme, dietro a colui che reggeva la torcia fendendo l’oscurità. Il capo dei cavalieri, l’uomo subito dietro il portatore di luce, era Lukian de Teñval, un bretone possessore di terre e campi vastissimi che si era arruolato fra le fila dei templari parecchi anni prima, dopo aver risposto alla chiamata del Signore. Avanzava cauto, con la mano destra serrata sull’elsa della corta spada, pronto a sguainarla contro i nemici di Cristo. Era giunto fin lì perché sospettava fosse quello il rifugio di un gruppo di saraceni che depredava i pellegrini in cammino verso Gerusalemme. Man mano che s’inoltrava all’interno della caverna l’umidità aumentava. Le pareti di roccia erano fradice, percorse da rivoli d’acqua, e in quelle condizioni l’elmo a scodella di metallo, con paranaso a forma di croce, sotto al quale teneva il cappuccio della cotta di maglia che indossava sotto la giubba, sembrava il suo peggior nemico.

    Ad un tratto un rumore.

    Un suono così insolito e sinistro che gelò il sangue nelle loro vene.

    Sembrava… la risata di una bimba.

    E dopo altri rumori, forse scalpiccii di passi.

    Estrassero le spade tutti simultaneamente, tranne due cavalieri che imbracciavano delle mazze ferrate.

    I passi si avvicinarono.

    Poi, improvvisamente, il silenzio tornò nella grotta, rotto solo dal respiro affannoso dei cavalieri. Sir Lukian impugnò la torcia con la sinistra e, puntando con l’altra mano la spada diritta davanti a sé, riprese ad avanzare, subito seguito dal resto dei templari. Si fermò solo quando, dopo aver oltrepassato una specie di strettoia, si ritrovò in un’ampia caverna. Era stata scavata dall’interno ed era enorme, tanto che al centro avrebbe potuto ospitare un grande bazar, come quelli dei mercanti arabi ed ebrei di Gerusalemme. La grotta era vuota ma sul terreno si scorgevano delle impronte. Quello doveva essere il covo dei mori.

    «Venite fuori, bestie di Satana! Venite a prendere ciò che vi spetta! Dove siete?!», urlò Lukian all’improvviso.

    I cavalieri si guardarono intorno tenendo le armi alte, preparati a vibrarle per colpire.

    Nell’ombra davanti a loro, qualcosa si mosse.

    Sembrava un guerriero saraceno, almeno a prima vista. Venne avanti con calma, impugnando la lunga scimitarra ricurva tipica dei combattenti dell’Islam. Emetteva fonemi incomprensibili, frammisti a mugugni e ringhi gutturali. Quando finalmente emerse dalle tenebre e fu illuminato dalla luce della torcia tutti trasalirono. E compresero che in lui non c’era più nulla di umano.

    Sotto l’elmo di cuoio la sua faccia era scheletrica. La tunica era lacera e lasciava in vista le costole fra la carne scura. Brandelli di carne ormai marcia gli pendevano come tende consunte dalle ossa. La mano che stringeva l’elsa della lama rammentava un pipistrello più che un arto umano.

    I templari esitarono. Tutti eccetto Lukian.

    Lui aveva già incontrato quelle creature, si era già imbattuto nei kawābīs.

    Subito infatti, si scagliò contro quell’apparizione e le recise di netto la testa con la lama della spada. Poi, proprio quando quella sorta di teschio rotolò via dal tronco, il terreno tremò. E per un orrendo sortilegio decine e decine di quei mostri emersero di colpo dal suolo e dalle pareti di quell’antro.

    I cavalieri del Tempio erano circondati. D’istinto, si misero schiena contro schiena e cominciarono a roteare le armi contro le creature diaboliche. Il filo delle loro spade falciava braccia e teste, ma anche gli artigli dei kawābīs facevano scempio delle gole cristiane. Col trascorrere degli attimi Lukian si rese conto che gli incubi stavano uccidendo i suoi uomini uno dopo l’altro.

    «Satana! Satana è qui! Si salvi chi può!», urlò uno dei templari gettando a terra la mazza ferrata e correndo a perdifiato verso l’uscita. Però, poco prima che riuscisse a raggiungere la strettoia, uno di quegli esseri infernali lo afferrò da dietro e lo trascinò dentro una cavità, facendolo sparire sotto terra. Contemporaneamente, un altro cavaliere fu colto alle spalle e fu sbattuto al suolo. Cercò di liberarsi, ma qualcosa di acuminato gli aprì la giugulare dissanguandolo nel giro di istanti.

    Intanto Lukian si batteva faccia a faccia contro uno quegli abomini: con un paio di fendenti gli recise un braccio dopo l’altro, poi con un calcio lo ricacciò lontano, al suolo; a quel punto si voltò di scatto e schivò un altro kabūs che stava per gettarglisi addosso: si rigirò di nuovo e con un affondo gli trapassò il collo facendo uscire la punta della lama dalla sua gola.

    Si fermò per un attimo e scorse con la coda dell’occhio uno dei suoi guerrieri. Il templare lo fissava immobile, senza espressione. Nel suo sguardo non c’era più né la furia della lotta né lo smarrimento dell’orrore. Lukian comprese che non era più umano. Dalla bocca del cavaliere prese a colare sangue e i suoi occhi divennero vitrei, praticamente bianchi. Si avventò contro Lukian in un baleno e il bretone, colto di sorpresa, menò un fendente solo all’ultimo momento. La spada terminò la sua corsa contro l’elmo dell’aggressore. Il templare posseduto finì a terra stordito dal colpo ricevuto e il capo della spedizione approfittò per trafiggerlo infilandogli la spada in mezzo agli occhi.

    «Requiescat in pace», mormorò Lukian scrutando nella scarsa luce della torcia, caduta al suolo in qualche punto imprecisato della caverna. Ormai i kawābīs erano ovunque, i pochi cavalieri rimasti resistevano, chiudendosi in una formazione spalla contro spalla e congiungendo i loro scudi a goccia per tenere lontani quei demoni immondi.

    Lukian si guardò di nuovo intorno: doveva individuare l’Incubo, la paura incarnata, la causa di tutto; doveva scoprire dove si celasse la sorgente di quel male per poterla estinguere una volta per tutte.

    Una sensazione inspiegabile lo fece voltare di nuovo. Il comandante dei templari sgranò gli occhi dal terrore. Nella grotta si aggirava un’ombra più scura delle altre. Un’ombra che nulla aveva di umano. Era soltanto un ammasso nero, angoscioso. Un’ombra vagamente antropomorfa dotata di una sola gamba, di un tronco, apparentemente senza braccia, con una grande testa germulea. Lukian sentiva che era il male. Era l’oscurità.

    Era Ubax.

    Il bretone gli si avventò contro brandendo la sua spada come fosse una lancia, senza temere ciò che gli poteva succedere, senza temere il buio in cui si stava addentrando, senza temere l’Incubo.

    Appena prima di raggiungere l’ombra, Lukian de Teñval sentì nelle orecchie come un sussurro indecifrabile, che però fu chiarissimo dentro la sua mente:

    «Mi cerchi lontano, ma ti sono vicina. Nel corso degli anni, del tempo, molte volte ancora mi troverai sul tuo cammino. Vieni, o guerriero…»

    Fece ancora qualche passo.

    Poi il buio.

    SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS

    1

    SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS

    Roma, ai nostri giorni.

    Quando compongo l’ultimo numero sulla tastiera mi accorgo che la mia mano trema leggermente. Sono emozionato, come non mi capita più da tanto tempo. Forse è perché avverto che da questa telefonata dipendono molte cose. In un certo senso anche il mio destino.

    «Pronto…»

    «Pronto, la dottoressa Corti?… ehm, Margherita Corti?»

    «Chi la desidera?»

    «Oh, sì, mi scusi: sono Luciano Moreschi. Ho avuto questo numero da…»

    «… da Monsieur Lejeune – sì, sono al corrente…»

    Stava aspettando la mia chiamata. Ma non è questo a sorprendermi della mia interlocutrice. Piuttosto è la sua voce. Avvolgente, calda, un po’ roca. Decisamente sensuale.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1