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La contrada degli orefici
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E-book159 pagine2 ore

La contrada degli orefici

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Info su questo ebook

Sono passati molti secoli da quando il Generale del Male è stato testimone della morte del suo nemico capitale, l'incarnazione del bene e il supremo portatore del messaggio di amore. Il ricordo e l'immagine del nemico morente è sempre vivido nella sua mente, come il gusto provato in quegli istanti. Ma la rivalsa ha avuto una durata troppo breve e in bocca non rimane che il sapore amaro della sconfitta, di qualcosa rimasto in sospeso, non portato a termine fino in fondo. Siamo nel 1500 d.C. e il Generale viene convocato dal Supremo per compiere una missione di somma importanza, che porterà nuovamente allo spostamento degli equilibri tra il Bene e il Male. Finalmente una nuova occasione per poter esprimere tutta la sua brutalità . Il Generale dovrà riuscire a pianificare ogni singolo passo con minuzia, rigore e pazienza affinché tutte le pedine si muovano sulla scacchiera per compiere il volere delle forze del male.
LinguaItaliano
Data di uscita23 lug 2013
ISBN9788891116765
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    Anteprima del libro

    La contrada degli orefici - Giulio Gatti

    inferi.

    I – L'ALTARE NERO

    Un lontano boato anticipò l'ennesimo terremoto. Nel buio pesto della grotta il suo occhio rosso si illuminò. Fu l'unica luce. Alle sue orecchie giunsero le grida di donne e di bambini e l'ultimo grido del prete morente. Il Generale rise ed elevò al cielo il calice colmo di sangue umano. Roteò il calice tra le dita osservando le righe porporee depositarsi come vermi dispersi sui bordi del vetro. In quel susseguirsi di urla e di strilli, un'ennesima Chiesa Cristiana venne abbattuta e macchiò le macerie col cruore delle vite recise.

    Nel furore della violenza riprovò l'antica sensazione della rivalsa sul Bene Assoluto. Non trascorse notte in cui il Generale non rivide l'occhio morente del suo nemico capitale e mai dimenticò il gusto provato in quei momenti.

    Il militare visse e trascorse i secoli nascosto nelle oscurità di quella grotta, situata nei pressi del Gran Sasso d'Italia. Si rifugiò in una località in cui seppe che la Chiesa di Roma, da lì a poco, avrebbe ricostruito le Chiese di L'Aquila inesorabilmente crollate dopo il devastante terremoto della seconda metà del 1400. Quella dimora divenne altresì strategica in quanto gli consentì di raggiungere Roma, qualora fosse necessario, in breve tempo.

    Solo dopo sedici secoli, a metà del millecinquecento, un messaggero alato giunse e si fermò dinnanzi alla roccia che ostruiva e nascondeva l'ingresso degli Inferi del Generale. Il Generale riconobbe lo sbattere delle ali ancor prima di sentir bussare.

    È venuto per me - pensò immediatamente. La porta d'ingresso si aprì con la sola forza del pensiero. Il messaggero ritirò le ali alle sue spalle e si incamminò nel buio. Percorse il corridoio per pochi passi e poi si inginocchiò in attesa.

    Nel buio pesto i passi pesanti del Generale rimbombavano come tamburi in una galleria.

    Quando i due demoni furono uno dinnanzi all'altro, il Messaggero prese la parola e disse: Satana vi attende.

    Il Generale trattenne il piccolo sorriso che si disegnò sulla bocca.

    Finalmente esclamò dentro di sé.

    Siete stato convocato dal suo Capo Supremo per una delicata missione. L'Aquila è già una missione compiuta. disse il Messaggero. giungerà domani notte una carrozza a prelevarvi.

    Il Generale non proferì parola ed il Messaggero si allontanò in silenzio e quando fu all'esterno spiegò le ali e si allontanò nel buio della notte.

    Infatti la precedente missione a L'Aquila poteva dirsi completata. L'obiettivo era stato raggiunto. Per raggiungere la sua meta, il Generale predispose un dettagliato piano architettonico dell'intera zona montana. Nelle fondamenta della città sistemò parte del suo Quartier Generale assicurandosi che, ovunque la Chiesa romana avesse posto le sue radici, vi fosse anche la presenza del Male.

    I molteplici sismi scossero rovinosamente gli antichi palazzi, facilitando l'opera dei demoni che nella città scavarono i sotterranei demoniaci. Non ci fu condizione migliore per iniziare i lavori di costruzione della Base del Male. I terremoti permisero sia di abbattere che di spostare grosse masse di terra. Tutto venne minuziosamente previsto e progettato. Gli architetti del Male, grazie alla grande esperienza di movimenti tellurici, studiarono i dorsali dei monti da cui si staccarono interi pezzi di roccia che avrebbero nascosto i loro quartieri.

    Gli operai assoldati dai demoni terminarono i lavori. Tutto era perfetto. L'Aquila aveva la sua nuova sede ed i complimenti dei superiori non tardarono ad arrivare.

    Nel buio della grotta, allungato sulla sua poltrona, ricordò il mandato conferitogli da Satana in persona. Ricordò quelle parole come fossero state pronunciate il giorno prima. E nonostante fossero passati molti millenni da quell'incontro le emozioni vibravano sui propri nervi come corde pizzicate dal musicista. Ribevve un altro calice di sangue.

    Le parole di Satana si fecero nuovamente strada nella sua testa. Le riascoltò nell'impeto delle emozioni, che visse per l'ennesima volta:

    La missione a cui siamo dediti è un gioco di strategia. Nessuno, tra il bene ed il male, deve assolutamente predominare sul territorio umano. Non è dato il sussistere del monopolio delle anime. In questo gioco di potere in cui l'oggetto del contendere sono le anime dobbiamo predominare perchè negli spiriti umani c'è l'energia vitale dell'Inferno. L'inferno sarebbe nulla senza le anime che lo abitano. Pertanto, tutto ciò che abita la Terra deve essere nostro e non deve essere spartito. La guerra, oramai, non ha più regole nè confini. E questa regola sarà spezzata quando ammazzeremo il figlio di Dio su un pezzo di legno.

    L'immagine e la sensazione provata durante la morte del Re di Nazareth non lo abbandonò un solo istante.

    Vorrei un'occasione per poter esprimere non solo tutta la violenza, ma anche tutta la componente strategica. pensò tra sè e sè.

    La carrozza giunse puntuale a mezzanotte. Il cocchiere lo attese in piedi dinnanzi alla grotta. Il Generale uscì in alta uniforme e si sedette sul sedile posteriore. Il cocchiere si assicurò che fosse comodo, richiuse la porta e risalì sulla carrozza. Impugnò le redini e le picchiettò sulle schiene dei cavalli neri. Questi, riconosciuto il segnale, iniziarono la corsa nel bosco. La strada divenne sempre più buia finchè ricomparvero nelle strade buie degli inferi.

    Poche luci fioche illuminavano un sentiero che portava ad un bellissimo palazzo. La porta si aprì e l'inconfondibile rumore del suo passo marziale echeggiò nell'ampio salone semibuio, illuminato dalle fioche luci di lunghe file di candelabri. Quel lungo corridoio anticipava l'ingresso nel Grande Salone di Fuoco. Un unico rintocco di nocche sulla grande porta nera e questa si spalancò aprendo davanti a sè l'altare nero infuocato. Pochi ebbero la possibilità di entrare in quella stanza e pochi ricevettero la possibilità di uscirne vivi.

    L'odore inconfondibile del sangue si fece strada nei suoi polmoni e li colmò. Inspirò profondamente, alzò il mento e guardò dritto negli occhi quell'unico essere a cui lui avesse mai giurato fedeltà eterna.

    Immediatamente si inginocchiò e volse lo sguardo verso il pavimento di marmo nero intervallato da fini striature rosse. Tirò un ennesimo lungo respiro e proferì con voce ferma e baritonale.

    Mio Supremo, giungo a voi dopo molti secoli di silenzio. In cosa posso servirvi?

    L'essere si scostò lentamente dal suo Sacro altare, in cui erano incastonati i teschi, ossia i trofei dei suoi più importanti nemici che perirono sotto la sua spada o dopo lunghe ed interminabili torture. Il Generale mantenne lo sguardo fisso sul pavimento finchè il suo Supremo non lo invitò, con un gesto della mano, ad alzarsi. Il Generale udì a fatica le prime due parole proferite dal Supremo. Cercò di interpretare sia la lingua che la tonalità ma poi non ne ebbe più bisogno. Quella voce e quelle parole erano ancora più antiche dell'uomo. La comunicazione non era sicuramente verbale ma fatta di suoni arcaici, insiti e nascosti nella radice stessa della vita. Apprese la sua nuova missione ed uscì.

    Lungo il tragitto che lo allontanava dagli inferi, ripetè il mandato mentalmente per non scordarne neppure una virgola.

    Tornato a L'Aquila, nella tenebrosa nebbia, il Generale radunò un folto schieramento di Soldati del Male nelle umide campagne. Chiamò a sè il suo fidatissimo demonio.

    Vai in perlustrazione e muoviti nella nebbia per reperire quante più informazioni possibili. Non farti scoprire..

    Il soldato obbedì e si allontanò nella nebbia facendo dissolvere la sua sagoma nella bruma della notte. Il soldato tornò dopo qualche mese.

    II – LA TORRE DI SANGUE

    Il Nobiluomo scrutava immobile il pino secolare avvolto nella nebbia. L'amaro in bocca gli rimembrava le ultime notti insonni. Afferrò il bicchiere di cristallo, lo riempì fino all'orlo con quanto di più alcolico disponesse in casa, chiuse gli occhi e bevve senza prender fiato. Riaprì di scatto le palpebre, e rifissò nuovamente il pino. Si voltò semibarcollante e dopo essersi appoggiato allo schienale della sedia si gettò su di essa quasi inanime.

    Quei maledetti.. non posso più continuare così.. perchè quest'infausto destino si è accanito contro di me?….

    Sospirò profondamente. Appoggiò entrambe le mani sulla scrivania e accartocciò violentemente due inutili pezzi di carta, li strinse tra i pugni e li gettò a terra.

    .. sono caduto in disgrazia e sarei pronto a tutto pur di rimettere in sesto le mie depauperate finanze…. Chiuse gli occhi e li spalancò di colpo.

    Dov'è?.. si chiese ed afferrò la pila di fogli, scavò finchè emerse uno splendido disegno.

    Eppure ci avevo creduto…- esclamò tra le lacrime - In questo disegno riposi tutte le mie speranze di rivincita.. Afferrò il foglio con entrambe le mani e lo avvicinò al naso. L'uomo, come era usanza in Pavia, fece erigere una torre in onore della nascita del primo figlio maschio. Per la sua costruzione spese tutti i suoi ultimi soldi. Non voleva essere da meno rispetto agli altri nobili. Si preoccupo' anche di far inserire un grosso orologio svizzero sulla cima della stessa, che rintoccasse ogni ora con uno splendido suono celestiale. Rimirò con un piccolo barlume di soddisfazione tutte le proporzioni. Nonostante la base della torre fosse molto ridotta (erano circa sei metri), riuscì a ricavare scale molto comode, grazie all'ingegno di un giovane e noto architetto fatto giungere appositamente da Firenze.

    Ma quella luce ben presto si spense. Riaffiorò la triste realtà. La sua grande speranza di rivincita economica sugli altri gentilizi, riposta nel figlio maschio, si spense e svanì inesorabilmente quando il figlio morì a causa di un'incurabile malattia infantile. Guardò la fede al dito. Una forte stretta al cuore gli impedì per qualche interminabile secondo di respirare.

    Non riesco ancora a rassegnarmi.. non posso crederci.. - ripetè ad alta voce.

    Si voltò e fissò il letto matrimoniale. Rivide l'immagine della moglie prima che spirasse tra quelle stesse mura.

    Prima mio figlio e poi dopo poche settimane .. anche mia moglie.. Sembra una congiura del destino.

    Ripensò a quella sequenza macabra di eventi. Dopo il funerale del figlio, la moglie si ammalò e, prima di passare all'aldilà, diede alla luce una splendida bambina dai capelli rossi.

    Il nobile, già dopo la prematura morte dell'erede, cadde in un cupo sconforto. Affogato dai debiti non seppe più come far fronte ai propri obblighi.

    Quei bastardi.. quei miserabili nobili non speravano altro.. Lo so… bramavano la mia rovina. Desideravano che finissi definitivamente sul lastrico per saccheggiare tutto il mio patrimonio immobiliare..

    A peggiorare la situazione economica del nobile, erano le lotte segrete in corso a Pavia tra nuovi esponenti guelfi ed esponenti ghibellini. Queste lotte intestine scoppiarono nel dodicesimo secolo e mantennero un'antica usanza: la sconfitta decretava la mutilazione della torre.

    Quella notte venne destato dalle intense sensazioni di frustazione che non gli diedero pace e lo tormentarono nel profondo dell'anima. Non riesco a prender sonno. - ripeteva a sé stesso rigirandosi continuamente nel letto. Si destò e si alzò in piedi. Scalzo e nel buio più profondo, si avvicinò al camino. Il suo sguardo venne attratto e si soffermò su due fasci di luce, di colore rosso intenso, provenienti dal grigio cumulo di cenere.

    Se non avessi acceso il fuoco poco prima di coricarmi, quella due braci luminose parrebbero due grandi occhi rossi.

    Distolse lo sguardo, e accanto al camino spalancò la piccola porticina di legno finemente decorata in verde e oro che ridava nel ripostiglio. Recuperò gli stivali neri, li indossò e afferrata una giacca di pelle di montone e un paio di pantaloni di lana, si cambiò d'abito ai piedi del letto. Aprì la porta della stanza, prestando attenzione a non far cigolare i cardini della porta. Discese le scale incurante di indossare ancora la camicia da notte che sbucava da sotto la giacca di montone e afferrò i due lunghi candelabri appoggiati alla parete di destra. Sento un rumore disse tra sé e sé. Trattenne il fiato, si

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