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Patrie marine
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E-book277 pagine3 ore

Patrie marine

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Info su questo ebook

Mattia, diciannovenne milanese ma di origini pugliesi, parte per il Servizio Militare di Leva, assegnato, su propria stessa richiesta, alla Marina.

Imbarcato su un’unità di superficie, Mattia inizia così il lungo viaggio che lo porterà in mari e terre lontane, lasciando gli affetti di un’adolescenza appena trascorsa per incontrarne di nuovi ed esserne quasi travolto, salvato dalla sicurezza della disciplina militare.

Nel lungo viaggio, profonde esperienze e appassionanti sentimenti porteranno Mattia a raggiungere una maturità piena, dalla quale scaturirà un epilogo che mai avrebbe immaginato.

In una delle ragazze incontrate e amate, troverà l’amore unico, indissolubile, ma da conquistare con una vera battaglia di cui nessuno potrà prevedere l’esito.
LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2014
ISBN9788891140647
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    Anteprima del libro

    Patrie marine - Gianfranco Gagliardi

    Gagliardi

    CAPITOLO 1

    Correva l’anno 1987, nel cuore di Milano il freddo dei primi giorni di novembre cominciava a gelare le guglie del Duomo che si coloravano di riflessi lucenti e suggestivi, quando il cielo iniziava ad oscurarsi.

    Io, nativo di Sesto San Giovanni, città limitrofa a Milano, venivo molto spesso qui ai piedi della Cattedrale Milanese insieme alla mia compagnia di amici per trascorrervi spensieratamente i nostri liberi pomeriggi. A volte, quando ci trovavamo solo tra ragazzi, ed eravamo in tanti, ci divertivamo a dividerci in terzetti, seguire direzioni diverse e ritrovarci dopo un tempo prestabilito per verificare chi di noi fosse stato più abile nell’abbordare gruppi di ragazze; gioco che in talune occasioni, quando riusciva, si faceva molto serio per quanto, alcune di loro fossero davvero interessate. Selettivi nel valutare l’aspetto fisico e la simpatia, non disdegnavamo il piacere di rincontrarle.

    Io solitamente mi univo, per decisione unanime, ai miei coetanei Riccardo e Sandro. Tra di noi c’era molta compattezza; abitando nello stesso complesso condominiale eravamo amici di cortile; insieme avevamo condiviso felicemente il percorso della nostra crescita adolescenziale.

    Così in un freddo pomeriggio di quel mese di novembre, io e i miei inseparabili compagni di avventure, iniziammo, come da programma, il nostro giro esplorativo sul bellissimo Corso Vittorio Emanuele di Milano. Riccardo e Sandro non mancavano mai di esprimersi con toni sarcastici e umoristici per tentare un veloce approccio con la prima ragazza di turno da sedurre.

    Per me era un po’ diverso; pur accettando lo spirito di comitiva nel partecipare a simpatici approcci, recepivo in cuor mio un’atmosfera insolita, particolare: le mie emozioni erano, nella circostanza, contenute; i miei pensieri erano indirizzati verso altre prospettive in quanto mi rendevo conto di dover affrontare necessariamente una nuova realtà di vita.

    Avevo da pochi giorni ricevuto a casa la cartolina precetto militare che indicava la destinazione e la data per l’assolvimento del mio Servizio di Leva. Avrei dovuto presentarmi presso la caserma della Marina Militare Italiana di Taranto il 20 novembre. Mancavano pochi giorni, una decina per l’esattezza, ed io, nonostante fossi confuso dalle molteplici sensazioni emotive che si sovrapponevano nella mia testa; sentivo una fiera spinta verso la Marina Militare. Non mi attraeva l’Esercito Italiano. Non potevo, tuttavia, nascondere talune preoccupazioni pensando a un futuro che non potevo prevedere o che addirittura fosse legato a una scelta che, non per certo, mi avrebbe potuto rendere felice.

    Riccardo e Sandro erano consapevoli del mio stato d’animo, mi comprendevano con adeguato rispetto e nel contempo mi coinvolgevano nelle loro iniziative, affinché potessi distrarmi.

    La passione e il desiderio di assolvere il mio servizio di Leva nella Marina, l’avevo definita all’età di sedici anni nel trascorso di una delle mie periodiche vacanze estive a Molfetta, una meravigliosa città in provincia di Bari, città Natale dei miei genitori. Nelle zone prossime al porto, ero solito passeggiare in compagnia di mio cugino Fabrizio al quale facevo sempre notare come la presenza di tanti marinai, dal portamento sempre composto, potesse infondere tanta sicurezza nella gente. Non mancavo mai di notare i loro bellissimi gesti nel regalare sorrisi ai bambini più curiosi, nel fornire indicazioni ai forestieri in difficoltà, nel condividere opinioni con i residenti di loro conoscenza e nel rassicurare quegli anziani aggrappati ai ricordi dei loro tempi come se quelli fossero stati i più belli.

    Inoltre due tra i tanti miei cari zii, zio Giancarlo e zio Armando, fratelli di mio papà, mi raccontavano sovente del loro arruolamento nell’Arma della Marina, soprattutto per quello che riguardava le loro esperienze vissute in mare aperto con le Navi Oceaniche in forza alla Marina Militare Italiana negli anni ‘60. Ero sempre straordinariamente coinvolto dai loro fantastici racconti sempre abbelliti dalla loro personalissima capacità di esposizione. Impresso nella mia memoria c’era un curiosissimo episodio collegato ad una graziosa ragazza giapponese che si nascose nella stiva della nave per seguire zio Giancarlo appena imbarcato per tornare in Italia.

    Indubbiamente la mia forte sensibilità verso tutto ciò che girava intorno alla Marina Militare, aveva radici lontane e profonde. Quando ero bambino amavo arrampicarmi sui mobili per scorgere ciò che dal basso non riuscivo a vedere. In particolare ero attratto dalle fotografie che i miei genitori ponevano, con molta cura, sul comò dell’anticamera e spesso quando mi vedevano in difficoltà, erano loro stessi a sollevarmi per darmi il grande piacere di farmi vedere quei nonni che non avevo conosciuto. Guardavo sempre con molta attenzione nonno Fedele con la divisa invernale da marinaio, uniforme che suscitava in me forte attrazione e curiosità. Accorgendomi nel tempo, di avvicinarmi sempre di più all’altezza di quelle fotografie, non perdevo mai l’occasione di vedere da solo ciò che prima non riuscivo a vedere; fu una grande conquista. Così crescendo, quando entravo e uscivo di casa, rivolgevo lo sguardo sempre ai miei nonni, come a volerli salutare ed abbracciare. Erano entrati profondamente nel mio cuore. Di loro i miei genitori mi raccontavano sempre molti aneddoti.

    La convinzione nell’aver voluto fermamente anni prima presentare domanda nella Marina era avvalorata altresì da una condizione psicologica che mi portava a considerare questo Corpo militare come un’Accademia volta a una formazione di livello, molto accreditata sia per l’aspetto umano che professionale; mentre con riferimento all’Esercito pensavo sempre ad un esilio punitivo. Mi stimolava, inoltre, la scelta in tal senso perché in quel periodo i ragazzi diplomati come me, dopo otto mesi dall’arruolamento al servizio di Leva, diventavano automaticamente sergenti percependo uno stipendio fisso mensile di ottocentomila lire.

    Non avevo mai avuto ripensamenti al riguardo, tutt’altro, davo sempre più credito a quella decisione che avevo fortemente e orgogliosamente assunto, una decisione irrevocabile dopo il reclutamento avvenuto nell’ottobre del 1985, nei tre giorni di visite e test presso la caserma Maricentro di La Spezia.

    A fronte di questo, sentivo grande forza dentro di me, una forza che mi era in aiuto per non soffrire l’imminente allontanamento dalla mia famiglia, dai miei amici e soprattutto dalla mia adolescenza da cui mi dovevo congedare. Alimentavo così nel mio spirito, una tale energia che mi consentiva di affrontare a spalle larghe questa nuova esperienza di vita.

    In quei giorni di attesa sentivo molto vicino il calore della mia famiglia; non che prima fosse diverso, ma il mio stato emotivo, condizionato dalle circostanze contingenti, riconosceva maggiormente l’amore che i miei genitori mi avevano sempre manifestato. I momenti di maggiore aggregazione con i miei famigliari avvenivano a tavola. Eravamo sempre insieme in quelle occasioni. Io, Mattia, ero il figlio più piccolo, seguiva mia sorella Carlotta più grande di due anni e mio fratello Milo maggiore di quattro. L’educazione ricevuta con punti fermi e saldi recependo e assimilando forti valori di vita, ci rendevano orgogliosamente uniti. Mio papà Damiano era sicuramente la figura più autorevole, il vero e proprio capo famiglia, non tanto perché l’unico a lavorare, quanto per la sua forte personalità e autorità nel gestire le situazioni più critiche. Uomo di grande cultura e intelligenza, oltre a esercitare una professione di rilevante importanza sociale – dopo il riconoscimento quale più giovane consulente del lavoro d’Italia – sapeva fornire ad ognuno di noi gli insegnamenti necessari per consentirci autonomamente di risolvere le nostre difficoltà. Sapeva in ogni occasione darci il suo contributo dettato da un grande amore paterno. Mia mamma Claudia, casalinga, manifestava più esteriormente la sua bontà d’animo; era affettuosissima verso tutti e in particolare verso di me essendo io il più piccolo. Il suo grande amore di madre era incondizionato su tutti i fronti. Aveva un talento immenso in cucina, un’arte per me senza eguali per la sua vastissima varietà di pietanze di indubbia qualità.

    I miei genitori avevano sempre accettato la mia scelta, nonostante l’assolvimento del servizio di Leva in Marina prevedesse ben diciotto mesi di permanenza rispetto ai dodici dell’Esercito. Mi dimostravano sempre quanto le incognite per il mio allontanamento non fossero motivo di tristezza, ma di gioia. Il loro conforto era inesauribile, il loro amore mi incoraggiava a credere che avessi fatto la scelta giusta. I loro occhi non potevano tuttavia nascondere la preoccupazione e la malinconia di vedere un proprio figlio partire verso una meta, conosciuta sulla carta, ma ignota per le aspettative di vita che potevano non essere rispondenti ai miei desideri.

    Trovavo incoraggiamento anche da mio fratello Milo che, anche se parlava poco, sapeva darmi consigli utili, forte anche della sua esperienza nelle forze armate vissuta qualche anno prima. Inoltre il suo profondo senso di amore per il prossimo, mi trasmetteva grande serenità.

    Mia sorella Carlotta, con la quale sin da piccolo avevo legato maggiormente, mi aiutava con le sue espressioni felici. Lei era sempre molto presa per il suo grande amore Guido con cui si voleva sposare.

    Il tempo passava inesorabilmente. Mancavano cinque giorni alla mia partenza e l’ansia inevitabilmente cresceva. Giravo nella mia camera cogliendo tutti quei particolari che per me rappresentavano i ricordi più belli.

    Era un pomeriggio molto freddo ma con un cielo terso che consentiva ai raggi del sole di sprigionare tutta la loro luminosità. Mentre ero intento a sviluppare tutti i miei pensieri, sentii suonare alla porta. Come consuetudine, era ormai come un compito acquisito negli anni - ma lo facevo sempre con piacere - mi recai frettolosamente all’ingresso, senza poter immaginare chi stesse suonando.

    Aprii la porta e con enorme stupore mi trovai davanti, inaspettatamente, una bellissima ragazza di mia conoscenza. Esclamai: «Giulia… che sorpresa!».

    «Non te l’aspettavi… non è vero?».

    «Se devo essere sincero… proprio no!».

    «Mattia, ti posso parlare?».

    La feci accomodare. Chiusi la porta, la presi per mano e la accompagnai nella mia camera dopo che lei, educatamente come sempre, salutò i miei genitori.

    «Dai dimmi tutto. Ti ascolto», le sussurrai con serenità.

    «Ti prego… non giudicarmi male ma mi sono resa conto di essere stata troppo precipitosa…», soggiunse facendosi coraggio a parlarmi. Ma l’emozione la tradiva e faceva fatica a proseguire. Quindi mi sovrapposi manifestandole poca comprensione. «Sai… dopo tutto quello che mi hai detto, non pensavo venissi addirittura qui a casa mia. Non nascondo di sentirmi imbarazzato dal momento che ritenevi il nostro legame troppo forzato, privo di sentimenti veri. Eri così decisa nel sostenere che era meglio per entrambi non vedersi più. Mi fa molto piacere vederti, ma devo dirti che arrivi in un momento in cui sono molto confuso e nella mia testa frullano tanti nuovi pensieri».

    «Mattia… io sono qui perché ho capito di aver sbagliato… ho usato brutte parole in un momento di rabbia… in fondo non ti volevo lasciare. Lascia che ti spieghi!», esclamò Giulia acquisendo sicurezza. Si espresse in modo convincente facendo trasparire tutta la sua sincerità.

    Attento alle rivelazioni confidenziali della mia ex morosa - ci eravamo separati due settimane prima - in cuor mio desideravo tanto comprenderla e stringerla forte tra le mie braccia, ma ero talmente preso, sotto l’aspetto psicologico, dai necessari preparativi per la mia vicina partenza, che mi riusciva difficile recuperare un rapporto legato a un periodo di vita che non potevo più condividere.

    Dopo qualche secondo di meditazione, le rivelai il motivo del mio freddo comportamento nei suoi riguardi. «Giulia… Giovedì parto!».

    «Parti? Una delle tue scampagnate, eh?», domandò accennando un sorriso.

    «Si… proprio così! Solo che questa volta molto lontana e prolungata», risposi corrispondendole un sorriso sarcastico.

    «Mattia… ma cosa intendi dire?», domandò non nascondendo un velo di preoccupazione.

    «Intendo dire che parto per Taranto… per assolvere i miei obblighi militari».

    In quel momento un grandissimo alone di dispiacere circondò il viso di Giulia, come se avesse ricevuto una fortissima pugnalata in fondo al cuore. In un’atmosfera che si era così velocemente gelata, Giulia mi strinse forte la mano, non trovò più la forza di proseguire nel suo intento, e per non far notare il suo enorme disagio emotivo, si affrettò a salutarmi baciandomi delicatamente sulla guancia. Decise di andarsene senza aspettare che la accompagnassi verso la porta di casa. Impietrito per il suo comunque comprensibile comportamento, rimasi seduto, avvicinai le mie mani alla fronte e meditai sul suo dolcissimo bacio come a custodirlo nei miei più cari ricordi. E mai avrei potuto dimenticare quel suo bellissimo gesto nel cercare una riconciliazione fra noi. Giulia era una carinissima e bravissima ragazza che avevo conosciuto all’Istituto Tecnico Commerciale (indirizzo informatico) di Sesto San Giovanni, la scuola di fronte a casa mia che avevo frequentato con molto impegno e dedizione. Era una delle mie compagne di classe. Già nel primo anno scolastico delle superiori, sentivo per lei qualcosa di speciale ma solo nell’ultimo anno di frequenza, ovvero cinque mesi prima di quella sua visita a casa mia, approfondimmo la nostra conoscenza e dopo l’esame di maturità consolidammo la nostra intesa affettiva, fidanzandoci. Nonostante tutto, Giulia non dimostrava mai molta convinzione nel nostro rapporto e spesso si chiudeva nei suoi silenzi per meditare se effettivamente io fossi il ragazzo giusto per lei. Ciò la induceva a staccarsi da me per qualche tempo ed io, apprezzando comunque la sua dolcissima interiorità, la rispettavo sempre nelle sue scelte.

    Quell’episodio, non doveva interferire assolutamente sul mio equilibrio emotivo in vista della mia partenza per Taranto; ne avrei sofferto tantissimo e per questo ne presi le distanze, oltre modo consapevole già da tempo, che la nostra relazione non sarebbe, comunque, durata a lungo.

    La sera a cena, mentre si dialogava con i miei genitori, con mio fratello e con mia sorella, si cercava di stemperare ogni tensione per convincersi che, dopo pochi giorni, io non sarei più rimasto fra loro a condividere i momenti e le vicissitudini della nostra quotidianità.

    Forse proprio perché sentivo aumentare questa tensione, decisi di lasciare la mia città due giorni prima della partenza prevista. Mi prefissi, infatti, di fare tappa a Molfetta, città natale dei miei genitori, a cui ero particolarmente affezionato. Era per me come una seconda città di appartenenza. A Molfetta - località sul mare - trascorrevo sempre le mie vacanze estive sin da quando ero bambino. Spesso anche le vacanze di Pasqua e di Natale.

    Tutte le volte che arrivavo lì, non avevo nessuna difficoltà ad inserirmi. Avevo un bellissimo rapporto con la mia cara nonna materna Nilde, con alcuni miei parenti e soprattutto con quei miei cugini che con grande affetto mi coinvolgevano nelle loro amicizie rendendomi parte delle loro comitive.

    CAPITOLO 2

    La sera del 18 novembre, in una giornata molto fredda e umida per via di una fitta nebbia, dopo gli affettuosi saluti con mio fratello Milo e mia sorella Carlotta, mi recai alla Stazione Centrale di Milano accompagnato dai miei genitori. La partenza del treno era prevista per le ore 23.55.

    Era mercoledì e mi accingevo a salutare la città di Milano con molta emozione e preoccupazione. Ero abbastanza intimorito da una situazione che diveniva sempre più difficile, man mano si avvicinava l’ora della partenza. Quando mi dovetti allontanare dai miei per acquistare in biglietteria il supplemento per Molfetta, mi incanalai in un tunnel di profondi pensieri. Pensavo al futuro, mi chiesi se questo mi avrebbe portato la felicità per la scelta che avevo fatto, oppure mi avrebbe creato sofferenze e delusioni che non avrei mai immaginato. La mente era confusa e impallidivo vedendo la fila davanti a me diminuire. Mi stropicciavo gli occhi lucidi sapendo che in quella situazione ero ormai solo e potevo cercare il conforto unicamente in me stesso.

    Dopo le mie profonde riflessioni, salii sulla scala mobile per raggiungere al piano superiore i miei genitori che mi attendevano ansiosi.

    Percorremmo quindi la banchina in corrispondenza del treno diretto per Bari fino ad arrivare alla carrozza indicata sul biglietto.

    Il momento che tanto desideravo all’età di sedici anni, era arrivato; dovevo esserne felice, ma inaspettatamente la situazione sembrava talmente capovolta che avvertivo tristezza e sentimenti di nostalgia ancor prima di lasciare Milano.

    Mancavano pochi minuti alla partenza e presi posto in uno scompartimento completamente libero. Sistemai le valigie con molta calma sui ripiani appositi. Sentivo il respiro molto affaticato così mi sedetti per cercare un momento di tranquillità prima di affacciarmi dal finestrino perché, col magone che avevo, avrei pianto a dirotto. La concentrazione a contenere l’emozione mi fece perdere la cognizione dei minuti che passavano.

    Quindi udii l’acuta voce di mia madre: «Mattia! Mattia! Mattia!».

    Mi affacciai accorgendomi che il treno si era già avviato. Mamma e papà cercavano di tenere il passo ma non potevano raggiungermi. Vedevo mamma con le braccia alzate per farmi arrivare il suo saluto privo del bacio che non riuscì a darmi. Con le lacrime agli occhi continuavo a salutarli lasciando loro il dispiacere per non avermi abbracciato. La distanza tra me e loro aumentava progressivamente fino a vederli scomparire. Che triste partenza! Nell’occasione sicuramente non diedi loro la serenità di vedermi partire felice.

    Avrei tanto voluto ascoltare gli ultimi consigli di papà, sempre pronto a trovare le parole giuste in ogni momento, e avrei tanto voluto rassicurare mia mamma che tutto sarebbe andato bene. Io tenevo molto a lei, era affettuosissima, con me in particolare, forse perché ero l’ultimo dei figli, ed io, in tante occasioni, le manifestavo morbosamente il mio attaccamento come se il cordone ombelicale non si fosse mai staccato. Forse era arrivato il momento giusto per crescere.

    I miei genitori non erano più vicini a me e nella loro assenza avvertivo già la presenza di bei ricordi legati a loro.

    Intanto l’Intercity viaggiava ad altissima velocità infilandosi prepotentemente nelle gallerie che incontrava nelle Marche. Nello scompartimento la buona insonorizzazione conciliava un confortevole riposo finché non mi abbandonai al sonno profondo. Quando terminarono le gallerie, il sole cominciò a farsi spazio tra le nuvole per affacciarsi sulle coste marine adiacenti la linea ferroviaria. I raggi luminosi erano intensi e, nonostante la tendina abbassata, penetravano nel mio scompartimento. Inevitabilmente mi svegliai ricordando poco dei sogni confusi che avevo fatto. Con sorpresa notai, a più di metà viaggio, che ero rimasto da solo nello scompartimento. Appoggiai il gomito sulla base dell’areazione perdendo lo sguardo nel mare. Era uno spettacolo meraviglioso; sembrava quasi di poter toccare l’acqua, da quanto era vicina, e la sabbia della battigia era come un tappeto di velluto dove le onde del mare lasciavano splendidi riflessi colorati.

    A un certo punto dovetti distogliermi dalle distrazioni concesse da quel paesaggio meraviglioso che scorgevo dal finestrino, poiché il controllore di turno aprì le porte dello scompartimento.

    «Prego il biglietto», domandò educatamente.

    Costui era la prima persona che vedevo nel corso del viaggio; dopo il lungo riposo avrei avuto piacere di scambiarci due chiacchiere, ma il dipendente delle ferrovie non poteva, giustamente, accontentarmi. Pertanto uscii dallo scompartimento per sgranchirmi un po’ le gambe lungo il corridoio ove, dai finestrini opposti al mio, si poteva ammirare l’altra faccia del paesaggio, non meno suggestivo, ricco di vallate appenniniche di rara bellezza.

    Non che vedessi per la prima volta quegli scorci di natura incontaminata, ma molto probabilmente le mie profonde riflessioni mi portavano a vedere con occhi diversi ciò che mi era sfuggito in altri viaggi precedentemente sostenuti in treno quando i miei pensieri non erano così condizionati dal sentire e accettare l’allontanamento, per lungo tempo, da casa mia.

    Quel percorso in treno lo conoscevo molto bene: due anni prima all’età di diciassette anni decisi di partire per Molfetta, in novembre e in dicembre. In estate avevo conosciuto una bellissima ragazza, più piccola di me, con la quale intrapresi una brevissima relazione sentimentale che mi segnò profondamente. Lei si chiamava Ines, era di una bellezza incantevole, pensavo fosse la ragazza più bella del mondo, e il modo in cui mi dimostrava di piacerle mi dava una sensazione di grandissima felicità poiché non mi sentivo fisicamente all’altezza delle sue caratteristiche somatiche. In fondo ciò che mi colpiva di lei era proprio l’aspetto fisico. Nel poco tempo che avevamo passato insieme, non si era mai avuta la possibilità di conoscersi bene. I miei viaggi quindi maturarono al fine di avere con lei un rapporto più stretto per andare oltre quell’innegabile magnetismo che provocava in me. Tuttavia quei miei due soggiorni a Molfetta si rivelarono inutili in quanto Ines decise di chiudere definitivamente la nostra relazione figlia di una magica estate per sempre indimenticabile. In quell’occasione, pensandoci a

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