Casa Allegra e i suoi bizzarri abitanti
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Info su questo ebook
Elena Maria Caleca nata a Erice il 16 febbraio 1975 risiede a Torino.
Ha conseguito il diploma di maturità al liceo scientifico di Castelvetrano.
Ha conseguito la laurea Magistrale in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino nell’anno 2001.
Ha conseguito la specializzazione in Medicina Tradizionale Cinese presso la scuola di agopuntura di Firenze.
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Anteprima del libro
Casa Allegra e i suoi bizzarri abitanti - Elena Maria Caleca
Elena Maria Caleca
Casa Allegra e i suoi bizzarri abitanti
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-5753-3
I edizione maggio 2022
Finito di stampare nel mese di maggio 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Casa Allegra e i suoi bizzarri abitanti
Dedico questo libro alla mia famiglia. Ai miei genitori, Anna Taormina e Giovanni Caleca che hanno creduto e partecipato a questo progetto. A mia sorella Candida Caleca che è sempre stata innanzi tutto sempre la mia migliore amica. In particolare e soprattutto ai miei nonni, Nino Taormina e Candida Allegra che mi hanno trasmesso valori inestimabili tra cui l'amore per la vita e per ogni sua forma e manifestazione.
Ringrazio inoltre, le persone del Gruppo Albatros che hanno dedicato il loro tempo, talento e professionalità a Casa Allegra e i suoi Bizzarri abitanti, rendendolo attraverso il lavoro di squadra, passo dopo passo, un libro prezioso e completo. A tutti loro, va un ringraziamento di cuore.
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
CAPITOLO I
LE VACANZE A SELINUNTE
Era l’anno 1983 di una caldissima estate. Allora avevo otto anni e mi trovavo a Marinella di Selinunte: una Sicilia sfolgorante per i suoi colori, dagli odori penetranti, il mare azzurro, il cielo limpido senza una nuvola, il vento caldo di scirocco che bruciava la pelle.
Giocavo, come tutti i bambini nel periodo estivo, con le amichette, gli amichetti di spiaggia e mia sorella Candida a costruire castelli di sabbia, correre sulla battigia e fare tuffi dalla Rocca di Calanninu
: uno scoglio tra le onde del mare. I genitori ci guardavano da lontano con occhio sempre vigile perché, si sa, i bambini non hanno il senso del pericolo e tutto è gioco.
Quell’estate è rimasta impressa nella mia memoria come fosse ieri. A quel tempo, finita la scuola, ci recavamo con mamma e papà alla casa di villeggiatura per trascorrere insieme i tre mesi di vacanza al mare. C’erano con noi anche i miei nonni materni: nonno Nino e nonna Candida.
Io e mia sorella eravamo la gioia dei loro occhi e loro erano la nostra più pura fonte di serenità e felicità. Ricordo che con il nonno giocavamo spesso a dama e riuscire a risolvere i giochi con le parole crociate dai più semplici ai più complessi.
Nonno Nino era un grande appassionato di questi giochi: erano il suo hobby preferito, come anche adorava tanto cucinare. Nonna, invece, amava comporre delle poesie che aveva racchiuse, negli anni, in un quaderno dalla copertina rigida. Teneva le sue poesie gelosamente per sé; credo fosse solo per pudore e riservatezza. D’altronde era una donna d’altri tempi, cresciuta negli anni della Grande Guerra e non vi era spazio, né tempo per troppe smancerie o per troppe frivolezze.
Ma ora torniamo a me: pur essendo stata sempre una bambina molto timida, sono anche stata una bimba ricca di trovate ingegnose, quando si trattava di inventare giochi o fiabe per la sorellina. Ogni cosa per me ha sempre avuto un suo nome e un suo significato profondo. In ogni sasso, pianta, fiore o animale vi era per me sempre l’impronta e il riflesso della luce di Dio.
Sin da piccina abbracciavo gli alberi; in particolare i due grossi e alti pini che facevano da pilastri ai lati del cancello della nostra villetta al mare. Mi davano un senso di conforto, di protezione ed erano degli amici, né più né meno come gli amici umani. Ogni farfalla che mi girava intorno, farfalle dai bei colori tropicali: giallo, arancio, oro e nero era un tripudio di meraviglia per i miei occhi di bambinetta. Grosse ali, così colorate, non ne avevo mai viste e che bello il loro movimento al suon del canto delle cicale.
Quell’estate, quando il sole era allo zenit, le vedevo ondeggiare e danzare come esperte ballerine. Una danza che con il favore del vento caldo le faceva planare e d’improvviso le portava in alto sulle sue correnti ascensionali. Quando le farfalle danzavano, mi sedevo su un gradino della scala principale che portava al piano superiore della nostra casa e sostavo lì di fronte a una vasca ricolma d’acqua con al centro una statua della Venere di Milo. In quei momenti perdevo la cognizione del tempo che passava senza mai annoiarmi.
Però, non c’erano solo le farfalle a danzare: si cimentavano anche le libellule, delle grossissime libellule con occhi rossi, ali trasparenti e traslucide, corpi lunghi e affusolati di colore grigio-azzurrognolo.
Forse perché avevo solo otto anni e perché ero piccola, tutto allora appariva grande, un mondo per giganti e io ero solo una piccola lillipuziana insieme a tutte le piccole creature che mi giravano attorno. Dunque sì, stavo parlando delle libellule: anche queste danzavano proprio sopra la vasca, vicino e attorno alla Venere di Milo. Danzavano la danza dell’amore e ogni tanto in mezzo a questa nuova danza s’intrufolavano le farfalle, ma le libellule non si fermavano e divenivano rumorose con il frusciare delle loro ali che non era un ronzio, semmai uno strofinio. Era come se dicessero: Ehi, farfalle, fate largo, adesso tocca a noi essere le protagoniste della scena!
Anche nella vasca ricolma d’acqua vi era vita. Vi erano due bei pesci rossi della razza cresta di leone con code morbide, lunghe, fluttuanti e un corpo un po’ tozzo e rotondetto. Possedevano una vera e propria cresta sulla testa e giravano in tondo seguendo il lieve movimento dell’acqua, spiluccando di tanto in tanto qualche piccola