Marianne e il Mondo Capoverso
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Popolato da un terrificante drago che in realtà è un capriccioso bambino, da un Eroe che è un goffo elefante, da un re che è una sedia a dondolo. È questo il mondo capovolto in cui Marianne dovrà adempiere al compito scritto nel libro del destino e nel frattempo crescere e superare le sue paure. Un mondo in cui la forma delle ombre corrisponde a quella dell’anima e minacciato dagli intenti malvagi della regina Serpisia. A farle compagnia ci sono il Signor Bernabeu, il folle inventore Lucius Assurdinus, succosi lampicocchi e altre incredibili creature.
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Anteprima del libro
Marianne e il Mondo Capoverso - Roberta Tiberia
Roberta Tiberia Carlo Congia
Marianne e il Mondo Capoverso
Prima edizione: luglio 2012
©2012 Editfloor
Illustrazioni e copertina: Alberto Longo
Dove la luce è più luminosa
le ombre sono più profonde.
(Johann Wolfgang von Goethe)
Marianne
Marianne viveva sola col nonno in una piccola casa di legno ai confini di un paesino in cui le capre superavano in numero i pochi e malandati abitanti. Le piaceva pensare che forse un tempo era stata una fattoria dispersa nei campi, forse persino un mulino, benché non si vedessero pale. Dal piccolo giardino posto sul retro si poteva, aprendo un cancelletto ossidato che gracchiava allegro come una giovane cornacchia, uscire direttamente nei campi e mischiarsi al volo delle giovani rondini.
A Marianne piacevano i campi e le rondini. Ma anche gli elastici fucsia, l’odore di marmellata appena sveglia, il lamento del cancelletto ossidato, la torta di ricotta, le nuvole dispari e le scarpe prive di tacchi. Odiava invece gli aggettivi che finivano in issimo
, per esempio "fichissimo", le mosche e sopra ogni cosa i pettini, gli ombrelli e naturalmente le scarpe coi tacchi.
Il nonno di Marianne coltivava le fragole. Erano un tale spettacolo che dai villaggi vicini arrivavano i contadini per ammirarle, annusarne il profumo e deliziarsi della loro polpa rubino. Il nonno però era quasi sempre al lavoro nei campi e Marianne allora doveva ricorrere all’unico amico che aveva: il Signor Bernabeu.
Insieme facevano lunghe passeggiate e delle volte si spingevano fino alle rive del ruscello malato, proprio ai piedi di quegli enormi faggi laggiù; oppure arrivavano fino alla solitaria stazioncina dei treni e, seduti su un paracarro, ammiravano le lunghe file di vagoni passare sferraglianti e le volute del fumo che, uscendo dalla pipa della locomotiva, si perdevano arricciolandosi in cielo.
Il Signor Bernabeu era contento, anche se non voleva confessarlo o darlo a vedere. Era davvero un tipo
strano. Marianne l’aveva incontrato, o per meglio dire l’aveva trovato, sotto un’enorme quercia, dentro un sacchetto di plastica: di quelli che si usano per la spazzatura, con una buccia di banana annerita sopra il cappello a paglietta e le gambe incastrate fra lattine di birra e vecchi giornali. Chissà cosa ci faceva lì dentro!
Il Signor Bernabeu era molto alto. In verità era esageratamente altissimo per essere un pupazzo di pezza. La cosa positiva però era che lo si poteva ripiegare a piacimento, tanto che Marianne era solita riporlo nella sua tasca e portarselo appresso quando era troppo pigro o troppo fifone per camminarle affianco.
Aveva due occhi grigi, del colore delle nubi d’inverno, un naso a bombetta e dei baffetti che non lasciavano presagire niente di buono. Una giacchina a scacchi, che forse un tempo era stata persino elegante, lo copriva fin quasi al mento ma al di sotto di questa era vergognosamente in mutande! Nonostante ciò Marianne gli voleva bene... del resto era l’unica persona con cui poteva parlare, anche se delle volte la sua vocina calma e ordinata le riusciva noiosa e a tratti persino un poco antipatica.
Al Signor Bernabeu piacevano infatti solo cose noiose
tipo l’ordine e qualche volta il silenzio, ma sopra ogni cosa aveva una passione smodata per la maglia di lana. Era una sua fissa la maglia di lana. Stando a sentire lui non c’era guaio che non potesse aggiustarsi, problema che non potesse risolversi, malanno che non potesse curarsi altro che indossando una bella maglia di lana.
In ciò si vedeva chiaramente il motivo per cui era stato abbandonato insieme ad una buccia di banana e a delle lattine di birra. Anche se lui continuava a sostenere di essere andato dentro al sacchetto di plastica per sua volontà, alla ricerca di nuove avventure
.
A causa del passato puzzolente del Signor Bernabeu, Marianne lo sottoponeva ogni mese ad un lavaggio completo, ma lo faceva solo perché convinta di fargli un enorme piacere! Dopo averlo insaponato ben bene nella tinozza riempita di acqua calda e avergli spazzolato con cura i vestiti e riavviati i radi capelli fatti di lana, non aveva poi cuore di appenderlo insieme alla sua biancheria, quella che ad ogni lavaggio assicurava con enormi mollettoni di legno al filo per stendere di fronte alla finestra del giardino. Così lo asciugava con il suo piccolo phon che, come diceva il nonno, faceva lo stesso rumore degli aeroplani nel cielo.
Spesso, specialmente nelle lunghe sere d’estate, restavano uno vicino all’altra a parlare, anche se raramente si trovavano d’accordo. Del resto, meglio così, se no sai che noia!
, si diceva Marianne. Lo stesso sentimento sembrava essere condiviso dal Signor Bernabeu, il quale delle volte pareva mettercela tutta nell’inventare problemi e pensarla diversamente dalla bambina. Le sue regole preferite erano invariabilmente meglio non farlo
e potrebbe essere pericoloso
.
Delle volte, a sostenere la sua cupa visione del mondo, le raccontava lunghe storie raccapriccianti. Storie infinite che non approdavano mai a niente, piene di ombre e sopratutto di mosche, di esseri indefiniti e proprio per questo ben più paurosi. Arrivato però ad un certo punto lui stesso sembrava spaventarsi di queste sue storielle e allora tentava di sorridere, sotto quei baffetti di lana rivolti all’insù, come per dire: Del resto non bisogna credere a queste cose, potrei anche essermi sbagliato
.
Il nonno
Una volta l’anno il nonno si recava alla fiera in città per vendere le sue fragole, comprare sementi e nuovi attrezzi e sbrigare altre piccole faccende riguardanti il lavoro nei campi. Le volte precedenti qualcuno aveva sempre badato a Marianne per il tempo che il vecchio trascorreva fuori di casa fino al rientro, ma ora che la piccola era cresciuta, il nonno pensò che se la sarebbe potuta cavare da sola e che avrebbe potuto benissimo trascorrere un giorno intero, notte compresa, badando a se stessa. Così, il giorno prima della partenza, mentre erano a tavola per la colazione, rivolgendosi a Marianne con un viso fra il serio e il divertito, le disse:
«Domani mattina dovrò andare in città, alla fiera.»
La piccola ebbe un sobbalzo e, come se una enorme mano le avesse dato una spinta, eccola giù dalla sedia appendersi alla giacca del nonno implorando:
«Mi porti? mi porti? mi porti?» come un disco inceppato.
«Ti porterei volentieri» le rispose il nonno «ma chi baderà allora alla casa? Chi darà da mangiare alle nostre galline? Chi controllerà che non vengano i ladri a rubarci la frutta dai campi?»
«Tu e il Signor Bernabeu siete ormai grandi e posso affidarvi questo compito» soggiunse sperando di essere udito.
Ma visto che la piccola continuava la tiritera appesa alla sua giacca, il nonno, per incutere maggior rispetto, drizzò i baffi a manubrio, si alzò sull’attenti e, tirato fuori dalla tasca un foglio arrotolato a mo’ di proclama che si era preparato per ogni evenienza, recitò con tono militaresco:
«Per ordine di Sua Maestà il Re, è volere di questa Corte che il Signor Generale Nonno si rechi immediatamente in città con urgenza. A guardia del casolare nominiamo dunque la Damigella Marianne, e con ella il suo fido Scudiero Messer Signor Bernabeu, promuovendola con ciò stesso a Comandantessa dell’avamposto. Procurerà Ella di tener lontani i ladri e qualsivoglia gaglioffo tenti di avvicinarsi con cattive intenzioni. In compenso di questo servigio NOI, Torrismondo Quintosestosettimo da Tortellonia proveniente dall’ordine del Santissimo Sacramento del Gufo bianco a pois rosa, a tempo perso anche Imperatore del Mondo, saremo lieti di ospitare a Corte