Cantarana
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Anteprima del libro
Cantarana - Mariano Castello
arbitrio.
Cantarana
Questo lavoro è dedicato alla via Baratto degli anni quaranta-cinquanta. A quel tempo c’erano ancora i ferracavai, il selaro, il mistro, c’erano gli orinatoi per uomini, sapientemente distribuiti ai quattro angoli della città vecchia, perché uno non dovesse fare troppa strada, quando le suste stavano per cedere, magari per la troppa bìbita
. C’erano i preti onnipresenti che comandavano; maestri maneschi con l’occhio torvo e la bacchetta in mano.
Della via Baratto degli anni Cinquanta conservo il ricordo di qualcuno dei personaggi che la abitavano e che sono qui rappresentati, ma ormai le fisionomie tendono a sovrapporsi e a diventare indistinte. E quindi non sarei mai stato in grado di scrivere da solo questo libretto. Mi ha aiutato molto, il lungo racconto che me ne ha fatto Paolo Drago, ultimo discendente di una dinastia di macellai, solo di qualche anno più vecchio di me, che è nato e vissuto nella parte centrale di questa via, proprio di fronte alla Cantarana, dove abitavano i miei nonni materni e gli zii e molti altri personaggi ricchi di un fascino antico .
Drago aveva bottega a pochi metri dall’incrocio del Corobbo, che era un luogo di osservazione privilegiato, dove ogni giorno vedeva passare la gente che abitava in via Baratto, che un tempo formava una piccola comunità, che non avrà avuto una propria bandiera come quella del vicino Sojo, ma che sicuramente aveva una propria identità. E dove ognuno era in grado di fare i conti in tasca al vicino di casa e di dire eventualmente quante volte la moglie di questo aveva tradito il marito e con chi. E di chi erano veramente figli i figli piovuti dal cielo come un dono
del Signore.
Ma su queste cose, che avranno interessato, io penso, una sparuta minoranza, in anticipo sui tempi quanto a libertà di costumi, anche se è passato oltre mezzo secolo, conviene mantenere il silenzio. Ma, attenti, i più vecchi sanno.
m.c.
1.
Quando mia madre si sposò, andò a stare in via Garibaldi, da via Baratto dove aveva abitato prima e, a sentir lei, dovette star sotto la suocera Marianna, che andava in giro a dire: Ah, pensavo mi de essare solevà un fià co la sposa in casa e invense me toca far da magnare par una in più
. Le tose de ancò no le xe mia come nialtre che stàvimo volentieri soto ai veci e li solevavimo dopo tanto laorare
le diceva magari qualche vecchia sua coetanea. A sentir così, la Marianna si infogonava ancor di più. Però nessuno poteva sognarsi di prendere in mano il minestro al posto suo, perché allora avrebbe detto che era lei davanti e che gli altri dovevano rispettarla e star dietro.
Nel giugno del ’44 mia madre stava per conprare (si diceva così quando una stava per partorire) e a un certo punto sono cominciati i tironi forti. Ah, Maria santissima! La Marianna non capiva più niente. Andava in giro savatando per le stanze e ogni tanto diceva: E desso cossa fémo? Quasi, quasi saria mejo che te ‘ndassi da to mama. Magari te conpagno mi soto brasso. ‘Ndemo via pianin sensa corare
. Lei infatti non correva mai e, prima che si girasse, veniva sera. Così almeno diceva mia madre. E ‘ndando disemo el terseto, che la Madona la te juta e che no la te fassa nàssare el toso par strada, prima de rivare da to mama, che dopo la ghe pensarà ela, par la carità de Dio
.
Mia madre rispondeva piuttosto suta: No, no, grassie no la se disturbe a conpagnarme, che fin in via Barato son bona de rivarghe anca da sola
. E si avviava giù per le scale senza tanti preanboli.
La famiglia Zerbato, quella di mia madre, abitava al primo piano della casa della Cantarana, in via Baratto appunto, non molto distante da via Garibaldi. Ma era tempo di guerra e allora, quando si partiva da casa, non si sapeva mai se si tornava intieri. Così è andata da sola. E cammina, cammina. Le pareva di camminare da non so quanto e non era ancora