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La donna di coriandoli
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E-book121 pagine1 ora

La donna di coriandoli

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Info su questo ebook

La vicenda narrata in queste pagine è una storia d’altri tempi e segue le vite di personaggi che si incontrano e scontrano in vari modi, dando un seguito spesso inaspettato alle proprie esistenze. È la storia di donne che portano avanti le proprie battaglie, che prendono scelte sbagliate ma provano a lottare fino alla fine in nome di una resistenza e di un desiderio di superamento necessari. È una storia velata a tratti da nostalgia e tristezza, dalla difficoltà di comprendere il mondo complesso che ci ospita con le sue dinamiche troppo spesso aliene ai sentimenti. Ma è anche il racconto di un bell’esempio di riscatto, di ricerca e ottenimento di una vita migliore, narrato con precisione e scorrevolezza dall’autrice Lavinia Gargiulo.

Lavinia Gargiulo è nata a Piano di Sorrento. Dopo gli studi classici, la passione per i viaggi l’ha spinta a esplorare diversi Paesi, per poi arrivare nel sud della Francia, dove oggi vive con la sua famiglia.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9788830675810
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    La donna di coriandoli - Lavinia Gargiulo

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    Lavinia Gargiulo

    La donna di coriandoli

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6895-9

    I edizione dicembre 2022

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    La donna di coriandoli

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    LA CASA DI PIETRE BIANCHE

    Le storie un po’ tristi, velate di mistero e di magia, mi hanno sempre affascinato. Mentre mettevo in ordine gli eventi che mi sono stati narrati e cercavo di districare il filo della memoria collegando tra loro i personaggi di questo racconto, mi sono spesso chiesta fin dove le conseguenze delle loro azioni, come le increspature sulla superficie dell’acqua, si sarebbero propagate. Forse ci sarebbero voluti ancora molti anni prima che le ultime persone coinvolte potessero liberarsi dal peso dell’eredità che avevano ricevuto e decidere di rompere con il passato. O piuttosto accettarlo completamente, dolore compreso, rimettere insieme tutti i cocci, dargli finalmente un senso. Forse allora, da tutta questa sofferenza, sarebbe nato qualcosa di nuovo e di buono.

    Ecco quindi questa storia, scritta in modo semplice, come in modo semplice mi è stata raccontata.

    Anna non era nata a Sorrento, ci era arrivata per caso, al seguito della nobile famiglia napoletana per cui lavorava come governante, tra valigie e cappelliere, un bagaglio in mezzo a tutti gli altri. E per quanto non potesse negare le bellezze naturali della Penisola, era stata a lungo insensibile al misterioso fascino della sua storia millenaria e sorda al canto ammaliante delle Sirene. Lei era venuta al mondo vicino Napoli mentre le forze alleate e quelle tedesche si contendevano l’Italia con bombardamenti, esecuzioni sommarie e stupri, ma non aveva nessun ricordo della sua città natale visto che la famiglia vi aveva vissuto solo per pochi mesi ed era stata sloggiata quando il palazzo dove abitava era crollato a causa delle bombe. Quasi nulla era stato recuperato dalle macerie. La sola cosa che le restava dei primi difficili anni della sua vita era una vecchia foto ingiallita e spiegazzata in cui la si intravedeva infagottata e minuscola tra le braccia di suo padre mentre il pover’uomo correva per mettersi al riparo e cercava disperatamente di proteggerle la testa perché non fosse colpita dai detriti che volavano in tutte le direzioni. Anna non sapeva chi avesse scattato quella foto né come suo padre ne fosse alla fine entrato in possesso. A volte si domandava che cosa avesse mai potuto spingere qualcuno, nel frastuono dei bombardamenti e delle grida della folla terrorizzata a decidere di prendere proprio quella foto, proprio in quel momento. Forse si trattava di una delle numerose coincidenze di cui la vita è piena e che non hanno nessun significato speciale al di là di quello che noi stessi siamo disposti ad attribuire loro. O forse no.

    Il datore di lavoro di Anna era un marchese senza più un soldo a suo nome che in un momento di debolezza o di lucidità, in base a come si osservava la faccenda, si era trovato promesso alla figlia di un commerciante intraprendente, ambizioso e soprattutto ricco. Senza che nessuno potesse davvero dire come, l’uomo, che era nato e cresciuto nei bassifondi oscuri della città, era riuscito ad accumulare una fortuna quasi scandalosa se paragonata a tutta la miseria che mostrava la sua faccia brutta e sporca ad ogni angolo di strada nella Napoli del dopoguerra. C’era chi parlava sottovoce di contrabbando e chi diceva che durante gli anni tumultuosi della guerra l’imprenditore avesse fatto da informatore per conto degli Americani che lo avevano in seguito lautamente ricompensato e chi ancora immaginava che fosse legato in qualche modo alla malavita del posto. Qualunque fosse la verità, l’uomo, fiero della propria riuscita, non nascondeva a nessuno la sua ricchezza. Aveva rischiato molto e guadagnato molto, lavorando senza sosta, e non gli importava quello che si diceva su di lui né tantomeno il fatto che la palese ostentazione della sua fortuna gli avesse già procurato non pochi nemici in passato. Lui veniva dalla strada e conosceva bene le sue leggi. Sapeva che l’apparenza della ricchezza e del potere conta più della ricchezza e del potere stessi, ma adesso che le sue tasche erano piene all’ardito imprenditore non mancava altro che un nome rispettabile da associare al suo denaro e sotto la cui dignità far prosperare la sua famiglia. Così, quando il destino aveva messo il marchese sulla sua strada, il brav’uomo non aveva esitato a lungo.

    Le stravaganze e la sospetta follia del futuro genero, che erano l’oggetto di tutti i pettegolezzi nei salotti partenopei, non avevano affatto demoralizzato il vecchio commerciante che, con il fiuto per le buone occasioni che lo aveva aiutato ad avanzare nella vita, aveva intravisto i reciproci vantaggi di un tale matrimonio. Si era quindi persuaso che le stranezze del marchese, certamente frutto di orgogliosa consanguineità aristocratica, si sarebbero molto attenuate grazie alla compagnia di persone sane di mente e con i piedi ben piantati per terra come lui.

    Una volta raggiunta questa conclusione, era diventato impermeabile al comportamento del futuro genero e indifferente nei confronti delle voci che circolavano sullo stato del suo cervello e con il cuore leggero aveva offerto la sua unica figlia, una creatura delicata e sensibile, in sposa a quell’uomo eccessivo, incostante e vanitoso. E ciò nonostante il fatto che il marchese fallito non avesse mai cercato di ingannare la famiglia di cui avrebbe fatto presto parte mostrandosi migliore di quello che fosse in realtà, ma fin dai primi giorni di fidanzamento avesse avuto la gentilezza di manifestare tutto il suo disprezzo per le origini della sua futura sposa. Raccontava delle sue future nozze a chiunque avesse voglia di ascoltarlo, in quella sua parlata brillante che mischiava il dialetto napoletano alla lingua italiana in un chiaroscuro di consonanti e vocali strascinate. Con uno sdegno appena velato da una punta di ironia, scherniva le abitudini della famiglia, i piatti troppo colmi che venivano serviti alla tavola del suocero, il suo ventre gonfio e volgare, il vino di Gragnano che macchiava le tovaglie di lino delle Fiandre. Faceva il verso alla sua fidanzata imitando il suo modo affettato di pronunciare le «e» perché quella era la dizione corretta che le suore le avevano insegnato. E

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