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Il mio bambino non mi fa la cacca nel vasino
Il mio bambino non mi fa la cacca nel vasino
Il mio bambino non mi fa la cacca nel vasino
E-book155 pagine1 ora

Il mio bambino non mi fa la cacca nel vasino

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Info su questo ebook

In questo suo nuovo libro l'autrice aiuta i genitori a comprendere quali strategie adottare per portare a termine questo importante e delicato compito. Rispettando la sua unicità, l’avventura verso l’autonomia dal pannolino diventerà un momento di conoscenza e arricchimento nella relazione genitore-figlio.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2010
ISBN9788886631556
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    Anteprima del libro

    Il mio bambino non mi fa la cacca nel vasino - Sara Letardi

    2008.

    Capitolo I

    Cosa vuol dire

    educazione al vasino

    Il bambino costruisce veramente, riproducendole

    in se stesso come in una forma di mimetismo psichico,

    le caratteristiche degl’uomini che lo circondano¹.

    Educare al vasino o a restare puliti o, meglio, a stare senza pannolino sono espressioni che indicano essenzialmente la stessa cosa: il bambino, ormai grandicello, che ha raggiunto una certa autonomia nel controllo delle proprie funzioni corporali e avvisa quando ha bisogno di utilizzare il bagno. Per raggiungere questo traguardo il bambino farà un percorso che va dall’uso inconsapevole della vescica e dell’intestino a un controllo sempre più volontario degli sfinteri che lo porterà a evacuare nel posto e nel momento da lui voluti.

    Questo percorso inizia prima ancora di venire al mondo. I cuccioli umani, infatti, urinano anche nel grembo materno e, subito dopo la nascita, eliminano il meconio, ovvero le prime feci del neonato. Una volta avviato l’allattamento, i neonati evacuano, per più volte al giorno, feci giallo chiare² e di consistenza cremosa³ e fino ai tre mesi possono urinare anche una ventina di volte al giorno. Dai tre mesi in poi le evacuazioni si fanno via via meno frequenti, ma prima dell’anno, normalmente, il bambino non può ancora esercitare un controllo volontario sulle proprie funzioni fisiologiche.

    I piccoli di scimpanzé mostrano un comportamento simile. All’inizio, mentre stanno aggrappati al pelo della mamma, non riescono a controllarsi e le urinano addosso. A un certo punto, durante il secondo anno di vita e senza che mamma scimpanzé abbia fatto nulla per educare la prole, imparano a staccarsi da lei nel momento di svuotare la vescica o l’intestino e non la sporcano più.

    Sembra quindi che l’istinto abbia una certa predisposizione verso l’igiene. Inoltre, il controllo degli sfinteri viene acquisito indipendentemente dai tentativi che vengono fatti per accelerarne il processo⁴.

    Quello che possiamo osservare è che i nostri bambini occidentali non hanno consapevolezza di ciò che accade nel pannolino (diversamente dal piccolo di scimpanzé o dai bambini che hanno un’educazione precoce al vasino⁵) in quanto quest’ultimo maschera le loro funzioni fisiologiche. Per cui, non è sbagliato pensare che intorno ai 18-20 mesi il bambino potrebbe essere fisiologicamente pronto per restare pulito ma non consapevole di questa sua capacità.

    Cenni di fisiologia

    Possiamo immaginare la vescica come un palloncino che si riempie in continuazione. I reni, infatti, filtrano il sangue senza sosta e l’urina si accumula via via nella vescica, passando attraverso due tubicini (uno per rene) chiamati ureteri. L’urina non fuoriesce dalla vescica grazie a uno sfintere (muscolo a forma circolare) che rimane contratto. A mano a mano che l’urina si accumula, la vescica si gonfia distendendo un muscolo chiamato detrusore. A un certo punto, quando ha raggiunto circa la metà della sua capacità massima, l’ulteriore dilatazione della vescica stimola l’invio di un segnale al cervello. In quel momento noi avvertiamo l’impulso a urinare. A questo punto possiamo volontariamente trattenere la pipì contraendo i muscoli dello sfintere esterno dell’uretere oppure possiamo decidere di svuotare la vescica rilassando il muscolo dello sfintere e contraendo il muscolo vescicale. La possibilità di trattenere l’urina non è indefinita; a un certo punto il bisogno di urinare diventa incontrollabile e la minzione avviene indipendentemente dalla nostra volontà.

    Il cibo digerito, invece, viene spinto lungo il tratto gastrointestinale grazie alle contrazioni dei muscoli che fasciano le pareti del tratto stesso e danno origine a un movimento ondoso. Questo movimento, noto come peristalsi, è involontario ed è legato alle attività del sistema nervoso autonomo; la sua funzione è quella di far procedere il cibo digerito in una data direzione e, inoltre, spingendolo a contatto con le pareti dell’intestino, di favorire l’assorbimento delle sostanze in esso disciolte.

    L’ultima parte dell’intestino, il retto, la possiamo immaginare come un serbatoio adibito a contenere le feci. Mano a mano che queste si accumulano nella parte finale dell’intestino, grazie ai movimenti di peristalsi, il retto si distende per aumentare la propria capacità. A un certo punto l’ulteriore dilatazione del retto provoca l’invio di un segnale al cervello e noi percepiamo lo stimolo a defecare. Immediatamente al di sotto del retto troviamo l’ano, un piccolo condotto che ha il compito di trattenere le feci e controllarne l’emissione. L’ano è circondato da due muscoli a forma di anello. Il primo, chiamato sfintere anale interno, controlla che non avvengano emissioni involontarie di feci durante il sonno o il riposo; il secondo, chiamato sfintere anale esterno, risponde a ordini volontari. Quest’ultimo, quando viene contratto impedisce la fuoriuscita delle feci; al contrario, rilassandolo, permette la defecazione⁶.

    E’ importante osservare come, in entrambi i casi, la capacità di restare puliti è assicurata da un doppio movimento: contrarre per trattenere e rilassare per lasciar andare. La possibilità di rilassare i muscoli (più che di spingere) è necessaria per potersi liberare nel posto e nel momento giusto. I bambini acquisiscono questa abilità con la crescita ma è evidente che eventi stressanti o pressioni sul piccolo possono interferire con la sua capacità di rilassamento e impedire che utilizzi il vasino nel modo appropriato.

    Osserviamo inoltre che durante tutta la vita e in altri contesti saremo accompagnati da questi due movimenti: trattenere e lasciar andare. Il bambino, che prima lasciava andare in maniera inconsapevole, adesso prende coscienza delle sue capacità e può decidere quando e dove rispondere allo stimolo percepito. In ogni caso, ciò che lascia è sempre un dono per qualcuno; un dono che, proprio in quanto tale, non possiamo né pretendere né ottenere con ricatti e imposizioni, possiamo solo accettare⁷.

    Mi ricordo con quanta gioia i miei figli aspettavano il papà per mostrargli le loro pipì nel vasino, che non andava assolutamente svuotato prima di essere portato in trionfo. Il bambino è sempre felice di appagare i desideri dei propri genitori; non può corrispondervi, però, se le richieste non sono adeguate alle sue capacità e se non aspettiamo la sua libera adesione. Noi possiamo preparare lo scenario (mettere il vasino e spiegare a cosa serve), ma dobbiamo lasciare al bambino la parte del protagonista (decidere di sedersi e lasciare il suo dono per noi).

    Un po’ di storia

    L’età in cui iniziare a proporre l’uso del vasino si è spostata notevolmente nel corso degli ultimi cento anni. Fino agli anni ’30, infatti, i genitori avevano un approccio verso l’educazione al controllo degli sfinteri molto permissivo. In seguito si diffuse l’idea che i bambini dovessero essere educati alla pulizia il prima possibile⁸ e i genitori iniziarono a mettere il bambino sul vasino già intorno ai sette-otto mesi. Del resto, i pannolini erano di stoffa, i lavaggi faticosi⁹ e le mamme avevano fretta di riuscire a utilizzare il vasino¹⁰.

    Come facevano le mamme? Mettevano il bambino sul vasino seguendo degli orari rigidi e aspettavano finché... non la faceva. Per regolarizzare il piccolo nelle sue funzioni intestinali veniva addirittura suggerito di stimolarlo con un pezzettino di sapone nel sederino¹¹... Se il bambino soddisfaceva le aspettative dei genitori riceveva lodi e incoraggiamenti; in caso contrario poteva essere sgridato o, peggio, punito. In seguito, si osservò che questo approccio frettoloso e completamente irrispettoso della personalità del bambino, nonché del suo livello di sviluppo e consapevolezza, portava spesso a problemi persistenti come l’enuresi notturna e la costipazione ostinata¹².

    Il famoso pediatra Benjamin Spock, nel suo manuale, scriveva che i bambini dall’età di sei-otto mesi, se molto regolari nelle proprie funzioni intestinali, potevano anche essere messi sul vasino ma questo avrebbe creato un condizionamento involontario; il bambino, quindi, non avrebbe collaborato consapevolmente. Il piccolo avrebbe comunque raggiunto il controllo volontario degli sfinteri intorno ai diciotto-ventiquattro mesi di età, per cui concludeva: Inutile quindi che la mamma si demoralizzi, si irriti inutilmente col piccolo o che lo lasci per ore sul vasino, cosa che lo innervosisce¹³.

    Nel 1962 il pediatra T. Berry Brazelton pubblicò uno studio¹⁴ nel quale il bambino veniva messo al centro del processo di apprendimento. Finalmente venivano riconosciuti sia la sua capacità di guidare l’intero processo che il diritto di aspettare finché non fosse stato pronto. I successi ottenuti rispettando i tempi del bambino (ovvero una riduzione delle patologie legate al controllo degli sfinteri) spinsero la maggior parte dei pediatri a raccomandare questo tipo di approccio centrato sul bambino per l’educazione al vasino. Ai genitori veniva quindi suggerito di aspettare finché il bambino non avesse manifestato spontaneamente il suo interesse verso il vasino.

    L’obiettivo di questa strategia è di evitare quelle pressioni sul bambino che potrebbero interrompere il processo o portare a serie conseguenze (come costipazione o infezioni alle vie urinarie). Del resto, numerosi studi hanno mostrato come sia quasi impossibile accelerare il raggiungimento di questa tappa dello sviluppo. Il bambino sarà pronto quando… sarà pronto.

    Io ho provato e riprovato a togliere il pannolino a mio figlio ma non era pronto quindi la tratteneva tutto il giorno, poi ho smesso di provare, finché una mattina a 34 mesi non mi ha detto che non voleva più il pannolino e così è stato e tre mesi dopo era senza anche alla notte. Per la notte ho aspettato di trovarlo asciutto per diverse mattine. Aspettando che lui fosse pronto non ho avuto bisogno né di tanti cambi né di stracci né altre cautele, si è bagnato un paio di volte e poi più¹⁵.

    Io l’ho spannolinato a 2 anni non c’è stato verso. Dopo soli 2 mesi ci ho riprovato e magicamente dopo qualche gg non sapevamo neanche cosa fosse il pannolo di gg, di notte non ho ancora il coraggio dorme spesso nel lettone devo trovare cerata gigante sono convinta ke se mi decido non avrà problemi ma devo essere di umor giusto, gli incidenti capitano e se si sorride tutto passa e imparano subito…¹⁶

    Capire quando sono pronti? Tommaso a due anni e pochi giorni una mattina di punto in bianco (mese di febbraio, un freddo della miseria...) mi dice: Io il pannolino non lo voglio più... mettilo a chicca (la sorella, all’epoca 2 mesi) che è piccola!. Da quel momento non l’ha più voluto né di giorno né di notte!¹⁷

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