Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L’errore … si paga !
L’errore … si paga !
L’errore … si paga !
E-book161 pagine2 ore

L’errore … si paga !

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La nostra esistenza non è guidata dalla sorte ma dalle nostre scelte.

Chi dona non è quello che alla fine ha problemi o rimpianti. La serenità ti appaga eliminando i falsi desideri. Frammenti della vita dell'Autore, tra gli anni 60 ed i nostri giorni, ai limiti del paranormale, in cui tali regole trovano riscontro nella pratica di questa infinita commedia umana
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2014
ISBN9788891145437
L’errore … si paga !

Correlato a L’errore … si paga !

Ebook correlati

Memorie personali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su L’errore … si paga !

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L’errore … si paga ! - Taddeo Guacci

    papà

    PARTE PRIMA

    tempo e spazio

    CAPITOLO 1°

    La camera da letto dei nonni materni, con cui viveva Tommy assieme a madre, padre e fratello minore, era molto ampia, proprio come nella tipica concezione di spazio, e relativi inutilizzi, degli anni ‘50 / ‘60 .

    Pareti alte circa quattro metri, ambienti vasti che accoglievano mobilio tanto imponente e pesante quanto poco pratico per contenere vesti o suppellettili.

    Il tutto, del resto, perfettamente in armonia con le aspirazioni rivolte all’ ottimistica speranza di sviluppo e ripresa economico-sociale, inevitabilmente create dai precedenti, non lontani, eventi bellici che avevano gettato la nazione nella fame e nella miseria.

    Vi era la necessità di lavorare, produrre ed accrescere l’edificio del progresso che mattone su mattone si sarebbe innalzato verso mete sempre più elevate.

    Si guardava all’America come al Paese del bengodi, un mito irraggiungibile per i più; del resto era la terra da cui erano arrivati gli alleati che avevano liberato l’Europa, sacrificando un impressionante numero di loro giovani vite dalla vile tirannia, incredibilmente disumana, di quel deprecabile movimento antisemita guidato da un inclassificabile personaggio, e suoi abnormi seguaci, che infettarono anche la nostra terra distruggendo ed alimentando solo dolore e desolazione.

    Tommy giocava spesso in quella stanza poco ammobiliata: un vecchio letto matrimoniale in legno di noce costruito anni prima dal fratello del nonno, ebanista siciliano, i due comodini, quelli di un tempo, alti e rettangolari, dello stesso legno, con uno sportello ove un ripiano in ceramica accoglieva il vaso da notte in metallo laccato bianco e, sopra, un grosso cassetto; il tutto sovrastato da un ripiano in marmo rossiccio striato con venature scure.

    Sulla parete a sinistra del giaciglio un grande quadro di Gesù Nazzareno, con la immancabile corona di spine gocciolante sangue sul capo leggermente inclinato da un lato, uno sguardo stanco e misericordioso che sembrava esprimere non dolore ma perdono, una mano appena appoggiata al centro del petto da cui si intravedeva una cuore rosso vermiglio con sopra una piccola croce di legno scuro; l’altra, la destra, protesa a palmo aperto verso chi osservava il dipinto, lasciando nettamente in vista le stimmate.

    Sul lato destro, longitudinalmente rispetto all’asse del letto, un comò della stessa fattura dei comodini, identico ripiano in marmo ma sovrastato da una specchiera ovale incastonata in una cornice rettangolare, collegata al mobile. Il tutto arricchito da una fila di ampi cassetti e, sotto, cassettoni, fino a terra. Intarsi in legno, raffiguranti due cesti di vimini erano riportati sulla facciata anteriore come decorazione ai due sportelli che si richiudevano sui rispettivi vani contenitori, uno a destra e l’altro a sinistra.

    Un tavolo, antico quanto le sue escoriazioni debitamente tarlate, alcune sedie, una differente dall’altra, si perdevano, sembrando ancora più piccoli della loro reale dimensione, nell’enorme spazio restante appena ingombrato, in un angolo, in fondo a destra, da una branda di fortuna appoggiata … da sempre … alla parete. Ancora su quel lato un’ampia finestra i cui infissi si chiudevano malamente facendo vibrare e tintinnare i sottilissimi vetri fissati, come d’uso a quei tempi, con stucco per legno. Le persiane esterne, grandi e pesanti, di colore verde scuro, disomogeneo, affacciavano sul corso principale della città, quella volta estremamente trafficato.

    Guardare di sotto, dal quinto piano, era per chiunque una sensazione destabilizzante nonché una non indifferente prova di equilibrio posturale.

    Sulla destra si vedeva il mare, un pezzetto di mare; per essere precisi un microscopico rettangolo del porto ma tanto bastava a dare respiro alla visuale un po’ costretta dal palazzo di fronte, distante almeno una cinquantina di metri, in pratica largo quanto la strada compresi i due marciapiedi.

    Da quell’antenata delle attuali finestre si vedeva, però, tanto cielo … ah ... il cielo … ed i tetti … punto di osservazione, quasi fisso, di Tommy.

    Adorava guardare i tetti, le tegole rosse sotto i caldi raggi del sole mattutino, quasi arancioni nella tenue e rilassante penombra del crepuscolo quando si stagliavano dinanzi a lui nel cielo contrastando le irregolari striature gialle, viola, rosa e blu del tramonto.

    Per Tommy quei tetti non erano la semplice copertura di un palazzo, bensì il trampolino per i suoi sogni.

    Li guardava, suonando spesso un’armonica a bocca da quattro soldi con cui riusciva ad intonare di tutto, senza sforzo, rendendo quei suoni una estensione del suo cuore e dei suoi desideri. Lo strumentino era stato acquistato in un vicino negozietto di accessori musicali risparmiando per mesi i pochi spiccioli unicamente donatigli, la domenica, dall’amato e mai più dimenticato zio Gennaro, bello, buono e gran signore … a cui peraltro, dicevano, somigliasse di viso e di fisico; chiamato Roberto dalla moglie che si vergognava di quel nome, secondo la sua insignificante mentalità, diceva … mentre avrebbe fatto bene a pensare alle sue di basse e volgari origini.

    Praterie in cui cavalcare al galoppo, campi di battaglia di armate medioevali, territori inesplorati da visitare, il campo di azione del nero cavaliere mascherato difensore dei più deboli … e oltre il cordolo dei tetti … il futuro … così grande ed inaspettato quanto sconosciuto, imperscrutabile e, al momento, apparentemente lontano.

    Come tutti i giovani non vedeva l’ora di gettarsi in quel futuro non pensando, data l’età, che sarebbe arrivato prima di quanto immaginasse … trasformandosi improvvisamente nel suo esatto opposto: un inevitabile ed immodificabile passato.

    Il vasto pavimento della stanza, composto di vecchie, consunte e scricchiolanti doghe di legno chiaro, accoglieva spesso, per giorni, la sua pista fatta di tappi di bottiglia, in metallo, di vari formati e colori.

    Quelli di dimensione normale ne formavano i bordi, posizionati in modo da creare un percorso a volte diritto e lineare a volte estremamente tortuoso, apparentemente difficile da superare senza difficoltà ma non impossibile, proprio come la vita; i più grossi erano gli attori della corsa infinita, spinti con maestria, a volte con impazienza, dalle dita lunghe e sottili di Tommy.

    Spesso, durante il tardo pomeriggio, alternava il gioco alla costruzione di pupazzetti di pongo, ognuno di colore diverso a seconda del ruolo del personaggio di riferimento: bianco per il cavaliere buono, nero per il cattivo, che di solito perdeva sempre, giallo per la principessa, rosso per il diavolo che alla fine non l’aveva mai vinta, verde per l’amico del bianco eroe, marrone, destinato ai comuni soldati.

    Beh, la fantasia non gli mancava di certo al ragazzino e sarebbe stata una qualità che lo avrebbe contraddistinto, in certe situazioni salvato, lungo l’intero percorso della sua esistenza terrena.

    A volte, annoiato da questa ludica routine andava in giro per l’enorme appartamento passando di stanza in stanza, alla ricerca del grigio gattone certosino, chiamato Tripolino, che si nascondeva apposta per non essere infastidito; il grasso e docile animaletto, in mancanza di nascondiglio sicuro, in ultima analisi, si rifugiava sui tetti passando dal terrazzino su cui si affacciava la sala che sovrastava il cortile interno, a quel tempo frequentato da grosse pantegane grigio scuro.

    Dobbiamo tener presente che prima degli anni sessanta non esistevano pesticidi specializzati ne tantomeno si parlava di derattizzazione. Figuriamoci !

    Si adoperavano le strisce da appendere ai lampadari per catturare le mosche o le poche zanzare, più furbe ed imprendibili delle prime, mentre in commercio si trovavano una sorta di grossi tubi rossi di latta con all’estremità uno stantuffo e all’altra, appena al di sotto del beccuccio di uscita, un piccolo contenitore cilindrico contenente quello che doveva essere il predecessore degli attuali insetticidi veri e propri ma a differenza di quest’ultimi era più il cattivo odore e l’effetto insano su noi umani provocato dalla nuvoletta verdognola che all’occasione ne fuoriusciva, piuttosto che l’efficacia provata sugli insetti. Per non parlare poi degli scarafaggi.

    Se di notte ci si alzava dal letto per andare in bagno o per bere, accendendo la luce si assisteva ad una evacuazione a stella di una miriade di cilindretti neri e luccicanti che con le loro smisurate zampette, ad antenne erette, cercavano velocissimo rifugio sotto i mobili e gli ingombranti termosifoni in ghisa presenti, solitamente, in ogni stanza (raramente anche in bagno).

    A proposito del bagno … in quasi tutte le civili abitazioni, tipo quella della nostra storia, tale ambiente era piccolo, con una vasca spesso in marmo, un water e, a volte, un bidet. Una finestrella, magari posta un po’ in alto, completava il tutto. Il rubinetto erogava solo l’acqua della rete idrica non esistendo né miscelatore - al tempo ancora sconosciuto ai più - né manopola dell’acqua calda.

    I tubi erano a vista, così come i fili della corrente elettrica.

    I riscaldamenti funzionavano con stufe a carbone: legna per ardere e dare calore, carbone antracite per alimentare il fuoco ed ovuli di carbone cocke per mantenerlo vivo il più a lungo possibile.

    I primi bruciatori a combustibile liquido d’appartamento, ingombranti, costosi e rumorosi, sarebbero stati commercializzati proprio in quegli anni. Il ghiaccio, composto in blocchi rettangolari di circa un metro, per la conservazione degli alimenti maggiormente deteriorabili come carne, latte o pesce, venivano portati nelle abitazioni a spalla, con poggia dorso di cuoio, da operai che, come nel nostro caso, dovevano sobbarcarsi cinque piani di scale a piedi; stesso dicasi, del resto, per gli approvvigionamenti relativi alle stufe.

    Di lì a poco quasi tutti avrebbero avuto un frigorifero di forma standard: bombato sull’apertura, maniglia con serratura a blocco; quest’ultima eliminata e modificata negli anni successivi a semplice pressione onde evitare il considerevole numero di bambini trovati dai familiari inevitabilmente soffocati e congelati al suo interno.

    Ogni nuova invenzione, affinché venga migliorata e perfezionata, si trascina sempre dietro le sue vittime !

    I primi apparecchi televisivi avevano un solo canale, rigorosamente in bianco e nero, con una ricezione non certo ottimale; trasmettevano un programmino per bambini alle diciassette, un telegiornale alle venti e il famoso Carosello pubblicitario prima dello spettacolo per adulti che solitamente consisteva in una commedia presa dal repertorio classico della nostra letteratura o dalla tradizione partenopea.

    Verso le ore ventitré le trasmissioni terminavano.

    All’indomani si riprendeva il solito giro.

    Successivamente verso le nove del mattino apparve un programma presentato da un maestro elementare che avrebbe dovuto insegnare a leggere e scrivere alle persone adulte ancora analfabete.

    Altri tempi vero ? Parliamo di cinquanta anni fa.

    Certo per un ragazzino di sette anni di oggi tutto ciò può apparire inconcepibile e invivibile, senza un computer o un cellulare dell’ultima generazione a cui manca solo di camminare o cucinare … almeno per ora!

    Eppure la vita era quella.

    Normalissimo vivere a quel modo, anzi una aspirazione e un punto di arrivo per molti e, non avendo mai provato le innumerevoli comodità odierne, non se ne soffriva né se ne poteva sentire la mancanza.

    In pratica, per i fanatici degli esempi pratici, si può fare il paragone tra una persona nata cieca ed una che lo fosse diventata dopo aver passato anni con una vista normale. La prima troverà del tutto naturale muoversi nell’oscurità mentre per l’atra sarebbe ben diverso.

    Nonostante i suoi giovanissimi anni Tommy andava a scuola da solo, come era abitudine per quasi tutti i bambini, con il suo grembiulino a piccoli scacchi azzurri e bianchi, a differenza di quello delle sue compagne di scuola per le quali la fantasia geometrica si pretendeva rigorosamente rossa. Entrambe le due categorie di alunni si portavano dietro l’immancabile cartella nera con due o tre libri,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1