La morte scherza sul Ticino: La seconda indagine di Sambuco & Dell'Oro
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Info su questo ebook
Alessandro Reali è nato a Pavia il 4 febbraio 1966. Per Fratelli Frilli Editori ha già pubblicato Fitte nebbie. La prima indagine di Sambuco & Dell’Oro (2012 III ed.), La morte scherza sul Ticino. La seconda indagine di Sambuco & Dell’Oro (2013 II ed.), Risaia crudele. Quei giorni dell’inverno del ’45 (2014), Sambuco e il segreto di viale Loreto. La nuova indagine di Sambuco & Dell’Oro (2014), Ritorno a Pavia. Un altro Natale per Sambuco & Dell’Oro (2015), La Bestia di Sannazzaro. Lomellina, inverno di guerra 1917 (2016), Ultima notte in Oltrepò (2016) e Il fantasma di San Michele (2017). Per Ticinum Editore ha pubblicato la raccolta di racconti Il diavolo del Ticino (2017).
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Anteprima del libro
La morte scherza sul Ticino - Alessandro Reali
PROLOGO
– Ci scommetto che ce la faccio – dice la ragazza.
È alta, bionda, le cosce lunghe, i seni grandi, il sorriso annoiato e gli occhi verdi... trasparenti.
– Va bene, mettiamola così: se riesci a scoparlo, allora io ci provo con il padre di Luca, il dottor D. ...credo che sotto sotto sia un po’ frocio, ovviamente non quanto me – dice il ragazzo, sottile, con la voce da ragazza e gli occhi grandi, spalancati, a causa di tutto quello che ha tirato su col naso.
– Il padre di Luca è proprio brutto, cazzo! E pure sfigato, come il figlio – dice la ragazza, allungata sul divano in mutandine e reggiseno, guardando verso l’oscurità oltre la finestra aperta, da dove provengono i rumori della stazione di Pavia.
– Per questo anche il tuo amico non è che sia un Adone... – dice il ragazzo, sorridendo, guardandosi le unghie.
– Non è vero, lui è bellissimo, è affascinante... e poi il nostro è un gioco, no – dice la ragazza, annoiata, come se cercasse qualcosa, senza sapere cosa.
– Certo, è sempre un gioco – dice il ragazzo, chiudendo gli occhi...
UNO
"Posso restare qui, lasciarmi attraversare dal vento gelido dei pensieri, nascosto, immorale come un sasso scagliato sul viso d’un bambino...
Imbastire trame riguardanti un futuro NORMALE...
Normale come la famiglia Saccomani dell’appartamento di fianco – borghesi dei nostri tempi – riunita per la colazione: cornetto e cappuccino per il figlio grande, il tecno taciturno, per la bambina cereali e latte bianco, caffè e integratori per il direttore di banca – fanatico sportivo – a cui invidio il sorriso insensibile e la moglie: occhi da gattina cattiva e corpo perfetto per le mie fantasie.
Posso anche fare finta di niente e assumermi la responsabilità di questa frase, e quindi sentirmi ancor più ridicolo, come un nano tragicomico nel giardino abbandonato tra muschi e gramigne, pietra sbrecciata e stagno verde e tanta, tanta tristezza.
Il fatto è che sono un assassino. Un assassino...".
Assassino. La parola sibilava irreale tra i denti curati del professor Giorgio Grechi, sigillato, in un’alba carica di pioggia, nel confortevole appartamento di via Scopoli, a pochi passi dal centro di Pavia.
Era il 15 novembre e lui non aveva chiuso occhio tutta la notte, e nemmeno aveva acceso il televisore – lo faceva spesso nelle notti insonni – per guardare un film pornografico sui canali a pagamento.
Inutilmente, aveva sfogliato una monografia dell’amatissimo Albert Durer, concentrandosi (quanta fatica!) sulla figura stupita del Cristo giovinetto, soffocata dai volti e dalle mani corrose di malizia dei dottori. Tutto ciò che esse toccano si trasforma in viscida melma
, pensava, ma non è colpa loro, oh no, è soltanto la vita: l’uomo è un essere INNOCENTE, nel frullatore impietoso della propria esistenza... O si rifugia nella menzogna, in una nicchia calda come in letargo, o cede alla passione del vivere e si ammala, si turba, violenta e si violenta, oppure... Oppure fa come mio padre e sceglie la soluzione estrema
.
Il verme acido dell’esistenza aveva cominciato a corroderlo tanto tempo prima. Il sangue del morto ammazzato sul fiume, ancora caldo nella sua mente, non era che il capolinea. Costringendosi alla parola realtà
, fece risalire gli eventi determinanti di quegli ultimi giorni al rosso autunno dell’anno precedente, sul palcoscenico romantico di uno di quei cortiletti pavesi del centro storico, abitati dalla buona borghesia cittadina, dove si era accorto per la prima volta di certi sguardi umidi, ai quali non sapeva resistere, ai quali bisognava per forza cedere, scoprendosi all’improvviso in balia di essi.
Così aveva smesso di essere la figura che pazientemente si era ritagliato addosso, il professor Giorgio Grechi, uno stimato ex insegnante del Liceo Classico, e, vulnerabile, aveva scoperto la sua misera essenza: un membro virile teso nel nulla abbagliante di due occhi da cerbiatta, suoi padroni assoluti.
Ma, giocando d’azzardo, in quell’alba pavese cupa e senza speranza, il professore fece risalire l’origine del suo male – arrovellandosi nel cinismo un po’ macabro dei suoi rebus preferiti – al tempo dell’infanzia (l’unico tempo, pensava, nel quale si è vivi, poiché non ci si accorge di esserlo: il resto è solo un cadavere che ritorna sui suoi passi), quando suo padre, in un novembre simile a quello, aveva deciso di gettarsi nelle acque gelide del Ticino, per fuggire una volta per tutte i fantasmi che lo tormentavano.
Il suo dialogo con la morte era cominciato quella sera, nella casa in fondo al Borgo, sulla riva destra del fiume: le acque nere contro i bastioni e l’odore della terra umida, l’acciottolio di piatti nella cucina bassa, la figura terrea di sua madre, la stufa spenta e il vento tra gli alberi di una campagna che ancora circondava la città.
Eppure, considerando quel dramma improvviso (altro tentativo del professore di giocare con le parole: non c’era proprio niente d’inaspettato nella scelta di suo padre, solo che lui, non ancora adolescente, non lo sapeva o non voleva ammetterlo), era cresciuto bene.
Nessuno, tra coloro che lo conoscevano, poteva affermare il contrario. Con tanti sacrifici – la sua famiglia era di umili origini – era riuscito a laurearsi a pieni voti, intraprendendo con discreto successo la carriera dell’insegnamento. A poco a poco, si era costruito un personaggio, una maschera, ideale per la figura d’intellettuale che desiderava essere.
Con i soldi ricavati dalla vendita di una casa che la sorella di suo padre – pia zitella di Vidigulfo – gli aveva lasciato in eredità, aveva acquistato il piccolo appartamento di via Scopoli, a ridosso del centro storico di Pavia, proprio a due passi dall’Orto Botanico.
Finalmente, poteva abbandonare la casupola umida di Borgo Ticino, dove aveva vissuto tanti anni con sua madre. Una casa bassa, dai muri gialli, con gli angoli neri e l’odore perenne del fiume.
La sua casa, il guscio fragile, per tanto tempo, della sua anima rinchiusa nella cintura di castità dello sguardo severo di sua madre. La casa dalla quale suo padre era uscito, un giorno, per andare ad ammazzarsi; dove aveva meditato, chissà per quanto tempo, quella scelta estrema: il terribile tradimento che il figlio avrebbe tanto voluto perdonargli.
L’appartamento di via Scopoli era piccolo e confortevole. Le pareti erano dipinte di azzurro con appese le incisioni dell’artista pavese Emilio Testa, di ottimo gusto. L’arredamento era classico, come piaceva a lui, e la cucina, minuscola, praticamente immacolata, poiché il professor Grechi, il suo unico pasto giornaliero, a parte i caffè, lo consumava da sempre in trattoria.
Le pareti erano rivestite di libri, la sua grande passione, oltre alle donne... C’erano volumi d’arte, dal suo Durer, di cui amava la grande umanità e la perfezione del disegno, fino ai Macchiaioli, agli Impressionisti e alla Secessione Austriaca, senza trascurare una bella collezione di piccoli volumi sulla pittura americana dell’Ottocento. E, sempre aperto sulla scrivania, un libro con la riproduzione gelida e cupa del Monaco di fronte al mare, di Caspar David Friedrich.
Non molto, invece, sul Novecento vero e proprio. Solo Dalì, che detestava e, comunque, non riusciva a fare a meno di guardare, alcuni espressionisti nordici, e Chagall, di cui adorava i misteriosi blu verdi e rossi nei quali l’artista collocava le sue figurine fiabesche. Niente avanguardia, niente astrattismo e tanto meno arte concettuale e arte povera.
Poi c’erano i CD musicali con le opere che aveva raccolto in allegato con il Corriere della Sera
, il quotidiano che sfogliava ogni mattina, sbadatamente, da molti anni, e che amava tenere sotto il braccio mentre passeggiava in città. E, naturalmente, la letteratura, la poesia e la filosofia, con un segmento nascosto dedicato alla narrativa erotica, dal Divin Marchese ad Henry Miller e Anaïs Nin...
Se mi scoprono e mi arrestano
, pensò all’improvviso, ci meditava sopra da quando aveva abbandonato il cadavere, alle possibili conseguenze del suo gesto, inevitabile e sconsiderato al tempo stesso, che ne sarà di tutti i miei libri? Che fine faranno? Potrei dire: chi se ne frega, dal momento che niente avrà più (davvero?) importanza, dopo quello che ho fatto. Anche se non mi scoprono, come potrò continuare a vivere? Ho fatto tanta fatica, mi sono cesellato come una saliera del Riccio, e il risultato quale è stato? Un assassino con le narici impregnate dell’odore irresistibile di un corpo di femmina e le mani imbrattate del sangue di uno stupido uomo curioso. Anni e anni di vita faticosa e briciole di soddisfazione e piacevoli sottigliezze difficili da capire, frantumate in pochi minuti...
.
Nell’appartamento accanto la voce della bella signora Saccomani, la moglie del direttore della Popolare di Novara, avvertiva il figlio grande di non fallire anche quel compito in classe. Il ragazzo – un esile sdrucito fanciullo dalla folta chioma corvina, con la grande fortuna, secondo il professor Grechi, di essere nato e cresciuto