Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un giorno a Roma con gli imperatori
Un giorno a Roma con gli imperatori
Un giorno a Roma con gli imperatori
E-book437 pagine6 ore

Un giorno a Roma con gli imperatori

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

In giro per la città accompagnati dai grandi dell’era imperiale 

Riscopriamo la Città Eterna attraverso le gesta dei suoi imperatori

Da Augusto a Costanzo II: sette giorni per attraversare la città e rivivere la sua storia seguendo alcuni degli uomini che l’hanno resa grande, anche donandole monumenti che ancora oggi sfidano il tempo. Sette percorsi per scoprire Roma, ognuno sotto l’egida di un imperatore. Si comincia con Augusto, il fondatore dell’impero, e con la sua casa, vicina allo splendido Tempio di Apollo e affacciata sull’antico foro repubblicano. Si prosegue poi con Tiberio per scoprire il percorso della parata trionfale e lo splendido Teatro di Marcello. Con Domiziano visiteremo il Tempio di Giove Capitolino e tanto altro ancora. Commodo ci porterà alla scoperta dell’Anfiteatro Flavio e Settimio Severo ci condurrà alla volta del suo arco, ancora in costruzione, e del Septizodium. Concluderemo con Aureliano e Costanzo II per scoprire la Roma tardo antica con le splendide Mura Aureliane e la Basilica di Massenzio. Un viaggio nel passato, alla scoperta di riti e tradizioni ormai scomparsi ma anche un tuffo nel presente di una città che proprio alla sua storia secolare deve la sua “grande bellezza”.

Un giorno a Roma con gli imperatori

• Casa di Augusto • Casa di Livia • Teatro di Marcello • Mausoleo di Augusto • Anfiteatro Flavio • Arco di Tito • Terme di Caracalla • Colonna Traiana • Arco di Settimio Severo • Mura Aureliane • Ponte Milvio • Basilica di Massenzio
Sara Prossomariti
è nata nel 1984 e vive e lavora a Mondragone. Laureata in Storia e Archeologia, ha collaborato con la rivista «Civiltà Aurunca». Opera come volontaria presso il Gruppo Archeologico Napoletano da più di dieci anni e ha partecipato a diversi scavi archeologici in Grecia e in Italia. Guida turistica autorizzata della Campania, con la Newton Compton ha pubblicato I personaggi più malvagi dell’antica Roma; I signori di Napoli; Un giorno a Roma con gli imperatori; I grandi personaggi del Rinascimento; Il secolo d’oro dell’antica Grecia; Il secolo d’oro dell’antica Roma; I grandi delitti di Roma antica e, scritto con Andrea Frediani, Le grandi dinastie di Roma antica.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2016
ISBN9788854199743
Un giorno a Roma con gli imperatori

Correlato a Un giorno a Roma con gli imperatori

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Storia antica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Un giorno a Roma con gli imperatori

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un giorno a Roma con gli imperatori - Sara Prossomariti

    INTRODUZIONE

    Svegliarsi con Ottaviano Augusto, fuggire dai nemici con Domiziano, assistere alle nozze di Ca racalla: quanti desidererebbero vivere queste esperienze? Ebbene con questo libro ciò sarà possibile. Scandito come un diario giornaliero, lungo l’arco di una settimana, ogni capitolo offrirà la possibilità di osservare un imperatore divers o. Attraverso gli occhi di una guardia del corpo, un collaboratore, una nuora, un figlio, un prefetto, un gladiatore, un liberto scopriremo come gli augusti vivevano la loro giornata, tentando di capire quali sensazioni provassero in quei particolari momenti e ripercorrendo le loro azioni come se quelle scene fossero tratte da una fiction. In questo volume dunque, Storia e romanzo si intrecciano, formando un mix che ci auguriamo possa rendere più fruibile il testo, permettendo al lettore di apprendere in forma leggera nozioni che altrimenti potrebbero apparire noiose.

    Le giornate e gli imperatori sono stati scelti per permetterci di osservare Roma nelle varie fasi della storia dell’impero, dall’inizio fin quasi al tracollo. La città cambierà sotto i nostri occhi lentamente passando dall’essere il centro dell’impero a una capitale puramente formale. Monumenti, strade, magistrati ci permetteranno di comprendere come e perché l’Urbe sia cambiata nel corso del tempo. Analizzeremo le cause che hanno portato al crollo di un impero tanto vasto e potente dimostrando come ogni singolo avvenimento abbia contribuito a determinare questa parabola discendente secondo il classico effetto domino.

    Ogni imperatore ed evento ci permetterà anche di analizzare temi specifici riguardanti la cultura romana. Nel primo capitolo dedicato a Ottaviano Augusto, ad esempio, approfondiremo l’ambito religioso e in particolare il ruolo rivestito dalle vestali e dal pontefice massimo, le due cariche cultuali più significative di Roma. Durante la seconda giornata osserveremo Tiberio e suo nipote Germanico intenti a celebrare il trionfo di quest’ultimo. Attraverso gli occhi del neo prefetto del pretorio Seiano, scopriremo i segreti di questa cerimonia e come essa sia cambiata nel corso dei secoli; chi aveva diritto a questo particolare onore e quali personaggi lo accompagnavano − e dove − durante il corso della processione. Il terzo giorno riusciremo a sfuggire con Domiziano a un attacco improvviso sferrato contro i sostenitori di Vespasiano e avremo modo di analizzare quella legge che sancì a tutti gli effetti la nascita dell’impero anche dal punto di vista formale. Scopriremo quindi con Caracalla l’amore nell’antica Roma, destreggiandoci tra matrimoni regolari, concubinati e prostituzione. Percorreremo un viaggio che partendo dalla cerimonia nuziale, ci permetterà di scoprire come si consumava la prima notte, come si portava avanti una gravidanza o al contrario quali fossero i metodi di contraccezione e, falliti questi, come si praticava l’aborto. Analizzeremo il divorzio, il mantenimento dei figli e tutte quelle problematiche legate alla nascita e allo scioglimento di un legame che ancora oggi crea notevoli difficoltà a livello legale. Ovviamente avremo modo di osservare quale fosse il ruolo della donna nell’antica Roma e di come cambiò nel corso dei secoli portando le donne romane a un livello di autonomia unico per quei tempi.

    Con Commodo ci ritroveremo immersi nell’arte della gladiatura e sveleremo tutti i falsi miti generati dai film e dalle serie tv. Scopriremo quanto vasta fosse l’area edificata attorno al Colosseo e quanto complesse e articolate fossero le strutture costruite ad hoc, per far funzionare alla perfezione quell’edificio immenso che ancora oggi caratterizza Roma.

    La monetazione romana e i problemi relativi all’inflazione e alla coniazione saranno le tematiche che affronteremo insieme ad Aureliano, l’imperatore che dovette far fronte a una rivolta in piena città ad opera degli operai della zecca. Infine scopriremo la cause che alimentarono i conflitti tra cristiani e pagani ai tempi di Costanzo ii.

    Insomma, al fianco degli imperatori compiremo un breve viaggio alla scoperta della vita quotidiana dell’antica Roma, approfittando della posizione privilegiata dalla quale hanno potuto osservare gli eventi che hanno segnato l’incedere della città. Sarà un viaggio unico e avvincente che non vi pentirete di aver intrapreso e che vi porterà là dove nessun treno, nessun aereo, nessuna automobile potrà mai condurvi. Sarete proiettati in un altro tempo, un tempo forse in alcuni casi troppo idealizzato che provvederemo a illustrarvi con le sue luci e le sue ombre, in maniera realistica e veritiera ma allo stesso tempo accattivante.

    Vi daremo un piccolo assaggio di quella che è l’immensa cultura romana sperando di instillare in voi la voglia di approfondire i vari temi trattati e interpretarli in maniera scientifica e oggettiva.

    I. ottaviano augusto il figlio di apollo

    Nella residenza di un aristocratico romano il risveglio del padrone di norma sarebbe stato scandito dal rumore dei passi degli schiavi, intenti a ridare vita alla casa piombata in un silenzio spettrale durante la notte. Nella dimora di Ottaviano Augusto però le cose non andarono mai in questo modo. Gli occhi dell’uomo più potente di Roma quella mattina, alla vigilia delle none di marzo, a settecentoquarant’anni dalla fondazione della città, si aprirono come sempre molto prima dell’alba. Del resto, perché meravigliarsi se il primo vagito l’augusto l’aveva emesso proprio all’alba di una mattina di settembre di cinquant’anni prima?

    I romani si svegliavano in genere abbastanza presto, non tanto per scelta quanto per obbligo. Eh sì, perché in assenza di luce elettrica e non potendo compiere gran parte delle attività più comuni alla luce di una lanterna, finivano per sfruttare ogni secondo di luce solare. Ovviamente c’era chi si tratteneva a letto più del dovuto perché la sera prima aveva fatto tardi ma i più erano costretti ad alzarsi all’alba. Per non parlare dei poveri disgraziati che vivevano nel centro della città i quali, a causa dei vari rumori notturni, solo raramente riuscivano a chiudere occhio. Al giorno d’oggi una casa in centro a Roma è considerata un lusso per pochi, all’epoca di Ottaviano era una maledizione. Solo i nobili potevano permettersi una bella domus sui colli dove il rumore, quando arrivava, era decisamente molto attutito: per tutti gli altri c’erano gli appartamenti nelle insulae in pieno centro che erano alla stregua dei peggiori quartieri periferici di oggi.

    Ottaviano era molto mattiniero, anzi potremmo dire quasi nottambulo dato che quando si svegliava lui il sole era ancora ben lungi dal sorgere. Del resto, una bella lanterna di quelle grandi, a più bocche, era più che sufficiente a fare luce sui documenti che erano la sua principale occupazione in quelle ore di quiete. Per quel tipo di attività la fioca luce artificiale andava benissimo.

    Come tutte le mattine appena sveglio se ne stette qualche minuto disteso sul suo letto con le braccia dietro la testa a osservare la stanza. Non che quelle quattro mura avessero qualcosa di particolare, casa sua era sempre stata molto modesta o meglio l’arredo era modesto perché l’intera struttura non aveva niente da invidiare ai sovrani orientali, aveva persino un portico che dava sul Circo Massimo, una vista spettacolare insomma, ma era pur sempre molto semplice per essere la casa dell’uomo più in vista di Roma. Lui era di quelli che amavano l’eleganza ma non il lusso, una differenza che in pochi riuscivano a comprendere soprattutto tra i senatori.

    Stare steso a guardare le pareti della sua stanza lo aiutava a riflettere e osservare in particolare quelle maschere, che se ne stavano poggiate su delle mensole fittizie e lo osservavano con la bocca spalancata, per assurdo lo stimolava. Sembrava di essere a teatro, il che lo aiutava dato che anche lui da anni non faceva altro che interpretare un ruolo, quello del primus inter pares, del cittadino comune, del servitore della patria quando invece era tutt’altro che uno fra tanti. Un romano comune lui non lo era mai stato e i suoi detrattori avevano provato a spiegarlo alla gran parte dei romani, ma lui interpretava troppo bene il suo ruolo perché i più si accorgessero dell’inganno. Ormai era talmente abituato a gestire questo suo personaggio che non gli capitava più spesso, come quando era giovane, di farsi prendere dal panico e rischiare di fare degli errori madornali, come quando nel 36 a.C. si era fatto quasi catturare dagli uomini di Sesto Pompeo perché non aveva riconosciuto i vessilli nemici. Ne aveva fatta di strada ormai, ma soprattutto il campo di battaglia era cambiato. Prima si combatteva con le armi in mano e lui, nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva proprio a primeggiare o a sentirsi a suo agio nel ruolo di guerriero, come invece accadeva al suo amico Agrippa. Finalmente era giunta un’era nuova durante la quale si combatteva con le parole e l’astuzia e quella era proprio l’acqua nella quale amava sguazzare. Ci si sentiva a suo agio come se fosse stato messo al mondo per quello e nient’altro.

    Ormai erano decenni che dormiva in quella stanza. Aveva comprato la casa dell’oratore Quinto Ortensio Ortalo molti anni prima, quando aveva ancora poco più di vent’anni e aveva deciso così di andare a vivere sul Palatino. Ortensio aveva fatto l’errore di sposare Lutazia, la figlia di Quinto Lutazio Catulo, uno dei suoi peggiori nemici; così contrario alla sua politica da esserselo ritrovato di fronte perfino a Filippi. Purtroppo per il povero Ortenzio a Filippi era stato lui a vincere e non suo genero e quella casa era stato un perfetto bottino di guerra, per così dire. Di fatto l’aveva acquistata ma si era trattato di una pura formalità. Fino ad allora aveva vissuto nei pressi del Foro ma quella zona non era assolutamente adatta a lui. Decisamente troppo caotica per i suoi gusti, meglio il Palatino, il colle sul quale era nata Roma e dal quale avrebbe potuto tenere sotto controllo la città senza doverne subire i fastidi. Certo, Cesare era stato allevato nella Suburra, uno dei quartieri più caotici e malfamati di Roma, ma lui non era come il suo prozio. Cesare non lo aveva scelto come suo successore perché si rivedeva in lui ma perché aveva compreso le sue reali doti e sapeva bene che avrebbe potuto, meglio di chiunque altro, destreggiarsi in un mondo fatto di astuzie e tranelli.

    Quella casa comprata tanti anni prima sul Palatino era ormai circondata da altri edifici, tra cui il tempio di Apollo, ed era diventata il centro del potere politico cittadino. Quella casa era diventata l’emblema del suo potere, il simbolo della sua supremazia sulla città.

    Nella stanza accanto alla sua, tutta decorata da festoni, dormiva sua moglie. Livia all’epoca aveva quarantasei anni e ormai erano sposati da più di vent’anni. La loro relazione, dopo un periodo di passione molto intensa, si era ridotta a un qualcosa di puramente platonico. Era chiaro a tutti che più che amanti ormai erano soprattutto due alleati politici, ma le apparenze andavano comunque mantenute. Non poteva proprio fare a meno di quella donna dalla mente fine, tuttavia qualcosa non era andato per il verso giusto in quella unione politicamente così perfetta. Livia aveva avuto dal primo marito ben due figli e Augusto dalla sua seconda moglie aveva avuto una femminuccia. Erano tutti e due perfettamente in grado di procreare eppure la loro unione non diede alcun frutto. Ovviamente le malelingue si erano scatenate: che Livia fosse malata? E se Giulia non fosse figlia di Ottaviano e quindi quest’ultimo non fosse in grado in realtà di avere figli? Si era trattato di un matrimonio di interesse e nient’altro? Insomma, ne avevano dette di tutti i colori e lui aveva sopportato pazientemente rassegnandosi all’idea di non avere altri eredi oltre a quella figlia avuta da Scribonia. Nonostante la situazione lo avesse frustrato non poco non era mai riuscito a liberarsi di Livia, vuoi perché lei aveva contribuito non poco alla sua ascesa portando dalla sua molti fedeli dei cesaricidi, un tempo fedeli alla sua famiglia; vuoi perché lei sapeva leggergli nella mente e come alleata era molto meno pericolosa che come nemica. Tirando le somme di quel matrimonio ora a lui cosa restava? Due maschietti non suoi e una femmina molto problematica, anche se a dirla tutta gli aveva dato diversi nipoti maschi, che avrebbero potuto risolvere il problema della sua successione. Giulia si era rivelata un’ottima fattrice. Molte gravidanze portate serenamente a termine e tanti figli sopravvissuti. L’unico neo era che alla giovane piaceva molto, decisamente troppo, quella che qualcuno definisce ginnastica da letto. Oltretutto erano in troppi a frequentare il talamo della figlia, e questo gli creava non pochi problemi considerando soprattutto che da anni tentava di educare i romani a una morale più rigida.

    Quando si svegliò gli unici rumori che poteva sentire nella casa, a parte il ronzio dei pensieri che gli turbinavano nella mente, erano quelli prodotti da Amandio, il suo schiavo personale. Di solito gli aristocratici avevano più di uno schiavo personale, ognuno addetto a una mansione specifica, come ad esempio il tonsor, che si occupava di barba e capelli, ma lui aveva voluto qualcuno di fiducia che fosse un po’ un factotum. Aveva conosciuto e comprato Amandio quando era ad Apollonia e i due erano cresciuti insieme, erano praticamente coetanei. Ormai avevano raggiunto tutti e due i cinquant’anni e dopo trent’anni di servizio si può dire che Amandio era diventato l’ombra del suo padrone. Il servo conosceva bene le sue abitudini e sapeva anche che quella mattina si sarebbe sicuramente svegliato presto, non tanto per abitudine quanto per l’eccitazione. Quella sarebbe stata una giornata molto importante per lui. Negli anni aveva accumulato moltissime cariche e titoli: era stato console così tante volte che ormai aveva perso il conto, era stato proclamato Augustus, aveva ottenuto la corona civica, la tribunicia potestas, il titolo di proconsole a vita e quello di tribuno della plebe, che peraltro in teoria non gli sarebbe spettato essendo lui un patrizio purosangue. Oltretutto era entrato a far parte di tutti i collegi sacerdotali della città, sia quelli maggiori che quelli minori, restava solo il pontificato massimo, insomma finalmente quella mattina avrebbe avuto anche quello. Il popolo avrebbe dovuto eleggere il nuovo capo del collegio dei pontefici, la carica religiosa più importante di Roma, e lui era sicuro di vincere, del resto c’era un solo candidato, come poteva essere altrimenti?

    Amandio si era svegliato un po’ prima del suo padrone per accendere il forno che riscaldava le terme della casa. Ci voleva un po’ di tempo per avviare quella spettacolare macchina che era l’ipocausto. Un sistema di riscaldamento in uso a Roma da qualche tempo e importato dall’Oriente, progettato per riscaldare i bagni tramite un vano posto sotto il pavimento e dei tubi di terracotta nelle pareti. Tutto aveva origine da un forno sul quale erano posti dei contenitori di metallo in cui era contenuta l’acqua, che una volta riscaldata avrebbe raggiunto poi la vasca, quella stessa vasca nella quale il suo padrone si sarebbe immerso. L’aria calda generata da questo forno veniva invece incanalata nelle intercapedini tra i muri e sotto il pavimento riscaldando l’ambiente fino a raggiungere temperature da sauna. Ovviamente questo sistema caratterizzava solo gli ambienti caldi del bagno perché nella vasca del frigidario c’era della semplice acqua a temperatura ambiente e nessun tipo di riscaldamento.

    Lui intanto se ne stava ancora disteso sul suo letto e tirava le somme dei suoi primi cinquant’anni di vita. Dieci lustri difficili ma molto soddisfacenti. Tra acciacchi vari e incidenti di percorso, come la morte del prozio Cesare, che aveva rischiato di mandare a monte i suoi piani, era riuscito sempre a portare a termine i suoi progetti e il pontificato massimo era l’ultimo tassello di un grande disegno messo appunto con l’aiuto dei suoi più cari amici Mecenate e Agrippa. I romani erano caduti placidamente nella sua trappola, una gabbia di cui non erano ancora in grado di vedere le sbarre, convinti com’erano di vivere ancora in una repubblica. Niente avveniva senza il suo benestare e la sua elezione a pontefice ne era l’ennesima prova. Ormai non vi era magistrato che venisse eletto seguendo la regolare procedura. O meglio, la procedura formalmente era inappuntabile, peccato che il numero dei candidati fosse sempre uguale a quello dei posti vacanti da riempire. Il popolo votava, ma la scelta insomma era obbligata.

    Sazio di ricordi piacevoli e gratificanti scese dal letto e indossò i suoi socci, delle pantofole da camera che gli riscaldarono i piedi congelati. Nella stanza illuminata da un’enorme lucerna a forma di gladiatore, il cui beccuccio altro non era che il fallo dello stesso lottatore rivoltatoglisi contro a mo’ di pantera, l’arredamento era alquanto scarno. Le pareti erano tutte affrescate e il rosso cinabro la faceva da padrone ma la mobilia era decisamente scarsa. A coprire le pareti c’era solo un mobile in legno, per il resto nulla doveva celare gli splendidi affreschi che caratterizzavano la stanza e che erano di per sé una forma di arredamento. Il letto, in parte in metallo e in parte in legno, aveva dei piedi molto particolari a forma di zampe di leone e accanto al letto c’era una sedia sulla quale si accomodò per buttarsi addosso un mantello e raggiungere i bagni. Il pavimento invece era mosaicato. Migliaia di piccole tessere bianche e nere attendevano solo che gli augusti piedi si poggiassero su di loro. Piano piano attraversò tutta la casa per recarsi al calidario a fare un bagno, con la speranza di rilassarsi ed essere pronto ad affrontare la splendida ma difficile giornata che lo attendeva. Amandio gli andò incontro per fargli luce con una lucerna e, attraversato l’atrio e il peristilio, si ritrovarono nella zona dei bagni dove il suo padrone poté immergersi nella vasca piena di acqua calda e riflettere sul programma della giornata.

    Quello che vi ho appena descritto è plausibilmente il risveglio di Ottaviano la mattina del 6 marzo del 12 a.C., giorno in cui ottenne effettivamente la carica di pontefice massimo. Ottaviano, nato il 23 settembre del 63 a.C.¹, quel giorno aveva cinquant’anni ed era all’apice del suo successo; successo che come sappiamo fu oscurato solo dalle problematiche relative alla successione ma che per il resto durò fino al 14 d.C., anno della sua morte. Per cominciare questa settimana al seguito degli imperatori di Roma non potevamo non descrivere il risveglio di un aristocratico che, come già detto, avveniva all’alba ed era scandito da dei rumori abbastanza comuni che al giorno d’oggi non sarebbero più udibili. La dimora di cui abbiamo parlato non è frutto di fantasia, ma quella che ancora oggi è nota come la casa di Augusto, e che fu abitata dall’uomo più importante di Roma per gran parte della sua vita. Sappiamo che Ottaviano effettivamente acquistò diverse proprietà sul Palatino tra cui una domus che si diceva appartenuta all’oratore Quinto Ortensio Ortalo, famoso collega di Cicerone, alla quale ne affiancò successivamente delle altre. Ortensio era il genero di uno dei peggiori nemici di Ottaviano, Quinto Lutazio Catulo, e quando quest’ultimo fu sconfitto insieme agli altri cesaricidi a Filippi l’abitazione di suo genero finì all’asta, insieme a molte altre proprietà sequestrate a quelli che furono considerati dei traditori e dei fuorilegge per aver sostenuto i cesaricidi. Fu così che il princeps poté acquistarla. Ottaviano andò a vivere sul Palatino quando era ancora molto giovane e usò solo una delle abitazioni acquistate come residenza personale. Le altre proprietà furono acquistate nel 36 a.C., in seguito alla vittoria riportata in Sicilia contro Sesto Pompeo, il figlio minore di Pompeo Magno che spadroneggiava nel Mediterraneo mettendo in seria difficoltà Ottaviano e i suoi alleati. Sesto era capitolato dopo anni di scontri diretti e trattative fallite ed era stato sconfitto grazie alle capacità di uno dei più importanti alleati di Ottaviano, Marco Vipsanio Agrippa. Costui nel 12 a.C. era ormai genero di Ottaviano da un po’ di tempo e gli aveva dato molti discendenti che avrebbero potuto succedergli al potere. Purtroppo però quello era anche l’ultimo anno che i due amici avrebbero vissuto insieme. Agrippa, pochi mesi dopo l’elezione di Ottaviano al titolo di pontefice massimo, infatti, morì a Baia lasciando così il nostro protagonista privo di un importante alleato. Anche se, come abbiamo detto, il tempo delle battaglie aveva ceduto il posto a quello della politica e quindi si poteva sopravvivere anche senza Agrippa, si trattava comunque di una perdita notevole sia a livello politico che personale. Agrippa e Ottaviano, insieme al famosissimo Mecenate, che potrebbe essere quasi definito come l’addetto stampa del gruppo, costituivano un Cerbero dalla potenza inaudita, una potenza in grado di trasformare una repubblica in un impero, per non parlare del fatto che si conoscevano da anni e quindi tra loro doveva essere nato un legame di amicizia che andava oltre gli interessi personali.

    Come anticipato, delle tante proprietà acquistate sul Palatino solo una era stata utilizzata come residenza privata, le altre erano state abbattute per far posto ad altri edifici tra cui il tempio di Apollo e agli ambienti che erano a corredo dell’area sacra dedicata al dio Sole. La costruzione del tempio ebbe inizio nel 36 a.C. e fu ultimata nel 28, anno in cui fu celebrata l’inaugurazione. Nel 12 a.C. l’area aveva quindi una conformazione definita e accanto al tempio sorgeva la residenza di Ottaviano e Livia. Eh sì, perché anche se si parla della loro abitazione come di due unità abitative separate, le evidenze archeologiche sembrano smentire l’esistenza di due domus e confermare invece l’evidenza di un nucleo abitativo unico, probabilmente diviso in due settori. Considerando le fonti antiche e le testimonianze archeologiche, è possibile inoltre stabilire con un certo grado di certezza che la stanza nella quale Ottaviano dormì per più di quarant’anni fosse quella caratterizzata da una decorazione che ricorda una scena teatrale con tanto di mascheroni e quadri con scene pastorali. Non per niente oggi viene chiamata la stanza delle Maschere. L’ambiente è decorato secondo la tecnica del cosiddetto secondo stile pompeiano. In seguito alla scoperta del sito archeologico di Pompei e dei suoi affreschi gli studiosi ne hanno potuto studiare una vasta gamma e classificarli. Ovviamente il materiale rinvenuto a Pompei copre un arco di tempo limitato che va dal ii secolo a.C. fino al 79 d.C., anno della famosa eruzione che distrusse la città. È stato però comunque possibile individuare diversi stili pittorici, per la precisione quattro, che vengono usati anche al di fuori del contesto pompeiano per classificare l’arte romana di quei secoli. Il secondo stile, che è quello che trionfa nella casa di Ottaviano e Livia, è caratterizzato da scene che ricordano moltissimo quelle del teatro, grazie ad elementi quali le famose maschere della camera di Ottaviano. Le architetture vengono rappresentate in modo da creare una particolare illusione ottica. L’uso sapiente della prospettiva fa sì che lo spazio nella stanza appaia più ampio di quanto in realtà sia. In alcuni casi possiamo veder apparire in lontananza una figura femminile o maschile che sembra provenire da un altro ambiente, accentuando ulteriormente l’effetto ottico appena illustrato.

    Descrivendo la casa ho parlato di un impianto termale che esisteva in molte abitazioni private dell’aristocrazia romana, ma che nel caso della casa di Ottaviano non risulta dai resti rinvenuti finora. Effettivamente molti aristocratici avevano ricreato nelle loro abitazioni dei bagni che somigliavano molto a quelli pubblici, sfruttando lo stesso sistema di riscaldamento detto appunto ipocausto. La parola, che in qualche modo spiega il funzionamento del complesso sistema, significa riscaldato da sotto, vale a dire da sotto il pavimento. L’aria calda veniva convogliata poi nelle pareti, portando i vari ambienti a temperature varie ma comunque sufficientemente elevate per permettere l’installazione di vere e proprie saune.

    Tornando a Ottaviano, sicuramente quella mattina sarà stato eccitato; per quanto fosse sicuro della sua elezione, non essendovi altri candidati al titolo di pontefice massimo. Probabilmente passò del tempo nel suo studio, una stanza chiamata Siracusa o anche Technyphion, che si trovava al primo piano e nel quale era solito ritirarsi quando doveva occuparsi di questioni delicate.

    Dopo aver fatto un caldo bagno ristoratore si era spostato nel suo studio, dove era ancora intento a definire gli ultimi dettagli del suo discorso di ringraziamento, quando il suo schiavo lo raggiunse per fargli notare che ormai era mattino inoltrato e molti dei suoi clienti erano già ad attenderlo fuori dalla porta di casa. Le panche erano piene di gente che aspettava solo di vedere quel grosso portale di legno ornato di borchie di metallo aprirsi per permetterle di entrare.

    Ottaviano tornò quindi nella sua camera da letto dove era tutto pronto per la vestizione. Aveva indossato diverse tuniche una sopra l’altra dopo aver fatto il bagno. Aveva sempre sofferto molto il freddo e la sua salute cagionevole non migliorava di certo con l’incedere delle stagioni. La giornata era tipicamente invernale e il tempo non faceva ben sperare per la mattinata. Suo malgrado, dovette rinunciare a un po’ di strati per indossare sulla tunica buona una bella toga. Non era semplice indossare quell’indumento che lui tanto amava e soprattutto bisognava farsi aiutare da qualcuno per far sì che le pieghe cadessero tutte alla perfezione: per fortuna Amandio era ormai diventato bravissimo nello svolgere questo compito. Lo schiavo aveva disteso sul letto il lunghissimo pezzo di stoffa a forma di semicerchio e aveva fatto in modo che restasse in perfetto ordine fino all’arrivo del padrone. Ottaviano si mise al centro della stanza con le braccia aperte e attese che lo schiavo lo vestisse. Un’estremità della toga fu lasciata cadere lungo la sua spalla sinistra quasi fino ai piedi. L’altra estremità fu fatta passare dietro la schiena e sotto il braccio destro per poi essere appoggiata sulla spalla sinistra nel senso inverso all’altra estremità. L’opera d’arte cominciava a prendere forma ma mancava un dettaglio fondamentale. Il lembo appoggiato all’inizio sulla spalla sinistra doveva ora passare dentro quello che avvolgeva la figura di Ottaviano a formare una piega da far ricadere morbidamente verso l’esterno. Amandio era in grado di svolgere questa manovra rapidamente e senza sgualcire la toga, sostituendo il migliore dei vestiplici, gli addetti a questo compito.

    Ottaviano continuava a guardare quell’indumento bianco e non poteva non pensare che di lì a poco sarebbe stato sostituito con un altro identico ma con una banda rosso scuro: la toga pretesta del pontefice massimo.

    Mentre la vestizione volgeva al termine un schiavo entrò nella stanza di Ottaviano per avvisarlo che Sinnio era arrivato. Costui era il capo di un gruppo di germani che da qualche anno proteggevano il princeps; lui e gli altri vivevano in un’altra sezione della casa destinata proprio al corpo di guardia. Sinnio fece capolino nella stanza per fare un cenno a Ottaviano e dirgli che i suoi erano pronti all’esterno per accompagnarlo, e che avrebbero tentato di farsi notare meno possibile. Lui invece sarebbe rimasto al suo fianco per tutta la giornata, per assicurarsi che tutto filasse liscio.

    Sinnio era al fianco di Ottaviano dal tempo delle guerre civili, durante uno dei periodi più duri della sua carriera, e pur avendo ormai passato i quarant’anni era ancora nel pieno delle forze e perfettamente in grado di gestire i propri uomini. L’esperienza lo aveva reso molto attento ma soprattutto, pur essendo uno spagnolo, era da anni in grado di guidare il corpo dei germani addetto alla protezione di Ottaviano, senza che quegli uomini gli avessero mai mancato di rispetto. I germani, abituati agli inverni rigidi delle foreste della loro terra, in quei giorni se ne andavano in giro per Roma con delle semplici braghe e una casacca. Sinnio, per quanto fosse spagnolo, vestiva esattamente come loro: del resto Calagurris, la sua città di origine, si trovava nell’entroterra della Spagna e anche abbastanza a nord. Il clima lì non era proprio freddissimo ma comunque alquanto rigido in inverno. Quella mattina però indossava anche un mantello, come tutti gli altri, ma solo per nascondersi meglio tra la folla e soprattutto per nascondere l’arma che portava con sé. Ottaviano li voleva con lui, ma non voleva dare ai romani la sensazione di non fidarsi di loro, per cui gli aveva chiesto di essere discreti.

    Il princeps, negli anni in cui combatté contro i cesaricidi prima e Antonio poi, aveva deciso di circondarsi di una guardia composta da stranieri. Fino a quel momento aveva preferito alcuni veterani di Cesare ma poi aveva cambiato idea. Degli stranieri sarebbero stati meno coinvolti in quel conflitto, come aveva dimostrato già Cesare durante le guerre civili da lui combattute, e lo avrebbero servito con più entusiasmo. Le guardie di Ottaviano a quel tempo erano tutte originarie della Spagna, per la precisione della zona di Calagurris, un centro celtiberico da cui provenivano guerrieri di alto livello ma soprattutto molto fedeli al loro comandante, proprio come il nostro Sinnio. Questi spagnoli provavano una specie di venerazione per l’uomo che li guidava e se questo si dimostrava all’altezza della loro stima, il legame diventava indissolubile. Uno dei primi a godere della protezione di questi uomini fu Quinto Sertorio, il ribelle che tenne sotto scacco Roma per diversi anni impadronendosi della Spagna. Pensate che per riuscire a ucciderlo si dovette prima mettere fuori gioco la guardia altrimenti sarebbe stato impossibile arrivare fino a lui. Ottaviano dopo Azio aveva deciso di congedare questo gruppo di armati per dimostrare ai romani di non avere bisogno di una scorta nella sua Roma, ma poi dovette ricredersi e arruolò un gruppo di germani che prese il nome di germani corporis custodes. Ovviamente il corpo da custodire, proteggere, era quello di Ottaviano e altrettanto ovviamente possiamo immaginare che la guardia fosse composta prevalentemente da germani, ma non solo. Grazie al ritrovamento di alcune epigrafi sepolcrali sappiamo che non tutti i membri di questo corpo di guardia erano effettivamente germani. I più erano batavi ed erano loro a costituire il nucleo più consistente del gruppo ma c’erano anche molti outsider. Uno di questi avrebbe potuto essere proprio Sinnio, che effettivamente fece parte dei germani corporis custodes ma molto probabilmente servì Tiberio più che Ottaviano. Di un tale Sinnio, infatti, ci parla un’epigrafe di epoca tiberiana che recita così: Sinnio Caesar(is) corpore custos Drusianus². In media i membri di questo corpo di guardia vivevano una trentina di anni ed erano tutti schiavi o liberti.

    L’abitudine di avere delle guardie del corpo era abbastanza diffusa nel i secolo a.C. Se fino alla fine del ii secolo a.C. una protezione ufficiale veniva garantita solo ai magistrati attraverso i littori, col passare del tempo e col sopraggiungere di personalità quali Silla, Mario e Cesare, la figura della guardia del corpo cambiò radicalmente. Prima i soli privati ad avere una guardia del corpo erano i ricchi che volevano per lo più proteggere la borsa. Questi erano soliti farsi accompagnare da ex gladiatori che garantivano la loro incolumità. Con l’arrivo in scena dei grandi condottieri si sentì l’esigenza di proteggere la persona più che la carica. Insomma se prima di Silla, Mario e Cesare ci si preoccupava di proteggere il console in quanto rappresentante di Roma, dopo l’interesse fu rivolto più direttamente alla persona che non al suo ruolo di magistrato. Morto un Cesare non se ne faceva un altro così facilmente, mentre morto un console se ne poteva sempre eleggere uno nuovo. Ottaviano era uno di quelli che aveva decisamente bisogno di una scorta e non di una qualsiasi, bensì formata da stranieri. Perché? Semplicissimo. I soldati romani erano stati abituati a considerarsi cittadini liberi incaricati di proteggere la loro patria. Erano parte di un complesso ingranaggio esattamente come i loro superiori ma soprattutto, al pari di questi, erano cittadini romani e quindi con identici diritti e doveri. Il comandante andava rispettato non venerato. I barbari, per così dire, avevano una cultura diversa e la figura del capo per loro equivaleva quasi a quella di un dio. Poter servire e proteggere il capo era un onore, cosa degradante invece per un romano. Quello che non si poteva avere o pretendere dai romani lo si poteva quindi ottenere dagli stranieri, come avevano capito già altri prima di Ottaviano. Il princeps sottolineò le dovute differenze anche in un altro settore, vale a dire quello religioso. Ai romani, che non avevano mai pensato ai loro governanti come divinità, non si propose mai come dio. A chi voleva, al massimo permise di venerare il suo Genio, una specie di nume tutelare. In Oriente era tutto un po’ diverso. Gli edifici di culto in suo onore cominciarono a sorgere quando era ancora vivo e questo perché lì l’associazione tra sovrano e dio era decisamente più forte. Agli orientali Ottaviano non negò assolutamente la possibilità di venerarlo, adattandosi alle diverse culture e alle diverse esigenze dei suoi sudditi e dimostrandosi così molto intelligente e lungimirante.

    Ottaviano sicuramente era abituato ad accogliere i clienti in casa propria come tutti gli aristocratici, soprattutto se consideriamo che voleva sembrare a tutti i costi una persona normale, un primus inter pares, uno la cui influenza politica non era poi così notevole. Doveva far credere di necessitare di sostenitori, cosa peraltro vera, solo che non ne aveva bisogno per farsi eleggere a una qualche carica, dato che era lui a manovrare tutte le elezioni della Città Eterna, ma piuttosto per tenere in piedi lo spettacolo che aveva messo in scena. È probabile che la mattina del 6 marzo del 12 a.C. Ottaviano si fosse seduto nel tablino di casa sua, quell’ambiente che si trovava all’estremità dell’atrio, proprio di fronte alla porta d’ingresso e che fungeva da studio. Qui ottemperò alle sue mansioni di patrono, ma non dovette perderci molto tempo perché gli premeva recarsi ai Septa per l’elezione a pontefice massimo, e prima di giungervi doveva sicuramente svolgere i dovuti sacrifici. Solo con uno dei tanti, venuti quella mattina a fargli visita, dovette spendere qualche minuto in più: il suo caro amico Mecenate.

    Sinnio ormai era abituato ad assistere alle discussioni tra Ottaviano e Mecenate. Quest’ultimo non era proprio il suo ideale di uomo. Troppo effeminato per i suoi gusti e troppo subdolo. Lui era un soldato e non poteva che preferire Agrippa, che però purtroppo quel giorno non era presente perché da qualche tempo era a combattere in Siria. Sarebbe tornato

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1