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Binario 7
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E-book257 pagine4 ore

Binario 7

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Info su questo ebook

Gloria ha tredici anni, lunghi capelli rossi e una pelle bianca come il latte. Frequenta una scuola privata e vive in un attico nel centro di Milano. Ha un padre di successo, una madre giovane e gentile: ma l'invidiabile facciata nasconde una realtà ben diversa, fatta di violenze, tradimenti e cinismo, di perbenismo conformista, di un vuoto interiore che la ricchezza non può certo colmare. E proprio lei, la giovanissima Gloria, sarà la vittima attorno alla quale l'egoismo e la crudeltà degli adulti giocheranno una partita perversa. Abusando del suo bisogno d'amore, tenteranno di spezzarne la volontà e persino la capacità di immaginare un futuro migliore e finalmente suo. Ma se i segni di lividi e ferite sono duri a guarire, Gloria crescerà coltivando il proprio sogno, e seppure combattuta e spesso a un passo dal baratro, sarà capace di scegliere la strada da percorrere.
Quella che comincia sul binario 7 della stazione di Milano.
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita19 nov 2014
ISBN9788867521241
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    Anteprima del libro

    Binario 7 - Erika Rigamonti

    madre

    PROLOGO

    Scarpe da ginnastica, pantaloni neri, una maglietta grigia e una cascata di capelli rossi, dritta e uniforme su tutta la schiena. Si ferma, prende lo spillone di legno dalla borsa e se li raccoglie.

    Nel carrello solo le ultime valigie. I mobili e tutto il resto sono già nella casa nuova. Sistema lo zaino, preme le mani sulla leva del freno, poi si riferma e si accende un’altra sigaretta.

    Sta per partire. Il pensiero l’assale mentre cerca con gli occhi il numero del vagone alla sua sinistra.

    Carrozza 8, eccola.

    Si blocca davanti alla porta aperta, infila il sacchetto nella borsa di tela grezza e inizia con calma a caricare le valigie. Sale e le addossa nell’apposito vano a inizio vagone, sistemandole in modo da lasciare spazio anche a quelle degli altri. Entra nello scompartimento, cerca il suo posto e si siede.

    Potrà mai dimenticare? Con in tasca un biglietto di sola andata, abbandona la casa che ha già ripudiato.

    Sta per partire. Lascia la sua terra, che nulla sa di lei, una ragazza come tante di una città prima amata, poi odiata, ora rinnegata.

    Appoggia la mano al vetro e guarda in basso, ma non distingue che una sagoma ferma davanti al finestrino della carrozza. Sente solo un fischio e sa che le porte si stanno chiudendo.

    Il treno esce dalla stazione. Fuori c’è il sole.

    CAPITOLO I

    ─ Ti lascio. Domani partiamo per Roma.

    Gloria ascolta. Nel piatto una bistecca con qualche patata al forno e l’immancabile maionese. Sul tavolo la bottiglia di coca cola; vorrebbe berne ancora, ma più di due bicchieri a pasto non le viene concesso. La mamma non vuole.

    ─ Ti decidi a finire la carne, per piacere?

     ─ Posso bere la coca?

    ─ Sì, sì, bevila, ma finisci la carne e vai in camera.

    ─ Perché devo andare in camera? Da chi andiamo a Roma? Perché non andiamo al mare? Io voglio fare il bagno al mare.

    ─ Non fare la petulante e visto che non mangi la carne, basta coca cola. Fila subito in camera tua. Vedi di non farmi innervosire. ─ Si alza, prende il piatto e butta tutto nella pattumiera.

    ─ No! E tu sei antipatica. ─ Afferra il bicchiere, beve tutto d’un fiato e corre via, soddisfatta.

    ─ Lo vedi ─ riprende Elisa con calma mentre passa la spugna sui piatti, prima di metterli nella lavastoviglie. ─ Questo è il risultato. Fa solo quello che vuole, non ascolta, non mi dà retta. Ma tanto a te non te ne frega niente, non te ne è mai fregato niente. Arrivi, mangi, esci. Me ne vado, non ne posso più di questa vita, di noi, di tutto. È finita Guido. È meglio per tutti, credimi, anche per Gloria.

    Ha mani affusolate e curate, capelli castani sulle spalle e una frangia spettinata che mette in risalto uno sguardo spesso sfuggente. Occhi marroni, grandi, con le ciglia lunghe. È una donna attraente, senza eccessi. Un corpo esile, forse troppo, con il seno piccolo e sodo.

    ─ Ci risiamo! Vuoi andare? E allora vattene, trovati un lavoro e non tornare. Arrangiati! Di stronze come te e quella puttana della tua amica c’è pieno. Ladre e puttane, ecco cosa siete. ─ Sbotta, tirandole addosso il bicchiere pieno di vino.

    Gloria non gioca, origlia da dietro la porta socchiusa della sua stanza. Sente sbattere quella di casa e torna in corridoio. È uscito. Può andare in cucina.

    ─ Mamma …

    ─ Non ora, per favore. Torna in camera tua. Ora. Subito senza discutere. Vai via. ─ Gloria non si muove di un passo. La guarda mentre lei fissa i tetti e le case fuori dalla finestra.

    ─ Mamma è vero che andiamo a Roma?

    ─ Sì è vero. Partiamo in macchina domani mattina. Forse questa sera. Prendi la tua bambola, qualche gioco e mettili nello zainetto rosa. Non ti scordare la cartella con i libri delle vacanze.

    ─ Perché andiamo a Roma? Dove dormiamo?

    ─ Da una mia amica. È molto simpatica, vedrai. Ha anche un gatto.

    ─ Ma perché?

    ─ Basta! Conto fino a tre e poi non voglio vederti più qui, obbedisci! Vai a fare quello che ti ho detto. ─ Si gira, sul viso sottili righe di trucco. Si siede.

    ─ Perché piangi? ─ In piedi, con le braccia lungo i fianchi e Stella penzolante, aspetta.

    ─ Vieni qui, tesoro.

    Lei guarda sua madre e si avvicina.

    In quell’abbraccio sente il suo cuore, le braccia che la stringono, le mani che le accarezzano la testa e il suo tremare.

    ─ Faccio la brava, mamma, mangio la carne, te lo prometto, però tu non piangere.

    ─ No, non piango, ora andiamo a fare le valige. Si parte per le vacanze, amore mio.

    Non le crede. Le vacanze si fanno al mare con la casa vicino alla spiaggia.

    L’anno prima l’aveva anche disegnata, con il giardino, i gatti, la lattaia e la signora dei dolci che le regala sempre un cannoncino alla crema. Ma non dice nulla. In fondo è contenta di partire, lei e la mamma, da sole. Non vuole più vederla piangere.

    ─ Posso prendere il costume?

    ─ Sì, certo, prendi anche il vestitino che abbiamo appena comprato, quello rosa con i ricami e la borsina dello stesso colore.

    ─ Fai la brava, Stella, perché la mamma deve preparare lo zaino. ─ Gloria la mette nel passeggino e le spiega che partiranno per un viaggio. ─ Sei proprio brava! ─ le dice, mentre rimette il cappuccio ai pennarelli e li infila nella scatola. Le matite e il temperino sono nell’astuccio e il quaderno delle vacanze è già nella cartella. Ora deve pensare ai vestiti come le ha detto la mamma. Per prima cosa appoggia sul letto il sacchetto con quelli di Stella, poi sceglie i suoi, più la borsa, il costume e le ciabatte azzurre, le sue preferite. Ecco fatto, ha finito, adesso deve portare Stella a fare un giretto con il passeggino, per farla addormentare.

    Elisa tira fuori le valige dalla cabina armadio, ne appoggia una sul letto e inizia a riempirla. Piega e ripone tutto all’interno con ordine. Poi passa alle cose di Gloria.

    ─ Almeno l’indispensabile! ─ bisbiglia mentre chiude la seconda. ─ Tesoro, ora andiamo giù e carichiamo la macchina, così domani mattina partiamo presto.

    Gloria è seduta sul letto, culla Stella e le parla sotto voce. Alza lo sguardo.

    ─ Va bene.

    ─ Perfetto, zainetto e cartella per te, valigie per me. Dai muoviti che non c’è molto tempo, tra poco … tra poco … è ora di cena. Ehi piccola peste, che ne dici di cenare da Stefania stasera, eh, ti piacerebbe? Però non dormi da lei, quando ti chiamo sali senza fare storie, così la saluti prima di partire. Che ne dici?

    ─ Sììì, che bello!

    ─ Perfetto. Allora andiamo.

    ─ Mamma, schiaccio il bottone?

    ─ Sì, ma al piano di Stefania. Vediamo se ci sono. Speriamo bene. Eccoci. Ora tesoro resta qui e tieni aperta la porta. ─ Le dice, prima di suonare il campanello, mentre Gloria la fissa senza capire.

    ─ Ciao Stefy, c’è la mamma?

    ─ Sì. Mamma, vieni … ─ grida, andando subito verso l’amica. ─ Papà mi ha comprato un gioco nuovo, vuoi vederlo?

    ─ Sì. Mamma posso?

    ─ Certo, lascia qui lo zaino e la cartella.

    ─ Dai Elisa entra che ti faccio un caffè.

     ─ No, ti ringrazio.

    Katia, senza accorgersene, ruota la matita blu e rossa.

    ─ Stavo finendo di leggere gli aggiornamenti del Provveditorato ─ esordisce come per prendere tempo. ─ L’ennesima riforma astrusa, che al primo cambio di ministro all’istruzione verrà cancellata. La storia infinita di questo assurdo paese, cambiare tutto per poi tornare al vecchio. Hai parlato con Guido?

    ─ Se non ti dispiace la lascio da te stasera. A Guido ho detto tutto. E quel bastardo mi ha lanciato un bicchiere. Ora è uscito. Stasera però, non so. Gloria è piccola, ma ormai ha sette anni e capisce … Se almeno avessi un lavoro! Maledizione a lui.

    ─ Ora pensa solo a partire, non puoi continuare a vivere così. Stasera la tengo qui finché non mi chiami, ma devi promettermi che se si mette male scendi anche tu. Luigi è in casa. Promettimelo nel caso lui … Mi mancherai, se ce la faccio carico la Stefy su un treno e scendo a trovarti. Roma non è poi tanto lontana, e visitiamo anche la Città Eterna. Andrà tutto bene, vedrai.

    ─ Lo spero tanto. Grazie. Senza il tuo aiuto non avrei mai trovato il coraggio. Ora vado a caricare la macchina, tra poco torna di sicuro.

    Chiude il bagagliaio della Ritmo e accende una sigaretta. Ha voglia di camminare, di scaricare i nervi, di pensare. Supera l’arco di Via Salvini, attraversa Corso Venezia ed entra nel parco. I rumori del traffico si attutiscono pian piano alle sue spalle. Due ragazze su una panchina parlano concitate. Esce da uno dei cancelli laterali e si ferma alla prima cabina telefonica.

    ─ Ciao cara, sono Elisa. È tutto pronto. Sì, parto domani mattina. Io non so più come dirtelo, ma grazie davvero. Sai, mi sento così in colpa per questa invasione, ma devi credermi, non so che altro fare.

    ─ Ti prego, basta ringraziarmi e poi non devi preoccuparti: tra meno di una settimana parto per la Grecia e dopo le ferie ricomincio a viaggiare per lavoro. Avrete la casa tutta per voi, nessun disturbo. Sono felice di aiutarti. Piuttosto, lui sa che vieni qui?

    ─ Sì, cioè … sa che vengo a Roma.

    Elisa non si sente bene, lo stomaco si contorce: morsi nervosi che a tratti diventano spasmi, obbligandola a lunghi respiri.

    ─ Sono molto preoccupata. Domani partiamo prestissimo. La macchina è già carica. Ti telefono da un autogrill. Ora ti saluto, è meglio che vada a casa. ─ Attacca la cornetta e resta ferma nella cabina. Smarrita.

    Cerca le chiavi e apre il portone del palazzo: un ingresso ampio, illuminato da un’imponente lampada in ferro battuto, si affaccia su un cortile elegante e curato, con grossi vasi ai quattro angoli. Lo attraversa e apre la porta a vetri. Scala C, ultimo piano. Una casa accogliente, un bel palazzo d’epoca. Una vita agiata. Un’esistenza senza problemi che le hanno sempre invidiato. La vita che sognava quando otto anni prima si innamorò e si sposò: lui sembrava la risposta a tutte le sue preghiere, così sicuro, fantasioso, divertente.

    Entra in casa. La luce della sala è accesa, la televisione gracchia qualche programma. Sul tavolo della cucina una bottiglia di vino vuota. Vorrebbe lasciarla lì, tanto, tra poco, ciò che accadrà in questa casa non sarà più affar suo, ma istintivamente la prende per buttarla. Una mano le afferra i capelli da dietro e la trascina in corridoio. La bottiglia cade e si frantuma. La mano tira verso il pavimento e la getta a terra. Lei si rialza, sa bene che non dovrebbe farlo, che dovrebbe restare ferma. Forse chiedere scusa. La mano l’afferra, questa volta per un braccio, stringe troppo, le fa male, l’altra la colpisce sull’occhio destro. La tiene stretta e colpisce ancora. Sempre in faccia. Il naso, l’occhio sono un’unica massa dolorante. Le sanguina il labbro superiore. Lui la strattona e la trascina sul letto. Tira fuori il cazzo. Lei piange. Non si oppone. Le brucia il labbro, le fa male la testa, la mano continua a tenerla per i capelli, a schiacciarle la faccia con forza sul materasso. La insulta, ma lei non sente più nulla. La mente vaga nella nebbia. Lo sguardo annaspa nel buio. Le solleva la gonna. La scopa. Chiude la lampo. Esce dalla stanza. Sbatte la porta di casa. Il clacson di un’auto arriva dalla finestra aperta.

    Barcolla fino in bagno, si sciacqua il viso con l’acqua fredda, tampona la bocca con un asciugamano e toglie il sangue. Guarda l’ora. Sono le ventuno e trenta. Deve sbrigarsi.

    Gloria si è addormentata sul sedile posteriore, con la testa su un cuscino e Stella tra le braccia.

    Lei guida con il finestrino semiaperto. Fuma. Sono le ventitré e dieci di un sabato d’estate a Milano, la tangenziale è affollata. La faccia si sta gonfiando e le fa male. Spera solo che non escano i lividi sotto gli occhi. Raggiunge il casello, lo supera e finalmente è in autostrada; alla prima sosta per il rifornimento deve chiamare Lucia e prendere una copertina per Gloria dal bagagliaio.

    ─ Buongiorno, ho un pacco per la signora Guglielmi.

    ─ Mamma, vieni c’è un signore che ti cerca. ─ Urla con la cornetta ancora attaccata alla guancia.

    ─ Salga, secondo piano.

    Appoggia il citofono e pigia il pulsante di apertura. Il rumore del portone che sbatte in fondo alle scale, precede di poco la luce rossa dell’ascensore.

    Aveva temuto, nelle prime settimane, che questo cambiamento potesse turbare Gloria, ora invece le sembra più serena. La notte, è vero, le sta sempre addosso, rannicchiata, con la schiena contro la pancia, in un marsupio fatto di lenzuola e cuscini aggrovigliati. Non chiede mai del padre né di Milano. Al pomeriggio prende i quaderni e inizia a fare i compiti da sola, poi si mette a giocare, tranquilla.

    Al contrario i suoi sentimenti mutano in modo repentino. Per quanto i crampi allo stomaco siano diminuiti, le tornano implacabili con i ricordi e i dubbi. Osserva la tranquillità di sua figlia e non sa se invidiarla o esserne preoccupata. Sarà normale? Non è strano che non faccia più capricci, che sia diventata così ubbidiente? Non si lamenta, nemmeno per non essere andata al mare come ogni estate. Sa bene che i bambini quando sono angosciati diventano indecifrabili. Ti illudi che il loro comportamento sia un segnale positivo e, all’improvviso, è troppo tardi per risolvere il problema.

    La preoccupa tutto e, senza sonnifero, di dormire non se ne parla. Il futuro, la vita che deciderà, le responsabilità sono piombati su di lei come macigni. Di una cosa, però, è più che sicura: Guido non le manca.

    Cerca di programmare, di definire delle priorità, ma ogni volta l’ansia dell’ignoto prende il sopravvento e le toglie l’aria. Tra non molto dovranno andarsene da questa bella casa, dovranno cercarne una più piccola e di sicuro non così centrale. Chissà, un bilocale arredato, per ora, dovrebbe bastare, poi Gloria dovrà riprendere la scuola e lei dovrà cercarsi un lavoro. Ma quale scuola, che lavoro e la casa dove? Domande che le esplodono in testa come boati assordanti e si lasciano dietro una scia di paure. E poi il panico che rende il respiro affannato e le fa tremare le mani. Nessuno con cui parlare. Nessuno che si prenda cura di lei, di sua figlia, della sua vita. E il vomito sale dallo stomaco fino in gola. Cerca di calmarsi, ma non c’è niente da fare. Pensa al futuro e le compare davanti la peggiore delle catastrofi: Gloria in una scuola statale di periferia e lei costretta a fare la domestica in case che assomigliano tanto a quella che un tempo abitava. Sacrifici e rinunce di ogni genere per il resto dei loro giorni. Certo, lo sa benissimo, ogni lavoro è dignitoso, ci mancherebbe altro, ma come potrà mai farcela se la vita le chiede l’impossibile?

    Per fortuna da quando la domestica di Lucia è ritornata al paese, è lei a occuparsi delle faccende.

    ─ Ti prego, non prenderne un’altra, per me è un piacere rendermi utile. ─ Dopo un’iniziale riluttanza Lucia ha accettato. In cambio può restare fino a quando non avrà trovato un lavoro e una sistemazione adeguata. La sta davvero aiutando. E, come le aveva anticipato, è sempre in viaggio per lavoro. Una vera manna dal cielo!

    Si erano conosciute ad una festa. Non aveva ancora vent’anni, mentre Lucia si stava già laureando. Sembrava arrivata dalla Luna. Polemica, impegnata nei movimenti studenteschi di sinistra, con idee chiarissime su tutto ciò che accadeva in Italia. Lei e i suoi amici non parlavano che di coscienza sociale, di classe, diritti e doveri. O di qua o di là, era solita dire a chi era titubante. Ancora oggi, se ci ripensa, non sa spiegarsi perché diventarono amiche, o perché Lucia decise di esserle amica, nonostante le evidenti differenze, non solo di età. La introdusse nel suo mondo di dibattiti, incontri, riunioni, le consigliò libri e la presentò a tutti i suoi amici o come li chiamava lei, compagni. Come poteva dirle che di quello che gridavano da quei palchi, carichi di bandiere, non gliene importava nulla, che i compagni vestivano in modo orribile e, ne era certa, non si lavavano nemmeno molto. Poi un giorno le comunicò che aveva accettato un incarico interessante e sarebbe partita per Roma.

    Lei invece rimase incinta e si sposò. Era certa di avere ciò che l’amica, segretamente, desiderava più di ogni altra cosa anche se Guido non le era mai piaciuto e non ne aveva mai fatto mistero. Quante volte aveva tentato di aprirle gli occhi, di farla ragionare, ma invece di ascoltarla si era convinta della sua invidia e si era sentita finalmente superiore. In fondo realizzava il sogno di qualsiasi donna sulla terra. Certo non aveva frequentato l’università, non era un ingegnere, non sapeva tutto ciò che Lucia dava per scontato, non aveva letto montagne di libri incomprensibili e non si era infervorata per i diritti di qualche inutile operaio, però avrebbe avuto un bambino e sposava un uomo meraviglioso e benestante. Ne era più che certa, Lucia era gelosa della sua futura solidità familiare e, perché no, della sua bellezza. Ma ora che il suo stupendo castello di sabbia le era crollato addosso, era bastato chiederle aiuto per ricevere ben più di quanto si sarebbe aspettata.

    ─ La signora Guglielmi? ─ Un ragazzo in jeans e berrettino rosso esce dall’ascensore.

    ─ Sono io, mi dica.

    ─ Ho un pacchetto per lei. Lo ritira?

     ─ Sì, grazie. Dove devo firmare?

    ─ Tenga, firmi qui, per favore. ─ Il ragazzo le allunga una scatola sigillata e la ricevuta. Lei firma e gli riconsegna il foglio.

    ─ Grazie e arrivederci.

    ─ Chi era mamma? Posso fare merenda? ─ Gloria sbuca sorridente dal soggiorno non appena la porta si chiude.

    ─ Nessuno, solo il fattorino. Fammi vedere quelle mani … non penserai di mangiare con quelle mani che sembrano un arcobaleno, vero? Subito in bagno a lavarle.

    Appoggia il pacchetto sul tavolino e allunga le braccia verso di lei, ma Gloria ride e corre via.

    Non le interessa di sapere chi era alla porta: non era nessuno, nessuno di importante, nessuno è entrato in casa. Ora prepareranno la merenda e magari dopo andranno a quel parco grandissimo circondato dalle mura vicino a casa. Questa nuova casa le piace, certo avrebbe preferito andare al mare, ma va bene anche la piscina con gli scivoli, dove vanno quasi tutti i giorni. La mamma legge e prende il sole, lei fa i tuffi e ha imparato anche a nuotare con la testa sotto. Ci sono sempre gli stessi bambini. Le mamme parlano tra loro sottovoce, ma quando lei arriva smettono. Se resta lì troppo tempo la mandano a giocare o a prendere il gelato. Lo ha capito benissimo che non vogliono farsi sentire, ma a lei proprio non gliene importa, tanto parlano sempre della stessa cosa: mamma racconta di papà.

    Non fa più i capricci, perché una promessa è una cosa importante e loro due si sono fatte una promessa prima di partire: la mamma non deve più piangere e lei non deve più farla arrabbiare. Le promesse devono essere mantenute e loro lo stanno facendo.

    ─ Guarda, lavate! Cosa mi dai?

    Le taglia una fetta di torta al cioccolato e la osserva; i pantaloni le sono già corti eppure li aveva comprati solo due mesi prima a Milano.

    Gloria finalmente dorme. Lei finisce di sistemare i piatti e le stoviglie, si versa del vino bianco, accende una sigaretta e va in salotto. Appoggia il bicchiere sul tavolino etnico vicino al divano e fissa il pacchetto postale ancora perfettamente chiuso. Lucia è di nuovo in viaggio. Meglio così. Almeno qualsiasi cosa sia non dovrà dare spiegazioni o sentire giudizi. Si alza e si specchia: i capelli in disordine, il viso stanco con le occhiaie.

    ─ Mio Dio che disastro! Chi mai potrebbe desiderarmi, così imbruttita, con una figlia e senza un soldo. Un peso per chiunque.

    Si immagina in un futuro non lontano, senza nessuno accanto, senza mai una carezza, sola, finché Gloria non diventerà grande, si sposerà e se ne andrà.

    Sola, come quando incontrò Guido, poco più che ventenne, senza madre e con il padre malato.

    Si era preso cura di lei

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