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Il passato dietro l'angolo: Milano, una storia nera tra incubo e paura
Il passato dietro l'angolo: Milano, una storia nera tra incubo e paura
Il passato dietro l'angolo: Milano, una storia nera tra incubo e paura
E-book93 pagine1 ora

Il passato dietro l'angolo: Milano, una storia nera tra incubo e paura

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Info su questo ebook

Veronica abita a Milano dove lavora come stylist. La sua vita è quella di una donna di successo, frenetica e soddisfacente, senza legami stabili. Una sera viene aggredita e buttata in terra da una persona che non riesce a vedere. Da quel momento si succedono episodi inquietanti che minano la sua sicurezza e la sua stabilità mentale: altre aggressioni, violazioni di vario tipo del suo appartamento e così via. Poi ad una festa incontra Dario, giovane fotografo del quale finirà per innamorarsi. Anche la storia con lui si trasforma però in un incubo perché Dario comincia ben presto a farla soffrire. Tra le aggressioni dello sconosciuto e i maltrattamenti di Dario, Veronica scivola rapidamente verso l’alcolismo e l’autodistruzione. Nella vita di Dario è nascosto un segreto: una sorella alcolizzata di cui è l’unico ad occuparsi che pian piano lo trascina verso lo squilibrio mentale. Queste vicende alla fine si ricollegano, svelando l’identità e le motivazioni del persecutore. La situazione precipita verso l’inevitabile catarsi: per entrambi i protagonisti ci sarà una sorta di riscatto finale anche se di segno opposto.

Michela Bellini è nata a Milano, dove vive. Dopo studi classici si laurea in Lingue specializzandosi in Letteratura angloamericana. Da sempre appassionata lettrice, negli anni Novanta si dedica alla scrittura di favole che crea insieme alle sue figlie. Passa poi ai racconti e alla poesia, pubblicando varie raccolte. La passione per le storie la porta a scrivere un giallo psicologico, nasce così Il passato dietro l’angolo. Ama scattare foto e per questo apre un suo blog sul quale, quando arriva la pandemia, pubblica un diario ironico del primo lockdown, corredato di foto, che ha poi raccolto in un libro: Diario ai tempi del Corona. Ha pubblicato: Diario ai tempi del Corona - cronaca semiseria di un incubo (Amazon kdp 2021), IO E IL MOSTRO (Gedi Gr. Editoriale Spa 2015), SUCCEDE (Gedi Gr. Editoriale Spa 2015), Foglie Sparse (Ed. Tracce 2004), L’ultima collana (Oedipus 2004), Tempo variabile (Bulzoni Editore 2001). Ha partecipato: nel 2020 e nel 2018 al FIPM (Festival Internazionale di Poesia di Milano), nel 2017 al Festival Internazionale della Poesia di Strada di San Donato, nel 2017 e nel 2016 a “Cortili in-versi” a Rogoredo e a vari Reading poetici. Ha esposto: nel 2016 la sua mostra di foto e poesie “Frammenti” alla Camera del Lavoro a Milano e allo Spazio Coop di Rogoredo.
LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2021
ISBN9788869435799
Il passato dietro l'angolo: Milano, una storia nera tra incubo e paura

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    Anteprima del libro

    Il passato dietro l'angolo - Michela Bellini

    1

    Stesa per terra a faccia in giù col piede di qualcuno che mi schiaccia la testa. Non ho ancora capito cos’è successo e non riesco a muovermi. Comunque ci provo e mi arriva un calcio nel fianco che mi lascia senza fiato fino a molto dopo che l’aggressore se n’è andato, chiaramente con i miei soldi.

    Appena mi riprendo tento di tirarmi su, ma riesco solo a mettermi seduta. Non capisco niente, automaticamente cerco la borsa e la trovo, ma completamente squarciata. Ovvio che in giro non c’è nessuno, il centro di Milano la sera è deserto, così, per farla breve, controllo cos’è sparito e, visto che manca solo il portafogli, mi metto faticosamente in piedi e proseguo verso casa. Sì perché io abito lì, in centro, zona via Turati per intenderci e stavo appunto tornando a casa. Che poi non è neanche tardi, le undici di sera. E mentre pensavo alla sfilata di questo fine settimana a Cannes mi è arrivata ‘sta botta fortissima alla nuca e via!

    Non so come raggiungo il mio appartamento, apro, entro e me ne vado in bagno a controllare i danni davanti allo specchio. Naturalmente son piena di lividi e la testa mi fa un male da impazzire: telefono al mio medico di fiducia di precipitarsi da me. Il dottor Frandi non si fa pregare e viene a visitarmi di lì a poco. Mi dice che sono stata fortunata, mi prescrive alcuni antidolorifici e se ne va. Mi sdraio sul divano e automaticamente accendo la tv.

    Avvolta nella mia copertina di cachemire color amaranto, cerco di pensare, ma sono troppo scioccata e malconcia: mi addormento secca.

    Il giorno dopo la solita trafila: denuncia ai carabinieri, lastra alla nuca non sia mai, tutto a posto signora stia tranquilla e difilato in ufficio che ho già perso troppo tempo. Tutto in taxi e quindi tutto bene. Lavoro tutto il giorno non ci penso, esco coi fotografi vado sul set, non ci penso. A pranzo si chiacchiera, non ci penso. Appena mi ritrovo da sola, il mal di testa me lo ricorda. E torna la rabbia: forte, violenta. Perché poteva essere chiunque e quindi potrebbe succedere di nuovo in qualsiasi momento e non posso farci niente! Mi abbandono all’ira, tiro un calcio al cestino, do un pugno al muro e sbatto in terra un paio di riviste belle pesanti. Poi mi risiedo, un po’ ansimante. Cerco di raccogliere le idee ma la mia testa è piena di farfalle impazzite, intorno c’è solo il ronzio dei computer, se ne sono andati tutti e all’improvviso mi manca l’aria lì dentro, meglio uscire. Raccatto la borsa, raccolgo le riviste, sistemo il cestino e me ne vado. Fuori è già buio, mi guardo attorno e mi avvio verso casa. Stavolta sono vigile, direi anche un po’ di più, a ogni rumore sussulto, dopo un po’ sudo freddo e, finito il primo isolato, mi ritrovo a correre a perdifiato verso casa. A momenti supero il mio portone: mi blocco di colpo, cerco le chiavi nella borsa continuando a guardarmi intorno, le trovo, le infilo nella serratura, apro ed entro. Mi giro e controllo che il portone si chiuda. Salgo in ascensore e solo quando mi son chiusa la porta di casa alle spalle, respiro.

    Così non va, così non va. Mi gira la testa, mi appoggio alla parete e lentamente, molto lentamente, scivolo fino a terra e piango.

    Non so più quanto tempo è passato da quando mi sono rannicchiata lì sul pavimento, lo sguardo fisso, le lacrime che scorrevano. È come se fossi stata in trance e ora per scuotermi grido, un unico grido fortissimo e mi alzo di scatto. Io sono quella che non ha paura di niente. Ero? Scaccio il pensiero e vado a lavarmi la faccia. Poi mi preparo qualcosa per cena, prendo un tranquillante e me ne vado a nanna.

    Serata buttata ma la salute mentale ne val la pena. E poi domani ho lo shooting del servizio Dinosauri e devo essere in forma.

    Cammina lenta strascicando i piedi. Tiene in mano le scarpe. Capelli arruffati, vestiti strappati e sguardo fisso. Si siede su un masso al bordo della stradina e si massaggia i piedi nudi e gonfi. Si guarda intorno come se non vedesse. Alle tre del mattino in mezzo ai campi c’è solo lei. Neanche una casa all’orizzonte. I pensieri vagano senza senso nella sua testa, si sente male. È sempre peggio, ogni volta è peggio. Sogna lumache che le camminano in faccia: si risveglia gridando mentre un cane le lecca le guance.

    Wanda si rimette faticosamente in piedi e scaccia il cane con un calcio. Cerca di ricordare cosa è successo, ma delle ore passate sono rimasti solo vaghi frammenti sparsi nella memoria: un puzzle incomprensibile. Rinuncia e cerca di sistemarsi un po’ e di capire dove si trova. Finalmente scorge la provinciale nella direzione esattamente opposta a quella che aveva preso ore prima. Adesso è sobria, anche se non molto più lucida.

    – Dovrei smettere di bere. – pensa senza convinzione. In realtà non gliene importa niente dei piedi scorticati e dei vestiti rovinati, le sembra anche di averle prese di santa ragione, il perché non lo sa. Niente le importa più da anni ormai, vorrebbe solo essere a casa.

    Cerca di scostare un ciuffo di capelli dagli occhi, ma le trema la mano e lascia perdere. Intanto cammina verso la provinciale. Si ferma sul ciglio della strada e finalmente un camionista accosta e le dà un passaggio. Non vuole niente in cambio, gli fa solo pena e anche un po’ schifo.

    Davvero ridotta così non ha più niente di attraente: solo i suoi compagni di bevute si ostinano a chiamarla Wanda la bella in memoria di tempi migliori.

    Tornata a casa apre piano la porta per non svegliare Dario e si butta sul letto: ha solo voglia di dormire.

    Tutte le sere così mentre le giornate scorrono in una veglia comatosa, sempre stordita e assente, i movimenti lenti di una vecchia e non ha ancora quarant’anni.

    Dario si alza presto per andare a lavorare, ma prima passa in camera di Wanda per vedere se è tornata.

    Ha rinunciato da tanto a proteggerla, ad andarla a cercare, ha capito che non serve più a niente, che la partita è stata persa molto tempo fa.

    La guarda dormire, sporca e piena di lividi, la copre con infinita delicatezza, poi stringe i pugni, il viso contratto in una smorfia d’ira e se ne va.

    Oggi mi sono alzata con le idee confuse ma finalmente riposata. Sono ancora dolorante per la caduta e scendendo dal letto mi scappa qualche gemito, comunque nell’insieme me la sono cavata bene, poteva andare molto peggio. A questo pensiero un brivido mi percorre la schiena. Fingo di non farci caso, a volte bisogna fingere anche con se stessi, è un po’ complicato ma funziona. Metto la caffettiera sul fuoco e mi infilo sotto la doccia. Quella del caffè vero è una vecchia abitudine mai abbandonata: le macchine espresso e le cialde non mi piacciono, c’è qualcosa di intimo nel guardare la fiamma che scalda la caffettiera e qualcosa di me nel lasciarlo scappare il più delle volte. Come il latte che bolliva sempre e rovinava il pentolino. Il pentolino l’ho eliminato, ma la moka no.

    Stavolta arrivo in tempo e mi gusto un ottimo caffè senza traccia di bollitura. Per fortuna stamattina non ho fretta e faccio colazione con calma, mi concedo anche uno di quei

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