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Non sento niente
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E-book264 pagine3 ore

Non sento niente

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Info su questo ebook

Emily vive una vita noiosamente normale, con i genitori adottivi, la loro figlioletta biologica e la sua migliore amica d’infanzia... o almeno, è quello che crede. Una visita da parte dello Zio strambo e il suo bigliettino misterioso la porteranno a porsi molte domande. Qual è il significato di quel biglietto? Chi è lei? Cosa si nasconde dietro le maschere dei genitori adottivi? E cos’è quel formicolio a lei tanto familiare? Ma soprattutto, quale inaspettata direzione prenderà la sua vita?
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2020
ISBN9788831675000
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    Anteprima del libro

    Non sento niente - Simona Paola Santoro

    sogni.

    Emily

    – Cosa sta succedendo lì dentro?

    La Signora continua a bussare rumorosamente.

    – Piccola monella apri subito la porta!

    Si sta innervosendo. Non conviene mai starle vicino quando accade, dovete credermi. Comincia ad urlare in modo isterico e la saliva le forma una pappetta viscida ai lati delle labbra. Disgustoso.

    – Se non apri subito la porta, giuro che ti rispedisco in orfanatrofio!

    Forse mi farebbe un favore, non dovrei sopportare lei né nessun altro. Va bene che sono piccola, ma non ho bisogno di affetto io!

    Di cosa ho bisogno? Mangiare e dormire e… e niente, va bene così. E poi ho deciso, non appena divento grande...

    – Conto fino a tre!

    E adesso?

    – Uno…

    Ma non capisce che adesso non posso aprire?!

    – Due…

    Se questa entra sono messa male.

    – Tre! Mi dispiace ma non mi lasci altra scelta. George?

    Ah, sì. George sarebbe quel trippone zerbino del marito. Trippone forse è esagerato, questo devo ammetterlo, ma non ho in mente nulla di più carino.

    Lo sento al di là della porta serrata, non approva.

    – George, secondo te quanto mi importa che costa ripararla? Sai che non possiamo lasciarla chiusa lì! Sfondala, adesso!

    Ora prende la rincorsa.

    E uno e due e… che botta!

    Entra ansimando. Le rivolgo le spalle, lo so che non vuole vedere ciò che ho fatto. Non è la prima volta che mi becca.

    – Eccoti finalmente! E girati quando ti parlo.

    Non posso, non posso, non posso.

    – Mi hai sentito? Ti ho detto di girarti.

    Stavolta mi ammazza.

    – Girati!

    Mi afferra per una spalla. Conosco bene l’espressione che ha in questo momento.

    – Non di nuovo!

    Urla isteriche e pappetta in arrivo.

    Poi il suo sguardo si sposta sull'ago macchiato di sangue, a terra, accanto ai fiammiferi e ha la conferma ai suoi sospetti. Lo so, mi aveva proibito di farlo di nuovo… ma che sarà mai?

    – Ti sei bucata le orecchie un’altra volta!

    Faccio spallucce con innocenza. In fondo cosa c’è di male? L’ho visto fare tante volte alla TV.

    – Quanti stavolta?

    – Ehm… tre.

    – Tre?

    Guarda il marito ed i loro sguardi comunicano silenziosamente per qualche secondo.

    – Ti sei bucata altre tre volte le orecchie con l’ago da cucito… e non hai sentito niente?

    Oddio, ricomincia con questa storia, come qualche mese fa. Cosa dovrei sentire? Il solito formicolio.

    – No, ma…

    – Se ti becco di nuovo a fare una cosa simile o se ti permetti di parlarne con qualcuno… povera te!

    Ancora queste minacce. Mi viene da ridere.

    – Non ti rendi proprio conto...– continua, borbottando tra sé e sé.

    Poi la sua mano si stringe intorno al mio braccio.

    – Ed ora fila in camera, senza cena!

    Sbatte la porta con violenza.

    Sento la rabbia crescere rapidamente. Quanto la odio!

    Faccio un grande respiro per inalare quanta più aria possibile.

    Poi urlo.

    Apro gli occhi, è già luce.

    Sono passati anni dall'ultima volta in cui mi ha mandato a letto senza cena. Cosa avevo fatto? Mi accarezzo delicatamente i buchi alle orecchie. Ah sì, il pensiero mi fa sorridere.

    Mi tiro su, sento lo stomaco brontolare. Non ho mai molta fame al mattino, ma date le circostanze…

    Apro il cassetto del comodino e ne tiro fuori una piccola scatoletta in legno con sopra il mio nome. Osservo qualche secondo le lettere dipinte a mano. È tutto ciò che avevo con me quando sono stata trovata. Apparteneva ai miei genitori, quelli veri, quelli che mi hanno abbandonato come un cagnolino di cui si son resi conto di avere le scatole piene. A volte la vocina nella mia testa mi rimprovera per essere così dura nei loro confronti. Ma è più forte di me.

    Apro la scatoletta, ed osservo la collezione di orecchini al suo interno. La Signora minacciò di cacciarmi se mi avesse beccato di nuovo a farli, ma non ci è mai riuscita. Chiudo la scatola e la ripongo al suo posto. Qui nessuno viene a metterci mano, né la Signora né il Signore né Sally, o meglio, la bionda viziata, figlia biologica dei Signori.

    Mi passo le dita fra i capelli per sciogliere qualche nodo, tanti, troppi come sempre ed il caldo non aiuta. Decido di tuffarmi direttamente in doccia.

    Apro silenziosamente la porta e mi affaccio in punta di piedi per controllare se ci sia la bestiaccia di guardia. Sì, la bestiaccia, quella sottospecie di maiale che abbaia. Dovrebbe essere un cane teoricamente ma, a furia di mangiar tutto ciò che gli passa sotto zampa, ha subito una metamorfosi. Neanche l’ombra del grassone e nemmeno della matta isterica, come mi piace chiamarli con affetto, naturalmente.

    Proprio quando sto per varcare la porta del bagno, appare lui, il maiale bau. Il suo vero nome? Stecco.

    Ieri abbiamo avuto una piccola questione o, più precisamente, gli ho fatto cadere mezzo pelo con una tintura, a quanto pare tossica, che avrei dovuto usare sui capelli e lui se l’è presa con il mio polpaccio. Per lui il cibo non è mai abbastanza. Da quel che ho sentito il polpaccio guarirà, a differenza delle sue ferite… da ustione ha detto il veterinario? Nessuno sa se il suo pelo ricrescerà in modo naturale.

    È per questo che son finita a letto senza cena.

    Quando la Signora si è resa conto che il suo adorato cagnolino era tutto spelacchiato, mi ha afferrata per i capelli e, dopo avermi estasiata col suggestivo spettacolo della pappetta, mi ha sbattuta in camera.

    Come tanti anni fa. Lì ne avevo sei di anni, adesso ne ho tredici.

    Stecco si avvicina con il suo passo pesante e temo stia per fare qualche scemenza, sì, qualche cretinata da cane. Ringhiare, abbaiare, tirare fuori la lingua e sbavare schifosamente.

    Mi rivedo inchiodata al muro, aspetto di essere afferrata per i capelli e messa in punizione.

    Passano i secondi e non accade nulla. Questa volta non accade. Intanto Stecco si è appisolato di nuovo sulla sua poltrona. Tiro un sospiro di sollievo, a conti fatti forse gli sarà bastato rovinarmi il polpaccio, o forse progetta altro, di gran lunga peggiore.

    Basta sciocchezze! mi ordina la vocina nella mia testa.

    Voglio solo fare una bella doccia e preparare la colazione alla famiglia, così forse riuscirò a farmi perdonare per aver ferito quel dolce ed adorabile Stecchino Stecchetto Steccuccio.

    Mi chiudo la porta del bagno alle spalle e finalmente i miei piedi si coccolano sulle mattonelle fresche. Mi tuffo sotto l’acqua gelata. Resto così un paio di minuti, regolando a poco a poco la temperatura fino a renderla leggermente più calda, ma comunque rinfrescante.

    Mi gingillo con la schiuma dello shampoo e, prima di far scivolare dal mio corpo ogni singola bollicina di sapone, mi godo questa sensazione di pace ancora qualche istante.

    Poi, sempre in punta di piedi ed ancora sgocciolante, ritorno alla mia stanza. O meglio, mia e di Sally, che però dorme la maggior parte delle volte nel letto dei Signori.

    È domenica e questo vuol dire giornata del vestito, per dirlo con le parole della Signora. Era stufa, diceva, di jeans, salopette e tutto ciò che di pratico e comodo c’è nell’armadio di una tredicenne. Il motivo non lo capirò mai ma, a volte, è molto più semplice fare ciò che vuole lei senza discutere.

    Così dal reparto armadio vestiti domenicali ne tiro via uno comprato da poco, a bretelline. L'asciugamani scivola via. Tiro su la zip e butto fuori i capelli bagnati. Una cascata rossa ed ondulata si riversa sul retro dell'abito verde smeraldo.

    Alla Signora non piacciono per niente i miei capelli. Dice che sono troppo colorati e soprattutto poco ordinati. Ha provato a lisciarmeli almeno un miliardo di volte, con l'unico risultato di innervosirsi e farmi, ancora una volta, godere lo spettacolo della pappetta alla bocca. Dice sempre che preferirebbe fossero come quelli della piccola adorata Sally, dei lunghi spaghetti biondi. Per non parlare degli occhi, oh no. È da quando sono bambina che critica il colore dei miei occhi, il verde, che guarda caso non corrisponde al suo canone di donna elegante. Gli occhi da perfetta donna sono azzurri come il cielo di primavera, come quelli del suo confettino Sally. Questa cosa non ha alcun senso, come le numerose altre che mi tocca sentire, ma son cresciuta a suon di complimenti e cose carine, da quel che potete capire.

    Combatto con il nastro da legare dietro la schiena e le mani cominciano a sudare.

    Mi guardo allo specchio. Adoro questo vestito eppure c'è qualcosa che non va. Mi giro di schiena e lo vedo di nuovo, il polpaccio porta i segni delle zanne di Stecco.

    La Signora mi ha portata immediatamente dal medico che mi ha fatto promettere di cambiare la fasciatura regolarmente, senza mai dimenticarmene. Mi ha fatto la solita domanda, mi ha chiesto se facesse male. La Signora mi ha fatto segno di rispondere non troppo e così ho fatto. Sarà una di quelle cose della Signora che non capirò mai.

    Mantengo la promessa fatta al medico e apro il cassetto nel quale ho riposto le bende. Non sarò proprio un'esperta di queste cose, però se a sei anni sono riuscita a farmi i buchi alle orecchie senza prendere infezioni, posso farcela anche ora. Ripeto a memoria i gesti del dottore, poi con un piede chiudo l'armadio e recupero da terra l'asciugamani.

    Preparo il caffè, il latte per Sally è quasi pronto.

    La tavola è perfettamente apparecchiata anche se dubito che qualcuno sarà in grado di apprezzarlo. Di solito il Signore inghiottisce tutto quello che gli passa per le mani sulla sua poltrona marrone, ascoltando le news. La Signora appoggiata al davanzale per spiare cosa succede fuori, deve controllare. Paranoia la chiamo io.

    La piccola mangia spesso dove le capita o dove vuole purtroppo. Tutto ciò che dice lei è legge in questa casa, come se lei meritasse sempre tutto il buono ed io no. Assurdo.

    Nonostante sia tutto pronto non me la sento di svegliare i Signori. Di solito reagiscono male, a meno che non sia Stecco a svegliarli con il suo fare da cucciolone. Mi giro a cercarlo.

    I suoi occhi incrociano i miei, i miei incrociano i suoi. Mi scruta tra sonno ed indifferenza. Fatto sta che poco dopo si alza, si dirige alle stanze.

    Non so perché, ma in quel cane vedo sempre qualcosa di negativo ed una parte di me è convinta che comincerà ad abbaiare in modo feroce facendo un gran baccano. Invece no, contro ogni mia aspettativa, diventa un tenero cucciolo da coccolare. Sento la voce assonnata della Signora dall'altra stanza. Poco dopo quella di lui. La piccola fischietta nel corridoio e corre ovunque. Il perfetto risveglio della famiglia felice. I genitori, la bimba viziata e il cane tenerone.

    Ah… e poi ci sono io, quella un po' cresciuta, la figlia adottata. Quella che li detesta o che forse si sarebbe meritata solo un po’ più di coccole.

    Sarei potuta scappare, come dicevo sempre da piccola. Ma per andare dove? In strada? In un orfanotrofio? Qualunque opzione mi sembrava peggiore di questa, al confronto persino i Signori erano oro. Quello che non capisco è perché non mi hanno riportata in orfanotrofio se non gli sono mai andata bene? Perché mi hanno tenuta?

    – Ovviamente già in piedi.

    Mi giro di scatto.

    – Eh?

    – Sembri quasi aggraziata con quell'abito.

    Abbasso lo sguardo.

    – È un complimento.

    – Ovviamente un complimento, – rispondo ironicamente, facendo un'ampia riverenza goffa.

    – Ecco perché ho detto solo «sembri», – dice con quel tono scostante che riserva solo a me e subito dopo ride della sua battuta.

    Trovare le mie imperfezioni è il suo gioco preferito. Nonostante ciò, il cagnaccio sembra aver fatto un buon lavoro con il dolce risveglio.

    – Allora? Cos’è quel muso lungo? Facciamo colazione tutti insieme? – riprende, indossando la sua maschera angelica.

    Insieme? A tavola?

    – Va bene…

    Aspetto che si sieda, ed osservo la camicia da notte arancione che indossa. Il Signore invece, come sempre molto più a suo agio seduto che in piedi, si lamenta di qualunque cosa. Dopo pochi minuti però dimentica le lamentele a suon di biscottini al cioccolato.

    Prendo le mie solite due fette biscottate e comincio a spalmarci sopra della marmellata ai frutti di bosco.

    – Mangi sempre così poco, – dice la Signora poggiandone un’altra nel mio piatto.

    – E direi di prendere anche della cioccolata, no? – prosegue il Signore, avvicinandomi anche quella.

    Qualcosa di strano sta accadendo stamattina, meglio assecondarli.

    Accetto la fetta ma rifiuto la cioccolata.

    – Non mi è mai piaciuta particolarmente, ricordate?

    – Sì, certo… – mi interrompe lei, –…ma questa l’ho fatta io con le mie mani, dimmi che te ne pare! – e me ne spalma in abbondanza su un biscotto ai cereali. Inutile protestare. Afferro il biscotto e lo poggio accanto alle fette, poi mi pulisco le dita marroni sul tovagliolo.

    Ultimamente accadono cose strane, come se improvvisamente volessero essere gentili, come se provassero a costruire un rapporto con me. Dopo tutti questi anni?!

    La piccola arriva saltellando, si ferma di fronte al grande specchio in salone, fa qualche sorrisetto soddisfatto. Si avvicina con un balletto sgraziato ed afferra una fetta biscottata. Sta per ripartire con la sua danza del risveglio ma la Signora le prende una mano e, riempiendola di dolci complimenti, la prega di fare colazione seduta a tavola. La bimba s’imbroncia, corre in un angolino e comincia a pettinarsi i capelli con le mani. Allora la Signora, con la pazienza che riserva solo a lei, la segue. Inizia ad accarezzarsi i capelli con lo stesso fare frenetico della figlia.

    – Lo ha deciso lei? – chiede indicandomi con fare minaccioso.

    La Signora sgrana gli occhi come se avesse appena udito la cosa più stupida del mondo.

    – Amore mio, è bello fare colazione tutti insieme. Dai, vieni a tavola che dobbiamo sbrigarci… questa mattina viene lo zio e dopo andremo a fare un bel giretto al parco. Che ne dici?

    Mistero risolto. La colazione a tavola, le smancerie, la cioccolata. Ha intenzione di inscenare la commedia della dolce famigliola per l'arrivo del fratello.

    È un tipo alto, di bell'aspetto. Le rughe sulla fronte lo fanno sembrare più vecchio della sua età, che in realtà non conosco. Ha un fascino ed un'eleganza direi regali. Sempre impeccabile nell'abbigliamento, la camicia ben stirata e la cravatta stretta intorno al collo, mi ricorda i politici alla televisione. La sua schiena è rigorosamente dritta in ogni momento della giornata e della vita suppongo. Nemmeno le ore passate sui libri sembrano aver gravato sulla sua postura.

    Lo Zio qui a casa ha fama di essere uno scienziato sfigato, in cerca di cose che non esistono, da come dice la Signora.

    – Sono vent'anni che cerca chissà che, non ho ancora capito quando deciderà di cambiare mestiere, – ripete in continuazione.

    – Allora… ti vieni a sedere accanto a me?

    – Però, quando andiamo al parco, me lo compri il gelato?

    – Certo amore mio. Tutto quello che vuoi.

    – Scusa, ma quando viene lo Zio? – domando.

    – Non lo so con certezza. Sta andando ad un importante convegno da queste parti e ci passa a salutare. In ogni caso, dovesse arrivare mentre noi ci prepariamo, gli fai tu compagnia? Va bene?

    – Certo, certo.

    Bene. Ci mancava solo questo per la giornata perfetta.

    – E cerca di domare un po' quella chioma, per cortesia.

    – Farò del mio meglio.

    Finisco la colazione e mi alzo per sparecchiare, quando suona il campanello.

    – Mannaggia… – sussurra la Signora. – Vai ad aprire quella porta, per favore.

    Mi dirigo all'entrata ed eseguo gli ordini. Lo Zio sta strofinando le sue scarpe costose sullo zerbino a fiorellini della Signora. Indossa giacca e cravatta neri, come sempre. Nonostante fuori ci sia un solleone, nella mano destra porta un ombrello nero, nell'altra una valigetta in pelle. Fin da bambina mi sono sempre chiesta cosa contenesse quella valigetta. Purtroppo le mie ipotesi da romanzo giallo venivano sistematicamente smentite dai Signori con grande razionalità e d’altro canto non si poteva certo disturbare troppo lo Zio. Così il contenuto della valigetta rimane per me ancora un mistero.

    – Buongiorno Zio.

    –Mh.

    Questa è la sua forma di saluto. Forse il troppo riflettere gli ha deviato qualche comando, soprattutto nella comunicazione. È come se volesse preservare la sua voce e sembra perennemente in ascolto di un discorso nella sua mente. Poche volte l'ho visto intento in una conversazione. Ed ogni volta che entra in casa poi, osserva in giro che tutto sia in ordine.

    Mi oltrepassa e si dirige verso il resto della famiglia. Appena la Signora lo vede allarga un enorme sorriso e lo abbraccia calorosamente.

    –Oh caro! Da quanto tempo che non ci vediamo!

    C'è qualcosa di falso nelle sue parole, nel suo sorriso tirato. Lo Zio ignora il suo entusiasmo da fiction e, dopo aver respirato rumorosamente, si aggrappa alla sua àncora di salvezza nei rapporti umani. 

    – Mh…

    – Ti vedo bene… come va?

    – Mh…

    Questa volta il monosillabo ha un’intonazione differente, vuol dire bene credo.

    La Signora cercava il più possibile di fare conversazione prima, ora non fa più lo sforzo. Lo Zio, invece, non ha mai fatto nulla per nascondere il profondo disinteresse in ciò che lei ha da dire.

    – Ci andiamo un attimo a cambiare così si va a fare un giro. Spero non ti dispiaccia, qui c’è Emily.

    L’ultima volta che mi è capitata una simile sciagura ero molto piccola, non mi ricordo più.

    Lo Zio rimane in piedi a contemplare per qualche minuto la finestra. Poi si volta e si accomoda con tutta la sua eleganza sul divano bordeaux. Resto impalata, senza muovere nemmeno un muscolo. Ho l'impressione che ad ogni

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