L’eretica vicenda di Rogoredo spirito II e dei suoi giorni benedetti notturno slavo
Di Matteo Baron
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Anteprima del libro
L’eretica vicenda di Rogoredo spirito II e dei suoi giorni benedetti notturno slavo - Matteo Baron
V
NOTA INTRODUTTIVA DELL’AUTORE
Il Rogoredo è un’opera sconta(nascosta), un processo di trasformazione clandestina, privo di imputazioni, colpe e trasgressioni neglette. Rogoredo è puro nella sua sofferta sconfitta. Privo di apparenze, intangibile, si muove silente perché non riconosciuto, evitato e dimenticato nella sua esistenza, … memoria zoppa e occlusa dalla dimenticanza dei tempi nella sua dimensione provvisoria e posticcia poiché il dolore alimenta il successo degli altri.
Vampirismo storico, sociale e animico. E’ una questua umana e filosofica. Avere per essere, nel mancato riconoscimento sociale che ci pone materici e impermanenti come marionette abbandonate.
Panta rei… e nello scorrere si aprono le ferite che vorremmo rimarginate… dimenticate. Un calcio alle lacrime che ritornano sullo sfondo di una guerra ancora da raccontare, inconclusa, terminata per lo sfinimento di chi non ce la fa più, ma con motto sereno si offre come ultimo ostaggio agli umori ctoni della grande madre sporca e calpestata. Il mondo di Rogoredo è un mondo umido, insano e fremente come il dolore che non lo lascia mai… quasi a ricordo di una rivincita ancora da venire, senza annunciazioni o stigmi oracolistici nel cielo slavo, nelle notti fredde consumate a lenire il dolore di un povero zoppo.
E nelle sue corse, Rogoredo fugge verso un misero spazio, angolo di miseria e conforto, accanto ad un fuoco che non scalda più, ma commisera solo le vicende di un povero soldato retto da una gruccia militare.
Amputato nella sua dignità umana corrotto per trenta denari. E’ un mondo lubrico, scivoloso, ipocritamente penitente. Gli avamposti militari sono sale di attesa, una lunga attesa di una porta che si apre per condurre i protagonisti in uno spazio condiviso, confortato dal riconoscimento imperiale, di vicerè, vicari di Cristo malamente decifrati e riconosciuti dagli spaventi della miseria, ossequiosa e mansueta, complice e correa delle nostre anime mutilate. Se la paura è il pane, la sconfitta ne è il companatico, ed il declino annunciato di un soldato ne è l’inevitabile epilogo. Monastir è il suo alter ego, reprobo e oscuro, vomitato dalla bolgia perché la sua, è una giustizia disperata e disperante contro le cose del mondo, evanescentemente lontane, irragiungibili. Il suo rotear di lama porta seco la conclusione di una narrazione a metà, incompiuta, come lo sono le vite scadute negli umori sinistri di uomini morti prima ancora che in battaglia.
E la fede di Rogoredo è un manto di tiepida speranza appena contenuta nel sogno di un ritorno a casa. Il ritorno ci riconduce sempre a rivisitare la strada percorsa, lungi dai giudizi malevoli e dagli inopportuni paternalismi del Sig. Marchese. Solo Monastir comprese bene che il tempo e lo spazio dei loro destini scorre lungo la lama del suo coltello, translucido perché maledetto, algido perché divinato dalla potenza del male.
Più che un racconto, Rogoredo è un lungo pianto di sordida umanità rappreso nelle speranze cassate dalla cattiveria del mondo e dei potenti con la iattanza di chi famelicamente spegne le vite per alimentare la propria.
La guerra è il destino dei poveri, e i cavalli macellati da Rogoredo sono pure sempre l’espressione carnivora e vorace del sangue degli altri.
In fondo un santo vale l’altro, ed ogni dì che il Signore ci concede in terra è un richiamo ad una benedizione mancata, invocata e non concessa perché l’ossequio dovuto è rimasto occluso, impedito dal silenzio che tutto avvolge, le vite, come i destini di coloro che con grumi callosi strappano al fato quei pochi momenti in più.
Sarà Monastir a sfidare il proprio destino maligno, figlio di Baal e delle anime buie si ravvede solo nel suo immacolato sentimento di amicizia verso Rogoredo.
E giorno dopo giorno, e col freddo che fa in certe notti slave avanti a Natale, i nostri protagonisti smentiscono il loro stesso proscenio senza invocazioni, maledizioni o misericordia.
Poco distante, gli echi della battaglia di Gallipoli, esempio scellerato di una umanità miseramente compresa dentro le speranze di un giorno.
E come i tempi ne annunciano l’epilogo, i nostri amici si dissolvono nell’ultimo vespero di primavera prima del compleanno, … del suo compleanno privo di forge e di attese perché mai arrivato.
Matteo Baron
PROLOGO
Si direbbe una storia come tante, per miseria, semplicità e speranze.
Tuttavia, avrò cura di rispettarne i tempi, il decoro e il dovuto rispetto per la sua memoria.
Rogoredo non fu né potente, brillante e nemmeno fortunato, e poiché la sua bellezza fu esclusiva delle cose spirituali, mi adopererò per coglierne i tratti evidenti e non, perché non si dica che, se il mondo gli fu avverso in vita fu solo per i demeriti di un animo semplice e senza talenti.
Edo mostrava quell’incanto garzonevole che appartiene ai serafini, rapiti dalla luce di Dio perché umili servi del Padre.
Edo mostrava quella ammirazione che è dei cherubini, ma il mondo non lo accolse.
Edo mostrava quello stupore che è dei troni, ma il mondo lo dimenticò.
Edo mostrava quella luce che è degli arcangeli, ma il suo fu un tempo di buio e materia.
Mi perdoneranno i lettori di questo incipit , ma, poiché sono uomo di fede e timorato, farò in modo di raccontarvi come andarono i fatti, non nel modo dei novellieri o degli uomini di mondo, ma nel solo stile che è dei ministri di Dio, conoscitori dell’animo e delle sue ombre.
Narrerò secondo le cronache, quanto avvenuto e quanto dimostrato, dai fatti e dai racconti, perché si possa, insieme, accompagnare il nostro fratello al cospetto della Domus Ecclesiae, non quella degli uomini, già offesa e prostrata alla violenza di Satana, ma quella del Padre Celeste , a cui, io ,umile servo volgo lo sguardo chinando il capo perché indegno della sua luce.
Beati i poveri in spirito perché di loro è il fardello della croce.
Beato te nostro fratello Edo, perché la croce che hai portato ti sazierà.
"Beati i semplici,
ad essi è segnata la strada
negata ai superbi dal cuore vuoto.
Beati i semplici,
ad essi è svelato il mistero
nascosto a chi crede di sapere, ma non sa."
Quanto narrato è la testimonianza di chi gli fu vicino, donna Rosalba (la sua signora madre) e Ferrau Bagnasco, suo amico e impenitente somaro, oltre,