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Markovitz il demone
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E-book201 pagine3 ore

Markovitz il demone

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Info su questo ebook

Vryus Markovitz è un ufficiale di Cavalleria del Principato,orgoglioso e fiero di questa appartenenza. Quando riceve l’ordine di partire per una spedizione militare in un Paese lontano la prospettiva è di gloria e guadagno certi. Ma il destino è strano,non segue la logica umana, gioca brutti scherzi. Come i contadini ribelli, sprovveduti militarmente ma animati da uno spirito indomito. Così la guerra diventa sporca,crudele, disonorevole. Da eroi celebrati e onorati a criminali ed assassini. Trattati come traditori, disonorati, gli elitari cavalieri si trasformano in reduci sbandati. Dolore, ingiustizia, miseria, senso di tradimento,trasformano un uomo onesto e sereno in un essere efferato e violento, un vero demone assetato di vendetta, gioioso nello spargere sangue e dolore. Una vita frenetica e sanguinaria,dove il premio finale è la morte.
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2015
ISBN9788892516342
Markovitz il demone

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    Anteprima del libro

    Markovitz il demone - Ignazio Presti

    Ringraziamenti

    Presentazione

    Vryus Markovitz è un ufficiale di Cavalleria del Principato,orgoglioso e fiero di questa appartenenza. Quando riceve l’ordine di partire per una spedizione militare in un Paese lontano la prospettiva è di gloria e guadagno certi. Ma il destino è strano,non segue la logica umana, gioca brutti scherzi. Come i contadini ribelli, sprovveduti militarmente ma animati da uno spirito indomito. Così la guerra diventa sporca,crudele, disonorevole. Da eroi celebrati e onorati a criminali ed assassini. Trattati come traditori, disonorati, gli elitari cavalieri si trasformano in reduci sbandati. Dolore, ingiustizia, miseria, senso di tradimento,trasformano un uomo onesto e sereno in un essere efferato e violento, un vero demone assetato di vendetta, gioioso nello spargere sangue e dolore. Una vita frenetica e sanguinaria,dove il premio finale è la morte.

    Prologo

    Stava fumando lentamente, assaporando ogni boccata dalla sua lunga pipa seduto con le spalle appoggiate alla roccia fuori dalla grotta, il suo sguardo abbracciava l’impervio pianoro sottostante ed il villaggio di montanari che vi risiedeva. Un villaggio senza alcuna importanza per lui, se non che lì il suo nome era temuto e pronunciato sottovoce. Non era sempre stato così.

    Ho avuto più vite, o meglio, più capitoli dello stesso romanzo .

    Più non si preoccupava di domandarsi se quel romanzo fosse stato pessimo o degno di essere vissuto.

    Ho avuto molti capitoli, ognuno una storia a sè, ma legati da un filo del fato. Ora sono qui, si rispondeva quando la mente vagava oziosa in domande futili.

    Fumava lentamente, con voluttà, l’erba sacra o erba degli dei, l’erba che solo al Vecchio Vegliante o al Sacro Mediatore, preposto in quel periodo temporale, era consentito consumare. Violava una proibizione, una norma, ma a lui oramai non interessava, una violazione in più era poca cosa.

    L’erba gli faceva bene, solo quella calmava il furore del suo animo inquieto, liberando la sua mente dai ricordi e dai pensieri di morte, rendendo al suo freddo, glaciale sguardo una parvenza umana, quasi serena. Non vedeva dei nè angeli, il cielo non gli si apriva davanti, ma quell'erba aveva il potere di acquietare i demoni che scorazzavano liberi, padroni del suo animo.

    Volse la testa pigramente verso l’entrata della grotta,da dove provenivano rumori e risa umane, l’accozzaglia di balordi che formava la sua temuta banda di assassini si divertiva. Relitti sbandati,reietti come lui, che in lui avevano trovato un capo, una guida per sopravvivere, per rialzarsi, cenciosi e puzzolenti, dal fango e dalla polvere per tentare di strappare con la violenza il diritto, se tale era, di vivere un altro giorno. Morti di fame, con le croste dei propri escrementi attaccati al corpo, presi a calci e a sputi, traditi prima e poi derisi dal loro stesso popolo, dalla loro gente, dal loro principe.

    Ma anche loro, efferati assassini e stupratori di giovinette e ragazzini, con timore si volgevano a lui e solo quando consci che l’erba aveva fatto il suo effetto.

    Non rideva, non partecipava alle libagioni, il suo parlare era lungo come un sospiro, spesso sentore di morte. Non teneva di conto dei tesori accumulati, certamente i suoi uomini erano più ricchi di lui. Vestiva ancora con la vecchia tunica militare e portava alle spalle il logoro mantello nero. Non era la bramosia a muoverlo, ma la vendetta e la sete inestinguibile di sangue, la gioia che solo la vista del dolore altrui riusciva a procurargli. Perciò il suo nome era temuto, invincibile, i suoi stessi uomini avevano terrore di lui, ma gli erano fedeli,mettevano la loro vita le sue mani. Lui lo sapeva e senza pietà gliela strappava via,se necessario.

    Pietà, un termine che più non conosceva, in lui aveva perduto ogni significato.

    Cosa vuol dire pietà? Come si può esser mossi da pietà? Ridicolo .

    Il solo sentirne pronunciare la parola lo rendeva una bestia assassina. Pietà, sì certo, nella stessa misura colma e traboccante che avevano dato a lui, che avevano usato verso la sua famiglia.

    Pietà, non esiste pietà nè dagli uomini nè tantomeno dal cielo.

    Stava seduto e guardava oltre, verso le montagne a nord, dove erano situate le altre caverne occupate dai suoi uomini, dai suoi fedeli luogotenenti, e da dove egli aspettava un segno, un avvertimento. Lo attendeva, sapeva che sarebbe giunto quel momento. Intanto pensava che non era sempre stato così. No, non era sempre stato così. Ma lo pensava senza più rimpianti o rimorsi. C’era stato un altro tempo, forse più felice.

    Capitolo 1°

    Anni addietro

    Il sole splende radioso sulla piazza principale, è quasi l’ora del desinare di un giorno speciale, si attendono gli araldi del principe. Gruppi di uomini, confabulano sotto i porticati dei templi cercando riparo e frescura, altri oziosi perdigiorno sono fuori dalle taverne già pieni di vino. Mercanti con i loro carretti transitano lentamente.

    Un gruppo di ufficiali della gilda dei cavalieri, fieri di loro stessi, splendenti nelle loro fulgide armature nere, con il simbolo argentato del cavallo rampante, stanno muovendosi verso il palazzo del principe: sono attesi dal regnante in persona insieme al consiglio dei nobili. Sanno già cosa chiederà loro e ne sono fieri. Mentre imboccano il Viale dei Cipressi che porta al palazzo vedono arrivare gli araldi, sorridono conoscendo già l’argomento.

    - Signori, ci sono qui fra voi capitani indomiti, fedeli al loro Principe?

    E’ il Principe Aryus a parlare, solenne e al contempo sorridente, egli sa che i suoi capitani della cavalleria sono tra i più fedeli e certamente i più valorosi del suo potente esercito. Infatti un coro di voci orgogliose si alza insieme ad un battere di pugni sul petto. Tutti loro sono con il Principe. Egli voleva la loro fiducia, ottenutala proseguì il discorso:

    -Sapete signori, che un gruppo di masnadieri, plebaglia della peggior specie si è ribellata come un sol uomo nelle colonie ad est del continente di dominio del Principe mio cugino. Con questo atto sacrilego hanno violato il diritto divino di mio cugino a regnare in quelle terre portando il caos e la violenza. Egli ha chiesto aiuto alla Nostra persona, e Noi dobbiamo sostenerlo.

    Un coro di assenso provenne sia dai nobili che dagli ufficiali. Da dietro il trono del Principe avanzò il Vecchio Vegliante.

    - E’ un dovere comandato dagli dei, quello di sostenere il Principe. Gli dei amano e pretendono il giusto ordine di cose. Chi lo spezza merita di essere punito. Siate fieri, vi attende un compito voluto dagli stessi dei. Gli dei sono con voi!

    Con quelle risolute parole vennero congedati. Per via parlavano entusiasticamente, erano euforici, gli dei davano loro modo di mettersi in mostra in una guerra santa e giusta, onori e gloria erano a portata di mano per loro ed il rischio relativamente nullo. Erano il fior fiore dell’Accademia di Guerra e partivano per una spedizione punitiva contro straccioni contadini e pecorai. Certo era ben strano che il cugino del loro Principe non riuscisse a sedare la rivolta, ma non stava a loro preoccuparsi, era nota la potenza dell’esercito del Principe Aryus, il più potente e vittorioso dei regni confinanti.

    - Allora Markovitz ci vediamo fra tre giorni in caserma per la partenza, salutami mia sorella Alyna ed il piccolo Darys. Ricorda loro che è poco più di un’esercitazione fuori dai confini, due, tre mesi al massimo e ritornerai da loro, ricco e onorato. In questi tre giorni datti da fare cognato.

    - Non temere Bolony, saprò rendermi onore anche in questo. Come sempre d’altronde.

    A casa trovò la moglie indaffarata in cucina e certamente più nervosa degli altri giorni. Era preoccupata, si vedeva. Le donne, si disse fra sè, si preoccupano per un nonnulla, ti vorrebbero sempre sott’occhi, come se fossimo sotto la loro custodia. Sospirando andò a cingerla teneramente.

    - Non preoccuparti donna, partirò fra tre giorni e starò via al massimo tre mesi. Quando tornerò non avremo più problemi per l’avvenire, con il premio accordatoci dal Principe e da suo cugino vivremo agiatamente per il resto della nostra esistenza.

    Si volse a guardarlo negli occhi, aveva lo sguardo luccicante per l’euforia. Gli uomini sono dei bambini e rimangono tali per tutta la vita. Giocano, per loro è tutto un gioco si disse tra sè.

    - Amore mio, come farò io intanto?

    - Non preoccuparti, durante la mia assenza sarà la tesoreria del Principe a pensare a te. Ti verseranno il compenso mensile come in mia presenza, e quando tornerò avrò un bel credito da vantare. Pensa inoltre come sarà orgoglioso nostro figlio di suo padre. Ah, ti saluta tuo fratello Bolony. Con questo è tutto donna, pensiamo ad altro adesso.

    Tre giorni passarono in fretta, al mattino del terzo Vryus salutò i suoi cari e si incamminò a passo spedito verso la caserma, guardò la spilla d’argento a forma di foglia d’acero che gli aveva dato per ricordo sua moglie. Ti porterà fortuna gli disse. E ritornerai da me . Sorrise, l’aria era frizzante e il cielo terso, sgranocchiando una

    succosa pera pensò che tutto sembrava iniziare bene, prima della partenza vi sarebbe stata la benedizione del Vecchio Vegliante e il ballo propiziatorio del Sacro Mediatore, nulla era affidato al caso, soprattutto l’aspetto spirituale.

    In partenza finalmente, il poderoso esercito usciva dai cancelli della caserma e marciava sotto le finestre del Principe che in piedi salutava dal terrazzo e benediceva con orgoglio il suo esercito. Da ogni finestra donne gettavano gigli e altri fiori, per strada era tutto un acclamare di gaudio. Insomma era una vista beneaugurante e nulla sembrava potesse offuscare quella gloria. Così almeno sembrava allora.

    Capitolo 2°

    Niente è come sembrava

    Dopo quasi tre settimane di viaggio arrivarono alla cittadella fortificata di Djang Phennis dove avrebbero eretto il campo base.

    Il Paese si chiamava Vot-Da dal nome del loro fiume Vot, Terra di Vot nella lingua corrente. Una terra malsana, a prima vista, dove a brughiere umide si alternavano acquitrini, risaie e paludi. Una fitta foresta pluviale ricopriva il centro del Paese. Nessuno riusciva a capire il perché di tanto affanno per tenersi un possedimento così triste. La risposta era semplice, miniere, tutto il territorio era ricco di giacimenti di vari e preziosi metalli e carbone.

    -Per gli dei che cammino sfiancante e che posto orrendo, spero che con il viaggio il peggio sia passato, ora non resta che trovare i ribelli, ricacciarli nelle loro luride tane e tornare a casa felici e trionfanti.

    A parlare era Bolony, la cui la giovane età impediva di tenere a freno la lingua, ma era ben voluto per il coraggio che aveva già dimostrato in passato.

    - I capitani si rechino al quartiere di comando, gli attendenti al campo piantino le tende, capi squadriglie formate i primi turni di guardia! Venite con me signori!

    A parlare fu il Conte Paulyus comandante in capo dell’esercito.

    - Ora è tempo di prendere visione della missione e di assegnare i vari compiti. Indubbiamente è volontà di ognuno di noi portare a termine con successo la missione nel minor tempo possibile. Come avete avuto modo di constatare questo Paese non ha niente di bello da offrire, quindi signori mettiamoci subito all’opera. I due squadroni di cavalleria comandati dai capitani Markovitz e Trovitz opereranno nelle pianure e fra le risaie, setacceranno i villaggi,facendo strage di chiunque non consegni loro le armi. Se

    occorre accetteranno battaglia e potranno caricare i villaggi abitati. Conviene che operino conoscendo sempre la posizione l’uno dell’altro per portare eventuale aiuto, quindi organizzate delle staffette, che dovranno pure regolarmente tornare qui per riferire della situazione e prendere nuovi ordini.

    Lei Markovitz con il suo squadrone si stanzierà a ovest del fiume, lei Trovitz a est. A nord, verso le montagne e al centro dov’è sita la foresta le compagnie di fanteria. Qui e verso il confine sud le riserve. Procedendo verso il centro troverete le compagnie dell’esercito alleato, quando potete cooperate con loro. Si sa che le file dei ribelli si sono ingrandite, la rivolta ha preso oramai piede in tutto il Paese e questi orientali pur non disponendo di grandi armamenti nè adeguato addestramento stanno tenendo in scacco l’esercito alleato.

    Hanno dalla loro parte la conoscenza profonda del territorio, questo in fondo è il loro Paese, e la consapevolezza che in un scontro all’aperto non avrebbero speranze, quindi sono mossi dalla disperazione. Tenetene conto e non fidatevi. Conto comunque di terminare in breve la missione. Le compagnie si muoveranno fra due giorni dopo aver riposato. Questo è tutto signori, potete andare.

    L’esercito si mosse dopo due giorni,chi verso est,chi ad ovest o al centro. Già in giornata ebbero modo di conoscere ed affrontare il nemico. Gruppi disomogenei di ribelli che alla vista del meglio organizzato esercito si diedero alla fuga. Giorno dopo giorno le cose sembravano mettersi al meglio, i ribelli ripiegavano verso i monti o la foresta, unica nota di preoccupazione era che più ne uccidevano più ne ricomparivano, combattevano tutti, donne e ragazzini compresi, preferivano morire piuttosto che consegnare le armi. Ma il morale degli uomini era ancora alto vedendo l’esito degli scontri.

    Era passato quasi un anno e le cose ora non erano più così favorevoli, i ribelli da gruppi disuniti si erano trasformati in un esercito, avevano armi, certamente comprati di contrabbando dai Paesi confinanti che vedevano di buon occhio la sconfitta degli stranieri, in più comparivano maestri d’armi e istruttori che istruivano i ribelli. Compagnie d’armi straniere cominciavano ad aggregarsi come volontari alla popolazione. Tutto questo mentre le file dell’esercito del Principe si assottigliavano inesorabilmente. E’ vero che conseguivano ancora delle vittorie ma sempre più pagate a caro prezzo e di rinforzi non ne arrivavano più.

    Le malattie dovute al clima e al territorio malsano mietevano vittime ogni giorno, i nativi erano quasi immunizzati, loro no. Avevano ancora fiducia nell’esito finale della guerra, ma vedevano che non era più una passeggiata

    - Come siamo finiti Markovitz, che razza di guerra stiamo combattendo? E’ un massacro continuo, siamo diventati macellai, non soldati, e questi ribelli, più ne uccidi più spuntano come funghi, votati al suicidio, si gettano sotto le ruote dei carri, sbucano da sotto il terreno fra le zampe dei cavalli. Vryus, sinceramente non ne posso più, torneremo mai a casa? Ho sentito dire che Trovitz e i suoi godano a uccidere e a stuprare, massacrano anche civili innocenti, e il Conte invece di fermarlo ne esalta lo spirito guerriero. Ci hanno ingannato, avevano detto che questa guerra era santa e voluta dagli dei, invece è solo una fogna senza gloria. Non sono più sicuro che gli dei vogliano questa guerra.

    Markovitz non rispose al giovane Bolony, era stanco pure lui e si poneva anch’egli domande a cui sempre meno riusciva a rispondere, cosa ancora più inquietante non riusciva più a giustificare gli ordini che riceveva dal Conte e che contrastavano con l’etica che gli avevano insegnato all’Accademia, stridevano con il glorioso passato del suo squadrone, infine gli incubi lo tormentavano da molte notti, sempre più intensi. Tutto era cominciato con l’arrivo di un luogotenente del Conte che doveva sovrintendere ad alcune operazioni, un esplicito rimprovero del comandante che non approvava la sua condotta, ritenuta troppo

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