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Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Letteratura e teatro (35): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 35
Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Letteratura e teatro (35): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 35
Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Letteratura e teatro (35): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 35
E-book365 pagine3 ore

Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Letteratura e teatro (35): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 35

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Tra XIII e XIV secolo i Comuni, oltre che protagonisti decisivi della vita economica e politica, si affermano come centri culturali originali e autonomi, anche attraverso la formazione di un ceto borghese che costituisce un nuovo pubblico e da cui emerge un nuovo tipo di intellettuale capace di dare dignità letteraria ai valori di questa nuova società. E nelle città si sviluppano nuovi centri di cultura come le suole vescovili, gli studia, le università, mentre si diffondono i saperi giuridici e retorici fondamentali per la creazione della nuova identità politica dei Comuni. Non è un caso che dagli studi e dalle professioni giuridiche provengono molti protagonisti della vita letteraria: Guido Guinizzelli, Cino da Pistoia, Petrarca, o che nei Memoriali bolognesi, i registri notarili di Bologna, si conservano le prime attestazioni di alcuni dei testi più significativi della lirica italiana del Due e Trecento.
Vengono qui esplorati gli sviluppi di un momento decisivo per la letteratura italiana: i Laudari di Francesco d’Assisi, Guittone d’Arezzo e Iacopone da Todi, la letteratura mistica e militante di Caterina da Siena, i poemetti escatologici di Giacomino da Verona e Bonvesin de la Riva, il Roman de la Rose, fino alla poesia polifonica della Commedia dantesca, dove tutti i generi letterari, gli stili e i linguaggi sono mobilitati in un poema enciclopedico e inclusivo. Per poi andare ad esplorare la nascita della novella col Decameron di Boccaccio e i Canterbury Tales di Chaucer, fino al Canzoniere Petrarchesco e tutta la sua ricca produzione, modello canonico per la civiltà rinascimentale.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2014
ISBN9788897514756
Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Letteratura e teatro (35): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 35

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    Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Letteratura e teatro (35) - Umberto Eco

    copertina

    Il Medioevo (secoli XIII - XIV) - Letteratura e teatro

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Il Medioevo (secoli XIII - XIV)

    Letteratura e teatro

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla letteratura del Basso Medioevo

    Ezio Raimondi e Giuseppe Ledda

    Mentre l’influenza degli antichi centri di produzione culturale, i monasteri e le corti, viene progressivamente limitata dalla crisi del mondo feudale, al principio del XIII e lungo il XIV secolo si affermano con forza nuovi attori nella scena culturale e letteraria europea. I Comuni si impongono come protagonisti decisivi della vita economica e politica e come centri culturali originali e autonomi, anche attraverso la formazione di un ceto borghese che costituisce un nuovo pubblico e da cui emerge un nuovo tipo di intellettuale, capace di dare dignità letteraria ai valori di questa nuova società. E nelle città si sviluppano nuovi centri di cultura come le scuole vescovili, gli studia, le università, mentre si diffondono i saperi giuridici e retorici fondamentali per la creazione della nuova identità politica dei Comuni. Non è dunque un caso se dagli studi e dalle professioni giuridiche provengono molti fra i protagonisti della vita letteraria. Basti pensare, per limitarsi all’Italia, a Guido Guinizzelli, Cino da Pistoia, Petrarca, o al fatto che nei registri notarili di Bologna, i cosiddetti Memoriali bolognesi, si conservano, trascritti dai notai negli spazi rimasti bianchi fra un atto e l’altro, le prime attestazioni (talvolta uniche) di alcuni fra i testi più significativi della lirica italiana del Due e del Trecento.

    Ma nelle università e negli studi si afferma anche un intenso dibattito filosofico, che coinvolge pure i letterati e i poeti più avvertiti e consapevoli, e penetra in modo decisivo tra le ragioni nuove della loro poesia: i casi di Guido Cavalcanti e Dante Alighieri sono forse quelli più indicativi. Il dibattito si sviluppa intorno alla ricezione delle opere filosofiche aristoteliche, giunte in Europa grazie alla mediazione del mondo arabo: mentre resiste anche il sapere esegetico-simbolico fondato sulla lettura del testo biblico, la penetrazione dei testi aristotelici costringe i filosofi cristiani a fare i conti con la questione dei rapporti fra la ragione e la fede.

    E la crisi spirituale della Chiesa, determinata anche dalla potenza temporale del papato che periodicamente alimenta le proteste dei gruppi radicali, trova all’inizio del Duecento un momento di svolta nella fondazione degli ordini mendicanti da parte di Francesco d’Assisi e Domenico di Guzmán. I conventi dei nuovi ordini non sorgono in luoghi remoti o nelle zone rurali, ma nel cuore delle città, che divengono lo spazio per una nuova evangelizzazione, anche attraverso un’opera intensissima di predicazione. E i conventi, con i loro studia e le loro biblioteche, divengono ben presto centri attivi di insegnamento e di produzione culturale.

    Della nuova e molteplice sensibilità che matura negli ultimi decenni del XII e nei due secoli successivi è testimonianza anche la fioritura mirabile del nuovo codice artistico gotico, che trova potente espressione nell’architettura delle cattedrali, nel segno della verticalità e della luce. Ma anche la scultura e la pittura si rinnovano elaborando un linguaggio che supera certe rigidità simboliche per dar vita a uno stile mosso e intensamente naturalistico. E le esperienze e le nuove forme delle arti divengono un termine di confronto e di dialogo vitale per gli scrittori.

    Una nuova spiritualità

    Nonostante il vigoroso sviluppo della cultura laica, l’esperienza religiosa resta centrale nella vita e nell’elaborazione culturale dell’uomo medievale anche nei secoli XIII e XIV. E tale esperienza si fa scrittura con una pluralità sorprendente di generi e di testi sia in latino che nelle nuove lingue d’Europa.

    I generi antichi conoscono forme e sviluppi nuovi anche per l’esigenza di parlare a un pubblico che non conosce il latino: da qui i volgarizzamenti e le opere pensate specificamente per questo universo. Gli ordini mendicanti esercitano un ruolo importante nell’allestimento di nuovi strumenti di comunicazione religiosa, specie nella agiografia e nella predicazione rivolta al pubblico composito delle città. Basta pensare alla raccolta del materiale agiografico nella Legenda Aurea da parte del domenicano Iacopo da Varazze, o più tardi al volgarizzamento delle Vite dei Santi Padri da parte di Domenico Cavalca, mentre i Francescani si impegnano soprattutto nel lavoro agiografico intorno al fondatore dell’ordine.

    E Francesco, oltre che rinnovatore della spiritualità, della vita e delle stesse istituzioni della Chiesa, è anche l’autore, con le Laudes creaturarum o Cantico delle creature, di un testo esemplare che segna l’avvio di una tra le forme più vive della poesia religiosa in volgare. Nella lauda si esprime la religiosità popolare delle confraternite, ma anche quella di poeti colti come Guittone d’Arezzo. E il laudario personale di Iacopone da Todi segna una delle esperienze poetiche più alte del Duecento: il poeta esplora tutte le possibilità del genere, dalla chiave devozionale a quella ascetica, dal modo dottrinale alla partitura dialogica e teatrale, dall’accento polemico e militante alla fiammante poesia mistica dell’annichilimento e del balbettio di fronte all’ineffabile. Ma in forme meno eccezionali quello della lauda si confermerà come uno dei linguaggi fondamentali della poesia religiosa anche nel Trecento, per giungere ancora vivo e fresco alla stagione della rinascita quattrocentesca della poesia volgare.

    E la letteratura mistica e spirituale, accanto alle vette poetiche di un Iacopone e alle sottili elaborazioni dottrinali di un Maestro Eckhart, conosce per la prima volta la testimonianza delle donne, protagoniste di una spiritualità intensa e dirompente. Dopo la scrittura visionaria e le speculazioni dottrinali di Ildegarda di Bingen, ancora nel XII secolo, nel XIII fiorisce in Italia un misticismo francescano intenso e sofferto, di cui è esemplare l’esperienza di Angela da Foligno, mentre presso il monastero tedesco di Helfta matura una spiritualità nutrita di filosofia neoplatonica e insieme dei modelli dell’amore cortese, che trova espressione nelle opere di Matilde di Magdeburgo e Matilde di Hackeborn. E nel secolo successivo spicca la figura di Caterina da Siena in cui all’esperienza mistica si accompagna la partecipazione militante ai dibattiti ecclesiologici e politici.

    La poesia del molteplice

    La pluralità del reale, delle esperienze, dei modelli trova nella poesia uno strumento privilegiato di espressione e di elaborazione. La poesia religiosa in volgare si affranca dalla funzione principalmente comunicativa, che pure continua a essere gestita in prodotti edificanti come i poemetti escatologici di Giacomino da Verona e Bonvesin de la Riva nell’Italia del Nord, e giunge agli esiti assoluti delle laudi iacoponiche.

    Anche la poesia didattica, costruita attraverso lo strumento potente dell’allegoria, dopo i grandi precedenti mediolatini del XII secolo, fra cui spiccano i poemi di Bernardo Silvestre e di Alano di Lilla, trova ora un capolavoro in volgare nel Roman de la Rose, avviato intorno al 1230 da Guillaume de Lorris e completato un quarantennio più tardi da Jean de Meun. La rappresentazione della quête amorosa, attraverso i momenti della messa in scena allegorica, si combina, specie nella seconda parte, con un forte gusto realistico e con un’ardita intenzione enciclopedica.

    L’amore continua a essere l’idea, l’esperienza, il mito intorno a cui maturano le novità più intense e le proposte letterarie più audaci. Esso è al centro dell’esperienza francescana come della stilizzazione allegorica del Roman de la Rose; della poesia mistica di Iacopone, che canta l’amore esmesurato, come delle prove liriche che dalla Provenza si irradiano in tutta Europa e anche in Italia.

    Ma tutte queste suggestioni della poesia che ha al centro l’amore sembrano trovare una sintesi mirabile e suprema nella poesia polifonica della Commedia dantesca, dove tutti i generi letterari, tutti gli stili, tutti i linguaggi sono mobilitati in un poema enciclopedico e inclusivo. La volontà di rappresentare la pluralità del reale dalla prospettiva dell’aldilà porta Dante a misurarsi con tutte le esperienze poetiche e letterarie, mettendo spesso in scena il confronto con gli autori del passato, e soprattutto con i grandi poeti pagani dell’antichità, amati, onorati e seguiti, ma infine abbandonati al loro destino di eterna incompiutezza perché superati definitivamente dal nuovo poeta cristiano. Ma se tutti i generi sono inclusi nella prodigiosa summa dantesca, dalle visioni dell’aldilà ai poemi didattici e allegorici, dall’epica al romanzo, dalla lauda al sermone, dalla trattazione filosofica alla poesia mistica, non si può dimenticare il ruolo straordinario che il mito dell’amore assolve nel poema. L’amore che aveva mosso la poesia stilnovistica è ora trasfigurato nella forza che guida il poeta nell’ascesa celeste. Ed è una trasfigurazione sempre più profonda, sino all’identificazione finale con l’amore divino, l’amor che move ’l sole e l’altre stelle, dopo che il pellegrino si è portato dietro la storia dell’universo e il dramma del proprio presente.

    Un mondo da raccontare

    Accanto alla grande narrativa epica e romanzesca, prende forma e si afferma quello che diverrà uno dei generi narrativi canonici della civiltà letteraria europea: la novella. Vi convergono suggestioni molteplici, dagli exempla mediolatini e dall’agiografia alle raccolte di narrazioni orientali; dalle forme brevi della poesia narrativa romanza, come il lai e il fabliau, alle vidas trobadoriche; dai racconti di viaggi reali o fantastici alle raccolte di detti celebri. È il piacere di raccontare e di conoscere, di affidare alla parola l’esplorazione del mondo.

    Ma anche in questo caso, oltre alla codificazione del genere, che pure si presenta quanto mai vario, aperto e flessibile, conta l’esemplarità dell’organizzazione macrotestuale, sia quando essa è pienamente compiuta in tutti i suoi significati, come nel caso del Decameron di Boccaccio, sia quando, come nel caso dei Canterbury Tales di Chaucer, si presenta incompiuta, ma più che mai legata a una delle istituzioni centrali del mondo medievale, quella del pellegrinaggio. L’’homo viator è anche l’uomo degli incontri, che si interroga sull’ordine nascosto dell’esistenza.

    Verso l’umanesimo

    Una funzione determinante, anche per i secoli successivi e per la fondazione di una tradizione letteraria europea, è quella svolta dalle forme della lirica amorosa, che Dante trascende nel suo poema, ma che vengono riprese in modi nuovi nel Canzoniere petrarchesco, con un modello che diverrà canonico per la civiltà rinascimentale. Ma l’esplorazione petrarchesca dell’io lirico, nella sua stessa costruzione di una storia unitaria si apre alle tensioni e alle contraddizioni di un soggetto lacerato e diviso, e vi scopre un nuovo paesaggio dell’anima.

    Se Petrarca diverrà il paradigma della codificazione lirica a partire dal Cinquecento, inizialmente la sua lezione è quella del moralista, che apre la strada a quello straordinario rinnovamento culturale che va sotto il nome di umanesimo. Egli infatti è un lettore sapiente di autori classici, da Cicerone a Seneca, da Agostino a Girolamo, su cui compie un continuo lavoro di ricerca e analisi filologica per restituire alla loro parola la pienezza della humanitas, il loro senso luminoso dell’uomo e della vita. Egli costruisce così la propria figura come quella del letterato e dell’intellettuale impegnato nella strenua difesa della dignità della letteratura e della sua saggezza. Di fronte alla teologia e alla scienza, le humanae litterae rivendicano la propria verità, intimamente legata al mistero dell’uomo.

    Il Medioevo verso l’Umanesimo

    La ricezione dei classici

    Matteo Ferretti

    Nel panorama culturale dell’Europa del Duecento, caratterizzato dal trionfo degli studi filosofici e teologici su quelli grammaticali, più strettamente legati alla tradizione classica, l’Italia si distingue per la persistenza dell’antico, imitato con passione e indagato con nuova perizia filologica. Merito di un contesto politico (quello comunale) e di un sistema educativo che mettono al centro l’esempio di Roma antiqua e, assieme, di un milieu intellettuale capace di plasmare il gusto umanistico lungo una linea ininterrotta di letture e di manoscritti che collega l’esperienza municipale di Lovato e Mussato al classicismo internazionale di Petrarca.

    I classici nel Duecento

    Nicolas Trevet

    La rappresentazione scenica nell’antichità

    Expositio Herculis furentis Senecae

    A teatro le tragedie e le commedie si recitavano solitamente in questo modo: il teatro era una spazio semicircolare con al centro un piccolo edificio, detto scena, in cui si trovava un pulpito dal quale il poeta declamava i propri versi. Intorno c’erano i mimi che rappresentavano il testo declamato con le movenze del corpo, adattandole, di volta in volta, al personaggio che parlava. Dunque quando veniva letto il primo monologo, un mimo rappresentava Giunone nell’atto di lamentarsi e d’invocare le Furie infernali, spingendole ad impadronirsi di Ercole.

    Testo originale:

    [...] Tragedie et comedie solebant in theatro hoc modo recitari: theatrum erat area semicircularis, in cuius medio erat parva domuncula, que scena dicebatur, in qua erat pulpitum super quod poeta carmina pronunciabat; extra vero erant mimi, qui carminum pronunciationem gestu corporis effigiabant per adaptationem ad quemlibet ex cuius persona loquebatur. Unde cum hoc primum carmen legebatur mimus effigiabat Iunonem conquerentem et invitantem Furias infernales ad infestandum Herculem.

    N. Trevet, Expositio Herculis furentis Senecae, a cura di V. Ussani jr., Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1959

    Francesco Petrarca

    A Marco Tullio Cicerone

    Epistole

    Francesco saluta il suo Cicerone. Trovate, dopo molte e lunghe ricerche, le tue lettere là dove meno credevo, le ho lette avidamente. E ti ho inteso dir molte cose, molte deplorare, su molte cambiar parere, o Marco Tullio; e se da un pezzo sapevo qual precettore tu fossi agli altri, ora finalmente ho compreso qual tu sia davanti a te stesso. Ora a tua volta, dovunque tu sia, ascolta non un consiglio, ma un lamento, ispirato da vero affetto, che uno dei posteri, di te amantissimo, esprime non senza lacrime. O uomo sempre inquieto e ansioso, o meglio, per dirlo con le tue parole, o vecchio impulsivo e infelice, che hai inteso di fare con tante contese e inutili inimicizie? Dove hai lasciato quella calma così conveniente all’età, alla professione, alla fortuna tua? Qual falso splendore di gloria ti spinse vecchio in gare giovanili e dopo averti fatto ludibrio d’ogni fortuna ti condusse a una morte indegna di un filosofo? Ahimè! dimentico dei fraterni consigli e dei tuoi stessi salutari precetti, come un viaggiatore notturno che porta un lume fra le tenebre, mostrasti a chi ti seguiva la via sulla quale miseramente cadesti. [...] Mi dolgo della tua sorte, o amico, e provo vergogna e pietà dei tuoi errori, e insieme col medesimo Bruto non do nessun valore a quell’arte, nella quale so che tu sei abilissimo. Infatti, che giova ammaestrare gli altri, che giova parlar continuamente con belle parole di virtù, se poi non ascolti te stesso? Ah, quanto meglio sarebbe stato, soprattutto a un filosofo, invecchiare tranquillamente in campagna meditando, come tu stesso scrivi in un certo luogo, sulla vita eterna, non su questa terrena così breve, non aver avuto l’onore dei fasci, non aver aspirato a nessun trionfo, non aver messo superbia per alcun Catilina! Ma ormai ogni rimprovero è vano. Addio in eterno, o mio Cicerone.

    Dal mondo dei vivi, sulla riva destra dell’Adige, nella città di Verona nell’Italia transpadana, il 16 di giugno nell’anno 1345 dalla nascita di quel Dio che tu non conoscesti.

    Testo originale:

    Franciscus Ciceroni suo salutem. Epystolas tuas diu multumque perquisitas atque ubi minimi rebar inventas, avidissime perlegi. Audivi multa te dicentem, multa deplorantem, multa variantem, Marce Tulli, et qui iampridem qualis preceptor aliis fuisses noveram, nunc tandem quis tu tibi esses agnovi. Unum hoc vicissim a vera caritate profectum non iam consilium sed lamentum audi, ubicunque es, quod unus posterorum, tui nominis amantissimus, non sine lacrimis fundit. O inquiete semper atque anxie, vel ut verba tua recognoscas, o preceps et calamitose senex, quid tibi tot contentionibus et prorsum nichil profuturis simultatibus voluisti? Ubi et etati et professioni et fortune tue conveniens otium reliquisti? Quis te falsus glorie splendor senem adolscentium bellis implicuit et per omnes iactatum casus ad indignam philosopho mortem rapuit? Heu et fraterni consilii immemor et tuorum tot salubrium preceptorum, ceu nocturnus viator lumen in tenebris gestans, ostendisti secuturis callem in quo ipse satis miserabiliter lapsus es. [...] Doleo vicem tuam, amice, et errorum pudet ac miseret, iamque cum eodem Bruto his artibus nichil tribuo, quibus te instructissimum fuisse scio. Nimirum quid enim iuvat alios docere, quid ornatissimis verbis semper de virtutibus loqui prodest, si te interim ipse non audias? Ah quanto satius fuerat philosopho presertim in tranquillo rure senuisse, de perpetua illa, ut ipse quodam scribis loco, non de hac iam exigua vita cogitantem, nullos habuisse fasces, nullis triumphis inhiasse, nullos inflasse tibi animum Catilinas. Sed hec quidem frustra. Eternum vale, mi Cicero.

    Apud superos, ad dexteram Athesis ripam, in civitate Verona Transpadane Italie, XVI Kalendas Quintiles, anno ab ortu Dei illius quem tu non noveras, MCCCXLV.

    F. Petrarca, Prose, a cura di G. Martellotti, P.G. Ricci, E. Carrara, E. Bianchi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1955

    Brunetto Latini

    Introduzione alla Rettorica

    Rettorica

    Sovente e molto ho io pensato in me medesimo se la copia del dicere e lo sommo studio della eloquenzia hae fatto più bene o più male agli uomini e alle cittadi: però che, quando io considero li dannaggi del nostro Comune, e raccolgo nell’animo l’antiche aversitadi delle grandissime cittadi, veggio che non picciola parte di danni v’è messa per uomini molto parlanti senza sapienza. [...] Rettorica è scienzia di due maniere: una la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio [Cicerone] nel suo libro; l’altra insegna dittare, e di questa, perciò che esso non ne trattò così del tutto apertamente, sì ne tratterà lo sponitore [Brunetto] nel processo del libro. [...] L’autore di questa opera è doppio: uno, che di tutti i detti de’ filosofi che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue Marco Tulio Cicero, il più sapientissimo de’ Romani; il secondo è Brunetto Latino, cittadino di Firenze, il quale mise tutto suo studio e suo intendimento ad isponere e chiarire ciò che Tulio avea detto. [...] Questo Brunetto Latino, lo quale era buono intenditore di lettera ed era molto intento allo studio di rettorica, si mise a fare questa opera, nella quale mette innanzi il testo di Tulio per maggiore fermezza, e poi mette e giugne di sua scienzia e dell’altrui quello che fa mistieri. L’utilitade di questo libro è grandissima, però che ciascuno che saprà bene ciò che comanda lo libro e l’arte,

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