Guardando l'oceano da un grattacielo
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Guardando l'oceano da un grattacielo - Danilo Catania
EpubBook Information
Questo Epub è stato formattato e testato con i seguenti programmi:
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Autore: Danilo Catania, Stefano Luconi, Gianfranco Zucca
Comitato scientifico: Olivier Poncet (Université Sorbonne), Roberto Perin (York University), Francesco Bono (Università di Perugia), Matteo Sanfilippo (Università della Tuscia), Giovanni Pizzorusso (Università di Chieti), Manuela Martellini (Università di Macerata)
Collana: Biblioteca 15, serie emigrazione
Formato: 11 x 18 cm
Legatura: Brossura
Pagine: 278
ISBN: 978-88-7853-243-4
Prezzo: 24,00 €
© 2010 Edizioni Sette Città
Iª edizione, dicembre 2010
ISBN EBOOK: 978-88-7853-421-6
Prezzo: 4,99 €
© 2011 Edizioni Sette Città
Iª edizione, ottobre 2011
Progetto grafico e impaginazione ePub: Matteo Scarpa
Proprietà letteraria riservata.
La riproduzione in qualsiasi forma, memorizzazione o trascrizione con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, internet) sono vietate senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
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New York e San Francisco sono state le principali destinazioni degli italiani sulla costa dell’Atlantico e del Pacifico nel periodo dei flussi di massa verso gli Stati Uniti. Il volume si interroga sull’odierno rapporto con l’Italia e sul senso dell’identità etnica dei discendenti degli immigrati giunti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Preceduta da un’articolata ricostruzione delle vicende storiche dell’esperienza italiana a New York e a San Francisco, la risposta è fornita da oltre cinquanta interviste con italo-americani, di terza e quarta generazione, residenti in queste città. La loro assimilazione non ha cancellato l’ascendenza etnica. I giovani italo-americani continuano a usare e rielaborare le tradizioni e la cultura della terra d’origine. Rivelano anche una concezione della vita che, pur senza mettere in discussione l’adesione alla società statunitense, presenta elementi di italianità come il legame forte con la famiglia e la ricerca di ritmi di lavoro meno frenetici. Emerge così una comunità non collocabile in uno spazio fisico, ma caratterizzata da una memoria condivisa e da un immaginario collettivo legati ancora all’Italia.
Danilo Catania, sociologo e ricercatore presso l’Iref-Acli, dove si occupa di terzo settore, welfare e mercato del lavoro, curando gli aspetti metodologici della ricerca.
Stefano Luconi insegna storia degli Stati Uniti nelle università di Pisa, Padova e Roma Tor Vergata
. Ha curato, con Dennis Barone, Small Towns, Big Cities. The Urban Experience of Italian Americans (New York, AIHA, 2010).
Gianfranco Zucca, specializzato in metodi qualitativi all’Università di Roma La Sapienza
, è ricercatore dell’Iref-Acli. Ha realizzato studi sui cambiamenti in atto nel mondo del lavoro e sulle migrazioni internazionali.
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Edizioni SETTE CITTÀ
Via Mazzini 87 • 01100 Viterbo
tel +39.0761.304967 • +39.0761.1768103
fax +39.0761.303020 • +39.0761.1760202
info@settecitta.eu • www.settecitta.eu
Sommario
Introduzione
Parte I - Per una storia sociale ed etnica degli italo-americani tra New York e San Francisco
Capitolo 1 - L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: dall’Ottocento alla seconda guerra mondiale
1.1 I pionieri della presenza italiana e il loro nazionalismo
1.2 L’emigrazione di massa e il campanilismo
1.3 Il manifestarsi di una coscienza etnica nazionale
1.4 La prima guerra mondiale e il fascismo
1.5 La seconda guerra mondiale
Capitolo 2 - Gli italo-americani dal dopoguerra a oggi: quale comunità?
2.1 Le articolazioni del dibattito teorico sull’identità italo-americana
2.2 Tra assimilazione e identità razziale
2.3 Stereotipi anti-italiani e superamento dell’identità etnica
Parte II- I giovani italo-americani di New York e san francisco
Capitolo 3 - Andata. Dove finisce l’oceano inizia l’America
3.1 Perché tornare a studiare gli italiani d’America
3.2 L’indagine sui giovani italiani negli Stati Uniti
3.3 La metodologia della ricerca
3.3.1 New York e San Francisco
3.3.2 L’indagine sul campo
3.3.3 La negoziazione dell’intervista
Capitolo 4 - La memoria e le biografie
4.1 Il facile mistero dell’America
4.2 Immaginario migratorio e lessico sociale della mobilità
4.3 Happy End: l’entrata nella classe media suburbana
4.4 (Ri)attraversare l’Atlantico: l’esperienza del viaggio in Italia
4.5 History Repeating Itself: il rapporto con la nuova immigrazione
4.6 Quando il passato irrompe nel presente
Capitolo 5 - Gli usi sociali dell’italianità: rappresentazioni, pratiche e altre rielaborazioni
5.1 Prologo: l’italianità (è tutta una) messa in scena
5.2 Essenzialismi penetranti: Italia e Stati Uniti a confronto
5.3 (Rap)presentazioni: l’uso del già detto sociale
5.4 L’italianità nella vita quotidiana: consumi e tempo libero tra simbolismo etnico e alterazioni sociali della tradizione
5.5 Epilogo: l’italianità (ri)messa in discussione
Capitolo 5 - Gli usi sociali dell’italianità: rappresentazioni, pratiche e altre rielaborazioni
5.1 Prologo: l’italianità (è tutta una) messa in scena
5.2 Essenzialismi penetranti: Italia e Stati Uniti a confronto
5.3 (Rap)presentazioni: l’uso del già detto sociale
5.4 L’italianità nella vita quotidiana: consumi e tempo libero tra simbolismo etnico e alterazioni sociali della tradizione
5.5 Epilogo: l’italianità (ri)messa in discussione
Capitolo 6 - Ritorno. Guardando l’oceano da un grattacielo
6.1 Tempo biografico e com-memorazione storica
6.2 Tempo biografico e improvvisazione sociale
6.3 Memoria, esperienza e biografia
6.4 La cultura è un orizzonte che recede
6.5 Lo sguardo che copre la distanza
Bibliografia
Appendice
Ringraziamenti
Introduzione
Danilo Catania, Stefano Luconi e Gianfranco Zucca
Nell’ultimo decennio le indagini sull’emigrazione italiana hanno conosciuto una stagione di imprevista e insperata fortuna dopo un lungo periodo di trascuratezza, sia pure non di completa marginalità, nel panorama degli studi¹. Nonostante varie voci si fossero periodicamente levate contro la densa cortina di fumo che aveva portato ad avvolgere uno dei principali fenomeni della storia sociale italiana postunitaria (Ragionieri, 1962, pp. 640-42; Martellone, 1984, pp. 380-82; Gabaccia, 1997a, pp. 7-8), sono stati soprattutto gli stimoli di situazioni contingenti a suscitare la crescita dell’attenzione sui flussi di popolazione dalla penisola: da un lato, la trasformazione dell’Italia da paese di emigranti a terra di immigrazione, con la conseguente centralità che le tematiche connesse alle migrazioni – anche nelle loro implicazioni storiche – sono venute a rivestire nell’odierno dibattito pubblico e politico; dall’altro, l’ancorché fugace stagione del peso decisivo esercitato dal voto dei cittadini italiani nel mondo in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento nel 2006².
L’intensificarsi dell’interesse per l’emigrazione italiana non si è manifestato soltanto nel settore della storiografia e delle scienze sociali, un indirizzo suggellato dall’assurgere di questo argomento agli onori dell’einaudiana Stsoria d’Italia, probabilmente la collana più autorevole e sensibile per quanto riguarda i molteplici risvolti delle vicende nazionali (Corti e Sanfilippo, 2009). La riscoperta dell’emigrazione dalla penisola ha trasceso l’ambito relativamente ristretto del mondo accademico per estendersi anche a campi come la narrativa, il cinema e la saggistica, trovando un felice terreno di incontro tra sollecitazioni intellettuali e curiosità dell’opinione pubblica nella costituzione del Museo nazionale dell’emigrazione italiana di Roma (Prencipe e Nicosia, 2009)³. Per attestare l’ampio riscontro che queste tematiche hanno avuto al di fuori di una dimensione prettamente scientifica, basterebbe pensare al successo di pubblico e di critica che ha arriso a romanzi come Vita di Melania C. Mazzucco (2003) oppure a pellicole come Nuovomondo di Emanuele Crialese (2006). Oppure potrebbe essere indicata una produzione libraria a carattere essenzialmente divulgativo che, senza rifuggire talvolta dai toni sensazionalistici di una denuncia un po’ populistica delle traversie passate e presenti degli italiani residenti all’estero, non si è limitata a presentare l’esperienza storica dell’esodo di massa, come nel caso dei best seller giornalistici di Gian Antonio Stella (2003, 2004), ma si è occupata pure di aspetti molto più contemporanei e attuali quali la presenza all’estero, spesso temporanea, da parte di studenti, imprenditori e professionisti nonché la cosiddetta fuga dei cervelli
in un contesto di progressiva internazionalizzazione delle imprese e dell’istruzione (Severgnini, 2008; Cucchiarato, 2010). La pubblicistica, pur indugiando sulla deprecazione nazionalistica della perdita di talenti, si è così andata ad affiancare a contributi scientifici sul brain drain e le migrazioni giovanili (Avveduto, Brandi e Todisco, 2004; Del Prà, 2006, 2008; Bartolini e Morga, 2008) nel contribuire a smentire il luogo comune secondo cui l’emigrazione italiana rappresenterebbe una esperienza oramai conclusasi.
Queste ultime tendenze riflettono un’apertura anche da parte dei lavori accademici ad ambiti di ricerca che erano rimasti sullo sfondo fino a poco tempo fa. In particolare, i contributi più recenti hanno iniziato ad affrontare con maggiore sistematicità le dinamiche dei flussi emigratori postbellici, quando l’esodo degli italiani si indirizzò in prevalenza verso i paesi dell’Europa occidentale. Pertanto, la letteratura accademica degli ultimi anni si è incentrata soprattutto su queste destinazioni e sugli accordi internazionali che furono sottoscritti o vennero auspicati per consentire all’esubero della popolazione italiana di trovarvi sbocco, mostrando pure la rilevanza dell’emigrazione clandestina fino all’affermazione del principio della libera circolazione dei lavoratori in ambito comunitario (Colucci, 2008, 2009; Rinauro, 2009; Prontera, 2009; De Clementi, 2010).
Più in ombra sono restati, invece, gli Stati Uniti che, pur essendo nell’immaginario collettivo la terra d’immigrazione per antonomasia, proseguirono pure nel secondo dopoguerra sulla strada di una politica restrizionista che fu in parte abrogata soltanto dopo che il miracolo economico italiano aveva limitato le necessità e le richieste di trasferimento sull’altra sponda dell’Atlantico settentrionale. Inoltre, il crescente orientamento degli studiosi verso l’analisi della governance dell’emigrazione italiana (Bonifazi, 2005) – anch’esso un riflesso della contingente emergenza politica e sociale rappresentata dalla gestione dei flussi di individui verso la penisola – ha portato le ricerche ad allontanarsi dall’esame dell’identità dei membri delle comunità presenti all’estero, che pure aveva avuto un precedente sviluppo in rapporto alle più generali indagini sulla secolare debolezza del senso dell’appartenenza nazionale anche per gli italiani che hanno continuato a vivere in Italia (Martellone, 1997). In questo ambito, soprattutto nel caso degli Stati Uniti, l’esame dell’autopercezione degli individui di ascendenza italiana, nonché degli atteggiamenti e dei comportamenti che ne sono derivati, ha finito per assumere una connotazione introspettiva in ragione della quale a chiedersi chi siano oggigiorno gli immigrati italiani o i loro discendenti in questo paese sono soprattutto gli intellettuali e gli accademici che la stessa comunità italo-americana ha prodotto o esprime (Pettener, 2009)⁴.
Eppure la caratterizzazione dell’identità etnica di questa minoranza risulta una questione molto sentita. Nella stagione televisiva 2009-2010 ha suscitato polemiche la messa in onda su MTV di Jersey Shore, un reality show incentrato sulle vicende di otto giovani italo-americani in una località marina della costa est⁵. Negli Stati Uniti le maggiori organizzazioni di advocacy degli italo-americani hanno protestato. Come già accaduto con una serie quale The Sopranos o con i mafia movies⁶, l’accusa è di alimentare gli stereotipi sulla comunità di origine italiana. Come hanno evidenziato alcuni commentatori⁷, il programma – la cui prima serie ha avuto un grande successo di ascolti – non fa altro che attualizzare l’immagine del giovane italo-americano di estrazione working class, una figura che nello slang del nordest degli Stati Uniti viene designata con i termini Guido nella versione maschile e Guidette in quella femminile. Jersey Shore, in altre parole, propone una versione contemporanea del Tony Manero de La febbre del sabato sera di John Badham (1977): attenzione all’aspetto fisico, sessualità sopra le righe, linguaggio volgare. Jersey Shore usa dunque uno stereotipo non nuovo – che, come ha osservato Silvia Giagnoni (2007, p. 227), era stato già proposto a livello di entertainment da film come Jungle Fever di Spike Lee (1991) e Mio cugino Vincenzo di Jonathan Lynn (1992) – per raccontare un pezzo di gioventù americana.
I Guidos, come ha mostrato sin dagli anni Novanta Donald Tricarico (1991, 2007), sono una sottocultura – nel senso di Dick Hebdige (2008) – solo parzialmente etnica
. Come precisa Tricarico (2007, p. 37), le sottoculture contemporanee usano l’etnicità per realizzare i propri obiettivi espressivi
; nel mercato degli stili alcuni giovani decidono di orientare il proprio lavoro simbolico verso la tradizione del gruppo immigrato al quale appartengono. A ben vedere questo è quello che avviene anche tra i giovani afro-americani o latinos.
Le proteste di organizzazioni come la National Italian American Foundation, l’Ordine Figli d’Italia in America e Unico, tre tra le più importanti associazioni etniche italo-americane che operano a livello nazionale, soprattutto in termini di lobbyng (Wyatt, 2009; Chioni, 2010), colgono dunque nel segno quando si propongono di criticare le scelte di un sistema dei media propenso a replicare stereotipi datati e poco interessato a rappresentare le articolazioni della cultura italo-americana. Tuttavia il reality di MTV rappresenta un esempio, semplificato, eccessivo e sovrabbondante, di alcune delle molteplici figurazioni contemporanee dell’italianità.
Innanzitutto, i giovani di Jersey Shore sono figli della società dei consumi e dello spettacolo tanto quanto i loro colleghi del Grande Fratello o di qualsiasi altro reality prodotto in Italia: il culto del corpo (oggetto di ostentazione e strumento di seduzione) non è certo un tratto culturale tradizionale o una eredità del gruppo etnico di riferimento. In questo senso, è interessante notare che, in quanto espressione sub-culturale, i Guidos di Jersey Shore sono pienamente partecipi di una cultura maggioritaria di stampo edonista e materialista, ma come tutti gli altri gruppi giovanili scelgono di distinguersi usando alcuni tratti culturali piuttosto che altri. In quanto prodotto mediatico
finalizzato all’intrattenimento, il reality di MTV non offre spunti sufficienti per approfondire le motivazioni dei giovani guidos. Tuttavia la serie suggerisce un punto di osservazione promettente: il significato d’uso dell’italianità spesso eccede le definizioni tradizionali dell’identità etnica. I codici con cui attualmente si può esprimere l’appartenenza sono più complessi che in passato: anche dietro espressioni stereotipate e schematiche si possono celare forme articolate di identificazione.
In altre parole, a valle dei processi di integrazione sociale e mutamento dell’identità etnica registrati e interpretati dalla storiografia ci sono le esperienze dei giovani italo-americani; ragazzi completamente socializzati negli Stati Uniti che, come altri loro coetanei, producono codici culturali con i quali si identificano.
In questo volume sono presentate le esperienze di giovani di origine italiana che non partecipano in modo così univoco alle sub-culture rappresentate dai mass media. Tuttavia ascoltando le loro voci si possono trarre interessanti elementi per comprendere meglio le forme contemporanee di identificazione etnica.
In particolare, la monografia si interroga sull’odierna connotazione del rapporto con l’Italia e sul senso dell’identità etnica dei discendenti degli immigrati che varcarono l’oceano alla volta degli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. L’analisi è stata condotta sulla scorta di casi studio costituiti dall’esperienza degli insediamenti di New York e San Francisco, le principali destinazioni degli italiani sulla costa dell’Atlantico e su quella del Pacifico nel periodo dei flussi di massa dalla penisola. Preceduta da un’articolata ricostruzione delle vicende storiche delle Little Italies sorte e sviluppatesi in queste due città, con particolare riferimento alla formazione di una coscienza etnica nazionale a partire da forme preesistenti di appartenenza campanilistica e all’emergere delle suggestioni di un’identità euro-americana con il secondo dopoguerra, la risposta alla domanda chi siano oggi gli italo-americani viene ricercata attraverso un’indagine sul campo basata su una serie di interviste ad oltre cinquanta individui di terza e quarta generazione, cioè con i nipoti o bisnipoti degli immigrati giunti negli Stati Uniti prima della metà degli anni Venti. La narrazione e la rievocazione delle storie migratorie dei familiari – che è generalmente declinata attraverso immagini discordanti (realtà/desiderio, passato/futuro, sacrificio/successo, ecc.) ed è connotata dal contrasto tra la tranquillità e il relativo benessere dell’attuale comunità italo-americana, ormai confusa all’interno della middle class statunitense, e le difficoltà e le rinunce che dovettero affrontare gli immigrati per coronare il sogno di una vita migliore – offre agli intervistati un’occasione per riflettere sulla propria condizione odierna. L’indagine sugli atteggiamenti e sui comportamenti quotidiani degli informatori attesta come l’assimilazione nella società statunitense non sancisca l’esaurimento della possibilità di continuare a fruire della propria ascendenza etnica poiché i giovani italo-americani dimostrano ancora la capacità di usare, rinegoziare e rielaborare le tradizioni e la cultura della terra d’origine. Le terze e quarte generazioni rivelano anche una concezione della vita che, pur senza mettere in discussione la propria sostanziale adesione alla società in cui operano e risiedono, presenta elementi di italianità, basati sul legame forte con la famiglia e sulla ricerca di ritmi di lavoro meno frenetici. Emerge così una comunità non collocabile in uno spazio fisico, ma caratterizzata da una memoria condivisa e da un immaginario collettivo con i propri eroi – i nonni e bisnonni immigrati che si sono fatti dal niente a costo di rinunce e privazioni indicibili – e i propri valori come, per esempio, l’etica del sacrificio a beneficio della famiglia.
I repertori comportamentali e gli atteggiamenti dei giovani italo-americani risultano variamente compromessi con la tradizione culturale del gruppo di appartenenza. I legami socio-culturali che vengono documentati non sono sempre evidenti: spesso difatti occorre dipanare l’intreccio tra elementi culturali di ascendenza statunitense e tratti che rimandano al background italiano e familiare. Come i Guidos di MTV, i giovani di New York e San Francisco incontrati nel corso della ricerca sul campo usano la loro italianità come materiale culturale per costruire significati, giustificare comportamenti, presentare punti di vista. Anche quando queste formulazioni si presentano sotto forma di stereotipi e luoghi comuni emerge un’intenzione comunicativa che si presta a più livelli di lettura. Nel complesso la ricerca delinea uno scenario nel quale le forme tradizionali di identificazione etnica vengono soppiantate da rielaborazioni più sfumate e creative basate sulle esigenze comunicative e identitarie degli individui. Gli usi biografici dell’italianità rappresentano probabilmente un fronte ancora tutto da esplorare nella lunga storia degli studi sulle comunità d’origine italiana d’oltre atlantico: Guardando l’oceano da un grattacielo rappresenta un primo tentativo di approfondimento. L’augurio è che ne seguano altri.
Roma
Ottobre 2010
1 Per una prima sistematica rassegna critica in materia, cfr. Sanfilippo (2005).
2 Per alcune considerazioni in merito, cfr. Bugiardini e Martellini (2003); Sanfilippo (2003, pp. 376-78). Sul voto degli italiani nel mondo cfr. Colucci et Alii (2007) e Battiston e Mascitelli (2008a) nonché gli approfondimenti di Mignone (2008) sugli Stati Uniti e di Battiston e Mascitelli (2008b) sull’Australia.
3 Sulle sollecitazioni per la creazione di un museo nazionale, cfr. anche Franzina (2007).
4 Per una eccezione rappresentata da un’indagine sugli italiani a Londra, cfr. Seganti (2007).
5 Cfr. http://extra.mtv.it/tv/jersey-shore/
6 Sullo stereotipo dell’italo-americano mafioso nella cinematografia, cfr. Tamburri (2006, pp. 79-86).
7 Si veda il dibattito documentato dal web-site http://www.i-italy.org . In contemporanea con la messa in onda in Italia del serial l’eco di questo dibattito è giunta anche sui giornali italiani (Franco, 2010). Cfr. anche il simposio Guido: An Italian-American Youth Style, 21 gennaio 2010, John D. Calandra Italian American Institute, New York, NY, e i resoconti fattine da Cohen (2010) e Zamin (2010).
Parte I - Per una storia sociale ed etnica degli italo-americani tra New York e San Francisco
Capitolo 1 - L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: dall’Ottocento alla seconda guerra mondiale
Stefano Luconi
1.1 I pionieri della presenza italiana e il loro nazionalismo
Sebbene Eric Amfitheatrof (1975, p. 35) si sia arrischiato ad affermare che nei tre secoli successivi alla morte di Cristoforo Colombo "il Nuovo Mondo rimase terra incognita per gli italiani", la loro presenza sul territorio corrispondente agli odierni Stati Uniti è attestata fin dal periodo coloniale. Le ricerche erudite di Giovanni Ermenegildo Schiavo (1934), Howard R. Marraro (1940a; 1940b) e Glenn Weaver (1988) hanno documentato tracce di immigrati italiani dalla Georgia alla Pennsylvania e da New York alla Virginia nel corso del Settecento. Su tutti si stagliò, ovviamente, l’eclettica figura del cosmopolita Filippo Mazzei, influente amico di Thomas Jefferson e di numerosi altri esponenti rivoluzionari virginiani all’epoca della guerra d’Indipendenza (Tortarolo, 1986)¹.
Nondimeno il numero di italiani negli Stati Uniti restò insignificante fino a oltre la metà dell’Ottocento. Nel 1860 erano appena 11.677 e circa un decimo di loro era giunto nel paese proprio in quell’anno (U.S. Bureau of the Census, 1975, vol. I, p. 105). La maggiore concentrazione era riscontrabile a New York – 968 nel 1855 e 11.464 cinque anni dopo – e per il 40% circa era rappresentata da professionisti collocabili nel ceto medio (Gabaccia, 1999, p. 46). In questo gruppetto di avventurieri, missionari ed esuli politici, nutrita era la rappresentanza di patrioti che avevano abbandonato la penisola dopo la repressione dei diversi moti risorgimentali (Durante, 2001). L’immagine dell’America quale terra della libertà si era diffusa in Italia fino dalla fine del Seicento e aveva acquistato ulteriore rilievo dopo che le ex colonie britanniche si erano costituite in Stato sovrano e avevano ottenuto l’indipendenza da Londra (Del Negro, 1975). Non desta, quindi, meraviglia che parte dei profughi politici italiani dell’inizio dell’Ottocento avesse preso la strada degli Stati Uniti. Alcuni di loro – come l’ex carbonaro Luigi Tinelli o il mazziniano Eleuterio Felice Foresti (Sioli, 2004; Deschamps, 2008) – si inserirono così bene nella società d’adozione che non solo chiesero e ottennero la cittadinanza statunitense, ma arrivarono anche a ricoprire incarichi diplomatici per il governo di Washington e a partecipare nelle forze armate di una delle due parti alla guerra civile che dilaniò il paese tra il 1861 e il 1865 (Pane, 1986; Alduino e Coles, 2007).
New York e San Francisco furono in quest’ordine le due mete privilegiate dei flussi migratori alla metà dell’Ottocento anche per chi non aveva lasciato la penisola per ragioni politiche ma soltanto per motivi economici. Con 2.794 e 1.622 residenti nati in Italia, New York e San Francisco costituivano ancora nel 1870 le città con gli insediamenti italiani più popolosi. Mentre New York avrebbe conservato il suo primato fino ai nostri giorni, San Francisco venne superata per numero di abitanti di nascita italiana da Filadelfia e Chicago nel 1890 e poi pure da Boston dieci anni più tardi (Nelli, 1983, p. 62).
Collocate ai margini opposti dell’immenso territorio continentale statunitense, New York e San Francisco si distinsero per la diversa tipologia dell’immigrazione italiana che ricevettero. Come ha affermato Ilaria Serra (1998, p. 249) New York rappresenta il primo porto di sbarco per gli italiani immigrati; San Francisco l’ultima meta
. La prima poteva essere raggiunta con maggiore facilità dall’Italia e attraverso un viaggio più breve e meno costoso. Per tale motivo, San Francisco attrasse un minor numero di individui rispetto a quelli che si fermavano a New York. Pure i tempi dell’insediamento furono differenti perché gli italiani non giunsero in California prima della scoperta dell’oro alla fine degli anni Quaranta dell’Ottocento. Coloro che si stabilirono a San Francisco, però, disponevano in media di più ampie risorse finanziarie e probabilmente anche di maggiori capacità imprenditoriali, come attestato da una serie di esperienze di successo nel settore ittico, vitivinicolo e della commercializzazione all’ingrosso dei prodotti alimentari agricoli a partire dal caso di Domenico Ghirardelli alla metà dell’Ottocento (Fichera, 1995; Torretta 2009). Proprietario di un’industria di dolciumi e cioccolato, Ghirardelli fece fortuna ai tempi della corsa all’oro
non come cercatore, bensì rifornendo di generi alimentari ad alto contenuto calorico chi si avventurava alla ricerca dei filoni auriferi (Rolle, 2003, p. 235). Del resto, non pochi liguri diretti nella città californiana appartenevano a famiglie di ceto medio-alto ed erano stati spinti a emigrare non dalla povertà, ma da un’esigenza di riqualificazione economica che si intensificò dopo l’unificazione politica della penisola e la proclamazione del Regno d’Italia (Gibelli, 1994, p. 616).
Per gli italiani di San Francisco, dunque, l’inserimento nella società d’adozione fu in parte più semplice e anche alla fine dell’Ottocento, quando l’immigrazione aveva oramai raggiunto una dimensione di massa, le zone di insediamento riuscirono a conservare un aspetto meno squallido, congestionato e degradato – pure agli occhi degli ipercritici osservatori coevi – rispetto ai distretti dove vivevano i nuovi arrivati a New York (Serra, 1998). Una stima della relativa prosperità della comunità di San Francisco è stata fornita da Samuel L. Baily (1999, p. 227). Nel 1898 il capitale societario pro capite delle associazioni italo-americane di questa città rispetto al totale della popolazione di origine italiana era pari a 116 lire contro le 6,2