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Del populismo. Indicazioni di lettura
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E-book169 pagine2 ore

Del populismo. Indicazioni di lettura

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Per lo specifico tema di cui si occupa il libro, è stato come voler soddisfare il gusto di una ricerca che ha trovato una altra occasione per rivolgersi ad uno di quei sostrati di idee che stanno dietro la operazione identificatrice di un fenomeno. Nel caso del ‘populismo’ era necessario vedere come se ne fosse costruita una impalcatura concettuale che, ovviamente, non rimanesse sovrapposta alle manifestazioni storiche ed empiriche del fenomeno stesso. Di quali idee è portatore il ‘populismo’? Alla luce di quali idee se ne chiarisce meglio la natura? C’è un ‘populista’ “risentito”? Il “risentimento” è tra le componenti del ’populismo’? Si sono cercate le risposte a tali interrogativi interni ad una antropologia del ’populismo’, verificando al tempo stesso: a) in quali termini si è venuta ponendo una “questione populismo”; b) quali i nodi problematici di essa; c) dove trova giustificazione la vasta letteratura critica cui ha dato vita tale questione.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2012
ISBN9788881019243
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    Anteprima del libro

    Del populismo. Indicazioni di lettura - FRANCO CRISPINI

    VI)

    Per il lettore

    Il tema di questo libro non era tra i più familiari all’iter culturale di chi ha voluto trattarlo: esso era quasi naturalmente collocato in un altro territorio di idee e di questioni con cui di striscio l’Autore del libro aveva avuto a che fare. E tuttavia non si è trattato di una invasione di campo in quanto i contatti, pur sporadici, con quell’insieme di problemi, quanti ne chiama in scena il ‘populismo’, invogliavano, al seguito dei contributi critici venuti da altre aree di metodologie e specifici indirizzi di studio, a cercare una configurazione culturale ed eventuali spessori di idee al fondo del ‘populismo’. Ci si è quindi sentiti impegnati in un duplice compito: accertarsi in primo luogo di come veniva studiato il ‘populismo’ e del peso che acquistava in tale studio (di storia delle idee, di ricerca socio-antropologica, di teoria politica) la prospettiva che veniva scelta; non lasciarsi sfuggire, poi, come veniva ritagliata l’immagine stessa del ‘populismo’, con attenzione a quel che ne rimaneva escluso ma anche a come veniva composto e costruito un sistema di pensiero populista. Avere seguito queste direzioni di marcia, avere utilizzato tutta la propria esperienza di ricerca, avere assunto le chiavi di lettura proprie di una storiografia confinaria, di frontiera, forse tutto ciò ha compensato possibili omissioni e preferenze per aspetti che inerivano ai campi su cui si è sempre mosso l’Autore di questo libro. L’Autore, preso da quello che chiameremo un intento conoscitivo che desse al ‘populismo’ non una sua valenza empirica ma una cornice di nessi ed antecedenze, cioè gli assegnasse una dignità storico-critica, non ha approfondito quei riferimenti, quando essi emergevano, al comportamento della politica nei riguardi della invasione populista, in molti casi anche minacciosa (il caso recentissimo dell’attentato sanguinario ad Oslo del fanatico estremista Breivik, non è l’ultimo di quella che è una emergenza populista: di grande interesse quanto ce ne scrive Piero Ignazi, noto studioso dei fascismi europei, sulle pagine de L’Espresso, 4 Agosto 2011, pp. 70-72, col titolo Emergenza onda nera, ed una mappa dei Neonazisti, xenofobi, razzisti e populisti. Scrive Ignazi: si afferma così l’approccio populista della difesa dei piccoli contro i grandi, dell’uomo qualunque contro il circuito intellettuale-politico-mediatico, dei bisogni quotidiani contro le compatibilità economiche del sistema, degli onesti contro i disonesti.). Certo, nei tanti studi quasi sempre non viene sottolineata qualche formula politica per tenere a freno il ‘populismo’, non farlo maturare ed esplodere, quasi si trattasse di un bubbone. Accennata solamente era qualche soluzione estrema del tipo: rendere demagogica la democrazia per normalizzare il populismo; ma era solo per ribadire la negatività e la potenziale pericolosità del fenomeno ed esorcizzarne la carica eversiva verso le istituzioni democratiche.

    Un altro preavviso per l’eventuale lettore di un libro come alla fine questo è uscito strutturato: l’argomento di cui si occupa non appartiene a quel genere di temi che vanno lasciati unicamente ad interventi estemporanei di cronaca politica. Effettivamente, dove maggiormente si ricorre al termine populismo è nel campo delle letture della politica e dei suoi eventi, per classificare fenomeni cui si adatta poco ogni altro tipo di identificazione e qualificazione, ma è assai limitativo fermarsi qui, anche se in parte è qui il problema, e cioè: quali contenuti specifici vengono assunti sotto quel termine, i quali non ne trovano più un altro, che sia efficacemente definitorio?

    Abbiamo affrontato il problema del ‘populismo’ volendo soprattutto renderci conto di quale idea di esso è possibile farsene, a quali contenuti particolari esso rimandi. Avrebbe giovato a questo nostro proposito un quadro storico delle vicende politico-civili-sociali nelle varie realtà nazionali dei paesi europei e latino-americani nei quali ha messo piede, si è trasmesso ed ha attecchito il ‘populismo’? Descrivere in dettaglio le situazioni interne di tali Paesi, delle loro istituzioni, dei loro governi, avrebbe significato calcare la mano su tratti peculiari di distinti ‘populismi’, ma ci saremmo trovati di fronte ad una relativizzazione del fenomeno che non avrebbe consentito, se non per una sommatoria di caratteristiche, di accedere ad un profilo identitario meno fluttuante ed instabile.

    Sottratto ad un lessico che lo inchioda ad una ricorrente ed insistente banalizzazione, per non dire a molte ambivalenze (ad analoghe difficoltà ed equivoci si va certo incontro col termine democrazia: valga per questo quanto si ricava dal classico, prezioso libro di Giovanni Sartori, Democrazia e definizioni (1957)) il ‘populismo’, divenuto oggetto di studio e di analisi teorica, si riscatta quanto meno dagli usi impropri che hanno principalmente l’effetto di depolicizzarne la natura. In anni recenti, specie nella letteratura mediatica in Francia, si manifesta un atteggiamento di forte denuncia della minaccia rappresentata dal ‘populismo’: esso viene definito un male europeo, la legittimazione dell’istinto delle masse; si esprime preoccupazione per la tentazione e le derive populiste; il ‘populismo’ viene considerato una scommessa sulle pulsioni più che sulla ragione. E si potrebbe, in sede di un esame storico dei successi del ‘populismo’, cominciare, volendo un punto di partenza più recente, proprio dalla Francia dove i successi elettorali del Fronte nazionale e di Le Pen mostrano la imponenza e la invadenza del fenomeno. E permettono di studiarne le cause e le caratteristiche in relazione alle condizioni di questo Paese. Anche per l’Italia si parla di un cammino lineare dalla democrazia referendaria a quella plebiscitaria, poi a quella demagogica: quanto all’Italia è noto quel che è avvenuto dal 1992 in poi con i Berlusconi, i Bossi, e quanto di populista vi è stato nei loro progetti politici e di governo. Il populismo secessionista di un Bossi e della Lega Nord in Italia, rimanda quasi specularmente al rivendicazionismo-meridionalista-terronista con accenti separatisti, che rende ancora più velenosa la polemica Nord-Sud di questi ultimi anni (Al di là di ogni equazione populismo- terronismo, che si potrebbe far sorgere, getta luce su tanti problemi connessi il recente libro, per ancora altri versi importante, di Marco De Marco, Terronismo. Perché l’orgoglio (Sudista) e il pregiudizio (Nordista) stanno spaccando l’Italia in due, Rizzoli 2011).

    In Francia, particolarmente, si è sviluppata una ampia letteratura antipopulista in cui l’equazione ricorrente è quella populismo-demagogia. Ma con maggiore o minore svalutazione del ‘populismo’, nell’intento di capire perché mette radici nelle varie realtà politiche e sociali di questo o quel Paese europeo, dalla Francia col poujadismo (1953-1956) prima e poi con Le Pen, alla Gran Bretagna col powellismo, all’Italia col qualunquismo di Guglielmo Giannini (1945-1948), e successivamente la Lega Nord secessionista di Bossi, si tengono d’occhio dagli studiosi le riprese populistiche, dopo i populismi storici (il populismo russo nell’Ottocento, quello americano della fine dell’Ottocento) in Europa e nelle due Americhe. Dall’America latina, Argentina (Peron), Brasile (Gètulio Vargas), degli anni trenta-cinquanta del ’900, si trae del tutto un paradigma del ‘populismo’, insistendosi molto sulle somiglianze tra i populismi latino-americani ed i fascismi europei, per quanto non si manchi di notare che i regimi populisti latino-americani hanno una loro diversità (non sono totalitari, non sono collegati ad un partito-esercito, non fanno un indottrinamento di massa, si fondano su strati popolari urbani): questo è quanto emerge, ma vi sarebbe non poco da discutere, dalle analisi comparative di molti studiosi. Considerazioni negative si hanno anche, forse in modo più accentuato, per il ‘populismo di estrema destra nei Paesi Bassi, in Olanda, e così in Stati come la Danimarca, la Finlandia. È veramente considerevole il numero di studi che sotto forma di saggi ed articoli sono dedicati ai populismi nazionali ed a quello che dalle esperienze nei vari Paesi confluisce in una idea generale dell’orientamento populista; riassumerli tutti, raccogliere gli elementi di connotazione di un populismo messo alla prova di governo o che rimane una spina nel fianco dei sistemi democratici rappresentativi, è certamente necessario per individuare meglio la via che nel corso degli anni dall’Ottocento a tutto il Novecento fino ai nostri anni, viene percorrendo questa proposta politico-sociale con i suoi interpreti e portavoce accreditati, la quale esplode spesso con una sua carica antiistituzionale che coglie di sorpresa le classi di governo tradizionali. Per avere in sostanza in mano situazioni concrete della avanzata populista, niente di meglio dunque che ricorrere alle puntualizzazioni che vengono fatte dalla ricerca storica-sociologica sui diversi casi circoscritti i quali lasciano vedere in quali circostanze di fatto, nell’Argentina di un Peron, o nella Francia odierna di un Le Pen o nell’Italia di Bossi e di Berlusconi, il populismo assurge a dimensione politica di governo; ma proprio per questo perde una certa carica dirompente che portava in sé (il caso in Italia di un Bossi ministro è significativo). Sul leghismo ed il caso Bossi non sono mancate analisi specifiche e più recentemente ci pare di un certo interesse il libro di Lynda Dematteo, L’idiota in politica-Antropologia della Lega Nord, Feltrinelli, 2011, dove è dato un profilo del vero leader populista come un marpione che indossa la maschera carnevalesca del popolare contrapposto ai potenti.

    Capire quello che è come forza germinale antielitaria, antiintellettualista, antiistituzionale, antisistema, prima ancora che arrivi, dove ciò è avvenuto, ad avere una rappresentanza governativa, è ancora più significativo: il ‘populismo si fa forte del richiamo ad una originarietà e genuinità di istanze attinte ad una propria fonte di legittimazione, ma anche può aspirare a far penetrare i suoi valori nella organizzazione dello Stato, affinché la volontà popolare abbia un ruolo diretto e non mediato.

    L’opinione che la prima, diretta ed esclusiva fonte di legittimazione di ogni operato sociale e politico è la volontà del popolo che si rivela a chi (quell’uno di voi appunto) la sa leggere, interpretare e tradurre in azione politica, ha preso questo nome di ‘populismo’ e contraddistingue modi di finalizzare un disegno politico di cui se ne vanno sperimentando sempre più frequentemente gli effetti nelle società contemporanee. Oramai quando si parla di populismo in senso negativo o positivo bisogna stare attenti che la parola veicola una molteplicità di elementi ciascuno dei quali mette dentro referenti importanti.

    Usare la parola per seguire una moda semantica o avere la convinzione che usandola si vuole arrivare alla qualificazione di qualcosa? Togliere questi dubbi, e pensare di esservi riusciti, è anche uno degli scopi dell’essersi intrattenuti a lungo con i molti studi dedicati al ‘populismo’ nell’arco degli ultimi trenta quaranta anni.

    Un punto di arrivo di tutta la laboriosa indagine sul ‘populismo’ può essere così enunciato: il ‘populismo’ non nasce dal nulla, esso trae alimento da più parti, esso non è il nulla della politica. Che si sia pervenuti ad un tale risultato forse rappresenta un tentativo riuscito di tagliare un nodo storico e teorico insieme: mette in evidenza quel che il ‘populismo’ ha dietro di sé e tutto quello che porta racchiuso dentro di sé, il che ne fa un’altra delle vie di uscita della politica.

    I

    Idea e problemi del "populismo’ -

    Orientamenti di una ricerca

    Filoni, fonti e metodi di indagine - La questione populismo - Verso una ermeneutica del ‘populismo’

    0. Nel ripensare ad alcune pagine di Isaia Berlin, un grande storico delle idee, ed in particolare a The Romantic Revolution, in The Sense of reality[1] ed a quelle del più noto libro Vico and Herder. Two studies in the History of ideas[2], trovai alcune metafore ed alcune affermazioni sul ‘populismo’ tali da indurmi a voler fare una ricognizione su quello che si è potuto travasare nell’idea attuale di ‘populismo’ di quella tradizione cui faceva appello Berlin, la tradizione appunto dei Vico, degli Herder. Ovviamente non mi sono fermato qui, questo è uno solo di quegli aspetti su cui si concentrerà il mio esame poiché è su di uno sfondo culturale che vengono meglio alla luce elementi che potrebbero essere stati decisivi a strutturare la nozione di ‘populismo’. Due metafore di Berlin si incontrano molto frequentemente nella letteratura sul ‘populismo’: quella del cosiddetto complesso di Cenerentola a proposito di una definizione del fenomeno: non esiste una scarpa – la parola ‘populismo’ –, per la quale, da qualche parte, esista un piede adeguato. In un modo o nell’altro tutti i piedi vi si adattano, ma non bisogna lasciarci ingannare da quelli che vi si adattano più o meno bene. Il principe si porta sempre appresso la sua scarpa; e da qualche parte, si può esserne certi, ci aspetta qualcosa che si chiama il populismo puro. Si tratta del cuore del populismo, della sua essenza.[3]; l’altra è quella, che può valere quale indicazione delle vie metodologiche percorribili, del riccio e della volpe: La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande, un verso del poeta greco Archiloco di Paro, in cui Berlin vede l’abbozzo di una distinzione tra due tipi mentali: "il riccio tende a riportare ogni cosa ad una visione centralizzatrice, a un unico principio esplicativo, a una chiave universale; la volpe ha invece il gusto della molteplicità delle esperienze, esplora tutte le vie che si presentano, è una osservatrice infaticabile delle differenze, della diversità empirica, concreta, e manifesta una propensione

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