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Un figlio del sole
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E-book215 pagine3 ore

Un figlio del sole

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Info su questo ebook

Una storia di mare scritta da Jack London (1876-1916), ambientata nei mari del sud, piena di fascino e suggestione. Progatonista è il ricco avventuriero David Grief che nelle sue scorribande scopre un mondo leggendario nel quale vive avventure ed emozioni. Il romanzo fu scritto nel 1912 (titolo originale: 'A Son of the Sun').

Un figlio del sole - Sommario dei capitoli: Un figlio del sole - L'avventura del bevitore Aloisio Pankburn - I diavoli di Fuatino - I motteggiatori di New Gibbon - Un conticino da regolare con Swithin Hall - Una notte a Goboto - Penne di sole - Le perle di Parlay

Formattazione testo: si

Sommario cliccabile: si

Controllo ortografico: si

Eliminazione refusi: si
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2015
ISBN9788892529731
Un figlio del sole
Autore

Jack London

Jack London (1876-1916) was not only one of the highestpaid and most popular novelists and short-story writers of his day, he was strikingly handsome, full of laughter, and eager for adventure on land or sea. His stories of high adventure and firsthand experiences at sea, in Alaska, and in the fields and factories of California still appeal to millions of people around the world.

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    Anteprima del libro

    Un figlio del sole - Jack London

    Jack London

    Un figlio del sole

    Romanzo

    Gentile lettore,

    ti ringraziamo per aver scelto questo volume. Il testo di questo libro, acquisito da una copia originale tramite un software per il riconoscimento ottico dei caratteri, ha richiesto un accurato lavoro di preparazione: il testo è stato attentamente formattato, è stato eseguito il controllo ortografico sull'intero testo, con la verifica completa dei nomi propri (nominativi, località, ecc.). Inoltre, grazie ad un software originale (Refuse 1.0) sono stati individuati ed eliminati refusi ed anomalie presenti nel testo. Per ragioni organizzative non è però stato possibile procedere ad una lettura accurata, per questo sarà possibile trovare alcuni piccoli refusi (su singole lettere, segni di punteggiatura, ecc.) che siamo certi non intaccheranno la qualità della tua lettura.

    Ti chiediamo la tua collaborazione, e ti saremo grati se ci segnalerai i refusi che avrai modo di individuare nel corso della lettura. Con il tuo Kindle puoi comodamente evidenziare le parole da rivedere, utilizzando la semplice funzione presente sul tuo modello. (per info vedi: www.bibliotecastorica.org/refusi.html).

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    Per ringraziarti della gentile collaborazione, ti invieremo in omaggio due tra questi testi che ti segnaliamo:

    - Compendio di Psicologia, di Wilhelm Kundt

    - Esiste un'altra vita? di Alfred Russel Wallace

    - La sonnambula infanticida di Giuseppe Lapponi

    - Se mi salvo la vita è un caso. Diario di guerra (1919-1918) a cura di Federico Adamoli

    - Da San Martino a Mentana. Ricordi di un volontario garibaldino di Giulio Adamoli

    - Lettere dal fronte. La Grande Guerra raccontata nelle pagine del Corriere Abruzzese a cura di Federico Adamoli

    - Memorie del risorgimento teramano

    - Povero Braga! Le memorie autobiografiche del re del violoncello

    Nel ringraziarti dell'attenzione ti auguriamo una buona lettura con il tuo Kindle.

    Biblioteca Storica - collezione di testi digitali

    Lo staff

    Sommario dei capitoli

    Un figlio del sole

    L'avventura del bevitore Aloisio Pankburn

    I diavoli di Fuatino

    I motteggiatori di New Gibbon

    Un conticino da regolare con Swithin Hall

    Una notte a Goboto

    Penne di sole

    Le perle di Parlay

    CAPITOLO I.

    Un figlio del sole

    I.

    Il battello «Willi-Waw» era ancorato tra la scogliera a riva e l'altra più al largo. Da quest'ultima giungeva il sommesso mormorio della risacca; mentre lo specchio dell'acqua più vicino alla riva, al riparo di circa un centinaio di metri dalla sabbia corallina, aveva la trasparenza del vetro.

    Nel breve interspazio fra le due scogliere, la «Willi-Waw» galleggiava a fior d'acqua facendo oscillare la catena d'ammarraggio, giù per cento buoni piedi. I lenti serpeggiamenti della rugginosa catena, formavano spire e spire come di serpe sino a raggiungere l'ancora immota.

    Grandi merluzzi bruni e screziati giocavano cautamente tra i coralli. Altri pesci, grotteschi di forma e di colore, se ne stavano immoti, anche quando un pescecane appariva pigramente obbligando solamente i merluzzi a rintanarsi negli antri scuri.

    Sul ponte, c'erano dei negri intenti a lavorare intorno al parapetto di legno in un modo talmente goffo da richiamare gli atteggiamenti della scimmia, ma d'un tipo più sviluppato quale doveva essere stato preistoricamente. I loro occhi avevano difatti l'espressione caratteristica di questi animali e così il loro viso, tranne il corpo, però, nudo e lucente, privo di peli a differenza di quello della scimmia. Alle orecchie portavano piccole pipe di argilla, anelli di tartaruga, grossissime scheggie di legno, sottili chiodi arrugginiti, cartuccie vuote di carabina. Nessuno dei buchi che traforavano le loro orecchie era minore di larghezza del calibro di una Winchester; taluni, difatti, avevano il diametro addirittura di un pollice ed ogni orecchia aveva in media da tre a sei buchi. Spine, stiletti e bacchette appuntite di osso levigato pendevano dalle loro narici. Al petto d'uno era sospesa una maniglia tonda di porta, al petto d'un altro il manico d'una tazza di porcellana, al petto d'un terzo la ruota dentata d'una sveglia. Chiacchieravano tutti insieme con curiose intonazioni gutturali, e tutti insieme non facevano più lavoro di quanto ne avrebbe fatto un solo marinaio bianco.

    A poppa, sotto una tenda, v'erano due uomini bianchi, vestiti con una camiciola ordinaria e con i lombi avvolti in una fascia; alla vita poi portavano una cintura da cui pendevano la rivoltella e la borsa del tabacco. Il sudore, sulla loro pelle, in goccioline minute, si fondeva qua e là in sottili rigagnoli e colava sui ponte infocato svaporando quasi subito.

    Quello dei due uomini che aveva gli occhi neri, si passava ogni tanto sulla fronte la mano, masticando delle solenni maledizioni. Tediato, guardava la scogliera più discosta dalla riva e la cima delle palme lungo la spiaggia.

    — Sono le otto e il calore aumenterà sempre più sino a mezzogiorno. Bisognerebbe che Dio ci mandasse un po' di brezza, altrimenti non si partirà più di qui.

    L'altro, un tipo di tedesco slanciato, sui venticinque, dalla fronte spaziosa di intelligente e dal mento irregolare di degenerato, non si diede la briga di rispondere, trovandosi occupato a versare polvere di chinino dentro una cartina da sigarette. Arrotolata che ebbe la polvere della droga, cacciò la pillola in bocca e l'inghiottì senz'acqua.

    — Potessi avere un po' di whiskey — gemette il primo uomo dopo un intervallo di silenzio. L'altro non rispose e dopo qualche tempo, senza alcun nesso, disse:

    — Sono sfinito dalla febbre, Vi debbo lasciare, Griffiths, allorché arriveremo a Sydney. Basta coi tropici. Avrei dovuto esser meglio informato prima di firmare il contratto con voi.

    — Non siete stato un buon pilota, — rispose Griffiths, in tono estenuato per l'eccessivo caldo. — Quando seppero alla spiaggia di Guvutu che vi eravate imbarcato con me, tutti risero. «Che, Jacobsen! — dicevano — Non potrete nascondere una piccola dose di gin di marca o di acido solforico senza che egli la scovi al fiuto.» Ed avete proprio operato secondo la fama, prosciugando le mie provviste di quindici giorni ed ora sono rimasto senza nulla da bere.

    — Se aveste una febbre violenta come la mia, allora lo capireste — rispose lamentandosi il pilota.

    — Io non lo nego — continuò Griffiths. — Solamente, prego il buon Dio affinché mi mandi qualcosa da bere, o un soffio di vento, o altro del genere, perché sento che sarò attaccato da una nuova febbre domani stesso.

    Il pilota gli porse allora il chinino, dopo averne preparata una dose di cinquanta grani che Griffiths inghiottì asciutta.

    — Dio, Dio! — sospirò; — sogno una terra in qualunque posto in cui non vi sia più bisogno di chinino. Maledetta droga! Ne ho ingoiata a tonnellate in vita mia!

    Nuovamente guardò verso il largo per osservare se le solite nuvole apportatrici di vento apparissero. Ma non ve n'era traccia; e il sole tuttora basso nella sua ascesa, infocava la volta celeste come un braciere, dando persino l'impressione di vederne e sentirne il fuoco. Anche Griffiths cercava invano sollievo guardando verso la spiaggia, così abbagliante da dare alle sue pupille una molestissima sensazione di bruciore.

    I palmizi immobili s'inquadravano uniformi sul verde sfondo arsiccio della fitta giungla, formando un paesaggio che sembrava di cartone. I ragazzi negri, che giocavano nudi fra il luccichio della sabbia e del sole, irritavano l'uomo soffocato dal calore tropicale e ne aumentavano le sofferenze; ed egli provava un certo sollievo quando l'uno o l'altro di essi inciampava nel correre, andando a cadere disteso nella calda onda marina.

    Un'esclamazione dei negri che si trovavano davanti ai due bianchi attirò l'attenzione di questi dalla parte del mare. Intorno alla vicina punta di terra, alla distanza d'un quarto di miglio, rasente la scogliera, una nera piroga spuntava all'orizzonte.

    — Uomini della tribù dei Gooma, della baia vicina, — sentenziò il comandante in seconda.

    Uno dei negri venne a poppa camminando a piedi nudi sopra coperta con suprema indifferenza per il suolo ardente. Anche questo particolare urtò Griffiths, che chiuse gli occhi, dapprima, per spalancarli subito dopo.

    — Il padrone bianco arriva con gente della tribù dei Gooma, — disse il negro.

    Entrambi gli uomini furono in piedi, per fissare la piroga. A poppa, potevasi scorgere l'inequivocabile cappello d'un uomo bianco. L'allarme si dipinse sul viso del comandante in seconda.

    — E' Grief, — disse.

    Griffiths guardò a lungo, poi scagliò una violenta esclamazione.

    — Che vuole mai da queste parti? — chiese esasperato al secondo, al greve mare e al cielo, alla spietata vampa solare e a tutto l'universo infocato e implacabile da cui dipendeva la sua sorte.

    Il comandante in seconda cominciò a sghignazzare.

    — Ve l'avevo detto che non sarebbe partito col debito, — disse.

    Ma Griffiths non l'ascoltava.

    — Con tutto il suo danaro, venirmi tra i piedi come un esattore! — così esclamava Griffiths, in un indicibile sfogo d'indignazione. — Carico di danaro, rimpinzato di danaro; so inoltre di positivo che ha venduto le sue piantagioni d'Yringa per trecentomila sterline. Me lo disse Bell l'ultima volta che fummo ubbriachi insieme a Guvutu. Possiede milioni e milioni e insegue me per un'inezia che non gli basterebbe neppure per accendere la pipa. — Poi investì il secondo, dicendogli: — Voi me l'avevate detto. Vediamo se vi sentite ora di sostenere la situazione con Grief, il quale viene proprio per questa misera inezia. Anzi, come accadde che si parlò di Grief?

    — Vi dicevo che non lo conoscevate troppo bene per potervi lusingare di lasciare le isole Solomons senza pagarlo. Quel Grief è un diavolo, ma è franco. Io lo conosco. Vi dissi ch'è capace di buttar via migliaia di lire per uno scherzo, e di lottare per un paio di lire come uno spilorcio per una latta arrugginita; io ne so qualcosa. Non sapete che regalò la sua nave «Balakula» alla Missione del Queensland quando perdette la propria «Stella Vespertina» sulla costa di San Cristobal? Così, come se la «Balakula» costasse quaranta centesimi invece di trecentomila lire come costa davvero! Ma, per contro diede un sacco di botte a Strothers, da metterlo a letto per quindici giorni, per una differenza di conto di due sterline e dieci scellini; e perché inoltre Strothers aveva tentato di ottenere la sgorbia per sopramercato?

    — Dio mi acciechi subito! — esclamò Griffiths in un impeto di rabbia impotente.

    Il comandante continuò la narrazione.

    — Vi dico io che per metterlo nel sacco ci vuole una pellaccia come la sua; finora non ne conosco neppur una alle isole Solomons. Gente come voi e me, non sono in grado di fargliela. Tutto sommato, noi non la spuntiamo. Voi avete in disparte ben più di milleduecento; pagatelo e che la sia finita.

    — Io lo metto nel sacco, — mormoro Griffiths, rivolgendosi più a se stesso e all'infocata sfera solare che al proprio compagno. Si voltò come per andarsene, ma poi ristette e disse a Jacobsen: — Sentite, Grief non rimarrà qui che un quarto d'ora. Siete con me? Volete assistermi?

    — Certo, vi assisterò. Non ho io bevuto tutto il vostro whiskey? Che cosa progettate di fare ?

    — Non lo ammazzerò, se potrò evitarlo. Ma per pagare, non pago; assolutamente.

    Jacobsen scrollò le spalle in tono di tranquilla rassegnazione al proprio destino e Griffiths si avviò verso la sala per scendere sul ponte di poppa.

    II.

    Jacobsen stette a guardare la piroga che traversava la bassa scogliera e giungeva sino all'imbocco della rada. Griffiths, con il pollice e l'indice macchiati d'inchiostro, ritornò sopra coperta. Quindici minuti dopo, la canoa era giunta. L'uomo bianco dal cappello si alzò.

    — Evviva, Griffiths! — diss'egli. — Evviva, Jacobsen! — Con la mano sul parapetto, si rivolse alla sua fosca ciurma, gridando: — Voialtri, ragazzi, rimanete tutti quanti sulla piroga.

    Poi, balzando sopra il parapetto e avanzandosi sopra coperta, mostrò un'agilità felina, sebbene il suo corpo fosse pesante. Al pari degli altri due, era vestito sommariamente. Portava la camiciola ordinaria e la bianca tunica succinta. Possedeva buoni muscoli, senza per questo apparire tozzo o pesante. Anzi, i suoi muscoli mostravano una giusta rotondità e ad ogni momento si profilavano sotto la liscia pelle abbronzata. Il sole dei torridi climi aveva pure imbrunito il suo viso come quello d'uno spagnuolo; i baffi giallognoli nel mezzo del viso abbronzato facevano un'impressione un po' strana; ma il chiaro celeste dei suoi occhi produceva addirittura un senso di stupefazione. Si stentava a persuadersi che la carnagione di quest'uomo dovesse un tempo essere stata bianca.

    — Donde diavolo cascate giù? — gli chiese Griffiths mentre si stringevano la mano. — Vi credevo lassù, a Santa Cruz.

    — Ci sono stato, — rispose il nuovo venuto. — Ma abbiamo avuto una traversata rapida. Il «Meraviglia» è appunto qua nella baia di Gooma, in attesa del vento favorevole. Alcuni selvaggi mi segnalarono la presenza di questa tartana ed io sono venuto: a curiosare. Come va?

    — Non c'è un gran che di nuovo. Le capanne per le noci di cocco sono quasi tutte vuote; e le noci di avorio non ammontano neppure a una mezza dozzina di tonnellate. Le donne sono sfinite dalla febbre e gli uomini non possono ricacciarle nelle paludi; è tutta una massa di gente malata. Vorrei offrirvi da bere, ma il mio comandante in seconda ha esaurito la mia ultima bottiglia. Volesse il Cielo concederci un po' di vento!

    Grief, che stava scrutando con ardita noncuranza or l'uno or l'altro, rise.

    — Ed io mi rallegro di questa calma, che mi ha permesso di venirvi a vedere. Il mio carico eccessivo ha portato a galla questo conticino ed io ve l'ho portato.

    Il comandante in seconda si appartò con discrezione, lasciando il proprio capitano alle prese con quell'imbroglio.

    — Quanto mi spiace, Grief, ma quanto, di dovervi dire che non ho mezzi. Dovreste proprio darmi ancora un po' di respiro.

    Grief si appoggiò alla scala, con un'espressione di sorpresa è di pena.

    E' una gran vergogna, — esclamò con tono convinto, — che la gente impari a mentire così qui, alle isole Solomons. Non c'è addirittura sincerità. Vedete un po' il Capitano Jensen; avrei giurato sulla sua franchezza; non sono che cinque giorni ch'ebbe a riferirmi... volete sapere che cosa?

    Griffiths si morse le labbra.

    — Continuate.

    — Ecco, mi disse che avevate liquidato tutto, fatto fagotto e stavate per andare nelle Nuove Ebridi.

    — E' un dannato mentitore! — grido Griffiths eccitato.

    Grief assentì.

    — Pare anche a me. Ebbe persino la sfrontatezza di confermarmi che aveva acquistate due delle vostre stazioni e cioè Mauri e Kahula. Disse anche di avervi pagato mille e settecento sovrane d'oro, per il deposito, l'avviamento, i crediti, e così via.

    Gli occhi di Griffiths si rimpicciolivano lampeggiando e Grief notava tutto questo.

    — E Parsons, il vostro amministratore a Hickimavi, mi riferì che la Compagnia Fulerum aveva acquistato la vostra stazione di quella località. Ora, quale scopo avrebbe avuto di mentire?

    Griffiths, sovreccitato dal sole e dal disagio fisico, esplose. Tutta l'amarezza dell'animo si dipinse nel suo viso e gli contorse la bocca in una smorfia.

    — Sentite, Grief, a che giova giocare con me in questo modo? — rispose grugnendo. — Voi sapete, ed io so che voi sapete; facciamola finita; ho veramente liquidato, e sto per andar via; e voi, che cosa volete?

    Grief scrollò le spalle, senza che sul suo viso trasparisse alcuna risoluzione. La sua espressione era quella d'un uomo che si trova nell'imbarazzo.

    — Qui non c'è legge, — insisté Griffiths, cercando di guadagnar terreno. — Tulagi è distante centocinquanta miglia. Ho il mio bravo certificato di regolare rilascio e mi trovo nel mio bastimento; nulla mi può impedire di salpare e voi non avete il diritto di trattenermi per quella bazzecola che vi devo; e per Dio! non mi potete fermare; mettetevelo bene in mente.

    L'aspetto di penosa sorpresa si accentuava sul viso di Grief.

    — Voi volete dire, Griffiths, che intendete derubarmi di quelle milleduecento...

    — Proprio così stanno le cose, caro signore; e le parole grosse non gioveranno proprio a nulla; ecco il vento favorevole che arriva in buon punto. Farete bene a ritornare a bordo prima ch'io levi l'ancora, altrimenti vi rovescierò la canoa.

    — Ma sì, Griffiths, avete quasi ragione. Non posso fermarvi, — riprese Grief mentre rovistava con le dita nel taschino della cintura; poi ne trasse una carta gualcita, che era un documento .

    — Ma può darsi — disse — che queste vi possa fermare. E' qualcosa di più persuasivo anche per voi.

    — Che sarebbe?

    — Un ordine dell'Ammiragliato. Il vostro tragitto alle Nuove Ebridi non vi salva. Ovunque può essere eseguito.

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