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Tünde & Tamm,(La fata e la quercia)
Tünde & Tamm,(La fata e la quercia)
Tünde & Tamm,(La fata e la quercia)
E-book326 pagine5 ore

Tünde & Tamm,(La fata e la quercia)

Di Rema

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Info su questo ebook

Rema, un imprenditore italiano, dopo il crollo dell’Unione Sovietica si reca ripetutamente in Ungheria e in Estonia per espandere le attività della sua azienda e consolidare lo sviluppo delle società delle quali ha acquisito la partecipazione. Alle prese con le differenze culturali, economiche e sociali dell’Europa dell’Est, egli osserva con sguardo non prevenuto l’eredità del socialismo reale, facendo affidamento sul suo pragmatismo per affrontare, talora con ironia, i problemi che incontra nei suoi rapporti umani e imprenditoriali con un mondo del lavoro impegnato nella transizione all’economia occidentale.

Nel corso dei suoi viaggi Rema si imbatte in due personaggi singolari: Tünde, la “Fata”, un’ungherese ricca e di nobili origini, e Tamm, la “Quercia”, un ingegnere estone di modeste condizioni. Distanti per nazionalità, ceto sociale, cultura e valori, i due hanno vissuto esperienze che li accomunano: entrambi, giovani idealisti, sia pure su versanti opposti (Tamm ha collaborato con i tedeschi durante la guerra, Tünde è stata una fervente comunista nel primo dopoguerra), hanno dovuto fare i conti con la tragedia della repressione sovietica negli anni della Guerra Fredda.

Attraverso la narrazione dei suoi due nuovi amici, Rema non solo arricchisce la sua esperienza umana, ma ricostruisce il clima in cui si è formata la società dell’Est europeo nella quale si trova ad operare e riesce a comprenderne meglio i timori, le aspirazioni e le speranze.

LinguaItaliano
EditoreRema
Data di uscita14 feb 2016
ISBN9788892549852
Tünde & Tamm,(La fata e la quercia)

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    Anteprima del libro

    Tünde & Tamm,(La fata e la quercia) - Rema

    quercia)

    Copyright

    Titolo del libro: Tünde & Tamm (La fata e la quercia)

    Autore: Rema

    © 2015, Rema

    rema@outlook.it

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore.

    Prefazione

    Prefazione

    Questo romanzo, parte biografico, nasce da ricordi di persone eccezionali conosciute in città che per me, rimangono due delle più belle di Europa: Budapest e Tallinn, che ho frequentato per diversi anni. Budapest riveste un fascino antico pur vivendo in una frenesia attuale. Gli ungheresi sono un popolo allegro e nello stesso tempo triste, come lo possono testimoniare le loro canzoni, i violini e le loro musiche zigane. La Budapest post sovietica, dopo i primi momenti di euforia si è trovata a dover affrontare il cambio di regime con notevoli difficoltà. Il mondo capitalista che così tanto li aveva affascinati, ora stava travolgendo alcune certezze ed alcune aspirazioni. Prendendo spunto da questa situazione mi allaccio a questo periodo ed agli incontri con diverse persone, a vari livelli, che mi hanno spinto a cercare di rivedere, con uno spirito più sereno e distaccato quei momenti. La storia di Tünde, tra realtà e fantasia mi ha riportato a quei tempi. La gente, la cultura, l’economia, la vita con tutti i suoi lati positivi e negativi, portano questa leggiadra signora, non più giovanissima, a vivere questo nuovo momento, con un ricordo lancinante che non l’ha abbandonata per tutta la vita. Il nome Tünde deriva da una fiaba del celebre poeta ungherese Mihály Vörösmarty (1800 – 1855) Csongor és Tünde ed ha il significato di fata.

    Tamm, la cui traduzione dall’estone è quercia è invece un vecchio estone di Tallinn, che con altri criteri vive la nuova libertà acquisita con altri spunti, con altre esperienze e visioni del passato e del futuro.

    I racconti li ho raccolti tra la metà del 1992 e del 1993 tra Budapest e Tallinn. I personaggi, parzialmente immaginari, sono una ricerca di fotografare il periodo e vederli nei luoghi, assolutamente reali alcune volte belli ed altrettante volte miserabili. L’Ungheria e l’Estonia, due paesi lontani tra loro, legati forse dalla lingua ugrofinnica, ma per entrambi, il fattore comune è la volontà, a tutti i costi, di voler recuperare la libertà. La libertà alla quale hanno sempre anelato tutti, con quanto questo comporta di positivo e negativo. Sia il popolo ungherese sia l’estone hanno una dignità degna di encomio.

    Rema

    Un incontro interessante

    Tallinn

    Capitolo 2

    Arrivai a Tallinn dopo aver preso un volo Milano -Stoccolma -Tallinn, rischiando di perdere la coincidenza a Stoccolma per un ritardo in partenza a Milano. Era il 22 giugno 1992 e l’Estonia in questo mese è veramente meravigliosa, verde con moltissimi fiori variopinti, un paese meritevole di essere visitato. Ad aspettarmi c’erano Oleg e Viktor, i miei due soci nella Atemi a Narva, città a 220 km. da Tallinn, al confine con la Russia ed a 180 Km. da San Pietroburgo (Leningrado, cambiato il 6 settembre 1991, nel antico nome). Avevo terminato l’acquisizione della Atemi, da tre mesi, era qualcosa che avevamo valutato interessante per un ulteriore diversificazione della produzione. Data l’ora le 19,30 i miei due partner avevano deciso di fermarsi a dormire a Tallinn e proseguire il giorno dopo per Narva. Avevano fissato per me una camera, all’allora uno dei due hotel decenti, il Virus, ai piedi della Toompea, la collina che domina Tallinn. Oggi a Tallinn ci sono ottimi hotel.

    Entrai in Hotel e fatta la registrazione e depositato il mio bagaglio scesi a raggiungere Oleg e Viktor.

    Oleg, presidente della società, laureato in ingegneria, alto e slanciato, un bel viso ovale contornato da capelli e barba neri ben curati. Una fronte ampia su due occhi neri ed espressivi, un naso dal profilo greco, 40 anni. Vedendolo non sembrava in assoluto un russo, sebbene il padre fosse moscovita e la madre siberiana. Il suo inglese era molto stentato e spesso si rivolgeva in russo al suo vice, Viktor, per accelerare le spiegazioni. Intelligente ma incredibilmente infantile e privo di qualsiasi diplomazia. Se doveva dare dello stupido ad uno, non ci girava intorno … glielo diceva. Va benissimo essere diretti, ma in alcuni casi è meglio andarci piano.

    Viktor, altrettanto alto e slanciato, un viso da corvo, con un paio di occhiali scuri che non permettevano di vedere il colore degli occhi, un naso importante, labbra sottili e capelli neri corvini, 46 anni. Pure lui russo, laureato in Filologia, parlava perfettamente un inglese oxfordiano, senza mai essere stato in Inghilterra, francese quasi perfetto e tedesco, lingua con la quale in generale parlavamo.

    I due con l’indipendenza dell’Estonia, avevano tentato la scalata alla società, della quale erano manager, con il mio aiuto. Era un’operazione interessante, ma altrettanto difficoltosa, perché le leggi erano in continua rivisitazione e nessuno sapeva fino a dove ci si poteva muovere.

    Il prezzo d’acquisizione era veramente la così detta pipa di tabacco, però c’erano anche dei problemi notevoli di rimessa in moto di un’azienda. Negli ultimi due anni non avevano fatto più di tanto per la manutenzione del macchinario e degli impianti.

    L’atto notarile, che sanciva l’acquisizione, da parte della mia società, del 95%, dell’Atemi, era stato fatto in quattro lingue: estone, russo, italiano ed inglese a fine febbraio di quell’anno.

    La povertà del paese, in quel tempo, era estrema, nei pochi ristoranti, si era quasi obbligati a pagare anticipatamente per poter permettere al proprietario di acquistare il mangiare. Questo succedeva soprattutto nei paesi e città come Narva, Tartu,Kohtla-Järve, Pärnu ed altre ancora. Il 20 agosto 1991 quando l’Estonia ottenne la sua indipendenza sul territorio solo il 45% era Estone e la popolazione era di un milione seicentomila abitanti, oggi non raggiunge il milione quattrocentomila, molti russi, trovatisi in minoranza, sono ritornati nella madre patria ed altri hanno lasciato il paese per problemi, all’epoca, di occupazione e di non essere troppo amati. La lingua ufficiale, l’estone, lingua ugrofinnica è stata imposta a chi ha voluto prendere la cittadinanza estone. Costoro hanno dovuto passare un esame di lingua per ottenerla. Fino al 2002 le proprietà degli stabili era dei privati ed il terreno dello Stato. Un problema, che meritava attenzione, in quanto ci si trovava nel impasse di non poter attuare variazioni, su qualcosa che non apparteneva totalmente. La mano d’opera era estremamente pulita, intelligente, volenterosa e valida. Il costo, come in Ungheria, era di uno a venti rispetto al nostro. Destinato a salire rapidamente dal 1996 ad oggi. Allora (1992) costava circa 250.000 lire (€ 130,00) al mese oggi siamo a circa 1.000,00 € al mese.

    In quel momento c’era una voglia quasi struggente di rimontare il tempo perso, la dignità e la volontà erano quasi commoventi.

    Uno dei problemi enormi era modificare il modo di pensare dei dirigenti (per la maggior parte russi), legati a schemi, che in un mercato sempre più globalizzato, non potevano più sussistere. Ricordo che mi sono trovato a dover spiegare a Viktor, che si occupava dei costi e (stranamente) delle vendite, che non poteva aggiungere ai costi di produzione le spese di un suo viaggio in Olanda. Questo aumentava eccessivamente i prezzi, che anche se competitivi, li portava a non esserlo più di tanto.

    Nel primo bilancio della società, eravamo sicuri che non potesse esserci utile, ma Viktor si sentì in dovere discrivere come giustificativo, nel rendiconto degli amministratori: "Theloss is dueto the changeof the old and safety communist system, in thenew crazycapitalist system (La perdita è dovuta al cambio, dal vecchio e sicuro sistema comunista, al nuovo pazzo sistema capitalista) …". La cosa mi incuriosì e volevo capire il perché di questa dizione, che non aveva nessun giustificativo ragionieristico e legale.

    La spiegazione fu esplicita e logica: Rema, prima avevamo una produzione di sei modelli, che era totalmente assorbita e pagata dallo stato. Ora, abbiamo 100 modelli e l’incertezza di poterli vendere e di incassare il dovuto. Come vuoi chiamarlo questo stato di cose?. In senso obbiettivo aveva ragione, ma il mercato era cambiato e non potevamo pensare di tornare indietro.

    Quella sera andammo a cenare in una pizzeria italiana La stella dei venti in un vicolo della vecchia Tallinn, nei pressi delle mura medievali. Dopo aver mangiato facemmo quattro passi e ci portammo sulla bella piazza del comune (Raekoja Plats) dove ci sono ancora due edifici di puro stile gotico, rimasti quasi unici nel nord Europa. Il palazzo comunale e la Raeapteek (Farmacia comunale) una delle più vecchie in Europa (1422). Poi salimmo alla sede del parlamento estone e di lì al Pikk jalg la piazza antistante la chiesa ortodossa di Aleksandr Nevskij, da dove si gode una gradevole vista della città e del suo porto.

    Stavamo scendendo dalla collina di Toompea, quando al angolo della Puhavaimu Kirik, (chiesa gotica del XIV secolo, il suo orologio è il più antico di Tallinn, 1684, mentre la sua torre è datata 1433), vidi un ombra che si muoveva scompostamente, molto piano.

    La curiosità mi spinse ad avvicinarmi all’ombra e, non vi nascondo che rimasi molto colpito. L’uomo, molto alto, anche se leggermente curvato dagli anni, sembrava un essere uscito dalle mura medioevali che ci circondavano. I capelli lunghi e bianchi incorniciavano un viso pieno di rughe. La fronte alta, le sopracciglia cespugliose bianche, gli occhi di un azzurro intenso sopra un naso regolare e la barba lunga ma curata, pure essa bianca, nascondeva completamente le labbra. Il vestiario era di buona foggia, ma sicuramente di tanti anni prima. L’ombra si fermò e mi scrutò come io scrutavo lui. Una voce che sembrava uscire dalle caverne, ma ben modulata e decisamente vigorosa si rivolse a me in tedesco (con una leggera inflessione svizzero-tedesca), chiedendomi: Posso fare qualcosa per lei? Alle 23,30 a Tallinn, trovare qualcuno che parlava svizzero tedesco mi lasciò veramente sbalordito. Dopo il primo attimo di incertezza risposi prontamente: No signore, mi scusi ma la curiosità nel vedere un ombra che si muoveva, quasi di soppiatto, mi ha incuriosito. Posso chiederle come mai parla lo svizzero tedesco e perché si è rivolto a me in questa lingua? La risposta immediata fu: "Vede signore, ho sentito che poneva la domanda al suo amico in tedesco, che ho imparato lavorando nell’antica azienda di A.L. e P.M. Arnold era uno svizzero ed è lui che mi apprese la lingua. Il mio nome è Markus Tamm". Mi presentai a mia volta e presentai i miei due soci. D’istinto gli chiesi se potevo offrire il bicchiere della staffa. Dopo una breve esitazione accettò e fu lui che ci portò in un Bar, non molto distante, sulla Saia Kaik o Saiakang (Via del pane) vicina alla Raekoja Plats. Una volta seduti ad un tavolo, che aveva decisamente visto tempi migliori, chiesi cosa beveva, e con stupore dei miei compagni e mio, ordinò un bicchiere di vino rosso. Lo stupore era perché, generalmente a quella latitudine, era più facile che si bevesse della birra o della Vodka. I miei due compagni ordinarono Vodka ed io tenni compagnia al vecchio con un bicchiere di vino, tra parentesi era un buon Bordeaux.

    I miei due compagni, cominciavano a dar segni di stanchezza, quel pomeriggio avevano guidato da Narva a Tallinn e non erano abituati, ed il mattino dopo dovevamo partire alle sei. Così, finita la Vodka, li ringraziai e li invitai ad andare pure a dormire, ci saremmo visti la mattina dopo alle sei.

    Rimasto solo con Tamm, cominciammo a parlare del più e del meno e devo dire che il suo colloquiare era interessante, denotava una certa attenzione e cultura. Così mi venne spontaneo chiedergli del suo passato. Lui dopo essersi schiarita la voce cominciò: "Sono nato qui vicino, nel 1918, in piena guerra tra russi ed estoni. La mia famiglia, che lavorava per dei mercanti di stoffe, fu obbligata a trasferirsi in un paesino, dai miei nonni, che come contadini riuscivano ancora a sopravvivere. Nel 1920, appena finita la guerra e l’Estonia era nuovamente libera, i miei ritornarono a Tallinn e cercarono di rimettere in piedi quel che era rimasto. I mercanti, presso i quali avevano lavorato, ripresero la loro attività ed i miei ricominciarono la loro vita di sempre. Io ero il terzo di cinque figli, tre maschi e due femmine. Ebbi la fortuna di riuscire bene a scuola ed alle scuole superiori, un professore, parente di mia madre, mi prese in simpatia ed una sera si recò dai miei dicendo che avrebbe provveduto lui ai miei studi e mantenimento. Come tutti i ragazzi di quel tempo, nelle case come la mia, si era abituati a darsi da fare per aiutare la famiglia. Una bocca in meno da sfamare, significava anche un paio di braccia in meno che contribuivano alla sopravvivenza della famiglia. Però il professore fu talmente convincente che detto fatto, nell’arco di poco tempo, mi trasferii a casa sua in un elegante quartiere di Tallinn, non tanto distante dall’attuale ambasciata tedesca, che era appartenuta ad un barone tedesco. Avevo vent’anni quando, al secondo anno di Ingegneria, incontrai il signor Arnold L. socio svizzero, del signor Paul M., estone. Loro avevano creato una società che si occupava della rivendita di vini e alcolici che stava andando abbastanza bene. Essendo la mia situazione con il professore, arrivata ad uno stallo, le sue idee politiche non coincidevano con le mie e le discussioni stavano diventando sempre più aspre e la minaccia di buttarmi fuori casa era quasi costante. Così presi la palla al balzo ed accettai il lavoro che mi veniva offerto, più una piccola camera vicino al deposito. Ordinammo un altro bicchiere di vino e lui ripreseil suo racconto: Frequentavo l’Università e lavoravo ed ogni tanto riuscivo a trovare il tempo anche per ascoltare alcuni miei amici studenti che parlavano di politica schierati con le idee di Marx. Arnold m’insegnava la sua lingua durante i momenti di pausa ed io pensavo di aver toccato il cielo. Qui la sua voce s’incrinò e, scusandosi, si alzò di scatto e mi disse: Devo assolutamente tornare a casa, la mia malattia ha degli attacchi, che mi obbligano a farmi delle iniezioni nel giro di pochi minuti. Se ripassa da Tallinn mi farebbe piacere rivederla …" Mi porse un foglietto con scritto a mano; il suo nome ed indirizzo e scomparve.

    Non mi restò che pagare ed andarmene a dormire quelle poche ore che mi rimanevano alla sveglia.

    Il mattino dopo partimmo alle sei per Narva, avevo dormito si e no quattro ore ed ad un certo punto, mentre Oleg guidava ed io disquisivo con Viktor, mi addormentai profondamente.

    Il tratto di circa 220 Km, che separa Tallinn da Narva, se ci fosse l’autostrada lo si compierebbe abbastanza velocemente. Essendo strada normale con un limite di 90 Km. orari di velocità, quando non scendono a 50, ed i molti controlli di polizia, fan sì che bisogna considerare circa 3 ore.

    Mi svegliai di soprassalto quando Oleg, non ottimo autista, fece un’improvvisa brusca frenata. Intravvidi un’animale enorme che stava lentamente attraversando la strada. Mi svegliai di colpo e guardai incuriosito quel insolito animale. Era un’enorme alce, genere abbastanza comune al Nord. Era la prima volta che lo vedevo così da vicino e vi garantisco che è enorme, più alto di un cavallo da tiro, un muso lungo e quasi buffo, che continua a muovere la bocca ruminando ed è timidissimo. Ci guardò con sguardo incuriosito e poi, a passi lenti, si inoltrò nel bosco che fiancheggiava la strada. Non eravamo molto distanti da Narva, ancora 60 Km. Lo lessi sa un cartello che indicava il bivio di Kohtla-Järvea pochi Km.

    Sia Oleg sia Viktor, mi chiesero, con tono di presa in giro, se l’incontro della sera prima, con Tamm fosse stato interessante.

    Risposi senz’altro di sì e che anche il vino era buono e capii che non comprendevano quanto avevo fatto.

    Narva

    Capitolo 3

    Non erano ancora le nove, quando entrammo nel portone dell’Atemi. Due guardie di sicurezza l’avevano spalancato, facendoci il saluto militare. Questo, allora ed ancora oggi, è un’abitudine invalsa nella maggior parte dei paesi del ex Est, asiatici ed africani. Parcheggiata l’auto, entrammo nella palazzina di fronte a noi e salimmo le scale che conducevano al primo piano, dove erano locati gli uffici. Qui c’erano ordinatamente; la contabilità, la gestione del personale, la parte commerciale e della direzione vera e propria. L’ufficio direzionale era una fotocopia di quel tipo di ufficio già visto nella ex Jugoslavia, Ungheria ed altri paesi del ex est europeo. Un tavolo scrivania abbastanza grande del direttore ed attaccati, come a formare una T, altri tavoli più stretti con undici sedie. Le pareti erano adornate da qualche diploma di benemerenza, un quadro del primo ministro, e la bandiera estone, dietro alla scrivania del presidente. Alcuni scafali opposti alle finestre con in mostra alcuni campioni della produzione. Una volta seduti, apparve la segretaria di Oleg, Anna, che ci chiese se volevamo del caffè. Anna era decisamente una donna che non passava inosservata. Alta e slanciata un bel viso, capelli neri e lo sguardo, nascosto dagli occhiali da vista, che le davano un’aria decisamente professionale, vispo ed attento. Decisi che nel breve, sarebbe stata meglio utilizzarla come assistente di Viktor, per la buona conoscenza delle lingue e per il modo accattivante di porsi con le persone.

    Mi trovavo di fronte a qualcosa di completamente nuovo, avevo già trasmesso al nostro commercialista tutti i dati necessari, concernenti i bilanci, redatti in modo completamente diverso dallo standard europeo. La mia funzione era di controllare i particolari non scritti e molto più difficili da cogliere sia per la lingua che per la differente cultura.

    Allora, Atemi aveva un organico di 241 persone, delle quali ben 40 erano adibiti alla sicurezza … circa il 17%, cosa per me assolutamente incomprensibile. Gli impiegati erano 10 i capireparto 5 ed il restante, operai di vario livello. Per sgranchirmi e vedere una volta in più il lavoro, chiesi di rivisitare l’azienda.

    Prima di scendere, ci fu un attimo di spiegazione tra Viktor che traduceva ad Oleg, una telefonata, poi seguii i due al piano inferiore. Sotto c’erano gli spogliatoi e la mensa, di lì ci trasferimmo al reparto legno dove venivano tagliati o meglio sfogliati dei tronchi per poi essere passati in un forno e poi incollati ed accoppiati per formare dei pannelli di compensato. L’azienda aveva due entità produttive: il legno e la gomma. Noi, in quel momento, eravamo in quella del legno, che era la più estesa, circa 40.000 metri quadri di superfice, dei quali 15.000 coperti. Quella della gomma, a circa due chilometri di distanza, noi avevamo una superfice di 8.000 metri quadri dei quali 4.000 coperti, su un area totale di 150.000 mq. dei quali 70.000 coperti,. Non avevo mai ben capito le spiegazioni che mi avevano voluto dare della necessità di avere due entità produttive, invece che una sola. Lo capii una sera di qualche anno dopo, quando conobbi M. l’ex mega direttore ed ora proprietario di tutto il complesso industriale dov’era locata lo stabilimento della gomma.

    M. aveva imposto le 40 guardie per la sicurezza (la società che le gestiva era la sua ...) Lo stabile, escluso il reparto gomma, apparteneva totalmente a lui. Inoltre M. era stato il superiore sia di Oleg sia di Viktor, il potere non è acqua …

    Rividi alcune persone che mi erano state presentate come capi reparto; Mihkel del compensato, Markus del taglio laser, Maarija del confezionamento. Una volta in più ebbi il dubbio che mi prendessero in giro, tutto era perfettamente in ordine e pulito. Ho visto diversi stabilimenti in vita mia, compresi quelli di gomma, sparsi dalla Malesia, al Vietnam, al Brasile ed alla Cina, ma uno stabilimento così pulito ed ordinato, non l’avevo mai visto. Cominciai ad osservare meglio le persone e di colpo capii.

    Erano pulite ed ordinate, traspariva dal loro vestiario e comportamento ed avevano un grande senso di dignità e voglia di fare e progredire.

    In quel momento, mi sentii folgorato, come San Paolo sulla via di Damasco. Cosa potevo offrire di garanzie e sicurezza per il loro posto di lavoro che intravvedevo come una domanda tacita nel loro sguardo? Non nascondo che avrei mollato tutto, pur di non sentirmi responsabile di qualcosa che superava le mie possibilità intuitive di prevedere il futuro.

    I vari business plan, le analisi di mercato e quant’altro, avevano preso in seria considerazione anche il futuro di quelle persone?

    Proseguimmo il giro e poi con l’auto andammo a visitare lo stabilimento della gomma, che conoscevo meglio come prodotto, essendoci nato e cresciuto. Anche qui, Kaspar il capo reparto della mescolazione, Endel dello stampaggio e Ekaterina della finitura, erano perfettamente in ordine e dimostravano efficienza

    Pregai Oleg e Viktor di organizzare per quella sera una cena con i capo reparto e loro. Alla loro occhiata dubbiosa ed imbarazzata, risposi che avrei pagato io, che non dovevano preoccuparsi. Intravvidi il sospiro di sollievo e di condiscendenza. Il grande problema era come comunicare, non mi fidavo completamente delle traduzioni di Viktor, non me lo sentivo totalmente affidabile e non ero prevenuto. Queste sensazioni non hanno mai una spiegazione assoluta e logica, rimangono solo sensazioni. In ogni caso si organizzarono e nel pomeriggio mi confermarono la cena. Alle 13.00 andammo a pranzo, in una trattoria lì vicino e come entrammo, vidi Oleg, dare dei soldi al proprietario. Alla mia domanda, mi spiegò, quello che ho già detto prima, senza soldi, il ristoratore non aveva la possibilità di farci da mangiare … Nel pomeriggio lavorammo ancora su alcuni dati che non erano chiari e alla fine mi portarono al hotel Vanalinna. Chiamarlo hotel è un superlativo, il posto era bello, sul fiume Narva, che divide l’Estonia dalla Russia. Le scale strette e ripide, con gradini disuniformi, alti ed altri bassi, la camere per sei persone (ero un fortunato che l’avevo tutta per me) di uno squallore unico. Il letto aveva due gambe zoppe, non c’erano tende alle finestre. A fine giugno in Estonia, come tutti i paesi al nord, il sole tramonta molto tardi e si alza molto presto, quindi praticamente ci sono ben poche ore di oscurità. Dopo aver preso una doccia che bagnò tutto, tranne il sottoscritto, l’acqua, seguiva un suo corso, che era il tubo della doccia ed altri sparsi nella sala da bagno, uscii. Ero già stato altre due volte in quell’albergo e guardando la facciata mi resi conto che c’erano delle brecce e dei buchi nel muro, che l’ultima volta non avevo visto. Incuriosito chiesi, credendo di fare lo spiritoso, alla mastodontica signora della reception: Mi scusi, ma vi hanno sparato dalla frontiera russa? Lei laconicamente rispose: No, venti giorni fa hanno fatto esplodere un’auto. L’immediato post Russia aveva creato una notevole malavita, erano sorti come funghi, locali da gioco e dubbi locali notturni. Dopo un paio d’anni, devo dar merito al governo, questo era quasi sparito. La polizia era molto attenta e scrupolosa. La popolazione di Narva, quasi per il 90% era russa ed ancora oggi rimane pressoché tale. Dalla finestra della mia camera potevo osservare, non tanto distante, la Fortezza di Hermann. Questo castello guarda, dall’altra parte del fiume, in territorio russo, il castello di Ivangorod. Sembra quasi che questi vetusti edifici si spiano un con l’altro.

    Dopo breve vidi arrivare per prima Ekaterina, seguita da presso da Markus, Mihkel, Maarija, Oleg, Kaspar e Endel, gli ultimi erano Viktor ed Anna. Avremmo mangiato al ristorante dell’albergo. Dalla parte verso il fiume, sotto ad un pergolato, avevano apparecchiato un tavolo per noi. Ci portarono immediatamente l’immancabile Vodka, la Eesti Vodka, e il Verivorst (sanguinaccio cotto nella pancetta affumicata), del caviale (molto economico e non ottimo), dei Pirukas (polpette di carne con carote, fritti). Facemmo il primo brindisi "Na sdròv’je in russo e Tervise", in estone. Cominciammo a mangiare e fu portata dell’eccellente Viru, birra locale in bottiglie ottagonali. Il problema della lingua era notevole, tranne Viktor ed Anna e qualcosa Oleg, gli altri parlavano solo russo e solo Markus e Endel erano estoni.

    Il dover chiedere di tradurre e farmi tradurre le risposte, m’infastidiva, perché non avevo una completa fiducia che le mie domande fossero tradotte come le avevo poste e di conseguenza le risposte. Provai a bypassare Viktor chiedendo alcune cose tramite Anna. Vidi Viktor incupirsi e dire solo due parole ad Anna, ma il tono non mi convinse … La cena trascorse tranquillamente, ebbi qualche risposta che mi fece meditare, ma … mi mancava qualcosa, la spontaneità. Le persone che erano sedute con noi, avevano paura dei loro capi. Potevo capirlo, ma la cosa mi disturbava perché non sapevo come poter far sputare alcuni rospi. La mia conoscenza della lingua russa era di sì e no venti vocaboli, assolutamente insufficiente per farmi capire. Non riuscivo a trovare il modo di come comunicare francamente. Come bevitori, i russi, come la maggior parte dei popoli nordici, sono molto forti. Il giorno dopo avevamo ancora tre punti importanti da discutere, ma avevo con me una pillola cinese, che se avessi esagerato nel bere, mi avrebbe aiutato. Cominciai a brindare al successo dell’Atemi e delle sue maestranze. Queste due parole, che mi ero preparato, pronunciate in russo, aprirono uno spiraglio. Dopo di che i brindisi cominciarono a susseguirsi ed ognuno brindava alle varie cose. Vidi Viktor, che stava parlando con Oleg e l’atteggiamento non era dei migliori. Oleg, diede una risposta molto secca e Viktor, si bloccò. Nel frattempo, tramite Anna, avevo chiesto ad ognuno dei partecipanti se erano single o sposati e con dei figli. Mi presi mentalmente nota e poi, stavo per commettere un errore, chiedere direttamente ad Anna un’informazione. Mi ripresi per un soffio e chiesi ad Oleg se poteva chiedere ad Anna di fornirmi, per il giorno dopo, una lista dei dipendenti con i loro dati; età, nazionalità, stato civile ed anni di appartenenza alla società. In questo modo non avevo scavalcato nessuno. Trassi un sospiro di sollievo. Dopo breve Viktor si alzò e scusandosi, adducendo come motivo che il giorno dopo doveva essere in piedi molto presto se ne andò. Ero l’orbo che cercava la vista, via lui, per me diventava più facile chiedere ed ottenere delle risposte reali. Per non impensierire Oleg, proposi un brindisi alla sua

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