Il profumo del cay
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Anteprima del libro
Il profumo del cay - DOMENICO DEL COCO
© 2018 Lupi Editore
Via Roma 12, 67039 Sulmona (AQ)
Tutti i diritti riservati
www.yndy.it
ISBN 978-88-99663-72-8
Finito di stampare nel mese di luglio 2018
presso Universal Book srl - Rende (CS)
per conto della casa editrice Lupi Editore
IL PROFUMO DEL ÇAY
di
Domenico Del Coco
PARTE I
Introduzione
Nel periodo precedente alla prima guerra mondiale, nell’impero ottomano si era affermato il governo dei «Giovani Turchi». Essi temevano che gli armeni potessero allearsi con i russi, di cui erano nemici. Nel 1909 i soldati ottomani guidati dal governo dei Giovani Turchi ispirati da un forte nazionalismo musulmano attuarono con l’aiuto di zingari e Basci-bazuk, lo sterminio di armeni nella regione della Cilicia procurando la morte di 20.000-30.000 persone. Questo era solo il preludio del genocidio armeno.
Il genocidio vero e proprio avvenne nel 1915. Un elemento determinante fu la proclamazione del jihad da parte del sultano-califfo Maometto V il 14 novembre 1914. Nel 1915 alcuni battaglioni armeni dell’esercito russo cominciarono a reclutare fra le loro file armeni che prima avevano militato nell’esercito ottomano. Intanto, l’esercito francese finanziava e armava a sua volta gli armeni, incitandoli alla rivolta contro il nascente potere repubblicano. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. L’operazione continuò l’indomani e nei giorni seguenti. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Friedrich Bronsart von Schellendorf, il Maggiore Generale dell’Impero Ottomano, viene dipinto come l’iniziatore del regime delle deportazioni armene
. Arresti e deportazioni furono compiuti in massima parte dai «Giovani Turchi». Nelle marce della morte, che coinvolsero 1.200.000 persone, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento. Queste marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco in collegamento con l’esercito turco, secondo le alleanze ancora valide tra Germania e Impero Ottomano (e oggi con la Turchia) e si possono considerare come prova generale
ante litteram delle più note marce della morte perpetrate dai nazisti ai danni dei deportati nei propri lager durante la seconda guerra mondiale. Centinaia di migliaia di armeni furono massacrati dalla milizia curda e dall’esercito turco. Le fotografie di Armin T. Wegner sono la testimonianza di quei fatti. Malgrado le controversie storico- politiche, un ampio ventaglio di analisti concorda nel qualificare questo accadimento come il primo genocidio moderno, e soprattutto molte fonti occidentali enfatizzano la scientifica
programmazione delle esecuzioni. Secondo lo studioso tedesco Michael Hesemann, si dovrebbe più compiutamente parlare di genocidio cristiano, così scrive nel suo libro Völkermord an den Armeniern (Herbig Verlag), pubblicato nel 2012. Il Genocidio Armeno causò circa 1,5 milioni di morti. Le fonti turche tendono a minimizzare la cifra. Secondo il Patriarcato armeno di Costantinopoli, nel 1914 gli Armeni anatolici andavano da un minimo di 1.845.000 ad un massimo di 2.100.000. Lo storico Arnold J. Toynbee, che fu ufficiale dell’intelligence britannica in Anatolia nella prima guerra mondiale, stima in 1.800.000 il numero complessivo degli Armeni di quel paese. L’Enciclopedia Britannica indica come probabile il numero di 1.750.000. Toynbee ritiene che i morti furono 1.200.000. Gli storici stimano che la cifra vari fra i 1.200.000 e 2.000.000 di morti, ma il totale di 1.500.000 è quello più diffuso e comunemente accettato.
Il libro che state per leggere nasce da questi fatti storici. Il romanzo viene narrato in prima persona da parte di un armeno nella prima parte del libro. I nomi dei personaggi sono fittizi. Nella seconda parte uno studente turco di origine curda fa un viaggio in Italia, a Milano, per studiare arte. Porta con sé un quaderno scritto da un armeno che diventa oggetto di interesse. Il lettore quindi conoscerà la realtà turca dell’inizio del secolo scorso e quella attuale.
Capitolo I
La mia memoria è labile. La vita umana è troppo corta. Le cose accadono tanto velocemente che non hai il tempo di capire la relazione che unisce gli eventi. Vi sono passaggi tra la vita e la morte che dobbiamo vivere senza la nostra volontà. E alla fine non sono morto. Un’infanzia felice e un’adolescenza distrutta dai capricci di un popolo che aveva la ferma intenzione di formare una nazione.
Sto per sposarmi, qui negli Stati Uniti, ma prima in questo quaderno lascio i ricordi un po’ confusionari di quello che ho vissuto quando ero un ragazzino. Non sono preciso come lo era il nonno. Alcuni avvenimenti sono talmente forti da confondersi nella memoria. Ma peggio degli eccessi, in un essere umano non c’è nulla. Non so che fine farà questo quaderno. Non credo che gli daranno importanza. Sto scrivendo memorie cercando di usare tutte le mie energie. Lasciare qualcosa di personale ai posteri sperando che la storia che vi racconterò serva per non far dimenticare gli orrori del passato. Ho visto cosi tanta morte nella mia giovane età che, sinceramente, che Dio mi perdoni, non ho paura di morire.
Quando penso alla mia terra mi viene in mente la casa di Istanbul. Non è una casa grande. Ma è sempre una casa. Forse, se non ricordo male, una delle case più importanti di Istanbul. C’era un cancello nero e un vialetto che correva tra le siepi fiorite di scalogno rosa. La casa era in stile inglese credo neogeorgiano e un porticato con frontone sopra la porta d’ingresso. Dall’altra parte dell’entrata vi era un giardino con varie statue e una panchina di marmo.
L’impero ottomano, sconfitto durante la prima guerra mondiale, finì ufficialmente il 1o novembre 1922. Quando nel 1923 fu fondata la Repubblica di Turchia, la capitale venne spostata da Istanbul ad Ankara.
La Turchia non fu mai ospitale con me e con la mia famiglia, negli anni precedenti al 1922. Gli stessi turchi non sono mai stati accoglienti. Ma esiste chi viene sconfitto e sa chiedere scusa e chi invece non l’ha mai fatto. Almeno fino ad adesso.
Sono nato nel 1901 e se sono vivo è grazie agli insegnamenti di mio nonno. Sono stato battezzato come Fehrat. Fehrat Azadyan. Da bambino vivevo a Istanbul. Una città dove l’inverno era rigido e l’estate afosa. Nonno era importante. Era proprietario di una banca e grazie al suo lavoro potevamo possedere una tenuta in campagna. Nella banca lavoravano sia il papà che la mamma. Quando si sposarono andarono a fare il viaggio di nozze a Milano. Da quel matrimonio sono nati altri due fratelli. Arat era il più monello, mentre Cem era il più tranquillo di tutti. Tutti e tre ci contendevamo l’affetto del nonno. Mamma era una donna alta, di carnagione scura, sul finire della trentina, robusta di costituzione. Il suo abito da sposa era di un bianco crema, con un’ombra di rosato sul fondo. Era di seta, una seta comprata in Italia, perché mamma amava i tessuti italiani. Papà, invece, a dispetto del nonno nacque biondissimo con occhi azzurri. I capelli tagliati corti e una certa eleganza nei gesti. Magro con un’aria da intellettuale e i tratti un po’ aspri e irregolari. Impeccabile nel suo stile, composto da camicia bianca, cravatta nera e abito grigio scuro. Le scarpe sempre lucide e pulite.
Il sabato e la domenica la passavamo nella casa di campagna. Un luogo fiabesco dove tutti vivevamo tranquillamente. I picnic all’aperto, le risate e l’odore del fumo delle sigarette che fumavano sia il papà che il nonno.
Era un’infanzia serena e tranquilla. Durante l’estate urlavo come un matto. Alla sera mi portava nelle giostre e poi prima di andare a dormire il nonno gettava solo me nel catino di zinco, per inzupparmi ben bene con la spugna e acqua bollente. Ricordo il sapone che aveva una strana forma di mattone.
- Fehrat girati e mostra il tuo bel culetto. Lesto...che devi andare a dormire...
Io ubbidivo e con un asciugamano che sembrava carta vetrata mi asciugava tutto, compreso il mio sedere bello rosso. Poi mi dava una camicia da notte bianca e fresca e andavo a dormire. Nonno invece nel cassetto chiuso a chiave aveva un libro di Hagop Baronian da leggere prima di dormire.
#####
A scuola andavamo in carrozza. Era un collegio dove le religiose armene non scherzavano con l’educazione. I ragazzi in un edificio mentre le ragazze in un altro. Ero bravo in tutto e i compiti li finivo in fretta e anche in maniera corretta. Quindi contemplavo fuori dalla finestra con la voglia di volare nell’infinito e di scoprire il mondo. Avevo un quaderno dove fissavo le mie emozioni. Ma la scuola non mi preparò alle sofferenze che avrei dovuto patire. La scuola era un enorme edificio circondato da un campo da giochi e da un’alta cancellata di ferro. Al termine delle lezioni i miei compagni uscivano a piccoli gruppi ridendo e schiamazzando prima di disperdersi verso casa. Io avevo la carrozza che mi aspettava.
A casa il nonno ci apriva. Non voleva che lo facessero i domestici.
- Nonno apri siamo noi...
- Noi chi? – chiedeva cortesemente.
- Noi nonno. I tuoi nipoti preferiti.
Mamma e papà lavoravano tutto il giorno. Mangiavamo in un salotto destinato a noi. Il pranzo, la cena, avevamo tutto il cibo di questo mondo. Non ci mancava e sapevamo che mai potesse mancarci. I giorni della nostra infanzia sembravano interminabili. Eravamo dei re e i nostri servi erano ragazzi turchi che vivevano in condizione di povertà più totale. Non so il perché ma presi in simpatia Mazlum. Avrà avuto una trentina ma mi era simpatico. Mi aiutava nel fare i compiti e mi rispiegava alcuni concetti di matematica che per me erano tosti. Era bravo in matematica e perciò quando il nonno mi lasciava qualche soldino glielo regalavo. Era un turco ma una persona gentile e disponibile. Mazlum l’unico buono in una vicenda drammatica. Spesso mi cucinava il theureg una treccia di pane fatto con uova, farina, zucchero, latte, burro, nigella e del sesamo bianco. Voleva farmi felice. E lui si impegnava a rendermi la persona più contenta sulla terra.
La domenica la passavamo a pregare al mattino per poi fare un giro dagli amici e infine andare a casa. Nonno mi portava con sé in carrozza assieme a Mazlum. Una di quelle domeniche feci il mio exploit.
- Da grande voglio fare lo scrittore...
- Se vivrai scriverai qualcosa che non dimenticherai mai... - sentenziò il nonno.
- Ma io voglio fare lo scrittore...
- Lo farà lo farà... - diceva pacatamente Mazlum.
- E tu come lo sai? – chiese il nonno.
- Lo farà perché accadranno cose che nessuno potrà dimenticare.... – profetizzò il servo turco.
- Dobbiamo temere il peggio? – chiese con ansia il nonno.
- Sì. I Giovani Turchi sono piuttosto violenti non solo a parole ma anche con le azioni...c’è un dissenso tra voi e il CUP. I Giovani turchi stanno acquisendo credito in Europa. Ricordatevi che tutto questo parte dal luglio di quel 1908 in Macedonia....
Mazlum riusciva a capire le cose prima del tempo. E questa sua intelligenza servì a salvare me e i miei fratelli. Nonno comunque per il mio desiderio di essere scrittore rise con gusto. Non immaginavo che sarebbe stata una delle sue ultime risate. Mi affascinava il bazar. Turchi in abito europeo con bastone da passeggio, colletto rigido e il fez in testa. Vestivano così impiegati e commercianti. Armeni, greci, siriaci anche loro con abiti occidentali ma con copricapi diversi. Curdi e circassi con i loro costumi. Le donne invece avevano fazzoletti ricamati e variopinti e le gonne a campana. Alcuni uomini erano invece in scialvàr o pantaloni ampi con sopra l’entarì una tunica in forma di caffetano. I loro volti banalmente seri e concentrati. Mi piaceva la sala destinata al bagno di sudore. I bagnini che mi massaggiavano la mia carne. Conversazioni con frasi mozze erano tipiche in quei luoghi. Mi sentivo nudo, però il bagnino mi faceva sempre un trattamento impeccabile. Anche alcuni Bey turchi subivano compiaciuti lo stesso trattamento. Nonno mi portava spesso e io osservavo gli adulti. Voleva il nonno che fossi in contatto con più persone possibili di diverso ceto sociale. Dal mercante al funzionario bancario perché potessi apprendere più cose possibili. Gli insegnamenti del nonno erano preziosi. Vi erano alcune donne in tscharschaff la veste castigata delle musulmane. Altre donne decisamente emancipate avevano gonne fino alla caviglia e calze di seta. Le strade del mercato avevano odori forti. Olio di sesamo per le rosticcerie, frittelle di agnello all’aglio, ma anche verdure che stavano marcendo. L’odore più terribile era quello degli uomini i quali dormivano negli stessi vestiti che portavano di giorno. I turchi avevano un po’ la mania di dormire con abiti usati il giorno stesso. Mazlum sempre mi spiegava l’uso di taluni alimenti in cucina. Voleva che io sapessi che il cibo non era solo forma di piacere o di sostentamento ma conoscessi alcune proprietà di certi frutti. Diceva che per diventare scrittore bisognava conoscere più cose possibili. A me piaceva imparare e sia nonno che Mazlum mi insegnavano facendomi divertire. Ma anche i volti degli armeni intellettuali, studenti colti e preparati mi affascinavano. Fronte alta, un po’ sfuggente, occhi vigili, profondamente seri, dietro gli occhiali.
Capitolo 2
24 aprile 1915. Il giorno più brutto per gli armeni che vivevano ad Istanbul. Nonno in banca cercava di dare incarichi importanti ad alcuni turchi di cui nutriva una certa fiducia. Ma comunque il suo sforzo di pace e di collaborazione fu totalmente vano. Quel giorno circa seicento intellettuali furono arrestati. Credo che la causa sia dovuta a qualche giorno prima. Il 7 aprile la città di Van insorse e instaurò un governo provvisorio armeno. I Giovani turchi assetati di vendetta, con una nuova Costituzione, cercarono di eliminare più armeni possibili.
Tra i seicento arrestati c’era anche uno scrittore che il nonno leggeva e che teneva i suoi libri nel cassetto chiusi a chiave. Tentò di salvare i suoi amici ma fu invano. I Giovani turchi in apparenza si mostravano gentili con gli Armeni per conoscere informazioni segrete e i loro dirigenti per poi colpirli quando arrivava il momento giusto. Mi arrivò come notizia che i soldati armeni furono disarmati, inviati a fare i lavori forzati e infine fucilati. Il colpo di grazia arrivò quando il ministro Talaat Pacha trasmise un telegramma alle cellule dei Giovani turchi.
Il governo ha deciso di farla finita con tutti gli armeni residenti in Turchia. È necessario porre fine alla loro esistenza per quanto criminali siano le misure da adottare. Non bisogna tener conto dell’età e del sesso. Gli scrupoli sono banditi.
Arrivò quindi la legge provvisoria di deportazione
di quel terribile 27 maggio 1915. Era l’inizio della nostra fine. Mazlum ci diede alcuni indirizzi per poterci salvare. Avrei dovuto lasciare Istanbul, la mia casa con il giardino, i miei giochi, i miei amici e la mia scuola. Sarebbe iniziata una deportazione. Le donne e i bambini da una parte mentre gli uomini dall’altra. Non capivo il perché. Non avevamo fatto nulla di male. Ma per noi armeni vi erano già problemi prima del 1915. A partire dagli anni ‘90 dell’Ottocento, gli Armeni iniziarono a chiedere la realizzazione delle riforme promesse loro dalla Conferenza di Berlino. Tra il 1892 ed il 1893 a Merzifone Tokat, gruppi di armeni iniziarono a protestare pubblicamente al punto che il sultano Abdul Hamid non esitò a schiacciare queste rivolte con metodi sanguinari, probabilmente per mostrare l’intangibilità del potere del monarca, servendosi dei musulmani locali (in molti casi curdi) contro gli armeni. Tra il 1894 e il 1896 Hamid II condusse una dura campagna di repressione contro gli armeni. Nel 1907, la Federazione Armena Rivoluzionaria tentò di assassinare Abdul Hamid II piazzando una bomba sotto la sua macchina durante un’apparizione pubblica, ma il sultano si salvò miracolosamente perché l’innesco partì prima del dovuto, uccidendo 26 persone e ferendone altre 58 (delle quali poi 4 morirono in ospedale) e distruggendo altre 17 automobili. Il nonno mi raccontava che con Abdul Hamid tutto era censurato. La stampa, la libertà di parola e gli scritti. Non si potevano dire patria, libertà, Armenia o indipendenza. I Giovani turchi lo deposero nel 1909 e diedero il potere a Enver Pacha sotto il benestare del sultano Mehmet V. Il contraccolpo del sultano, che era stato acclamato a gran voce dagli islamici conservatori contro le riforme liberali dei Giovani Turchi, si concluse con un massacro di decine di migliaia di cristiani armeni della provincia di Adana offuscando così la fiducia al nuovo governo ma stando a molti era un modo per far concludere il vecchio impero. La Costituzione e il governo dei giovani turchi aveva lasciato ben sperare per le minoranze ma non avevo dimenticato il massacro di Adana.
Mi ricordo cosa chiesi al nonno quel giorno del 24 aprile.
- Perché i turchi hanno massacrato gli armeni a Adana?
- Il governo dei Giovani Turchi pensa che gli armeni vogliano fondare un nuovo regno armeno e che stiano lavorando alla distruzione dell’unità dell’impero. Ricordi vero che il primo massacro di armeni era avvenuto tra il 1894 e il 1896 sotto Abdul Hamid II? 200.000 morti. In quel tempo alcune zone dell’Impero Ottomano, abitate da popolazione di origine armena, soprattutto nell’Anatolia, si erano sollevate contro l’Impero ormai in declino. La repressione ottomana per schiacciare la dissidenza fu brutale. Nonostante simili eccidi fossero già avvenuti nel corso