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La grande Umbria: Scritti sparsi in memoria di Manlio Farinacci
La grande Umbria: Scritti sparsi in memoria di Manlio Farinacci
La grande Umbria: Scritti sparsi in memoria di Manlio Farinacci
E-book372 pagine2 ore

La grande Umbria: Scritti sparsi in memoria di Manlio Farinacci

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Info su questo ebook

Da un punto di vista storico, poiché la ricerca con reale metodo scientifico si basa sulle fonti non possiamo affermare con certezza quanto di vero ci sia nelle ipotesi del nostro Genius Loci, frutto di ricerche ma anche di intuizione e perché no, di un po' di capacità onirica che ha regalato a chiunque abbia letto i suoi libri. A Farinacci va riconosciuto il merito indiscusso di aver portato all’evidenza di una città intera e non solo, le nostre più arcaiche origini contro la più ostinata diffidenza, dovuta spesso alla futile convenienza di accontentarsi delle verità preconfezionate. Dai Villanoviani ai Pelasgi è possibile leggere di tutto, con il paradosso che si tratta o di popoli non esistiti o che non hanno mai toccato le aree interne del centro Italia, la parola Umbri sembra incredibilmente ancora quasi proibita. Ecco perché, grazie al lavoro di Maria Teresa Scozza in collaborazione con Danilo Stentella riteniamo giusto celebrare chi, con passione autentica lottò per dare dignità ed identità ad un popolo troppo facilmente assimilato al panta rei dalla storiografia ufficiale. (Presentazione di Sergio Dotto).
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2020
ISBN9791220219389
La grande Umbria: Scritti sparsi in memoria di Manlio Farinacci

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    Anteprima del libro

    La grande Umbria - Maria Teresa Scozza

    privata.

    Indice

    Presentazione      pag.      5

    Sergio Dotto

    Introduzione      pag.       7

    Maria Teresa Scozza

    Indoeuropei      pag.      11

    Maria Teresa Scozza

    Celti      pag.      15

    Maria Teresa Scozza

    Umbri Celti Indoeuropei      pag.      23

    Maria Teresa Scozza

    Villanoviani      pag.      29

    Maria Teresa Scozza

    Le trecento città Degli Umbri      pag.      33

    Maria Teresa Scozza

    Le origini di Roma      pag.      39

    Maria Teresa Scozza

    La Guerra Sociale      pag.      51

    Maria Teresa Scozza

    Un episodio Ternano      pag.      55

    Maria Teresa Scozza

    Le Tavole Eugubine      pag.      59

    Maria Teresa Scozza

    La valle dell’archetipo      pag.       63

    Maria Teresa Scozza

    I santuari montani      pag.      89

    Maria Teresa Scozza

    La Bassa Umbria è una terra intrigante      pag.      115

    Maria Teresa Scozza

    Bibliografia      pag.      133

    Fonti iconografiche      pag.      139

    Tra mito e storia      pag.      143

    Danilo Stentella

    L’identità culturale      pag.       147

    Danilo Stentella

    Le preesistenze culturali. I mitici Pelasgi e i popoli del nord Europa       pag.      163

    Danilo Stentella

    Il menhir di Nicciano      pag.      171

    Danilo Stentella

    Il menhir naturale dello Speco di Narni      pag.      179

    Danilo Stentella

    Fonti iconografiche      pag.      186

    Presentazione

    Sergio Dotto¹

    Confesso che il mio primo approccio con le ricerche di Manlio Farinacci fu caratterizzato da un certo scetticismo, del resto sono figlio di quella generazione che, quando fosse stata davvero curiosa, avrebbe potuto approfondire gli studi elementari solo con libri come Meravigliosa Italia – Enciclopedia delle Regioni, dove la nostra Umbria era immancabilmente ed esclusivamente Romana o quanto meno Etrusca, parlando del suo capoluogo. Ero nel pieno dei miei studi universitari, dedicati alla Filosofia, tuttavia da persona interessata alla storia locale, iniziai a seguire le trasmissioni del Professore sulle varie emittenti cittadine. Fu così che un giorno, nel 1991, decisi di acquistare una copia de La Mentalità Ternana Celto Pagana, forse una delle migliori prove di Farinacci, dove accanto alla consueta volontà di far portare alla luce la radici più profonde della nostra terra emerge una capacità di analisi sociale non comune, mista ad una gustosissima ironia. Da un punto di vista storico, poiché la ricerca con reale metodo scientifico si basa sulle fonti non possiamo affermare con certezza quanto di vero ci sia nelle ipotesi del nostro Genius Loci, frutto di ricerche ma anche di intuizione e perché no, di un po' di capacità onirica che ha regalato a chiunque abbia letto i suoi libri. A Farinacci va riconosciuto il merito indiscusso di aver portato all’evidenza di una città intera e non solo, le nostre più arcaiche origini contro la più ostinata diffidenza, dovuta spesso alla futile convenienza di accontentarsi delle verità preconfezionate. Dai Villanoviani ai Pelasgi è possibile leggere di tutto, con il paradosso che si tratta o di popoli non esistiti o che non hanno mai toccato le aree interne del centro Italia, la parola Umbri sembra incredibilmente ancora quasi proibita. Ecco perché, grazie al lavoro di Maria Teresa Scozza in collaborazione con Danilo Stentella riteniamo giusto celebrare chi, con passione autentica lottò per dare dignità ed identità ad un popolo troppo facilmente assimilato al panta rei dalla storiografia ufficiale.

    Introduzione

    Maria Teresa Scozza²

    Non ho mai sentito citare, enfatizzandone l’aggettivo, Pompei città romana, Ercolano città romana e neanche Ostia Antica città romana, invece Carsulae è definita con ridondanza città romana, perché? Per quale imperscrutabile motivo si insiste a sottolineare Carsulae città romana’’? Sorge il dubbio che sia perché a cavallo dei due millenni uno studioso di Terni elaborò una originale ipotesi sulla possibile celticità della Bassa Umbria. Parlare di Celti a Terni è praticamente vietato. In una simpatica riunione tra farinacciani" la maggioranza si è trovata d’accordo nel ritenere che in questo semplice libretto, affinché fosse ben accetto alla intellighenzia cittadina, non si sarebbe dovuto parlare di Celti, ma di Umbri. Il ragionamento è senz’altro valido.

    Il problema però è che questo scritto intende presentare il pensiero del Professor Farinacci, affinché a venti anni dalla sua morte, egli non sia completamente dimenticato. Perciò parleremo anche dei Celti-Umbri-Umru, consapevoli che, come testimoniano molti autori greci e latini del tempo dell’antica Roma, gli Umbri erano Celti Indoeuropei. Secondo Devoto "l’origine del termine ‘Umbro’ deriverebbe da ‘Umru’, nome preindoeuropeo di tribù esteso a settentrione e oriente dell’area tirrena. Esso è stato assunto dagli Italici che hanno occupato la regione tra il Tevere e il Topino, abbandonando il nome originario Sabh"³, pertanto gli Umbri sarebbero una parte di quei Sabini a cui venne dato un altro nome, mentre Elia Rossi Passavanti fa derivare invece il termine Umbri da Amra, i nobili, i valorosi⁴.

    A Venezia nel 1991 una mostra sui celti registrò una straordinaria affluenza di oltre 700 mila visitatori, quasi che una porzione significativa del paese avesse voluto recarsi alla ricerca delle radici comuni, italiane ed europee.

    Manlio Farinacci ebbe la fortuna di crescere nelle campagne di Gabelletta, una zona rurale periferica di Terni, da una famiglia benestante di proprietari terrieri. Era nato a Terni il 13 ottobre 1913, dotato di uno spirito vivace e curioso, apprese molto bene il dialetto parlato dai contadini della zona. Si laureò in lingua inglese, materia che insegnò nelle scuole superiori e medie di Terni, lasciando tra tutti i suoi alunni un ottimo ricordo di un insegnante appassionato della sua materia. Fin dagli anni '20 prese a viaggiare per l'Europa, apprendendo così le lingue europee. Conosceva perfettamente, oltre l’inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, il russo e l’ungherese. Durante uno dei suoi viaggi nel Galles, notò le somiglianze tra l'antico dialetto gallese e il dialetto ternano, in particolare per quello che riguarda l'articolo indeterminativo lu usato in entrambe le zone. La somiglianza tra i nomi degli animali di campagna lo portò ad intuire i legami tra gli antichi umbri e i gallesi di origine celtica.

    Egli spiega in questo modo il suo approccio al celtismo, ma furono i suoi vasti ed entusiasti studi, i suoi viaggi in giro per l’Europa, la sua conoscenza di studiosi di altri paesi che gli aprirono la visione di una Terni che affondava le sue radici nella protostoria, tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro. Pubblicò numerosi libri sull'argomento ed incontrò una netta opposizione da parte degli studiosi convinti che in Italia tutto fosse romano, etrusco o greco. Si creò una notevole corrente a suo favore da parte della popolazione profana, che si riconosceva in quello che il professore spiegava in modo semplice e comprensibile a tutti.

    In nome del Professor Manlio Farinacci, che tanto amò questa sua terra, seguirò il suo pensiero, un po’ acriticamente, dandogli, a 20 anni dalla sua morte, ancora una volta la voce. Coloro che leggeranno queste pagine sceglieranno se si tratta di storia, di leggende, di favole o di visioni.

    Indoeuropei

    Maria Teresa Scozza

    Il termine Indoeuropei⁵ indica un insieme di popolazioni del V millennio a. C. e l’inizio del II millennio a. C., che avrebbe popolato un’area geografica comune e che parlava lo stesso idioma. Un ramo di queste genti si spostò verso l’Europa, mentre un altro si diresse in India. Non è certa la loro terra originaria, Uʁhajmat⁶ e le teorie al riguardo sono numerose, come pure i toponimi che le suffragano e le lingue, arie, indogermaniche, indo celtiche, ario europee.

    La storia dell’unità linguistica indoeuropea, l’Ursprache, è stata ricostruita dagli studiosi, mentre è ancora sconosciuta la patria di provenienza, l’Urheimat, di questa atavica migrazione ed anche le circostanze che l’avrebbero provocata⁷. La Ursprache, la lingua originaria, quella esistente prima della Torre di Babele, è oggetto di studio della linguistica storica; con questo termine, di solito correlato al concetto di Urheimat, patria di provenienza, si designa l'unità linguistica indoeuropea. Per tutto l'Ottocento divampò la polemica tra linguisti, storici, filologi su questa lingua delle origini, frantumatasi poi negli attuali oltre cinquemila linguaggi parlati nel mondo.

    Ma Ursprache rappresenta un superamento dei particolarismi, volta a quegli universali che accomunano gli uomini e che sottostanno a tutte le loro manifestazioni, non escluso il linguaggio.

    Quando Goethe ricercava l'Urphänomen, l'unico nel diverso e dichiarava: "In ogni essere particolare, che sia storico, mitologico, favoloso o più o meno arbitrario, si percepirà sempre piuttosto il generale"⁸, tentava di applicare i principi kantiani di simultaneità spazio-temporale e di interazione non solo al suo concetto di Weltliteratur, ma anche alla traduzione. Nella sua Teoria della natura egli affermava che "Ognuna delle sue opere ha il suo essere proprio, ognuna delle sue manifestazioni la sua idea più particolare, e tuttavia tutto questo forma un Unico"⁹.

    La tabella che segue consente di confrontare alcuni esempi di parole appartenenti a lingue indoeuropee e di notare facilmente le somiglianze tra i diversi sostantivi.

    Fu merito del linguista Franz Bopp, autore nel 1916 di un volume¹⁰ in cui analizzava il sistema di coniugazione del sanscrito, in confronto con quello greco, latino, persiano e germanico, aver individuato e messo in evidenza attraverso lo studio del sanscrito l’unità fondamentale delle lingue indoeuropee. Altri studiosi avevano già rilevata la parentela esistente tra il sanscrito, il persiano, il greco antico, il latino o il tedesco, ma egli andò oltre, proponendosi di individuare la comune origine delle forme grammaticali di queste lingue e delle loro flessioni. L'analisi storica di queste forme, fornì il primo materiale della storia della linguistica comparativa, mediante lo studio dei rapporti reciproci analizzati nelle loro fasi più antiche. Grazie alla comparazione tra il sanscrito e il greco Bopp dimostrò l’originaria unità indoeuropea, affermando che "I gruppi di lingue indoeuropee parlate oggi sono: celtico, neolatino o romanzo, germanico, baltico, slavo greco, illirico ed in Asia le lingue dell'India, iranico e armeno"¹¹.

    Fig. 1. Homo Laicus. Distribuzione dei popoli e delle lingue nell’Europa e nell’area mediterranea intorno al III-II millennio a. C..

    Fig. 2. Wikipedia. L’Urheimat indoeuropeo (cerchio rosso) e l’espansione delle popolazioni indoeuropee secondo Kossinna.

    Celti

    Maria Teresa Scozza

    Ecateo di Mileto, geografo greco (ca. 500-467 a. C.) e Erodoto di Alicarnasso (ca. 490-425 a. C.) citarono per la prima volta i Keltoi¹², per indicare i favolosi Iperborei, i popoli dei freddi paesi del nord Europa. L’etimologia del termine Keltoi non è chiara, alcuni autori sostenevano che significhi sconosciuti, incogniti, altri ritenevano che sia uomini alti, ecc. Si pensava che fossero vissuti nei pressi delle sorgenti del Danubio e dell’alto Reno. I Romani li chiamavano Galli¹³.

    In Occidente i Celti formarono gradualmente masse compatte di persone e secondo le caratteristiche del loro modo di vita, se Gal o Alb, imposero i loro nomi ai vari luoghi dove si stanziarono: Galazia (Turchia), Galizia (Polonia e Spagna), Galilea (Palestina), Gallia (Francia), Isole Britanniche (Gaelici e Goidelici), Albania, Colli Albani. Le necropoli che testimoniano questi insediamenti sono datate dagli esperti come appartenenti all’Età del Ferro (X sec. a. C.), non a caso lo storico Pallottino¹⁴ inserisce quelle di Pentima e di S. Pietro in Campo a Terni in tale tipologia.

    I Celti puri conosciuti dai Greci con il nome di Cumru e chiamati Cimbri in latino, e i Teutoni, che si erano riprodotti per sdoppiamento del semidio Teutates, e che provenivano dallo Jutland, si fusero con i Galli, già insediati nella zona tra il Reno e il Neckar in Germania. Gli Umru o Umbri si stabilirono accanto ai pochi Galli delle coste dell’Adriatico entrando così nell’Italia Centrale, precisamente in Umbria e Sabina. I Cumbru e gli altri Umru si insediarono in Gran Bretagna rispettivamente nel Galles, chiamato in lingua celtica Cumru (scritto Cymru) o Cumbria e nella Northumbria o Northumberland. I Celti appartenevano ad uno stesso gruppo linguistico di famiglia indoeuropea, di provenienza asiatica e all’inizio del II millesimo a. C. si stanziarono nelle regioni danubiane e renane, dove il XIII e il VI sec. si sviluppò la cultura di Hallstatt (Austria) e nel VI e V sec. a C. quella di La Tène (Svizzera).

    La cultura di Hallstatt prende il nome dal paese lacustre di Hallstatt, che si trova vicino Salisburgo nella regione del Salzkammergut, presso il quale è stato rinvenuto il sito principale. L’area aveva una importanza economica fin da quell’epoca per la presenza del salgemma, che ancora oggi si estrae con processi industriali nelle miniere della zona.

    Nel 1846 Johann Georg Ramsauer, direttore delle locali miniere, scoprì una grande necropoli preistorica del I millennio a. C. Gli scavi proseguirono nella seconda metà del XIX secolo, fino al 1876, ad opera dall'Accademia delle scienze di Vienna, portando al ritrovamento di oltre mille tombe con una ricca suppellettile funeraria. Gli oggetti si erano conservati particolarmente bene a causa della salinità del suolo, lo stile e le decorazioni erano fortemente caratteristici e simili a quelli diffusi in gran parte dell'Europa. L'importanza della scoperta determinò l’utilizzo del nome del sito per indicare

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