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La vigilia di Natale
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E-book37 pagine28 minuti

La vigilia di Natale

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La stessa città fa da sfondo ai due racconti: la Milano di fine Ottocento di Camillo Boito e la Milano di oggi di Patrizia Violi. Prima c’era l’omnibus, adesso c’è la metropolitana. Molte cose sono cambiate col passare del tempo, altre invece sono immutabili. Come, per esempio, la solitudine che può provare un uomo, camminando per le vie deserte e nebbiose, mentre dalle sale da pranzo delle case riecheggiano le risa festose delle famiglie, riunite intorno alla tavola per celebrare la vigilia di Natale.
LinguaItaliano
Data di uscita23 nov 2015
ISBN9788897010906
La vigilia di Natale

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    La vigilia di Natale - Patrizia Violi

    (339/340-397)

    CAMILLO BOITO

    *

    Notte di Natale

    Questo è il manoscritto del mio povero Giorgio: del mio povero Giorgio, al quale insegnai a leggere, a scrivere e tante altre belle cose. E spesso, da bambino, egli mi stava addosso da una parte e la povera Emilia mi stava addosso dall’altra, e mi soffocavano. Mi ricordo che un giorno l’Emilia disse a un tratto: «Maria, hai un capello bianco» e me lo voleva strappare. I miei capelli furono l’ultima mia ambizione. Venti anni dopo, la Giorgetta, che è tornata in cielo, stando essa pure sulle mie ginocchia, con la stessa voce e con la stessa maraviglia di sua madre, mi disse: «Maria, hai un capello nero» e fece una smorfietta, perché le piacevano questi miei ricci tutti bianchi.

    Non v’è cosa del mio Giorgio che io non ami; ma questo manoscritto, che capisco poco, mi stringe il cuore e mi fa piangere. Non trovo pace che in chiesa, pregando Dio. Avrei dato la mia salute, la mia vita per vedere sani e felici quei tre cari fanciulli, che mi hanno lasciata.

    (Il manoscritto del signor Giorgio)

    Da qualche giorno il mio stomaco mi tormentava. Non potevo mangiare. Ero stato quella sera a tavola rotonda nell’albergo Cavour , e avevo dovuto alzarmi dopo la zuppa. La sala era fredda, quasi vuota. Tre Tedeschi sospiravano ad ogni boccone, ed un Francese, disperato di non sapere a chi rompere il capo, ciarlava a spizzico coi camerieri, dicendo che per lui non c’erano mai stati né il dì di Pasqua, né il dì di Natale, né il primo dì dell’anno, né altre sciocchezze da femminette e da bimbi; poi, lieto di avere affermate solennemente la forza e la libertà del suo spirito, cacciava il naso nel piatto.

    Nella via si vedevano uno alla volta i lumi rossastri, quasi cupi dei fanali; ma la nebbia fittissima era circonfusa di un chiarore scialbo, bianchiccio, che si faceva più vivo e insieme più denso accanto alle lampade, e che lasciava appena scorgere un tratto del marciapiede bagnato e lustro, l’ombra scura di una persona, che dava una gomitata passando, la massa sfumata di una carrozza, la quale correva circospetta e senza rumore. Del resto, le vie, per consueto così piene di gente e di vetture, erano quasi deserte: il silenzio sembrava pieno di agguati. Tutto diventava misterioso e vasto. Si perdeva la bussola. Ci si trovava di

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