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L’instabilità dell’eterno equilibrio
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E-book370 pagine5 ore

L’instabilità dell’eterno equilibrio

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Info su questo ebook

La felicità ha bisogno di stabilità oppure la stessa rottura di ogni equilibrio è il miglior presupposto per la più reale delle felicità?
Agnese, la protagonista del romanzo, si mette in gioco: è lei il prototipo sul quale misurare ipotesi, proprio lei che ha una vita all’apparenza felice.
Tra le pagine spunti e provocazioni per un dibattito ancora irrisolto per l’uomo: esiste un percorso per raggiungere l’equilibrio di una condizione sublime?
LinguaItaliano
Data di uscita9 giu 2016
ISBN9788868271770
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    Anteprima del libro

    L’instabilità dell’eterno equilibrio - Luca Marro

    amore!

    Prefazione

    I De Franceschi sono una tipica famiglia italiana.

    Come spesso accade, però, in tutte le normali famiglie durante l’inesorabile trascorrere della vita, non si ha la fortuna di vivere sempre il tutto con la stessa intensità del primo giorno e quindi il più delle volte ci si lascia trasportare dall’entusiasmo della novità rispetto alla quotidianità di sempre, specialmente se intenti a rivivere vecchi ricordi.

    Ecco spiegato cosa succede ad Agnese durante il più brutto ma intenso periodo della propria vita.

    Il tutto ha inizio durante la gestione della fase terminale della malattia della madre, quando un incontro casuale riesce a farla isolare completamente dal mondo esterno e da quella tremenda routine piena zeppa d’impegni come analisi, chemio, incontri con medici, ricoveri e dall’estenuante tran tran familiare che, fino a quel momento, sembrava le avesse comunque fornito tutte le attenzioni dovute per farle vivere nel migliore dei modi, quella specifica devastante esperienza.

    Così proprio nel 2008 ha inizio un indefinibile periodo della vita che porterà Agnese a vivere un arco del proprio tempo in modo ambiguo: da una parte il dolore immenso per la perdita della mamma dovuta a un galoppante tumore ai polmoni, dall’altro a scoprire un amore completamente lontano e diverso dal suo legame matrimoniale che la porterà a esternarsi completamente da tutto quel mondo che egoisticamente, forse, le aveva garantito una modesta felicità.

    Tale esperienza, tuttavia, resterà gelosamente custodita all’interno della sua mente per tutti gli anni a venire, non permettendo a nessuno né tanto meno alla sua amica del cuore, Mariapia, di condividerne quel bellissimo ma scomodo segreto lasciando custoditi dentro di sé anche gli aspetti più nobili.

    Ripresa la propria vita in mano, Agnese dedicherà ogni sua energia a rendere l’esistenza meno banale di quanto potesse apparire, organizzando incontri passionali con suo marito Alberto, vivendo in simbiosi con la figlia più grande, Chicca, intenta ad assaporare i primi dissapori dovuti all’inevitabile ingresso nella vita adulta, e infine assecondando i desideri della piccola di casa, Camilla, impegnata ancora a comprendere le regole basilari dell’ingresso nella società.

    Insomma la vita di Agnese sarà scandita da eventi di normale quotidianità divisa tra una bella casa, un marito che la adora, due bellissime figlie educate e rispettose delle regole e infine la sua amica del cuore sempre presente e vigile.

    Il tutto, quindi, sembra scivolare inesorabilmente, fino ai tempi di oggi in cui una serie di maledette coincidenze riportano Agnese a rivivere ogni singolo istante di quel devastante 2008, perdendo, di nuovo, il senso della vita.

    Da quello sfortunato istante in poi, nonostante la voglia di tenere tutto sotto controllo, ogni sua azione, ogni suo comportamento, ogni suo sentimento sono un motivo di lotta continua che la porterà a dover scegliere se lasciarsi trasportare da quelle stesse sensazioni di allora, o se rendere il tutto ancora più isolato e nascosto cercando invano di cancellare ogni prova concreta di quell’immenso periodo della sua vita.

    Nonostante i buoni propositi, purtroppo Agnese, si ritroverà a doversi di nuovo confrontare con quel sentimento chiamato amore che la travolgerà, di nuovo, portandola a riqualificare, per sempre, la propria esistenza.

    Il risveglio

    Alberto è un tipo molto metodico. Non gli piace avere delle sorprese, neanche quelle organizzate dalla sua dolce metà. A volte pensa che il suo essere metodico non faccia altro che renderlo monotono, di scarso interesse. Invece Alberto è un tipo simpatico, intelligente e di certo non definibile come un tipo di scarso interesse.

    Forse la sua attuale posizione di Dirigente all’interno di una grande azienda lo aveva temprato; le responsabilità lo avevano reso un manager riflessivo, insomma una di quelle persone che ha imparato, suo malgrado, a non reagire d’istinto, a riflettere su tutte le possibili scelte prima di rendere concreta ogni sua singola mossa.

    Oggi aveva in mente un solo pensiero: la riunione programmata per la chiusura del trimestre contabile. Le cose non andavano molto bene, l’economia e la crisi avevano un peso molto elevato per l’andamento degli ordini, e di conseguenza del fatturato. Sembrava che all’interno dell’azienda avesse solo lui la reale considerazione dello stato attuale delle condizioni economiche finanziarie. Una cosa era certa: se la situazione non fosse cambiata, l’azienda avrebbe dovuto prendere seri provvedimenti.

    Ad Alberto non piaceva la parte del manager di rigore, lui aveva sempre impostato la propria strategia aziendale sulla creazione della squadra di lavoro, il suo motto era "giù tu, giù tutti". La frase l’aveva rubata a un film americano ambientato sul tema dei pompieri; gli era molto piaciuto l’affiatamento della squadra che si respirava durante tutto il film. Certo sapeva che i film americani erano la cosa più lontana dalla realtà, basti pensare a tutte le edizioni di Rocky, un pensionato entrato nella terza età che riesce a ogni episodio a lottare contro tutti e tutto incurante degli acciacchi fisici e soprattutto mentali.

    Tuttavia l’idea della squadra lo aveva sempre intrigato. Di certo la sua educazione, il secondo di tre figli, e la sua esperienza accademica fatta presso la marina militare, l’avevano forgiato a tal punto che aveva sempre considerato il concetto di squadra come un punto fondamentale per la sua impostazione della vita.

    Oggi, purtroppo, era giunto il momento in cui la sua forma mentis lo avrebbe portato a litigare con tutti i colleghi del comitato direttivo; colleghi che anteponevano il loro status manageriale alla sopravvivenza dell’intera azienda. Di certo l’insuccesso attuale per alcuni, poteva essere giustificato come l’insuccesso del pool di venditori, come a dire che se non sei capace a vendere è inutile che l’azienda ti paghi lo stipendio.

    Per Alberto la situazione era completamente opposta: se il reparto vendite non è in grado di vendere i prodotti dell’azienda evidentemente il management non è stato capace di identificare dei prodotti d’interesse collettivo, o semplicemente la reale situazione economica non permette nuove acquisizioni di soglie di mercato.

    «Buongiorno amore mio!» sussurrò ancora sul letto Agnese.

    Le lenzuola verdi con le margherite gialle le coprivano metà del corpo ma Alberto era in grado di descriverne esattamente ogni parte fornendone precise indicazioni, nel permettere di disegnare a un ipotetico pittore il ritratto di Agnese senza essere vista.

    «Buongiorno a te! Dormito bene?» chiese Alberto.

    «Assolutamente sì! Anche se ho sentito che ti sei alzato più volte dal letto stanotte. Preoccupato per la riunione?»

    Agnese si alzò e si diresse verso il bagno lasciando cadere a terra le lenzuola, facendo in modo che Alberto ammirasse il suo corpo nella sua intera perfezione, frutto di ore ed ore di allenamenti trascorsi in palestra.

    «Sai perfettamente che non condivido la politica aziendale, non mi piace dover assecondare le opinioni dei miei colleghi, che guardano più ai loro interessi personali che alle singole vite delle persone coinvolte!» la frase prese corpo senza che Alberto potesse analizzarla.

    Agnese era l’unica persona che faceva inibire le sue difese, lei era in grado di osservarlo per un attimo e comprendere nei minimi particolari le sue intenzioni. Ricordava ancora, come fosse successo ieri, il giorno in cui s’incontrarono per la prima volta.

    Alberto capì immediatamente che Agnese era la donna della sua vita, gli era bastata una semplice occhiata. Anche per Agnese fu attrazione fin da subito, sinceramente non aveva ben chiaro i motivi, ma lo sguardo intenso, la simpatia senza eccessi, la conquistò immediatamente.

    «Troverai la giusta mediazione, come sempre! Lascia che le cose si sistemino da sole, non è la prima riunione di budget cui prendi parte, anche se l’andamento aziendale non è proprio come lo desiderano gli azionisti, o no?» disse Agnese uscendo dal bagno e indossando la camicia usata di Alberto appoggiata sulla poltrona alla destra del letto.

    A lei piaceva indossare gli abiti usati del proprio uomo, le piaceva sentire il profumo, l’odore!

    Durante il loro primo incontro, infatti, Agnese, fu da subito conquistata dalla fragranza dolce e aspra allo stesso tempo e il mix tra l’enfasi dell’odore dell’erba alle prime ore del giorno, e il profumo dolciastro della glassa dei cornetti sfornati durante la notte.

    Alberto raccolse l’invito e iniziò a riflettere sulle possibili strategie da intraprendere durante l’incontro aziendale programmato, nel frattempo si voltò verso Agnese e fu immediatamente rapito dall’armonia dei movimenti nell’indossare la sua camicia nonché dalla silhouette, magnificamente modellata nelle misure nonostante la soglia dei quarantasette anni.

    «Questa volta sarà più dura! La situazione è veramente critica, alcuni investimenti fatti nel passato non si sono rilevati così fruttuosi come si pensava, e sicuramente questo non gioverà alla forza vendita, di per sé già in calo di fatturato, e poi anche gli incassi non sono in linea con le scadenze del ciclo della fatturazione!» denunciò d’impeto.

    Alberto non amava lamentarsi con Agnese della situazione lavorativa, si reputava un uomo sicuramente fortunato. Nonostante la crisi aveva una posizione manageriale di tutto prestigio, lo stipendio era buono anche senza premi di produzione, cui tra l’altro aveva rinunciato come forma di solidarietà verso i colleghi in difficoltà già dall’anno precedente.

    La sua filosofia di far squadra comportava anche azioni coerenti al pensiero. La chiusura contabile del 2013 non era stata particolarmente in linea con quanto avevano previsto i cervelloni della Direzione aziendale, di cui anche lui era membro, e durante la riunione contabile programmatica aveva avanzato la proposta della rinuncia al bonus aziendale come risposta netta e concreta verso i dipendenti del management alla mancanza di redditività.

    Alcune iniziative intraprese da Alberto dello stesso genere, in passato, non furono particolarmente condivise, specialmente da Marco, responsabile del portfolio e marketing, che giustificò l’insuccesso del mancato allineamento agli obiettivi, come incapacità da parte dei colleghi nell’identificare le nuove esigenze di mercato. Marco, ottimo manager, era stato assunto l’anno passato rubandolo alla concorrenza, a seguito di numerosi incontri e colloqui, tra cui anche il suo.

    Sinceramente durante l’incontro era piaciuto molto a tutti e in particolar modo anche ad Alberto che aveva apprezzato soprattutto il senso del dovere e l’orientamento verso l’obiettivo, qualità che di primo acchito rendeva Marco fermo, deciso, e molto preparato. Conosceva, infatti, perfettamente il mercato, nonostante la giovane età, era padrone delle maggiori politiche di marketing e, cosa più importante, aveva impostato notevoli innovazioni nel ciclo delle vendite nelle precedenti esperienze lavorative. Insomma Alberto pensò che l’entrata di Marco all’interno del proprio team, potesse in qualche modo tamponare o addirittura invertire la discesa che l’azienda stata vivendo da qualche semestre.

    Alberto però non aveva ponderato nel giusto modo la caratteristica di Marco nel definirsi soprattutto come battitore libero. Si era rivelato, infatti, fin da subito un uomo non di staff: amava chiudersi all’interno della propria stanza alla ricerca della soluzione migliore, come risposta concreta e immediata alle problematiche aziendali, amava essere riservato, non condivideva le proprie emozioni con i suoi colleghi, neanche con i collaboratori più stretti, ma nonostante ciò, era stato sempre all’altezza delle attese, riusciva a interpretare nel migliore dei modi ogni esigenza del mercato, fornendo campagne marketing di successo.

    Egli riusciva, nella sua complessa politica direzionale, a coinvolgere ogni singolo elemento del proprio gruppo, pur non fornendo a nessuno una visione completa d’insieme.

    Aveva assistito più volte Alberto, infatti, durante il pranzo sia in mensa dell’azienda sia nei vari bar esterni, allo sfogo di alcuni dei collaboratori di Marco. La maggior accusa era che a volte non si comprendevano le ragioni per l’assegnazione di alcuni temi specifici di approfondimento.

    Il tutto acquisiva però un senso compiuto durante la presentazione del risultato da parte dello stesso Marco al comitato di direzione.

    Qui ogni singolo tassello preparato dai suoi stretti collaboratori, ignari del lavoro dell’uno rispetto agli altri, prendeva forma completando l’opera in modo ottimale e fornendo una risposta eccellente ed esaustiva alle esigenze dell’azienda.

    A conclusione di ogni meeting, Alberto era quasi spinto dalla voglia di incontrare i collaboratori di Marco e descrivergli il successo del loro lavoro, come risposta alla scarsa visione d’insieme, ma rispettava l’impostazione di Marco nel rendere competitivo il lavoro del suo team. Una volta durante un pausa pranzo Alberto gli aveva chiesto i motivi di così tanta mancanza di condivisione, e Marco aveva risposto, con semplicità, che la condivisione non permette alle persone di vivere la giusta parte di stress, garanzia quest’ultima di ottimi risultati.

    Marco era un manager di quelli che applicava la teoria secondo la quale un dipendente tranquillo, è un dipendente non al massimo delle proprie possibilità, secondo lui lo Stato Italiano si era ridotto alla bancarotta, per l’assoluta garanzia del posto fisso.

    «A cosa stai pensando?» domandò Agnese. Alberto prese coscienza dell’iperbole che stava compiendo con i propri pensieri, si girò verso Agnese che nel frattempo si era seduta davanti al suo specchio con le gambe accavallate, pettinandosi i capelli con la sua spazzola preferita.

    «Pensavo a Marco! Stavolta sarà dura trascinarlo dalla mia parte, e sai benissimo quanta influenza emana all’interno del comitato di Direzione!» risposte Alberto, portandosi dietro ad Agnese e massaggiandole le spalle, facendo in modo che il suo odore fosse intrappolato dal proprio naso.

    Ad Agnese piaceva essere toccata da Alberto, specialmente quando indossava la sua camicia usata, e a ogni movimento liberava una parte dell’odore. Si rilassò quindi lasciando cadere la spazzola, fece scivolare le braccia lungo i fianchi, e inarcò la schiena inclinandola verso Alberto allungando le gambe sotto il mobile. Inspirò l’aria facendo navigare liberamente la mente, aveva dormito bene quella notte, aveva sognato la mamma.

    Le piaceva sognarla, le mancava da morire.

    I sogni con lei erano diventati degli incontri bellissimi, quasi necessari a seguito della sua morte prematura nel 2008 per un tumore ai polmoni. Durante questi sogni Agnese aveva la possibilità di raccontarle tutto quello che non aveva fatto in tempo a dirle da viva, per pigrizia o per mancanza di occasioni; facevano delle lunghe passeggiate mano nella mano, durante i loro incontri, dove Agnese le raccontava tutto quello che le stava succedendo chiedendole ogni volta dei consigli.

    Tuttavia il più delle volte, si svegliava senza che la mamma fosse riuscita a risponderle, ma il solo pensiero di averle raccontato cosa le stesse succedendo, la faceva star bene, il suo terapista le aveva detto che questi sogni la aiutavano a metabolizzare il distacco della madre, mai superato.

    Alberto continuò con il massaggio, gli piaceva osservare Agnese mentre si rilassava, era presuntuoso nel pensare che lui fosse l’unico ad assaporare quei momenti d’intimità, inoltre era a conoscenza che anche per lei non era un periodo molto felice.

    «Marco è una persona che stimi, altrimenti non avresti dato il tuo assenso all’assunzione, il suo atteggiamento egoista, come lo definisci tu, non è altro che la convinzione del suo pregiato valore aggiunto fornito all’azienda, pertanto il pagamento del bonus è un atto dovuto, non una scelta. Non puoi pensare che tutti ragionino secondo i tuoi principi!» incalzò Agnese.

    «Non ho mai imposto le mie condizioni a nessuno, ed ho sempre rispettato il lavoro dei colleghi, tuttavia credo che l’attuale condizione economica fornisca un quadro diverso rispetto al passato e che, forse, alcuni benefit che in passato erano garantiti o dovuti, come li definisci te, oggi non sono più giustificabili. Specialmente se poi queste rinunce possano far acquisire del tempo utile all’azienda, posticipando decisioni difficili» rispose Alberto continuando a gustare con i polpastrelli la pelle liscia di Agnese.

    «E poi ti ricordo, che il nostro stipendio è già, di per sé, una garanzia di gran lunga superiore alle attuali condizione economiche di mercato. Non credo che rinunciare al bonus possa ridurre una famiglia come la nostra sul lastrico» terminò Alberto.

    «Vedi, come al solito non hai compreso il punto di vista di Marco. Lui non crede che il mancato incasso del bonus possa significare una perdita eccezionale, lui è convinto solo che la sua professionalità non debba essere messa in discussione. Anzi l’erogazione del bonus è solo una risposta immediata alla sua professionalità, qualità che non può essere messa in discussione per agenti non imputabili alle scelte manageriali. Se le cose non vanno, si devono identificare le responsabilità, cercando, in tutti i modi di cambiarle, dove possibile, o addirittura di eliminarle dove non è possibile, prima che possano rendere impercorribile la rinascita dell’azienda. Anche nei corsi di salvataggio la prima cosa che viene insegnata è la netta distinzione tra il salvataggio di una vita, e la messa in pericolo della propria».

    Agnese si alzò girandosi verso Alberto e guardandolo negli occhi, riprese e terminò il pensiero:

    «Amore mio, non è detto che la tua comprensione nel posticipare la decisione di individuare le giuste responsabilità sia la via migliore per la rinascita dell’azienda, sei un uomo stupendo, hai un senso della responsabilità che supera di molto l’arroganza della posizione che occupi, e questo ti rende un ottimo uomo, ma a volte prender tempo non risolve i problemi ma li acuisce e semmai li posticipa solamente». Nel finire la frase Agnese avvicinò le labbra a quelle di Alberto, assaporò il calore della sua bocca, la fragranza della sua lingua, la dolcezza del suo respiro.

    Alberto abbracciò la moglie appena finì il ragionamento. Apprezzò il corpo che gli si stringeva contro, i suoi seni sodi spalmarsi sul suo petto e l’odore della sua pelle inebriare l’olfatto nell’attesa che le sue labbra, calde e dolci, fossero gustate dalla proprie. Aveva sempre amato le labbra di Agnese, erano morbide, lisce e sempre dolci, a ogni ora del giorno e della notte.

    Una caratteristica che aveva da subito apprezzato.

    Anche durante il primo bacio rimase colpito da così tanta dolcezza, tanto da pensare sul come avesse fatto Agnese a mangiare una caramella senza che lui se ne fosse accorto prima del loro primo bacio. Amava quell’aspetto. Gli piaceva immaginare la concretizzazione di quel detto che le donne concepiscono il loro primo bacio come il preludio di ciò che le attenderà durante quell’intera relazione.

    Se ciò fosse stato vero, per lui, sarebbe stata una relazione a dir poco eccezionale. Tale convinzione lo aveva portato, all’epoca, ad abbondonare il suo normale atteggiamento riflessivo e distante e trasformarlo in un approccio quasi impervio verso quella donna sconosciuta. Si staccarono entrambi dal quel bacio appassionato, e Agnese aprì gli occhi un attimo prima che la messa a fuoco gli permettesse di apprezzare da vicino il viso di Alberto. I suoi lineamenti erano gentili e armoniosi nel suo complesso. Agnese lo identificava ancora come un bellissimo uomo, dotato del giusto fascino, insomma Alberto era paragonabile a una bottiglia di un buon vino doc, l’invecchiamento lo avrebbe solo che migliorato.

    L’ultimo pensiero però la rattristò.

    In lei prese consistenza una dura verità, un uomo man mano che invecchia aumenta il proprio fascino, una donna man mano che invecchia, invecchia e basta. Quanti uomini famosi invecchiando erano quasi migliorati nella visione complessiva. Un nome per tutti, Sean Connery, quante donne potevano vantare la stessa identica fortuna?

    Alberto vide negli occhi di Agnese un lieve velo di tristezza.

    «Cosa hai tesoro?» domandò

    «Nulla di che! Non ti preoccupare» rispose di primo acchito Agnese, pur sapendo che però sarebbe stato inutile nascondere il proprio pensiero; e che non avrebbe avuto scampo finché non avesse reso partecipe in modo completo al pensiero il proprio uomo.

    «È che riflettevo su una questione abbastanza imbarazzante, per noi donne! Com’è possibile che voi uomini man mano che invecchiate acquistate fascino e sex appeal, al contrario di noi donne che dopo una certa età non resta che rifugiarsi nella sola chirurgia estetica? Questa cosa non è corretta, non rispetta la parità dei trattamenti, specialmente per noi, già esageratamente provate nell’accettare il passare degli anni!» e nel terminare la frase incastrò il proprio volto all’interno dello spazio tra la spalla e il petto di Alberto.

    Amava incastrarsi in quello spazio, questa era un’altra caratteristica che le permetteva di identificare in modo univoco il suo uomo.

    Alberto aveva colto il segnale dell’incastro, era un’azione che Agnese faceva ogni volta che desiderava avere la consapevolezza dell’assoluta perfezione della loro unione. Era come una richiesta di un’ennesima prova d’amore. Alberto aumentò la forza dosandola fino al punto di trasformare quei due corpi distinti da quell’abbraccio, in un’unica sola anima.

    «Amore mio! La differenza tra i due sessi risiede nell’accezione del termine e nella consapevolezza di entrambi a volerlo accettare per ciò che lo stesso esprime! Secondo me l’armonia che si viene a creare tra il corpo e la mente durante la fase dell’invecchiamento comporta la differenza della perfezione espressa come attrazione nell’altro!» proseguì il suo ragionamento allontanandosi quel poco che permettesse di far fare una piroetta ad Agnese.

    «Prendiamo ad esempio te, sei perfetta nonostante l’età! Hai un fisico eccezionale, un viso luminoso, delle bellissime mani, e per non parlare dei piedi ancora perfettamente in linea con il fisico, non sinceri rispetto all’età anagrafica, insomma sei una bellissima donna, e non lo dico solamente io!» terminando la frase Alberto ammiccò con gli occhi facendo in modo che Agnese cogliesse la complicità di quell’ultima affermazione.

    Proseguì allora:

    «Ora se tu fossi convinta del contrario, e non avessi la fortuna di avere accanto un uomo eccezionale come me, che sa riconoscere l’armonia della perfezione, magari ti saresti già sottoposta a numerosi interventi chirurgici allo scopo solo di peggiorare la già agognata perfezione, quindi la tua preoccupazione deve essere rivolta solamente alla consapevolezza della quantità di bene che deponi verso te stessa».

    Agnese rimase sbalordita di tutto il ragionamento, erano anni che viveva con Alberto ed episodi come quello appena vissuto erano molto rari. Alberto, infatti, non amava lasciarsi andare facilmente ad apprezzamenti di vario genere, specialmente con Agnese, seppur la amasse alla follia, il suo essere riflessivo e la sua predisposizione nel ricercare la corretta esternazione dei sentimenti ad ogni costo, non gli consentivano un libero sfogo.

    Agnese guardò il suo uomo, e capì immediatamente che anche lui aveva intuito il felice momento appena vissuto e il desiderio di concretizzare quell’intesa fisica fantastica prese il sopravvento.

    Come sempre in quei momenti, non dissero nulla, si avvicinarono entrambi all’unisono e si cercarono appassionatamente; le labbra si fusero insieme creando un unico riflesso nell’ombra mattutina, il loro abbraccio ricalcò le perfette armonie d’intesa, i loro pensieri si acquietarono indisturbati, e ogni centimetro dei rispettivi corpi assaporò il soave momento.

    Agnese sentì il rimescolamento dei pensieri, e il contrarsi dei muscoli dell’addome diede inizio a una serie di susseguirsi di eventi ormai molto noti, il tutto era il preludio della concessione all’arte consolidata dell’amore. Alberto era l’unico uomo che nonostante tutto riusciva con un semplice abbraccio a rendere tutto l’intorno, estraneo, distante anni luce.

    Alberto di contro sentì l’irrigidimento di ogni suo muscolo, riconobbe anch’egli il preludio dell’eccitazione prendere il sopravvento su ogni suo pensiero esterno.

    Vivere questa emozione ogni volta era come riviverla per la prima.

    Agnese possedeva un potere immenso su di lui, non aveva mai provato con nessun’altra donna un’armonia e un’intensità, così profonde.

    I due corpi si staccarono come se dovessero riprender fiato.

    «A che ora devi stare in ufficio? La piccola ancora dorme! Possiamo lasciarci andare se vuoi…» sospirò Agnese.

    «Non ho grandi impegni nella giornata se non la riunione programmatica, perché che intenzioni hai?» cercò di farfugliare Alberto sentendo il proprio respiro farsi meno regolare e più affannoso. «Lo vedrai…» e nel terminare la frase Agnese lo abbracciò avidamente respirando affannosamente e spingendo il proprio corpo verso di lui riducendo al minimo gli spazi vitali.

    I loro pensieri si fusero.

    I due respiri trovarono la corretta sintonia, le mani iniziarono a ricercare le zone proibite dei rispettivi corpi. Alberto iniziò a sbottonare la camicia che indossava Agnese sapendo che questa era l’unico ostacolo tra lui e la sua pelle fresca e profumata. Sentì le mani muoversi ed esplorare le parti del corpo non ancora scoperte, iniziarono ad assaporare man mano il loro odore con rapidi baci sulla pelle liscia, e constatò con assoluta consapevolezza il vortice della passione che divenne ancora più intenso. Si persero completamente all’interno dei loro instabili pensieri.

    Si spostarono all’interno della camera, saltando tra una scarpa e l’altra e scostando maldestramente gli abiti ormai senza vita di entrambi lasciati sul pavimento, si avvicinarono senza grandi problemi verso il loro letto, avidi entrambi nell’assaporare quella perfetta sintonia, quando lo scricchiolio del parquet del corridoio attirò la loro attenzione.

    Era Camilla, la seconda figlia, che insieme all’inseparabile labrador marrone si avvicinava verso la camera dei genitori.

    «Cos’è successo, Milla? Già in piedi?» domandò d’istinto Agnese spostandosi di lato e liberandosi malvolentieri dell’abbraccio di Alberto.

    «Mamma, ho bisogno di fare colazione, Lilla stanotte ha mangiato tutti i miei biscotti della riserva nascosta sulla mia scrivania!» nel completare la frase spalancò le porte della stanza da letto, e si lanciò verso l’abbraccio della madre.

    Lilla era il nome del labrador, lo aveva scelto Milla senza nessuna riserva al momento della scelta tra la cucciolata, lasciando, tra le altre cose, tutti i presenti di stucco.

    Il giorno prestabilito della scelta del cane, infatti, Milla si rivolse verso la cucciolata intenta a succhiare il latte dalla mamma. Con la massima tranquillità si rivolse a uno di essi, chiamandola per nome Lilla per l’appunto, intimando di smettere di mangiare, di sedersi per farsi infilare il collarino color rosa comprato appena prima di entrare nell’allevamento, e di seguirla per procedere con le pratiche necessarie al suo acquisto, come se il tutto fosse stato oggetto di numerose prove.

    Fino a qui nulla di particolare, se fosse che il cucciolo da lei indicato si voltò, smise di succhiare il latte, si allontanò dalla cucciolata, dando a tutti gli osservatori, la netta impressione di comprendere esattamente le richieste di Camilla, e si sedette alla sua destra aspettando pazientemente che lei le indossasse il collare. Anche lo stesso allevatore restò senza parole. In seguito dichiarò che non era mai stato testimone di un così prefetto imprinting tra un essere umano e un cane, nonostante i numerosi anni trascorsi in quell’ambiente.

    «Quante volte ti ripeto, che non devi permettere a Lilla di dormire con te, lei ha la sua cuccia, il suo spazio!» Agnese rivolse lo sguardo verso Milla, guardandola con occhi severi ma amorevoli allo stesso tempo. Anche Lilla appariva dispiaciuta, di chi sa di averla combinata grossa e quindi se ne stava seduta all’altezza della porta scodinzolando in attesa del permesso d’entrare nella stanza. Conosceva perfettamente le regole della casa.

    Non era permesso l’accesso al cane alle stanze da letto, compresa la camera di Milla. Era riservato a Lilla l’intero seminterrato con addirittura un divano tutto a sua disposizione.

    «È inutile che mi guardi in quel modo, lo sai perfettamente che il secondo piano per te è off limits!» disse Agnese a Lilla trattandola come un essere umano; Lilla smise di scodinzolare e appoggiò il suo muso sul pavimento assumendo la consueta espressione di dispiacere di cane bastonato.

    «Ma mamma lei è con me. Sono stata io ad autorizzare la sua salita al secondo piano. Ha dormito con me stanotte, sai che mi deve proteggere!» e nel dire ciò si rivolse verso il cane lasciandole intendere che la situazione era sotto controllo.

    «Se devi sgridare qualcuno, sgrida pure me! Lei ha solo eseguito i miei desideri».

    Nel frattempo Alberto uscì dal bagno, luogo nel quale si era rintanato preso di contropiede dalla visita inaspettata della figlia.

    «Cos’ha combinato stavolta la mia pulce?» disse

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