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Foto di gruppo con tormenta
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E-book234 pagine3 ore

Foto di gruppo con tormenta

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Info su questo ebook

Un treno bloccato nell'oscurità.

Fuori, neve a più non posso. Dentro, tredici persone ingannano l'attesa dei soccorsi raccontandosi storie.

Tra viaggi nel tempo e segreti famigliari, tra infatuazioni ancillari e folli cene con colleghi, i tredici scopriranno il piacere di narrare.

Anche in situazioni disperate.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2016
ISBN9788822857491
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    Anteprima del libro

    Foto di gruppo con tormenta - Mauro Marciani

    Mauro Marciani

    Foto di gruppo con tormenta

    UUID: 5511c9e2-95ec-11e6-89c0-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice

    Introduzione

    Bondage

    Sogno o son desto

    La lingua di Babele

    Esteban

    Intermezzo

    Paolo era, e bello

    Un quartiere come un altro

    Senz'aria

    Intermezzo

    Catturato dall'arte

    Amore e anagrafe

    Lo specchio di Fuentes

    Intermezzo

    I segreti di papà

    L'uomo perfetto

    Intermezzo

    Pompa, pompa!

    Finale

    Ringraziamenti

    a Stefano Benni, paladino

    del piacere della narrazione

    a noi vrenzolacce

    Introduzione

    Il serpente assordante sferragliava nel silenzio della sera.

    Era uno di quei rari convogli che si trovano ancora su qualche linea secondaria a scarso traffico: la grossa e minacciosa locomotiva diesel trainava due vetusti e sparuti vagoni in quello che era l'ultimo treno della giornata diretto dal capoluogo ai vari paesetti dell'entroterra. L'inverno stava giocando le sue carte senza risparmiarsi: il freddo era gelido e la neve era caduta abbondante quasi dovunque, anche in zone ed altitudini non abituali. Forse era anche per questo se, quella sera, c'erano ancor meno persone del solito: il Capotreno, nel suo giro di controllo dei biglietti, aveva infatti contato una dozzina scarsa di impavidi viaggiatori. Tre di loro erano volti abbastanza abituali, trattandosi di professionisti che orbitavano intorno al capoluogo e con cui aveva scambiato più volte quattro chiacchiere, ma le altre persone gli risultarono completamente estranee.

    «Viene giù bene, eh?» stava chiedendo l'Avvocato al Professore indicando il finestrino sempre più ricoperto di fiocchi.

    «Quest'anno sembra non voler smettere mai,» concordò l'altro. «Stamattina sentivo dire che su a Muccusiello sono bloccati in casa da due giorni».

    «Speriamo non sia così,» si accigliò l'Avvocato. «Ho dei parenti, lassù».

    «Scusate se mi intrometto,» si inserì un ragazzo con l'aria da Studente universitario, «ma Muccusiello non è isolata: un mio collega è arrivato oggi pomeriggio a lezione, in corriera e senza problemi».

    «Be', meno male,» si rasserenò l'Avvocato, «così evitiamo di finire nuovamente sulla stampa nazionale per l'inefficienza dei nostri servizi. Lei, capo, che ne dice?».

    Il ferroviere, tirato in ballo senza cognizione di causa, allargò le braccia e scosse la testa in un gesto talmente generico da essere buono per tutti gli usi; poi, per ogni buon conto, s'incamminò lungo il corridoio e si portò nella seconda carrozza. Vi trovò seduti un ragazzino vestito da Cameriere, un signore probabilmente Orientale alto alto e molto distinto, una figura con lo sguardo stralunato tipico di un Matematico e quel giovane Psicologo che capitava su quel treno due o tre sere a settimana: il Capotreno lo salutò e questi, ricambiando, lo invitò a sedersi per fare due chiacchiere.

    Il viaggio procedeva tranquillamente, e già qualche testa cominciava a ciondolare in cerca di quel naturale cuscino improvvisato che è il finestrino: il tepore delle vetture aiutava a dimenticare le tensioni della giornata e tutti si lasciavano lusingare del ritmico cullare del treno, quando il convoglio si arrestò bruscamente. Il Capotreno si alzò in piedi, prese in mano il telefono di servizio e chiamò i macchinisti con fare scherzoso: «Sono io. Che avete combinato, là davanti?». Il buonumore gli sparì di colpo dal viso: «Siete sicuri?». Poi continuò, con un tono fin troppo serio: «Aspettate, vengo a vedere». Domandò scusa allo Psicologo, azionò l'apertura di emergenza di una porta e fece per scendere dal treno: illuminò con la lanterna d'ordinanza l'esterno e si arrestò, colpito dalla grande quantità della neve.

    «Ce ne sarà almeno mezzo metro, capo,» notò il Matematico esagerando un po'. «Vuole davvero tuffarsi?».

    Il Capotreno ci rifletté sopra e tornò a parlare al telefono di servizio: «Sì, sempre io. Sentite, non posso scendere da qui: ho la neve ben oltre la massicciata e –». Ascoltò annuendo quanto gli veniva detto, poi riprese: «Certo! Assolutamente! Io avviso i viaggiatori, voi chiamate tutti. Fatemi sapere».

    Lo Psicologo lo vide massaggiarsi gli occhi con le dita, e capì che una brutta notizia era in arrivo: dopo aver fatto un paio di grandi respiri, il Capotreno li invitò a spostarsi nella vettura accanto perché doveva dar loro una comunicazione importante. La stranezza della situazione non ingenerò lamentele o richieste di chiarimento: gli occupanti del vagone raccolsero le loro cose e, con calma, si incamminarono dove gli era stato indicato.

    Quando l'Avvocato vide entrare queste persone con i rispettivi bagagli si affrettò a dare di gomito al Professore: «Stasera ne vedremo delle belle,» disse.

    Aveva ragione.

    Quando tutti si furono accomodati, il Capotreno si schiarì la voce, chiese l'attenzione dei presenti e parlò: «Signori, devo purtroppo annunciarvi che siamo fermi in linea a causa del maltempo. Ci troviamo a circa cinque chilometri dalla stazione di Vrenzola e davanti a noi si trova una valanga di neve caduta dal costone di roccia che ci impedisce di proseguire: i macchinisti se ne sono accorti giusto in tempo e sono riusciti a frenare prima di urtarla. Ad occhio e croce, stimano che sia alta più di tre metri, e visto che questo tratto di linea corre in trincea sono sicuro che non stanno esagerando».

    «Non possiamo passarci in mezzo?» chiese il Cameriere.

    «Potremmo, in effetti,» convenne il Capotreno, «ma non sappiamo se lo strato più interno della slavina sia congelato o se possa nascondere della terra o addirittura un masso: rischieremmo di farci tutti molto male, e a quel punto saremmo in una situazione ancor peggiore. Oltretutto,» continuò, «anche se non trovassimo un ostacolo solido, correremmo comunque il pericolo non irrilevante che un po' di neve possa entrare nei motori e farli spegnere».

    «Quindi, siamo bloccati qui,» riassunse il Professore. «Cosa contate di fare?».

    «I colleghi stanno già avvisando i nostri referenti che dovrebbero immediatamente mettere in allerta la Protezione Civile. Purtroppo, come potete immaginare, non posso fornirvi alcuna stima dei tempi: non si tratta di una sciocchezza, e oltretutto è sempre più difficile risolvere i problemi di notte che non di giorno.»

    Immediatamente, in un riflesso condizionato fin troppo recente ma dalla valenza atavica, tutti misero mano al proprio cellulare.

    «Temo sia inutile,» li riprese il Capotreno. «Purtroppo, in questa zona non c'è copertura: funziona solo il mio telefono di servizio, che non utilizza la rete convenzionale e che può contattare solo altre utenze ferroviarie».

    Ci fu un attimo di silenzio generalizzato in cui ognuno pensava alla persona che lo stava aspettando a casa e a quella sensazione di frustrante impotenza che sentiva rabbiosamente nascere dentro, poi ognuno seguì il proprio flusso di coscienza e cominciò a riflettere sulle ore di sonno che stava perdendo o sul terrore che aveva di morire assiderato: il Capotreno aspettò per qualche secondo che tutti prendessero coscienza dei propri sommovimenti interiori e poi riprese a parlare.

    «Vi ho fatto spostare tutti in una sola vettura perché così potrò togliere l'alimentazione alla carrozza accanto per non sovraccaricare il generatore di tensione della locomotiva,» spiegò, «e perché in questo modo possiamo farci compagnia in attesa dei soccorsi».

    «Perché,» chiese un ragazzo con la diffidenza tipica di chi è abituato a sentirsi Emarginato, «c'è la possibilità che salti tutto?».

    «Lo escludo nella maniera più assoluta. La mia è solo una misura cautelativa: in questo modo, avremo una vettura di riserva per eventuali emergenze.»

    «Per quanto tempo funzioneranno ancora le luci e il riscaldamento?» s'informò il signore Orientale.

    «Quello non dovrebbe rappresentare un problema,» rispose il ferroviere. «C'è ancora abbastanza nafta non per uno ma per tre disastri come questo».

    Squillò un telefono e tutti gli occhi puntarono sul Capotreno: lo videro rispondere, annuire ripetutamente, concentrarsi su quanto gli veniva detto e solo alla fine fornire informazioni circa il numero dei passeggeri e lo stato di efficienza del treno. Quando la comunicazione fu interrotta, apparve ad ognuno molto più tranquillo.

    «I soccorsi stanno arrivando,» annunciò con un sorriso. «Mi hanno appena avvisato che la nostra situazione ha la priorità assoluta e che le prime squadre stanno partendo mentre ne stiamo parlando. È ovvio che non sarà questione di pochi minuti,» aggiunse precedendo qualche sicura domanda, «ma la situazione sembra meno tragica di quanto ci sia sembrata a prima vista».

    L'atmosfera rimase tesa ma si sentivano, qua e là, appena accennati sospiri di sollievo.

    «Dunque,» riprese il ferroviere, «si tratta solo di ingannare il tempo che ci separa dall'arrivo dei soccorritori. Qualcuno di voi ha qualche idea?».

    «Un torneo di briscola o di tressette?» propose il Matematico.

    «Per me va bene,» convenne il Capotreno. «Chi ha un mazzo di carte?».

    Il vagone ammutolì.

    «L'idea sembra da scartare,» evidenziò il Professore con un involontario gioco di parole. «Posso suggerire di raccontare qualcosa di noi stessi, visto che siamo tutti sulla stessa barca? Così, tanto per conoscerci un po' meglio».

    «Io sono un Amministratore di condominio,» proruppe all'improvviso un signore dall'aria bonaria. «Amo il mare e i dolci e –».

    «Mi permetta,» lo interruppe lo Psicologo, «ma questa è una cosa che sconsiglio vivamente: data la situazione di clausura forzata in cui ci troviamo, rischiamo di scatenare dinamiche di gruppi dagli esiti a dir poco imprevedibili».

    Il Capotreno ripensò ad un vecchio romanzo che aveva letto molti anni prima e capì di essere d'accordo. «Cosa suggerisce?».

    «Qualcosa di più impersonale, di più distaccato. Come il raccontare le barzellette.»

    Un ragazzo Timido arrossì e, abbassando la testa, obiettò: «Non sono bravo a raccontare storielle».

    «E perché non storie vere e proprie, allora?» propose l'Orientale. «Ognuno di noi si inventa un racconto o pesca dalla memoria una favola oppure condivide un momento di vita vissuta: tema libero, niente premi e zero competizione».

    «Mi sembra un'ottima intuizione,» convenne l'Avvocato, «e l'aneddotica mi è sempre garbata. Io ci sto».

    «Sì, piace anche a me,» confermò il Capotreno, quindi passò lo sguardo sui presenti. «Dunque, siamo tutti d'accordo?».

    Ci fu un assenso totale: data la particolarità della situazione, la filosofia del buon viso a cattivo gioco sembrò piacere a tutti. Il signore Orientale fu invitato ad aprire le danze, e lui acconsentì di buon grado chiedendo solo qualche minuto di tempo per imbastire la trama; furono quindi richiesti dei volontari, e se il Timido si nascose da tutti gli altri sguardi, lo Studente alzò una mano accompagnandola ad una scrollata di spalle. Si prenotarono anche un Letterato vestito in maniera alquanto elegante e il Matematico, quindi il Capotreno suggerì di non dilungarsi oltre.

    La tempesta di neve continuava senza sosta quando lo spilungone Orientale si alzò in piedi e cominciò a raccontare.

    Bondage

    Il racconto dell'Orientale

    Ecco ch'avolto

    porto di bruno laccio il core intorno...

    (G.B. Marino)

    Per allacciare il nodo, aveva inavvertitamente rivolto all'insù il polso sinistro.

    «E quello cos'è? Un tatuaggio? Molto sexy…»

    Accantonò per un attimo le sue operazioni e lasciò che lei guardasse a suo piacimento.

    «Non sembra un motivo tribale… Niente niente è una qualche scemenza giapponese?»

    «Cinese,» la corresse. «Cinese tradizionale, a dirla tutta».

    «Oh!» esclamò lei con un sorriso che sapeva di derisione. «Scusami, signor Cinese-Tradizionale! Non ti facevo così tanto pignolo…».

    Si passò la lingua sulle labbra, sempre più eccitata, mentre lui riprendeva i suoi gesti calmi e la sua metodica lentezza.

    «E quindi? Cosa significano, quei segni?» incalzò.

    «È un'espressione quasi proverbiale,» rispose. «Si tratta di un motto, di una massima: è il wu wei, il celebre… ».

    L'assenza di una qualunque scintilla nei suoi occhi fu la più chiara delle risposte.

    «No,» riprese, «credo che tu non ne abbia mai sentito parlare».

    Lei notò o credette di notare nella sua voce un'incrinatura di delusione o di derisione. Pensò anche di averla immaginata del tutto, ma proprio per questo si sentì punta sul vivo e quasi insultata: «Ehi, morto di fame! Non fare tanto il superiore con me, hai capito? Ti ricordo che se c'è qualcuno, qui, che deve vendere il suo corpo e le sue attenzioni a delle perfette sconosciute per sopravvivere, non sono io». I muscoli del braccio destro si erano più volte contratti, pronti ad esplodere in un gesto di rivalsa fisica: se non fosse stato per il laccio che li imprigionava, nella stanza sarebbe risuonato almeno un ceffone. Questa violenza inespressa non le era bastata, visto che si sentì in dovere di aggiungere ancora: «Anzi, sono quasi convinta che io guadagno in un mese quello che tu porti a casa in un anno, anche se sei uno dei gigolò più richiesti del giro».

    «Ne sono convinto,» concordò lui, placidamente e senza distrarsi.

    Tutta quell'indifferenza la mandò in bestia: «Dimmi, morto di fame,» aggiunse sprezzante, «tu ce l'hai una laurea? Una laurea prestigiosa, blasonata, pesante; una laurea che ti rende venti volte quanto ti è costata; una laurea come la mia, che è quasi un contratto di lavoro e che ti permette di aspirare a qualunque poltrona dirigenziale nel mondo?».

    «No,» riconobbe lui con la massima naturalezza, «non ce l'ho. E lo sai bene,» precisò mentre chiudeva il nodo.

    Lei parve placarsi, probabilmente soddisfatta di quel riconoscimento che le era tanto importante, e tornò ad adagiarsi sul cuscino. «Dividere il letto per una notte non ti autorizza a dimenticare chi sei tu e chi sono io. Anzi, dovresti fare maggiore attenzione a chi è, tra noi due, che paga e che viene pagato,» disse pronunciando le parole con un piacere sempre maggiore.

    Il lungo respiro dopo la sfuriata gli fece capire che la burrasca era passata, quindi prese un altro nastro dal comodino e glielo lasciò scivolare sulla pelle liscia e tonica, appena abbronzata. Dal lento movimento dei suoi occhi capì che quel gesto era proprio quello che ci voleva.

    Fu infatti con un tono molto più conciliante che, dopo un breve silenzio, lei tornò alla carica: «E insomma, cosa significano quegli scarabocchi?».

    Lui rispose riprendendo con delicatezza e dedizione quella strana danza di tessuti e carezze: «È forse la massima più rappresentativa del taoismo,» spiegò, «di cui incarna probabilmente l'essenza più rivoluzionaria. Tradotta con molta approssimazione, vuol dire non agire».

    «Non agire

    «Esatto: non agire. Te l'ho detto, è più una volgarizzazione che una traduzione vera e propria.»

    «L'hai detto, è vero, ma che razza di massima è? Non è chiara,» contestò.

    «Il messaggio deve essere correttamente interpretato, in effetti, e –»

    «Messaggio?» lo interruppe. «Non è chiara proprio come formulazione! Non agire: quando? In che occasione? In quale contesto? Dovrebbe essere più specifica, più circostanziata».

    Lui le baciò la mano sinistra, libera ancora per poco, con un'attenta delicatezza. E ignorò la domanda.

    «Allora?» lo incalzò lei dopo qualche secondo. «Rispondimi».

    Le cinse il polso con il nastro. «È il modo in cui il taoismo suggerisce di affrontare la vita, e cioè senza opporvisi. Cosa posso dirti di più?».

    Lei parve non capire, poi rise di disprezzo.

    «L'idea ti mette allegria?» le chiese.

    «È una delle cose più stupide che io abbia mai sentito,» sottolineò. «Tra tutte le stupide stupidaggini orientali, questa è sullo stupido podio delle stupidità. Come si potrebbe non affrontare la vita? Che senso ha non opporsi ad essa? Per caso il tuo tatuaggio spiega anche questo?».

    «Cosa posso aggiungere?» domandò lui, e rifletté. «Non agire è l'azione più nobile del saggio, perché è l'unico modo per non interferire nel destino di tutte le cose». Qui tacque, conscio di non poter essere più chiaro. E chiuse il laccio.

    «Aspetta, fammi capire,» insistette lei: sentiva il secondo nodo ormai stretto oltre ogni possibilità di scioglimento, eppure era ancora spinta verso quella diatriba. «Voglio dire: il saggio è uno che sa cosa è giusto e cosa non è giusto fare. Allora, perché dovrebbe decidere di non agire?».

    Lui scivolò lentamente sul corpo di lei tenendo le labbra quasi incollate alla sua pelle eccitata. Quando arrivò all'ombelico, lo baciò con una dolcezza che era quasi premura.

    «Sai cosa penso?» gli disse con una voce più languida di quanto non volesse. «Che mi stai raccontando un mare di balle».

    «È probabile,» riconobbe lui, e le posò un altro bacio appassionato sul ventre. «Questo tatuaggio si trova sul mio polso perché, in fondo, è una verità che vale soltanto per me».

    Rimase a fissarlo per un paio di secondi, poi sentenziò: «Sei strano. E maledettamente bravo. Forse è per questo che sei così richiesto».

    Lo vide scrollare le spalle, come se la cosa non gli importasse affatto.

    «Non sei uno di quegli uomini compiaciuti di sé che a letto fanno di tutto pur di strapparti un complimento che riconosca le loro capacità, e non sei fanatico come tutti i religiosi o sedicenti tali che ho incontrato».

    «Io non seguo alcuna religione,» precisò prima di baciarla di nuovo e poi di nuovo ancora. «È qualcosa di molto più simile ad una filosofia, veramente».

    «Una filosofia che ti suggerisce di non affrontare la vita,» lo interruppe lei. «Sì, sì, questo l'ho capito, ma non hai ancora soddisfatto la mia curiosità».

    Lui alzò verso di lei uno sguardo intenso, e la vide rabbrividire.

    «Ordina,» disse con un sorrisetto pieno di malizia, «e mi prenderò cura di tutte le tue necessità».

    Sentì il sangue accendersi tutto a un tratto, e capì che il vero piacere era a portata di mano. Il desiderio le soffocò la voce e non poté fare altro che muovere appena il capo per

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