Presagi della Mente
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Anteprima del libro
Presagi della Mente - Massimo Stella
Proprietà Letteraria Riservata ©
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SECONDA EDIZIONE - OTTOBRE 2015
Prima Edizione - Maggio 2013
MASSIMO STELLA
Attenzione: tutti gli eventi narrati all’interno di questo libro sono puramente casuali. Per via dei contenuti maturi, la lettura di tale opera è consigliata a un pubblico adulto.
Correzione Editoriale a cura di:
Massimo Stella, Tristano Ajmone e Valentina Cosma
Per segnalare correzioni o idee:
massimo.stella@inbox.com
Si ringraziano per il loro squisito supporto:
Tristano Ajmone, Valentina Cosma, Italo Stella e Lilia Funtò.
– PRESAGI DELLA MENTE –
Massimo Stella
PRELUDIO
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
EPILOGO
Preludio
Ci sono momenti in cui la nostra vita sembra andare per il verso giusto. Abbiamo la fortuna di svegliarci la mattina e vedere il mondo con i nostri occhi. La calda luce del giorno ci avvolge. Passeggiamo distratti sotto le nuvole che oscurano il sole. Nel cielo terso della sera volgiamo lo sguardo verso le stelle. Le settimane scorrono via placidamente, tra piccoli contrasti e modeste sorprese. Dimentichiamo di rallegrarci del dono della salute. Non mostriamo riconoscenza se abbiamo un tetto sopra la testa, un folto gruppo di amici e una persona con cui condividere tutto. Ogni singola cosa va bene. Semplicemente.
Ci sono ancora altri momenti in cui, invece, ogni situazione è tragica, insostenibile, insopportabile. Non riusciamo a trovare rimedio ai nostri problemi. Le preoccupazioni ci inseguono, ci accerchiano, ci assalgono. Contavamo su una parola amica. Mai pronunciata. Speravamo nell’aiuto di una persona cara. Scomparsa nel silenzio. Ciò che ci viene offerto è solo indifferenza. Con qualche sprazzo di condiscendenza mal dissimulata da una patina di affabilità.
E purtroppo le cose peggiorano. Noi vorremmo davvero cambiare. Vorremmo agire, stare meglio, tornare alla felicità di un tempo. Vorremmo semplicemente avere la possibilità di vivere la nostra vita da protagonisti. E invece restiamo abbattuti, defraudati di ogni speranza e dignità.
Svuotati, sconfitti e soli.
In tutti questi momenti anche una minima meccanica può scattare e stravolgere ogni cosa. Il corso degli eventi cambia rapidamente. Il passo dall’apatia alla felicità o dalla contentezza al contrasto è assai brusco. Giusto il tempo di un istante. Un battito di ciglia. Un respiro. Un pensiero. Uno schiocco di dita.
Il dubbio che la felicità odierna possa precedere una tragedia futura non ci sfiora. L’uomo contento non pensa ad altro che alla sua gioia. D’altro canto, l’uomo sofferente volge spesso il pensiero alle distrazioni più disparate e futili. Comunque sia, come sul palcoscenico di un teatro, le nostre vite vengono intrise di pathos, sciolte da arbitrari deus ex machina o magari congedate, come ruoli di secondo piano. Con l’unica differenza che, quando si spegne la luce di scena, dell’attore non resta più niente sul palco, nemmeno per l’inchino finale.
Possono esserci dei segni utili a presagire i cambiamenti incerti del domani. Degli indicatori di una catastrofe futura. Moniti di un orrore che potremmo evitare. La faccenda è complicata. Anzi, complessa. Perché, se anche riuscissimo a cogliere questi presagi della mente, fino a che punto dovremmo spingerci pur di raggiungere la salvezza?
I.
«Sembrava apparentemente semplice e invece alla fine le cose si sono complicate. — disse il professor Lanto alla cinquantina di studenti universitari della sua classe — L’esercizio vi avrà riservato delle sorprese, immagino. Molto probabilmente nel prossimo esame ci sarà un quesito affine, perciò vi consiglio di prepararvi e di svolgere qualche problema in più. Bene, per oggi abbiamo finito. A domani ragazzi.»
Detto questo, il docente lasciò il gesso sulla cattedra, scosse le mani e uscì dall’aula. Scorse mentalmente le tracce degli ultimi appelli, al fine di preparare un buon compito per la prova successiva. Preoccupazioni inutili.
Un lungo corridoio biancastro con un lato tappezzato di finestre. Fuori una pioggerella insistente. Tre figure immerse nella luce plumbea del giorno. Due inginocchiate presso una terza, distesa a terra. Esanime.
«Mi hanno chiamato stamattina. Il capo mi ha detto di un caso urgente e sono corso qui all’università appena ho potuto» disse un uomo dalla carnagione olivastra.
«L’ha trovato la donna delle pulizie che rassetta le stanze del dipartimento ogni mattina. Dai documenti che gli abbiamo trovato addosso dovrebbe trattarsi di Franco Lanto, associato di Fisica Nucleare qui all’università da cinque anni» rispose un altro giovane, pallido in volto.
«Sembra conciato molto male.»
L’ispettore Bruno usava spesso questa frase di fronte ai cadaveri dei suoi casi. Raramente però diceva quelle parole per pietà o commiserazione. Si trattava di pura routine ormai, visto che aveva già lavorato a decine di incarichi come quello: una vittima pugnalata a morte e ritrovata in un lago di sangue.
«Non ti fa più tanto effetto, vero?»
Il medico legale Jacob era totalmente diverso da Bruno. Aveva un animo sensibile, che forse mai si sarebbe abituato a scene così cruente. Questa sua sensibilità proveniva da un passato piuttosto turbolento, che aveva amplificato alcune componenti intime del suo carattere.
«Mi farà più effetto quando troveremo il colpevole di questo scempio. Un gruppo di studenti ha detto di aver avuto lezione ieri con il professor Lanto fino alle tredici. Cosa ne pensi?» rispose l’ispettore dai tratti mediterranei, rivolgendo uno sguardo interrogativo al collega.
«La temperatura del cadavere mi fa pensare che il decesso sia avvenuto tra le diciotto e le ventuno di ieri sera. Vista l’ampia quantità di sangue perso però non si tratta di un dato attendibile. Con l’umidità di questi giorni non potrei fornirti un dato esatto» affermò cautamente il ragazzo pallido, dando un’occhiata accigliata alle nubi plumbee che si intravedevano in cielo attraverso le finestre del corridoio.
«Sembra fin troppo pulito, non credi? Forse l’omicidio non si è consumato qui. Nonostante ci sia una larga chiazza di sangue scuro, mancano tutti gli schizzi di sangue arterioso. Che siano stati coperti o dissimulati? E questa qui cos’è?» Bruno indicò una monetina lasciata per terra accanto al cadavere martoriato.
«Cinque centesimi. Forse l’ha lasciata l’assassino, visto che il portafogli della vittima è ancora nella sua borsa, ritrovata proprio qui vicino.»
«Una traccia dell’omicida. La faremo catalogare non appena arriverà la scientifica. Bene, ne analizzeremo le impronte. Cos’altro sai dirmi, Jacob?»
«È stato ferito più volte. Non posso dirlo con esattezza, ma credo che la seconda pugnalata abbia colpito l’arteria aorta all’altezza del cuore. Deve essere stata una morte rapida ma dolorosa.» Detto questo Jacob si avvicinò al volto della vittima, contratto in un’ultima smorfia di dolore, sussurrando a se stesso. «Una vita promettente spezzata in questo modo… Chi ti ha fatto tutto questo?»
Come medico legale Jacob aveva uno stretto rapporto con i cadaveri. Il suo obiettivo principale era scoprire cosa avesse portato alla morte dei propri assistiti. A ogni costo. Come uomo, si chiedeva sempre cosa avessero provato le vittime poco prima di morire. La sua però non era solo una passione di tipo professionale.
Il medico sfiorò il lobo sinistro della vittima, per prelevare un pelo. In quel momento il passato gli si ripresentò dinnanzi.
* * *
Franco stava tornando dalla mensa. Nel pomeriggio avrebbe dovuto lavorare in laboratorio per dare una mano a un suo studente che stava effettuando una tesi di ricerca su alcuni impieghi dei semiconduttori nella fisica nucleare. Il docente indossava una giacca verdina di cotone, anche se le afose temperature estive erano solo un ricordo. Quel giorno soffiava un forte vento freddo e il cielo era talmente grigio da far presagire un sicuro acquazzone.
Le ore in laboratorio trascorsero velocemente. Il professore aveva una certa predilezione per le attività sperimentali, anche se il suo sogno era di andarsene via dall’università per lavorare in un istituto privato di ricerca all’estero. A trentaquattro anni aveva ancora tanto tempo e tante occasioni davanti a sé.
Il sole era ormai tramontato da un pezzo quando Franco e il suo studente uscirono dalla camera pulita. I due si salutarono e presero due strade opposte. Il professore si diresse verso il lungo corridoio buio che dava sul parcheggio esterno. Guardò l’orologio con le lancette fosforescenti che portava al polso. Segnava le sette, nove minuti e trenta secondi.
Il lungo varco che aveva davanti a sé era davvero profondo: percorrendolo anche velocemente non ci si poteva impiegare meno di tre minuti buoni. Sul lato sinistro vi erano diverse finestre, che normalmente permettevano alla luce argentea della luna di illuminare i contorni di quel passaggio.
Quella sera c’era luna nuova.
Franco, che a mala pena riusciva a vedere nella penombra, si era già trovato in situazioni simili e aveva fatto richiesta che il corridoio venisse attrezzato di illuminazione elettrica. Quella piccola accortezza avrebbe reso la vita più facile a chi, come lui, restava in università ben oltre i normali orari di ufficio. Il professore prese a camminare con passo svelto e falcata ampia. Sentiva il ronzio dei macchinari nei laboratori adiacenti. Oltre a questo il silenzio. Voleva fare quanto più in fretta possibile. Voleva sbrigarsi. Avvertiva una certa sensazione di disagio.
A un tratto la porta in fondo al corridoio si aprì, cigolando. Franco, ancora lontano da essa, si irrigidì per un momento. Poi pensò che, in fondo, non era troppo tardi e poteva benissimo esserci un altro suo collega ancora in laboratorio. Terminato quel rumore spettrale, il professore intravide una figura scura e alta venirgli incontro, con passo lento. Franco non capì chi fosse, perché non riusciva a scorgerne il volto. Deglutì pesantemente, in maniera involontaria. Si strinse alla sua borsa in pelle e continuò a camminare verso l’uscita, avvicinandosi al figuro. Tra le sue conoscenze, non ricordava nessuno, uomo o donna, che fosse così alto e si chiese chi potesse mai essere.
Il rumore dei loro passi si sovrapponeva al ronzio dei macchinari. Tutto intorno un silenzio quasi inquietante. Avvicinandosi alla figura scura, Franco si accorse che essa indossava un cappuccio. Ecco perché non poteva vederne il volto. La figura aveva anche il braccio destro stranamente disteso e immobile nel camminare, come se stesse portando qualcosa.
A pochi metri di distanza i due si fermarono per qualche secondo. Pochi momenti. Attimi. Istanti.
La macchia nera scattò d’improvviso, sollevando il braccio destro e mostrando un coltellaccio affilato.
«N-no! — gridò Franco parando l’affondo dell’assalitore con la pesante borsa di pelle — Chi cazzo sei?» urlò ancora, scaraventando via tutto e dando le spalle al suo aggressore. Il docente corse febbrilmente verso l’entrata del corridoio mentre l’aggressore recuperava il coltellaccio per poi darsi all’inseguimento con passo lento.
Franco andò a sbattere contro la solida porta all’ingresso, terminando la propria corsa col fiatone. Doveva trovare il modo di scappare. Doveva fuggire, mettersi in salvo, andare via, vivere! Eppure non trovava la chiave, quella dannata chiavetta che gli era vitale in quel momento. In un barlume di lucidità si ricordò di averla nella borsa. Si girò indietro, vide l’assalitore venirgli ancora incontro, con il coltello levato. Istintivamente il professore aprì la porta laterale di un laboratorio. Fortunatamente a volte ci si dimenticava di chiuderli a chiave. Freneticamente riuscì ad accendere la luce. Si ritrovò nell’aula di informatica. Sotto il ronzio dei neon file e file di computer formavano un labirinto davanti a lui. Dove poteva andare? La figura in nero lo incalzò alle spalle, ferendolo di striscio. Franco non l’aveva sentito neppure arrivare, sembrava uno spettro. Non poteva morire così, non in quel modo, non in quel posto. Con la forza della disperazione prese il monitor CRT di un computer vicino e lo scaraventò sul suo avversario, con il solo risultato di stordirlo. Frammenti dello schermo schizzarono sul pavimento, insieme a cavi strappati via e qualche goccia di sangue. L’aggressore incappucciato però si riprese subito.
«Noooo! O mio Dio! Perché io?!?» gridò ancora Franco, dandosi di nuovo alla fuga. Raggiunse il fondo della stanza dove c’era una porta che dava nel laboratorio con i rivelatori di particelle. Si sarebbe chiuso dentro. Avrebbe vissuto.
Il professore raggiunse la porta affannosamente.
Aveva il fiato corto. Era scosso. Stava rischiando tutto. Carriera. Sogni. Sforzi. Impegno. Sacrifici. Un maniaco sbucato