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Michele T.
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E-book222 pagine3 ore

Michele T.

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Info su questo ebook

“Michele T.” è il viaggio umano e professionale di Michele Tito, giornalista e corrispondente tra i più autorevoli della seconda metà del Novecento.
In un’atmosfera surreale, su di un mezzo di trasporto particolare, l’Autore trasferisce il lungo cammino del protagonista, dalla Napoli del dopoguerra, alla guerra d’Algeria, alla Cina di Mao e Ciu En-Lai, dagli anni del terrorismo e del sequestro Moro alla caduta del comunismo in Unione Sovietica, fino all’attentato alle Twin Towers, in uno scenario apocalittico che ha informato il mondo nel secolo appena trascorso.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mar 2020
ISBN9788865126707
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    Anteprima del libro

    Michele T. - Raffaele Bussi

    Capitolo I

    Il taxi proveniente a velocità sostenuta dai Parioli frena la sua corsa, sostando sul piazzale della stazione dell’Urbe all’altezza dell’ingresso principale.

    Quanto le devo?, chiede Marisa al tassista, testa a forma d’uovo, figura strana dal volto senza lineamenti.

    Non mi deve moneta, questa è una corsa senza pedaggio, risponde l’uomo con voce inflessibile.

    La cosa non mi meraviglia più di tanto. Lo sapevo! Del resto il mio è un viaggio particolare che si può compiere solo a determinate condizioni, esordisce il marito che fissa negli occhi la moglie, entrambi fermi nella speranza che l’altro ignori la reale portata dell’avvenimento. I due ringraziano, escono dall’autovettura e s’avviano verso l’entrata della stazione. L’edificio dall’immensa facciata colpisce, oltre che per le dimensioni, per la struttura completamente trasparente, dove dall’esterno è possibile distinguere uomini e cose con grande nitidezza.

    Un palazzo di vetro!, osserva la donna stupefatta ed incredula.

    Ma non ha nulla a che vedere con il suo omonimo, dove i destini dell’umanità sono affidati più all’ignavia, all’insipienza ed all’equilibrio ad ogni costo, che a reali valutazioni e sagge terapie per suggerire o imporre adeguati rimedi all’umana follia, controbatte Michele con l’espressione di chi è piuttosto scettico ad una reale inversione di rotta al consueto procedere della consolidata istituzione.

    Tutto sommato hai ragione! È proprio così. Del resto fino a quando decideranno di usare il bilancino per pesare quintali e tonnellate e non la bilancia da far pendere dalla parte della ragione e non dell’opportunità, otterranno il solo risultato di mantenere equilibri precari. E addio inversione di rotta! Comunque sia, è meglio andare insiste la donna, ben consapevole della giustezza della tesi del marito. Piuttosto a che ora parte il treno?

    Fra poco. Perché?

    "Come fra poco?

    Fra poco, proprio così! Minuto in più, minuto in meno. Il tempo è una convenzione dell’uomo per segnare i ritmi della sua esistenza. Un’ora è composta da sessanta minuti, ma ne potrebbe contenere settanta oppure ottanta. Avremmo avuto la sensazione d’un percorso giornaliero più lungo, come la percezione d’aver vissuto meno anni, mentre l’arco di tempo di permanenza sulla terra alla fine sarebbe stato identico. E poi quel treno non parte fino a quando tutti i passeggeri prenotati non saranno a bordo.

    Non posso darti torto! Avremo modo di stare insieme ancora qualche minuto. Prendiamo posto al bar. Ma vedo due entrate separate tra loro.

    La nostra è quella a sinistra, quella di destra è riservata agli altri passeggeri, risponde Michele.

    Non capisco il perché di questo doppio accesso.

    A me il motivo è chiaro, risponde il marito, seguito a distanza dalla moglie, poco convinta di quella insolita selezione. Alla bouvette strani camerieri si aggirano tra i tavolini. Inappuntabili nella loro giacca bianca, pantaloni e cravatta neri, si muovono con disinvoltura in un’atmosfera rarefatta, dove tutto è trasparente. A colpire l’attenzione della coppia anche stavolta, come nel caso del guidatore del taxi, il volto senza lineamenti di uomini impeccabili nel servizio.

    I signori desiderano?, chiede con premura il cameriere di turno.

    Per me un caffè. Per te?

    Cosa non chiederei!, risponde l’uomo con l’aria di chi desidera tanto, trattenuto dal momento poco opportuno. Un’acqua tonica. Va bene.

    Meglio un bicchiere d’acqua minerale, consiglia la moglie. Dopo l’intervento è preferibile un sorso d’acqua fresca. Qualsiasi altra bevanda potrebbe rivelarsi dannosa.

    Hai ragione!, annuisce Michele con un leggero sorriso a ringraziare la compagna per l’ennesima premura. Un bicchiere d’acqua. Non gasata naturalmente rivolto al cameriere che prende la comanda e si dilegua. Sai, a volte mi dimentico delle precarie condizioni di salute dopo l’intervento subìto. Mi comporto come chi non vuole prendere atto che qualcosa è cambiato e niente è più come prima. Meno male che ci sei tu a svegliarmi dal sonno nel quale sono immerso.

    Quanto le devo?

    Non deve moneta, signora!, risponde con premura l’uomo.

    Come nulla?

    Proprio così. È il minimo che possiamo offrire all’impegno di una vita, come nel caso della persona alla quale s’accompagna, che ha dato il meglio di sé nel tentativo di rendere meno ingarbugliata la matassa della bizzarra umanità che corre inconsapevole verso il baratro. La persona al suo fianco ha cercato di districare il coacervo delle illusioni dei folli che procedono all’impazzata verso il nonsenso, piuttosto che conservare le certezze residue e preservare la sacralità della vita ridotta a numero e non più a universo straordinario.

    Ma mio marito svolge solo con scrupolo ed obiettività il suo mestiere. È quello che dovrebbero fare tutti.

    Le sembra poco? Quanti svolgono la propria attività barattando e mercificando, offrendola in cambio di prebende e privilegi, insiste l’uomo senza volto.

    Le azioni, buone o cattive che siano, appartengono a chi le produce. Alla fine prevarrà la verità. Comunque sia, grazie per il caffè.

    Grazie a voi per aver sostato prima della partenza, esterna il cameriere che s’allontana dopo aver raccolto tazza e bicchieri, mentre marito e moglie si guardano negli occhi stupiti, esprimendo meraviglia per un gesto al quale non riescono a dare spiegazione.

    È ora di andare, è l’invito di Marisa al marito. Ti raccomando, riguardati. Sarebbe stato opportuno qualche giorno di riposo a casa, prima di iniziare questo viaggio.

    Hai ragione! Ma la notizia non può attendere. Devi coglierla immediatamente, perché un attimo dopo potrebbe essere superata, manipolata a proprio piacimento dal primo arrivato. E poi, proprio questa notizia. La mia! Arrivare in ritardo sarebbe imperdonabile. Non posso perderla nel nulla, è troppo importante. Correrei il rischio di brancolare nel buio, in balìa di forze che non mi consentirebbero di muovermi con le certezze di sempre.

    Almeno cerca di tornare presto, suggerisce la donna poco convinta questa volta della puntualità del marito.

    Quanto lo vorrei!

    Pensi di fermarti oltre il necessario?

    Non lo so. Dipendesse da me, eviterei questa partenza a tutti i costi. Del resto anche se non dovessi farcela a tornare in tempo, la mia presenza non ti mancherà. Dopo una vita insieme, anche il solo ricordo ti può aiutare a sopravvivere. Giorni, mesi, anni…una vita, quando al mattino la semplice scelta dell’abito da indossare era affidato alla tua persona. Non riesco ad immaginare come avrei fatto senza di te. Il dono più grande era il rincontrarsi la sera, quando non ero in giro per il mondo.

    Perché mi affidi i ricordi?

    È solo per rassicurarti che la mia persona non verrà mai meno, anche se farò di tutto per essere puntuale nel ritorno. Ma sai, non dipende da me.

    Ti devi sbrigare, altrimenti il treno parte.

    Rassicurati! È un treno particolare. A differenza di altri, questo t’aspetta e non parte fino a quando a bordo non sono saliti tutti i passeggeri prenotati. Comunque, ti saluto Marisa. A presto, si congeda dalla moglie Michele che, nell’uscire dalla saletta, saluta ancora una volta con un cenno della mano il cameriere.

    T’accompagno al treno.

    No! È meglio salutarsi ora. Conviene far ritorno a casa. Prima di entrare in ospedale ho lasciato tutto in disordine. Nessuno, meglio di te, è in grado di mettere ordine tra le mie carte. Vado...

    Torna presto! T’aspetto.

    Sarò puntuale!, ribadisce l’uomo mentre s’allontana. La donna, incapace a trattenere il pianto, s’avvia verso l’uscita per scacciare il presentimento della verità che nel marito è già certezza.

    Capitolo II

    Michele attraversa il lungo corridoio che collega la bouvette al piazzale delle partenze. Estrae dalla tasca della giacca il titolo di viaggio che legge con attenzione. Binario 1, carrozza 9, posto 22. S’avvia per raggiungere la postazione indicata. Davanti alla tabella che indica ora di partenza e stazione d’arrivo, la sorpresa non lo coglie più di tanto, quando scopre la dicitura treno senza destinazione. Ma lo stupore l’assale quando ferma lo sguardo sul particolare mezzo di trasporto, diverso dagli altri allineati sui binari adiacenti. Un treno dai vagoni trasparenti dalla prima all’ultima carrozza. Pochi attimi, il tempo di digerire la novità che l’urgenza di salire sul vagone prende il sopravvento. All’altezza della carrozza numero 9 si ferma, sale per sistemarsi al posto assegnato. Una profonda tristezza lo rapisce di fronte allo scenario che regna. Uomini e donne di diverse nazionalità, tratti somatici tra i più disparati, idiomi per la maggior parte incomprensibili e sguardi allucinati, tutti a sedere su poltrone con lo schienale rivolto in senso opposto alla direzione di marcia. Si ferma un attimo. Il tentativo di capire non dà esito. Occupa il primo posto sulla destra vicino all’entrata. Sistema con accortezza la borsa sul sedile attiguo, ma subito si rialza nel tentativo di abbassare il finestrino alla ricerca del capotreno per chiedere ragguagli sulla strana disposizione dei posti. Uno sforzo inutile, mentre un sibilo strano annuncia la partenza del convoglio che comincia a muoversi lentamente. Pochi attimi e il controllore, volto privo di lineamenti, rigido nella sua divisa nera, ornata in più punti da fregi dorati e nastrini dai mille colori, fa il suo ingresso nella carrozza.

    Biglietti, prego! Mi favorisce il biglietto, signore?, rivolto a Michele, il primo passeggero del vagone che, estratto il titolo di viaggio dal taschino della giacca, lo consegna senza esitare.

    La ringrazio, declina il controllore di quello strano convoglio che, riconsegnato il biglietto, tenta di allontanarsi.

    Mi perdoni! Perché tutti i passeggeri debbono viaggiare costretti a guardare all’indietro. Se la posizione potrebbe essere corretta per la mia persona, non credo lo sia per gli altri, chiede il giornalista, ignaro delle condizioni degli altri viaggiatori.

    A lei forse sfugge il particolare che i signori che si trovano su questo treno navigano nelle sue stesse condizioni. Non possono guardare avanti perché non hanno futuro. Possono, come lei, solo fare rotta nel passato, sufficiente per alcuni, come nel suo caso, breve per altri, come quel piccolo bosniaco, Ihbraim Moussalì, sette anni appena, saltato in aria con la bici mentre giocava. Ha avuto la malasorte di attraversare una strada minata dai guerriglieri della sua stessa parte. Esistenza breve, anzi brevissima, come quella di quei due giovani, Josè e Wei Min, li vede laggiù, seduti l’uno accanto all’altro, il primo, sudamericano, catapultato in mare da un aereo dopo lunghe sevizie e torture, il secondo, cinese, per essersi opposto ad un regime autoritario di segno opposto a quello di Josè. Per Josè Ardiles la triste avventura ha inizio in una calda estate di qualche decennio fa. Un’estate irreale, notti apparentemente magiche per i tifosi di calcio di tutto il mondo e soprattutto per gli argentini, mentre in quell’angolo d’occidente sudamericano si consumava il genocidio più occulto del dopoguerra. Trentacinquemila oppositori della giunta militare guidata da Videla sparirono nel nulla. Non faranno più ritorno a casa. Un gruppo di madri, sempre più folto, cominciò a riunirsi tutti i giovedì di fronte alla sede del governo a Buenos Aires. Azucena Villaflor, che guidava la protesta, fu sequestrata ed assassinata insieme a due suore francesi. Ancora oggi il popolo argentino ricorda tra lacrime e rimorsi il dolore per la sua tragedia, la ferocia taciuta e censurata delle torture inflitte ai suoi figli. Aguzzini in divisa che abitavano in ville coloniali ed attici lussuosi diedero vita al rastrellamento di coloro che avevano osato scendere in Plaza de Mayo per dissentire. Nell’Auschwitz di Buenos Aires, nella Emsa, nella Scuola di meccanica della Marina, nel Garage Olimpo, in queste sedi di tortura entrarono bendati uomini donne e ragazzi, derisi, presi a calci e malmenati, nomi e cognomi finiti a marcire sotto scariche elettriche, larve umane narcotizzate e poi gettate da un aereo in fondo all’oceano. È la stessa sorte che subì Josè Ardiles. L’altro, Wei Min, si trovava nella notte di quel triste quattro giugno in piazza Tienanmen insieme ad alcune migliaia di studenti a protestare contro i vertici del potere, restio ad accordare riforme politiche ed economiche. Quando i carri armati, scesi dalle colline dell’ovest, iniziarono il massacro, il giovane tra i capi della rivolta fu tra i primi ad essere colpito. Caricato su di un risciò dai compagni fu portato al più vicino ospedale per le prime cure. Agli amici che ritornarono il giorno dopo per fargli visita fu riferito che era stato trasferito altrove. Nessuno seppe dire dove. Di lui si persero le tracce. Le lascio immaginare quale possa essere stata la sua fine. Un silenzio assurdo e vergognoso ha tolto dalla storia e dalla memoria di quel paese la possibilità della discussione ed ogni riferimento alla democrazia. Il silenzio su questa vergognosa pagina di storia è il presupposto con il quale sono stati formati i ragazzi nelle università e poi avviati alla professione di giornalismo. Josè e Wei Min vittime di due regimi sanguinari ed autoritari, il primo di destra e l’altro di sinistra. È proprio vero che gli opposti si attraggono. E poi la violenza sotto le sue varie espressioni, fratricidi, guerre, massacri, genocidi, è nata con l’uomo e la sponda che l’ha esercitata è solo un dettaglio. Il rosso, il nero, il bianco, l’indaco o il turchese rappresentano solo l’aberrazione nella quale naviga da sempre l’essere umano.

    Ma quale giornalismo potranno produrre i giovani allevati a questa scuola! Il suo racconto è stato materia di ampia discussione lungo l’arco della mia professione. Ho seguito e commentato gli avvenimenti da lei citati durante la mia lunga attività.

    Vado avanti, proseguo? Noto perplessità nel suo sguardo. Vede quella giovane ragazza? È nata all’ombra del Vesuvio. Anzi lo era. Una certa Annalisa Durante, vittima innocente della criminalità. Si trova a passare per caso nell’ora sbagliata per il luogo sbagliato. Un proiettile vagante l’ha colpita nel bel mezzo di una faida tra opposte bande in un quartiere storico di Napoli. Forcella! Il parroco di quel quartiere è ancora costretto a vivere sotto scorta. Il religioso dietro di lei? Un missionario francescano che svolgeva la sua missione in Congo. Aveva trasformato il piccolo convento in ricovero per sfollati colpiti dalla mostruosità della guerra. Non hanno esitato a bombardare la piccola chiesa. Ha perso la vita insieme ai rifugiati sotto le macerie per compiere la propria missione. Hanno profanato anche la casa di Dio. Alle spalle del frate? Due giovani somali. Partiti dalla propria terra, anzi scappati, dopo un viaggio di giorni nel deserto, imbarcati insieme ad altri su di una carretta del mare, hanno trovato la fine dei loro giorni nella grande tomba d’acqua che è diventato il Mediterraneo. Scappati dalla paura per incontrare il nulla.

    Un campionario ben assortito delle malefatte della cieca umanità, osserva con amarezza Michele.

    Non è tutto, ribatte l’uomo. Manca la ciliegina sulla torta. Laggiù in fondo, sulla sinistra, la donna dai capelli biondi. Ventidue anni. Appena dieci minuti prima della fatidica ora era salita per commissioni ai piani alti delle Twin Towers a Manatthan. Ancora una volta ora sbagliata e posto sbagliato. Per sfuggire alle fiamme si è catapultata nel vuoto da quell’altezza. Provi ad immaginare gli ultimi attimi di vita di quella derelitta. Pazzesco! Semplicemente pazzesco! Che ne dice?

    Cosa vuole che le dica. Nella mia esistenza ne ho visto di tutti i colori, ma vedere riuniti in un solo luogo le mille sfaccettature della degenerazione umana alla quale siamo approdati, non le nascondo che provo nausea e smarrimento.

    La morte di quei due poveri vecchi laggiù, deceduti a causa di un’alluvione, aggrediti da acqua e fango, potrei dire che per la cronaca non fa più notizia, stigmatizza l’uomo dal volto informe. Le carrozze successive completano lo scenario di morte. Uomini, donne, vecchi e bambini, vittime incolpevoli della vigliaccheria in nome di un fondamentalismo religioso che semina terrore e morte. La follia ha soggiogato la ragione. Altro che medioevo.

    Dice questo proprio a me che sono un giornalista?, esclama stizzito Michele. La notizia è sacra e quello della cronaca è un dovere irrinunciabile per chi s’accosta a questo mestiere con passione.

    Il riferimento non è alla sua persona. Conosco benissimo il suo valore professionale e non mi sarei mai permesso di recarle offesa. Il riferimento è a quel coacervo squilibrato di sentimenti opposti e contrari che governa il mondo.

    Sono d’accordo. Mi auguro solo di poter incontrare più avanti compagni di viaggio ai quali il buon Dio ha concesso di terminare in modo naturale i propri giorni.

    Sono in tanti per fortuna. Mi deve scusare, devo andare. Siamo in prossimità della stazione di Napoli. C’è la fermata. Buon viaggio, si congeda con cortese sollecitudine l’informe.

    Ma se questo treno non prevede fermate...

    Ha ragione. Ma sa i ritardatari, i viaggiatori dell’ultimo momento, non mancano mai. Ecco perché è previsto questo ulteriore scalo. Come è prevista un’altra sosta prima della destinazione ultima per consentire a qualche distratto, salito sul treno sbagliato, di tornare indietro.

    Ho capito! Ancora grazie.

    Buon proseguimento, è l’augurio del capotreno che s’allontana con la porta che si richiude alle sue spalle. Lo stridore delle ruote sui binari annuncia l’arrivo del convoglio nello scalo partenopeo, mentre i racconti di quei sventurati disegnano scenari apocalittici. Campi minati, camere di tortura, aerei in volo che catapultano in mare avversari politici, mezzi cingolati che stritolano uomini e cose che incrociano sul cammino, pallottole vaganti nel cuore di città terrorizzate, e poi scenari di distruzione e morte, lampi di guerra e terrore con acque una volta cristalline pronte ad accogliere i poveri resti di fuggiaschi alla ricerca di miglior vita, mentre altissime torri di cemento si sbriciolano al suolo sotto la furia di inarrestabili fiamme. Michele si solleva dal suo posto nel tentativo di abbassare ancora una volta il finestrino. La curiosità di guardare fuori è grande. Nuovamente lo sforzo risulta vano. Si rimette a sedere. Il tempo necessario ai viaggiatori di salire che il treno riparte.

    Capitolo III

    La porta d’accesso scorre lentamente. Un giovane dall’aspetto distinto fa la sua comparsa. Un rapido sguardo al biglietto per individuare il posto assegnato, mentre attraversa il corridoio sbirciando la numerazione dei posti per sistemarsi. Il tentativo risulta vano.

    Avrò sbagliato carrozza!, rimugina tra sé il viaggiatore appena entrato.

    Se vuole accomodarsi al mio fianco, il posto è libero, è l’invito di Michele.

    "La ringrazio, ma non riesco a viaggiare con le

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