Molokai, l'isola nera
Di Franco Enna
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Anteprima del libro
Molokai, l'isola nera - Franco Enna
Molokai, l'isola nera
Immagine di copertina: Midjourney
Copyright ©1963, 2023 Franco Enna and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728523049
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
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Sceso che fu dal monte, molte turbe lo seguirono. Ed un lebbroso gli si avvicinò e prostrandoglisi davanti gli disse: « Signore, se vuoi mondami! ». Gesù stese la mano, lo toccò dicendo: « Lo voglio, sii mondato ». E subito la lebbra sparì. Gli disse Gesù: « Guardati dal dirlo ad alcuno, ma vai, presentati al sacerdote e fai l’offerta prescritta da Mosè e ciò serva loro di testimonianza. »
(Matteo, 8, 1-4)
PARTE PRIMA
1
Il fortunale cessò all’improvviso. Ai violenti attacchi dell’oceano contro le fiancate del Kilauea subentrò la calma e il sole, di lì a poco, attraverso la nuvolaglia frantumata, riapparve. Un sorriso di compiacimento sfiorò le labbra del timoniere hawaiano.
A un ordine del capitano, quattro uomini dell’equipaggio accorsero sul ponte e con movimenti precisi spiegarono le vele maggiori. Il battello parve riprendere vigore, affrontò più deciso la distesa delle acque. In lontananza, una leggera foschia nascondeva il contorno irregolare dell’isola di Maui.
Un silenzio pesante, quasi innaturale, avvolgeva il Kilauea, anche se di tanto in tanto qualche muggito si levava dal fondo della stiva.
« Le bestie gemono per gli uomini » mormorò il timoniere come a se stesso.
Il capitano, che si trovava a due passi da lui, non si mosse, continuò a fissare la spuma provocata dalla prua. Ma il timoniere sapeva che le sue parole erano state raccolte. Un attimo dopo infatti il capitano ribatté stancamente: « Anche loro sanno che vanno a morire. » Il ponte era deserto, ora che i quattro marinai erano tornati sottocoperta. Gli schiocchi delle vele accompagnavano ritmicamente il tonfo cupo delle acque squarciate dalla chiglia.
Il capitano si grattò il petto nudo e si volse a fissare il timoniere.
« Vedi, Kahoo » disse, « non so più quanti viaggi ho fatto da Honolulu a Molokai in questi ultimi anni. Non meno di cento sicuramente. Ebbene, ogni volta che mi danno un carico di lebbrosi maledico il momento in cui mio padre mi ha lasciato questo battello… È sempre come se fosse la prima volta. »
« Ti capisco, amico. »
Il capitano riprese in tono più vivace: « Non posso nemmeno guardare negli occhi quei poveri infelici. Non perché mi facciano orrore, ma perché immagino quello che debbono provare… E penso a mia madre. »
Il timoniere lo guardò.
« Già, tua madre è laggiù pure lei! » esclamò.
« C’era fino a tre settimane fa. È morta, Dio sia lodato! »
« Sei cattolico tu, capo? » domandò il timoniere.
« Mia madre lo era. Io mi sono convertito dopo di lei. »
Seguì una breve pausa tra i due uomini. Poi il timoniere riprese: « Quanti lebbrosi abbiamo, stavolta? »
« Cinquantadue. E dieci buoi. Che cosa vuoi che siano dieci buoi per più di mille bocche da sfamare? » Il capitano era livido di furore represso. « Il lebbrosario è peggio di una fogna. Non c’è acqua, non ci sono capanne decenti, non c’è timor di Dio. Niente c’è a Molokai. E il Comitato d’Igiene se ne sta comodamente a Honolulu, in belle case fresche, sempre pronto a spendere chiacchiere… »
« Non ci sono nemmeno medici, né medicine » incalzò il timoniere.
« Proprio così. Per questo quei poveretti si fanno scannare piuttosto che andare a Molokai. »
Kahoo raddrizzò il timone e proruppe con foga: « Hai sentito di quella ragazza di Oahu? »
« Si chiamava Maria? »
« Non credo. Non era cristiana. Ma era lebbrosa. Da qualche tempo gli agenti della Sanità la cercavano per costringerla ad andare a Molokai. »
« Ebbene? »
« Ha preferito gettarsi in un burrone. »
Il capitano abbassò lo sguardo sul tavolato e scosse la testa.
« Ha fatto bene » mormorò, « ha finito di soffrire. »
« Era molto bella » disse il timoniere. « Io la conoscevo, seppure di vista. Era anche molto giovane. Tredici anni, o giù di lì. Ma era già donna e aveva negli occhi la prima luce della vita. »
Il capitano colpì ripetutamente col pugno il parapetto.
« Perché, perché? » ruggì, in un gesto di disperata impotenza. « Questo male finirà col distruggerci tutti, vedrai. »
Un coro di muggiti si levò dalla stiva.
« Ecco, senti? » disse Kahoo. «Le bestie gemono. Gemono per gli uomini che vanno a Molokai. »
« Ci sono anche dei bambini. E molte donne anche. »
Dei passi pesanti si udirono sulla scaletta del boccaporto di prua. I due uomini si voltarono a guardare in quella direzione. La testa arruffata di un uomo in uniforme emerse dal fondo. Un corpo enorme calcò il tavolato alla volta del parapetto. Una smorfia di disprezzo passò sulle facce dei due marinai. Evidentemente entrambi non avevano simpatia per gli agenti del Comitato d’Igiene.
L’agente emise un alto sbadiglio, poi si accorse del capitano e lo apostrofò bruscamente: « Ehi, tu! Manca molto per Molokai? »
« Tre ore al massimo, se il vento non cambia » fu la secca risposta.
« Ah, sono stufo di quelle carogne! » brontolò l’agente avvicinandosi.
« Parli dei lebbrosi? » domandò il capitano.
« E di chi dovrei parlare? »
Il capitano lo fissò con gli occhi stretti.
« Chi ti ha obbligato a metterti al servizio del Comitato d’Igiene? » scattò poi.
« Nessuno » rispose l’agente stupito.
« E allora perché ti lamenti? Sta’ zitto e rispetta i tuoi simili. Presto o tardi, potresti far parte anche tu di un carico simile… »
« Ma guarda che tono! » urlò l’agente.
« È il tono che ti meriti » ribatté il capitano. « E ora allontanati. Se c’è una carogna a bordo del Kilauea, si trova sopracoperta, in questo momento, non nella stiva. »
Il timoniere sogghignava soddisfatto di quel battibecco. L’agente si allontanò lentamente verso poppa, carezzando il manganello che gli penzolava al fianco.
« Porco! Lurido porco! » ringhiò il capitano. « Scommetto che non ha mai messo piede nel lebbrosario. »
« Tu ci sei stato? » domandò il timoniere.
« Molte volte, quando c’era mia madre. Ogni volta che facevo un trasporto mi fermavo un’ora con lei. Era diventata irriconoscibile. Sembrava… sembrava un mostro, Dio mi perdoni! Non la riconobbi neppure, la prima volta, pensa! Era lì, a due passi da me, e la stavo cercando ancora. Fu lei a chiamarmi. Io volevo correrle incontro per abbracciarla ma lei mi fermò con un grido… Sembrava proprio un mostro, e invece era mia madre, una donna bellissima da ragazza… »
S’interruppe bruscamente per guardare oltre la spalla del timoniere, il quale si voltò incuriosito. Due sacerdoti cattolici, europei, erano appena saliti sul ponte e se ne stavano appoggiati al bastingaggio. La loro tunica era bianca. Portavano un pettorale con due cuori congiunti ricamati in una corona di spine. Quel segno distintivo stava a indicare che facevano parte della Congregazione dei Sacri Cuori. Il più anziano dei due era un vescovo, ma soltanto una fascia che gli cingeva la vita lo qualificava per tale, poiché il suo abito talare era in tutto simile a quello dell’altro sacerdote. Questi era un giovane sulla trentina, dal volto sereno e dallo sguardo luminoso; benché fosse di statura alta e di costituzione robusta, la sua forza fisica, e più ancora la sua energia, si rivelavano soprattutto attraverso gli occhi.
« Ma quello è il Vicario Apostolico! » balbettò il capitano.
« Il Vicario? » ripeté il timoniere.
« Ma sì, monsignor Maigret! » precisò il capitano. « E quello sciocco di Limbao mi aveva detto che si trattava di due pastori protestanti… »
Il capitano ebbe uno scatto e si precipitò verso i due sacerdoti gridando gioioso: « Monsignore! Monsignor Maigret! Tu qui? Non sapevo che fossi tu, Monsignore!… Limbao mi aveva detto… Ti ricordi di me, vero, Monsignore? »
« Certo, Giovanni » rispose il Vicario Apostolico delle Isole Sandwich. « Come stai? »
L’hawaiano si piegò a baciare la mano al vescovo, quindi fece altrettanto con l’altro sacerdote, che gli sorrideva con cordialità.
« Questo è Padre Damiano » disse il Vicario Apostolico, presentando il compagno.
Il capitano era felice, fissava or l’uno or l’altro, quindi si stringeva le mani torcendole, come per imporsi un contegno più calmo. Ma il suo affettuoso entusiasmo era anch’esso una testimonianza di rispetto e di devozione.
« Dove vai, Monsignore? »
« Accompagno a Molokai Padre Damiano » rispose il vescovo. Mentre lo sguardo dell’hawaiano si puntava curioso e interessato sul missionario, il Vicario Apostolico proseguì: « Padre Damiano ha chiesto di essere destinato al lebbrosario. »
« Oh, ma è una notizia meravigliosa! » esclamò Giovanni, con gli occhi lucidi di commozione. « Non potevi dirmi una cosa più bella, Monsignore!… » Il suo sguardo si puntò ancora sul giovane missionario. « Padre Damiano! Non dimenticherò mai il tuo nome, ti giuro!… Mai nessuno, prima di te, aveva avuto il coraggio di… »
« Un momento, Giovanni! » lo interruppe il Vicario Apostolico sorridendo. « Non è ancora deciso se Padre Damiano si fermerà definitivamente a Molokai. Padre Damiano è responsabile del distretto di Kohala, attualmente, e dovremo trovare qualcuno disposto a sostituirlo. »
Un’ombra oscurò la gioia del capitano. Ma non fu il solo a essere colpito dalle parole del Vicario Apostolico: Padre Damiano si voltò a guardare il Superiore e per la prima volta fece udire la sua voce.
« Monsignore » mormorò, « io sento che il mio posto è laggiù, a Molokai. Da tempo avverto un richiamo misterioso, ve l’ho già detto!… »
« Sarà quel che Dio vorrà! »
Il missionario assentì in silenzio e rivolse lo sguardo verso l’arcipelago lontano. Laggiù, oltre il velo della foschia in dissoluzione, c’era Molokai, l’isola nera, la terra maledetta da Dio e dagli uomini, il luogo in cui, fino a quel momento, il dolore fisico era considerato unicamente una condanna ingiusta e atroce. Fino a quel giorno, quel punto delle isole Sandwich era stato sinonimo di terrore, poiché soggiaceva al dominio irriducibile di un solo tiranno, la Morte.
Dopo il 1850, la lebbra, prima di quell’epoca vagamente conosciuta nelle isole Sandwich, si era sviluppata con una intensità spaventosa. Sin dal 1823 si erano avute le prime notizie sul terribile male, che allora non aveva neppure una precisa configurazione clinica. In quell’anno un missionario protestante, il reverendo Stewart, aveva scritto sul suo giornale: « I casi di scrofola oftalmica e di elefantiasi sono molto comuni nelle isole Sandwich. » C’è da dedurre che l’elefantiasi alla quale alludeva il reverendo Stewart fosse proprio la lebbra.
Nel 1850, il governo hawaiano, per arginare in qualche modo la letale espansione del male, costituì un Comitato d’Igiene, il cui compito principale avrebbe dovuto consistere nel prescrivere tutte le misure da prendere, nel determinare tutte le difese necessarie nell’intento di preservare la popolazione dalle malattie epidemiche e dalle altre in genere e dicombatterle; la sua attenzione era attirata particolarmente sul colera. Non si faceva alcuna menzione della lebbra, di cui un solo caso era stato constatato ufficialmente.
Solo nel 1863 il dottor Hillebrand, medico di corte della regina a Honolulu, attirò l’attenzione del Comitato sulla temibile affezione, di cui egli aveva constatato il carattere contagioso nel corso di una indagine personale.
Il dottor Hillebrand chiese che fossero prese d’urgenza energiche misure sanitarie per ottenere l’isolamento di quanti fossero colpiti dalla lebbra. I suoi colleghi dovettero ritenere esagerati i suoi timori, poiché lasciarono passare otto mesi prima di mettere la questione all’ordine del giorno; ma d’altronde non fu preso alcun provvedimento.
Gli avvenimenti, però, dimostrarono ben presto l’importanza e la gravità del male. I casi di lebbra si moltiplicavano di giorno in giorno. In tutte le isole dell’arcipelago il male mieteva le sue vittime.
Il Comitato d’Igiene ritenne opportuno, allora, delegare un medico con l’incarico di fare un censimento dei malati e di accertare le cause e l’origine del male. Prima che questo delegato portasse a termine la sua inchiesta, gli stranieri dell’arcipelago avevano gettato l’allarme attraverso la stampa. Il 3 gennaio 1863 re Kamehameha V approvò draconiane misure con le quali si sarebbe dovuto stroncare l’epidemia.
Il decreto reale incaricava il ministro degli Interni, nella