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Il ritorno dei Giudicanti
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Il ritorno dei Giudicanti
E-book560 pagine8 ore

Il ritorno dei Giudicanti

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Info su questo ebook

Svea Bergman è una ragazza di Stoccolma appassionata di astronomia, con sempre in spalla il suo prezioso telescopio anche quando frequenta i corsi universitari. Figlia unica e orfana di madre, parte insieme al padre per una vacanza risanatrice nella splendida Scandinavia. Nell'Hotel di ghiaccio in cui albergano, Svea fa amicizia con tre suoi coetanei, novizi ricercatori giunti fin lì per studiare l'aurora boreale in ogni suo aspetto. Come loro, anche Svea ha nel cuore il desiderio di riuscire a scovare, lontana dalle luci della metropoli, una cometa in avvicinamento che lei stessa sta studiando per una futura tesi. Ma la cometa, entrata nel fascio luminoso dell'aurora boreale, genera un tenue fioccare di luci dorate che si incendiano al contatto con la neve. Unici superstiti di un surreale olocausto che ha distrutto ogni cosa, i quattro giovani scampati al disastro riceveranno strani doni da una singolare bambina apparsa nei loro sogni, avvertendoli anche del fatto che la terra vuole autodistruggersi per dare inizio ad un nuovo mondo, e che solo loro sono stati scelti per far sì che tutto questo non accada intraprendendo un lungo viaggio. Capendo sempre meno di ciò che sta accadendo, Svea e i suoi amici solcheranno le gelide acque del Nord e faranno amicizia col nostromo Christopher, un giovane audace con una dura storia alle sue spalle. Durante il viaggio avranno a che fare con distopici personaggi ed un tradimento, segnati da irrazionali motivi e andando sempre più a favore dell'imminente collasso del pianeta. Ma i nostri eroi avranno la possibilità di affiancarsi a una delle compagnie militanti più potenti, capitanata dall'eccentrico generale Larsen. Mentre dolci sentimenti riaffiorano tra la nostra eroina e il nostromo, Svea deve fare i conti anche con una strana melma dorata sbucata fuori dal terreno, al fetido odore di uova marce, che le lambirà il cuore con una voce demoniaca. Sembra quasi che tutti ricevano durante il viaggio incredibili poteri, antiche forze tramandate dai Giudicanti del passato, rendendo la compagnia di Svea capace di affrontare ogni sorta di avversità, tranne che per lei, non sapendo che, invece, è proprio a lei che è destinato il potere più grande.
Romanzo fantasy-contemporaneo di 850.000 battute (460 pagine di un libro carteceo) che vuole rendere omaggio alle straorginarie virtù dell'amore e dell'amicizia
LinguaItaliano
EditoreEpic Giò
Data di uscita5 ott 2020
ISBN9791220204712
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    Anteprima del libro

    Il ritorno dei Giudicanti - Giovanni Degni

    ammetterlo!».

    01. Prologo degli Eventi

    Oggi è un gran giorno. Mi mancavano i tempi in cui mio padre ed io eravamo così uniti l'uno all'altro, così come lo eravamo prima che la mamma morisse.

    Il check-in è previsto per le 7:45 all'aeroporto di Stoccolma e mancano ancora gli ultimi preparativi: doppio paio di questo, doppio di quello... Fa veramente così freddo sui monti scandinavi? Non che qui faccia caldo, tutt'altro. Quando durante i mesi invernali il manto stradale si ghiaccia e gli spargisale non sono passati ancora, siamo tutti più prudenti. In passato mi è capitato di vedere i giocatori di hockey sul ghiaccio del paese che si cimentavano in una sorta di pattinaggio sul ghiaccio da strada con relativo salto ad ostacoli come auto, pali della luce e, talvolta, i pochi e malcapitati pedoni.

    «Svea, muoviti! I biglietti già sono pagati e non accettano resi!» solito mio padre a comprare i biglietti in anticipo quando bastava comprarli al momento.

    «Ma papà, chi vuoi che si cimenti a prendere un aereo per atterrare in un luogo dimenticato da Dio!?» gli rispondo, convinta al mille per mille di ciò che dico.

    All'aeroporto la fila di turisti al check-in si staglia a perdita d'occhio! «Che dicevi del luogo dimenticato?» mi fa di dispetto; come odio quando ha sempre ragione... In fondo lui ha sempre tutto sotto controllo, è come una dote innata per lui; perfino i suoi baffetti biondi rimangono perennemente dritti durante tutta la giornata. Dice sempre che lo rendono più autoritario nel suo lavoro di ispettore tecnico di piattaforme petrolifere, incutendo timore ai dirigenti ad ogni suo controllo.

    «Sono il signor Alstom Bergman e lei è mia figlia Svea, mentre questi sono i biglietti» fa mio padre al ragazzo di fronte a noi e, superato finalmente il controllo, abbiamo almeno una mezz'oretta prima dell'imbarco, un tempo sufficiente per ripassare qualche vecchio appunto di astronomia in vista del prossimo esame; non sono affatto una secchiona, ma mi piace pensare di essere una grande fan delle stelle e dei corpi celesti. Scrutare uno spazio aperto così incommensurabile mi da la sensazione di essere metaforicamente libera, in un mondo così piccolo e sempre più privatizzato da uomini di potere.

    L'aereo su cui viaggeremo è un Boeing 737 con due enormi motori posti sotto le ali, con una lunga fusoliera bianca e colorata con un'onda celeste tutta stilizzata. Appena entrati, si sente subito un fresco odore di lavanda e le hostess, insieme al pilota, sono fermi all'ingresso per augurarci un buon volo; un sorriso è più che doveroso per ricambiare la cortesia.

    «Allacciati la cintura, piccola, e mettiti comoda, ci vogliono circa 3 ore prima che potremo toccare terra» mi avvisa mio padre, sempre premuroso.

    Il Boeing ha cominciato la fase di rullaggio subito dopo aver chiuso il portellone e non prima che tutti i passeggeri si siano allacciati le cinture. Posti al principio della pista si sentono i due motori far alzare di giri le turbine. Un primo scatto fa sobbalzare un po' tutti, poi, in una manciata di pochi secondi, mi sento schiacciare al sedile, e le ruote che prima rumoreggiavano sull'asfalto, d'improvviso ammutoliscono. Siamo decollati.

    Stoccolma è molto bella vista dall'alto, con quelle piccole isole collegate da una rete di ponti. Si vede perfino il campus universitario con l'osservatorio circondato da tutto quel verde. Quante notti passate ad osservare le stelle in questi ultimi tre anni, lunghe notti di veglia alla ricerca di comete e centauri con quel telescopio assai invidiato da mezza Europa.

    Un din don esce dagli altoparlanti dell'aereo seguito da una voce maschile «È il pilota che vi parla, abbiamo appena raggiunto l'altitudine di 36000 piedi e stiamo viaggiando alla velocità di crociera di 800 chilometri orari. Il tempo esterno è soleggiato e la temperatura è di circa -20 gradi centigradi. Vi auguro buon viaggio».

    Le hostess finalmente ci fanno segno di poter togliere la cintura con i loro modi gentili, collaudati ad ogni volo come un vecchio giradischi.

    «Scusi dov'è il bagno?» chiedo ad una di loro.

    «In fondo, sulla destra» mi risponde lei con un sorriso.

    Il bagno è a stento più grande della mia doccia, con giusto lo stretto necessario per servire i visitatori. C'è anche uno specchio sul lavandino; perfetto! Spero che il decollo non mi abbia messa troppo a soqquadro i capelli. Fortunatamente, il piccolo specchietto (aggettivo più appropriato per descriverlo) non è stato posto oltre il metro e sessanta di altezza, o avrei dovuto alzarmi sulle punte come già è successo in altre occasioni. Ed eccomi!, la solita me; con il mio fisico non proprio snello che mi ha sempre dato noie a mantenerlo sotto i 50 chilogrammi di peso, tutta colpa della tendenza ad ingrassare presa da papà. Lo specchio ha sempre rivelato la mia immagine piena di imperfezioni, con quei capelli marroni scuro tendenti al nero (anche se avrei preferito essere nata bionda) lunghi fino a metà della schiena, sempre crespi e voluminosi, tanto che le orecchie non vedono luce se non quando faccio la coda; viso ovale, labbra fine, naso piccolo e gli occhi grandi, forse troppo, presi dalla mamma, che in gioventù fecero innamorare mio padre alla follia; come mi manca… La sua scomparsa è avvenuta pressappoco un anno e mezzo fa: eravamo insieme quel giorno d'inverno, ferme in auto ad attendere un semaforo rosso ad aspettare, rosso come il sangue che si riversò sulla candida neve pochi istanti dopo. Ricordo che quel giorno faceva molto freddo, ed un camion sopraggiunse da dietro con una velocità troppo elevata per poter frenare su quel manto stradale, così maledettamente ghiacciato da non perdonare chi sbaglia. L'urto alle nostre spalle non fu tanto violento, ma fu la mole del mezzo ad avere la forza di trascinarci oltre il semaforo assieme ad altre vetture ferme anch'esse. L'effetto carambola che si generò ci spinse tutti alla mercé delle automobili che venivano sia da destra che da sinistra dell'incrocio. Ricordo i clacson frastornanti delle auto, poi lo schianto; quella scena mi ha perseguitata per molte notti insonni...

    Il Boeing è atterrato senza problemi all'aeroporto di Kiruna. Di lì prendiamo un taxi per Jukkasjärvi.

    «Andate a Jukkasjärvi, allora!» ci fa eco il taxista, un tipo impettito con il naso a patata «Siamo molto orgogliosi del nostro festival annuale. Ogni anno edificano un    hotel di ghiaccio a 4 stelle, e pensate che usano enormi blocchi di ghiaccio presi dal fiume. Una vera e propria opera d'arte!».

    Scesi finalmente dalla vettura (dico finalmente perché il tipo stava anche per raccontarci la storia della sua vita!) mi si blocca il fiato per qualche secondo: I miei occhi grandi si spalancano ancora di più e me li sento brillare, non per la cristallizzazione all'impatto all'aria fredda esterna, che non è tanto differente da quella a 36 mila piedi di Stoccolma, ma per la visione fiabesca di un magico castello bianco, enorme, con venature celesti e morbide. L'ingresso è formato da un arcata dorica con recinzioni fatte da stalagmiti di ghiaccio, che devono essere anche parecchio acuminati. Attraversato l'arco si accede ad un giardino fatto di colonne greche (rigorosamente di ghiaccio) ed una via centrale con colonne che sorreggono una lunga cupola semitrasparente fino all'entrata, mentre lo spazio all'esterno è ricoperto da rappresentazioni storiche di busti di vari personaggi, come se fossero stati appena scavati dalle macerie dopo secoli. È incredibile quello che si riesce a fare con un blocco di ghiaccio ed alcuni attrezzi!

    Già prima di attraversare il giardino ci viene in contro un uomo sulla quarantina. I suoi lineamenti non sono visibili a causa del pesante bomber nero col cappuccio alzato sulla testa, molto belli, invece, sono i bottoncini dorati agganciati a dei laccetti che lo tengono ben serrato nella sua corazza.

    «Buongiorno e benvenuti all'Ice Castle! Sono Alvin dell'accoglienza. Avete qualche prenotazione?» ci domanda.

    «Buongiorno a lei, siamo i signori Bergman» risponde mio padre.

    «Allora, sareste il signor Alstom e la signorina Svea Bergman? Vi stavamo aspettando. Se vogliate seguirmi, posso farvi vedere in grandi linee la struttura».

    «Sembra uscito da una favola» gli dico, già innamorata del castello ghiacciato.

    «Devono esserci voluti molti operai per realizzarlo» chiede mio padre.

    «Trecento scultori ed una decina di gru, per l'esattezza» puntualizza l'uomo avanti a noi.

    Mentre lo seguiamo, la nostra guida ci illustra con grande orgoglio ogni angolo della struttura. In effetti è incredibile lo stile e la grandezza di questo posto, i scultori hanno dato libero sfogo alla loro fantasia e a tutto il loro estro mentre lo realizzavano.  Passiamo davanti al bar anch'esso di ghiaccio, un'ampia struttura circolare senza angoli, con una colonna alta fino al soffitto giusto al centro su cui sono riposte le varie bottiglie di liquori (queste ultime di vetro, però). A servire oltre il bancone di ghiaccio ci sono un ragazzo sui 30, con un codino e molti braccialetti rossi che spiccano oltre le maniche del suo completo nero, ed una ragazza di poco più piccola di lui, bionda, alta e molto carina.

    «Da questa parte» ci fa segno la nostra guida, facendoci distogliere lo sguardo dall'insolito ambiente circostante. I corridoi larghi con pareti sgusciate, e le luci poste sul pavimento al di là del ghiaccio, creano una rifrazione della luce molto suggestiva, luminosa, ma non tanto da dar fastidio agli occhi.

    Arrivati finalmente in camera nostra, dove scopriamo che anche i letti sono di ghiaccio, e per dormire caldi ci danno in dotazione solamente due sacchi a pelo molto pelosi con lo stemma dell'hotel giusto nel mezzo. Sarà un week-end indimenticabile, me lo sento!; lontani dal caos della metropoli, lontani dagli impegni universitari, dal lavoro per mio padre... lontani dal ricordo di mia madre...

    La temperatura in camera è di molto più sopportabile di quella esterna, vi è perfino un climatizzatore portatile con le rotelle che segna -5 gradi centigradi sul suo display.

    «Si è fatta la mezza, che dici di scendere giù al ristorante prima di metterci comodi?» propone mio padre.

    «Sto morendo di fame!» simpatizzo «Chi sa se servono anche pasti caldi con tutto questo ghiaccio».

    Trovare la zona ristoro diventa un po' complicato senza una guida. Ci sono poche indicazioni necessarie corridoi, cosa che renderebbe difficile orientarsi anche con una mappa. Poi, il suono della gente, dei piatti e l'odore di cibo ci indica la direzione giusta. Ritorniamo in una sala accanto a quella del bar, dove ci sono tavoli a forma di cono, molto eleganti con la punta rivolta verso il basso, ben saldi al pavimento nonostante la sezione ridotta.

    Proviamo a sederci sul primo tavolino che si libera e ci mettiamo ad aspettare che almeno uno dei camerieri ci noti.

    «Cameriere!» strepita mio padre, provando a farsi notare da un cameriere di passaggio, ma è troppo attento a quello che fa per riuscire a sentirlo. «Cameriere!!» riprova con più voce, ma va in fumo anche il secondo tentativo. Così, con poca pazienza, si alza di scatto ed incomincia a picchiettare le spalle del primo cameriere di passaggio. Questo tiene in equilibrio quattro belle pietanze su entrambe le braccia, voltandosi con fastidio. «E, allora. ci vuole tempo!?».

    Il ragazzo è subito intimorito dall'imponenza di mio padre, mettendosi subito sugli attenti come un soldato davanti al suo maggiore. «Sì, signore. Se dovete ordinate, oggi serviamo pizza a base di carne di cervo o, in alternativa, salmone speziato 48 ore fatto alla brace».

    «Non avete un menù più vasto?».

    «Ogni giorno serviamo specialità diverse. Funziona così» ci spiega meglio.

    «Allora prendo il salmone. per mio padre la pizza alla carne va più che bene» concludo, sicura di me.

    «Esattamente» fa mio padre «E da bere dell'acqua e un calice di vino a temperatura ambiente» e, mentre lo dice, mi getta un fugace occhiolino (perché una bevanda a temperatura ambiente è una bevanda ghiacciata!).

    «Torno tra qualche istante» conclude il giovane, andando via in tutta fretta.

    «Allora, Svea. Come ti sembra questo posto?» mi chiede mio padre a bruciapelo.

    «Sai a chi alto piacerebbe?».

    «Ne avevamo già parlato a casa» interrompe la domanda già scontata «Penso a lei anch'io ogni santo giorno, ma non possiamo andare avanti come due zombi. Ci faremo solo del male».

    «Lo so, papà. Abbiamo organizzato tutto questo a posta per dimenticare».

    «No!, per rilassarci. Non devi mai dimenticare tua madre. Mi piacerebbe se venissi al cimitero con me a trovarla qualche volta».

    Il discorso non si riesce più a divincolare dal nostro punto in comune. Cerco di arpionare i miei occhi su qualcosa che mi potesse distrarre, perché non mi va affatto di scoppiare in lacrime davanti a tutta questa gente. Poco più distante da noi scovo un gruppetto di ragazzi che discutono animatamente tra un boccone e l'altro. Un'ottima distrazione, direi, e mi incuriosiscono a tal punto da origliare:

    «Non puoi dire che l'aurora boreale sia solamente una luce prodotta dagli elettroni presenti nell'aria» fa uno di loro.

    «Patrik te lo ripeto per l'ultima volta, è...solo...luce. Non c'è altro!» lo ammonisce la ragazza posta di fronte a lui che incalza

    «E la teoria della relatività di Einstein? La luce è generata dall'energia solare a contato col plasma, ergo, energia uguale massa. Deve esserci qualcosa di più in quel fascio colorato».

    La discussione mi è così interessante che allungo perfino il collo e lancio qualche occhiata per vedere anche i loro sguardi. La ragazza improvvisamente da una gomitata ai due sussurrando loro non so cosa, per poi indicare verso di me. Mi hanno sorpresa ad origliare! Adesso? L'unica alternativa che ho è quella di parlare con mio padre e far finta di niente. Arrivano le pizze e lui si butta a capofitto sulla sua.

    «Allora, com'è?» gli chiedo.

    E lui «Un po' cruda ma già mi meraviglio che abbiano un forno a legna in questa specie di igloo».

    Scampato pericolo, cerco nuovamente i ragazzi al mio fianco, ma sono già andati via.

    Ritorno in camera per una doccia calda dopo la scena imbarazzante al ristorante, l'unico rimedio che preferisco che mi consente di farmi addormentare senza problemi. Quando suona la sveglia, il cellulare segna le diciassette e c'è mio padre ai piedi del suo letto con una strana smorfia marcata sul viso. Nota subito che lo sto guardando e ritorna a sorridermi; spero che non stia ancora pensando alla discussione che abbiamo avuto a tavola.

    «Svea la serata è  limpida e già si intravede l'aurora» mi dice «Non penso che al campus avete mai ammirato le stelle con in queste condizioni. Che dici di uscire un po'?» mi incita. Mi alzo molto volentieri per cogliere al volo la sua proposta; in fondo, è la prima volta che ammiro l'aurora boreale ad occhio nudo, ma non è solo per quello che ho messo a posta la sveglia. Con in mente la mia missione segreta, prendo il mio telescopio professionale (regalatomi dai miei, come augurio al primo anno di università) per dirigermi verso l'esterno insieme a mio padre.

    Lontani dallo smog luminoso della metropoli, le stelle in cielo sono così visibili che formano come un manto di piccoli led sopra le nostre teste. Tra le tante riesco a distinguere varie costellazioni anche se sono formate da stelle meno luminose. L'aurora, invece, recita molto bene la sua danza nel cielo scuro, come a voler imitare a tutti i costi le onde degli oceani. Piazzo Il mio telescopio sulla neve per scruta, avida, il manto stellare attraversando quell'effetto luminoso che ci fa stare tutti con il mento all'insù, chi in cerca di meraviglie, chi in cerca di inspirazioni preziose e chi, come me, in cerca di comete. Una cometa in particolare è quella che ha voluto far si che io sia qui stasera.  Il passaggio di una cometa senza nome che proprio in questi giorni, in una di queste magiche serata, è previsto che entri nella nostra atmosfera e che, sempre nell'ipotesi, dovrebbe accarezzare l'aurora. Mai nella storia che l'uomo conosca è accaduta una cosa simile, ed io sono super eccitata per studiare l'evento che porterò alla mia tesi di laurea; sarà la mia missione per tutto il week-end.

    «Nessun avvistamento ancora?» fa mio padre, scrutando l'orizzonte con fare da pirata.

    «Ma papà, la cometa arriva dall'alto. Non arriva mica dalla strada!» rispondo divertita.

    E lui «Ma lo stesso non c'è, piccola mia. Forse hai sbagliato giorno».

    «I calcoli li ho fatti mille volte e ho considerando tutte le variabili. Deve passare di qua tra sera e domani. Quindi, occhi aperti!».

    Dopo un'oretta di attesa e di contemplazione del cielo parlando del senso della vita, e spinti soprattutto dal freddo che incalza nonostante la nostra imbottitura, ritorniamo nel castello di ghiaccio per prendere una cioccolata calda.

    Il bar a quest'ora è una discoteca vera e propria, e i ragazzi dietro al bancone servono aperitivi e cocktail  no stop.

    Fisso in contemplazione il mio bicchiere di cioccolata, ancora troppo bollente per riuscire a berlo subito, mentre mio padre è riuscito a deglutito senza problemi come se avesse lo stomaco fatto di amianto!

    «Svea, penso di ritirarmi in camera, sono ancora un po' stanco per il viaggio, e poi comincio a soffrire un po' con la pancia» mi dice mio padre che, per come si sta lamentando, mi sa che sia dovuto più per i dolori.

    «Ok, papà. Io penso di rimanere ancora un po' qui. Avevo in mente di ritornare lì fuori per osservare il cielo; magari è la volta buona».

    Si china a darmi un bacio sulla fronte e sussurrarmi un «Perfetto. Non farmi stare in pensiero, però. Ti voglio bene».

    «Ti voglio bene anch'io».

    Riesco con calma a finire tutto il mio cioccolato; da freddo è molto più delizioso. In seguito mi alzo con a dosso già in cannocchiale, presa ancora dall'eccitazione. Mi volto di scatto verso l'uscita ma vado a sbattere contro il petto di qualcuno: Un ragazzo sulla media, col il mento più in risalto rispetto dal resto del volto; due occhi azzurri, quasi di ghiaccio, mi fissano come a volermi ipnotizzare. Mi perdo in essi. Trattengo il respiro. Cosa si deve dire in queste situazioni? Non ne ho la pallida idea. Per fortuna, è lui a rompere l'incantesimo.

    «Trovato finalmente!» fa lui con voce fine, ma non capisco che voglia dire.

    «Scusa non ho capito, hai perso qualcosa?» gli domando.

    «Girava voce che il paradiso avesse perso uno dei suoi angeli più belli. Ecco, credo proprio che quell'angolo si sia posato davanti ai miei occhi proprio adesso».

    Ora non so se commuovermi o chiamare la polizia. Dovrei essere lusingata secondo lui? Ma non lo sono affatto; devo avere ancora quello spray al peperoncino da qualche parte...

    «Emm....» tento di dire qualcosa.

    «Scusa l'irruenza di mio fratello, non voleva spaventarti». Ad intervenire è una ragazza piccolina, molto carina, con occhi azzurri come quelli del ragazzo che ho davanti, capelli biondi che sfumano nel rosa verso le punte, corpo esile ed un volto di una teenager, come se per lei il tempo si fosse fermato a 15 anni. Sono i ragazzi che mi hanno sorpreso ad origliare poco fa!

    «Io sono Cassandra, mentre questo qui è mio fratello Patrik» si presenta.

    «Non volevo metterti paura, anzi. Ricominciamo! Io sono Patrik, piacere» si ripresenta anche lui.

    «Piacere, Patrik. Mi chiamo Svea».

    «Ti abbiamo notata col cannocchiale, prima. Hai passato tutto il pomeriggio senza muoverti dalla tua postazione. Sei un astronoma?».

    «Quasi, studio all'osservatorio di Stoccolma da un paio di anni».

    Patrik ricomincia a fissarmi in quel modo così ipnotico... -Cazzo, smettila!- vorrei dirgli. Forse verrebbe provarci con me?

    «E voi, che ci fate qui? Studiate o una semplice scampagnata fuori porta?» riesco a rompere finalmente il ghiaccio (già che stiamo in tema).

    A rispondermi è la ragazza con i modi molto gentili di nome Cassandra «Siamo finlandesi. Io sono laureata in scienze climatiche, Patrik cerca di prendere un master in ingegneria aerospaziale mentre la nostra amica Sam seduta al bar... Beh, perché non te lo fai dire stesso da lei? Vieni ti offro una granita».

    Al bancone del bar incontriamo una ragazza molto rude, strani tatuaggi che gli escono dal colletto del maglione e qualche anello col teschio.

    «Hei, Sam. Ti voglio presentare  Svea, studia all'osservatorio. Svea, ti presento Sam».

    Ci stringiamo entrambe le mani in una stretta decisa e molto lunga, un segnale per farmi intendere di essere una tipa tosta. La in questione (appunto) ha i capelli quasi del tutto rasati su di un lato, mentre sono lunghi dall'altra parte fino a poco più giù del suo mento, coprendole la guancia sinistra come una grande frangia color nera pece; mi sembra persino di aver intravisto un piercing sulla lingua.

    «Ciao, cara. Tu sei la spiona del ristorante, giusto?» mi pizzica la ragazza di fronte a me. Ciao cara!?.. Ma chi ti conosce!

    «Beh. Non l'ho fatto a posta ad origliare. Era interessante l'argomento, tutto qui» le dico.

    «Sam...» la chiama la sua amica.

    «Sì, Cassy?» le risponde.

    «Io e Patrik stavamo parlando del nostro lavoro, così abbiamo deciso che chi meglio di una persona come Svea potrebbe darci una mano».

    Sentito ciò, Sam si mette meglio composta sullo sgabellino girevole su cui è seduta, prende un altro sorso dal suo bicchiere e...:

    «Allora...» inizia, confermandomi di avere un piercing argentato sulla lingua non appena apre la bocca. «Siamo scienziati di ultima generazione. Mettiamo insieme le nostre conoscenze e facciamo approfondimenti di ogni genere. Cassandra si occupa di tutto quello che concerne la geologia, Patrik della meccanica dei fluidi ed io, col mio diploma in sviluppatore elettronico e con qualche strumento molto costoso, provo a registrare il tutto».

    Ci vuole davvero molto coraggio per affrontare tutto questo, cimentarsi in imprese sconosciute con solo l'ausilio delle loro menti e con qualche aggeggio; sono davvero dei ragazzi in gamba.

    «Da dove viene tutta questa motivazione?» le chiedo «E per avere cosa?».

    «Sarà un po' per la voglia di lavorare senza padroni che ci dicano cosa fare e per il fatto che, per quanto possiamo conoscere il nostro pianeta, ci sono milioni di cose ancora da scoprire. L'ignoto è il nostro mestiere, e nulla è più appagante della gloria di una scoperta».

    Molto poetico come pensiero. L'ignoto affascina appunto per i suoi misteri, proprio come la mia cometa lo è per me.

    «Ti va di unirti a noi?» la richiesta improvvisa di Patrik mi coglie troppo di sorpresa. Rimango ferma senza dire nulla per parecchio.

    «Patrik, forse non può venire» Cassandra lo riprende al posto mio, con quel suo modo di fare dolce «Svea, vieni solo per questa sera. Ci mancava un membro che si intendesse di stelle. Come ha detto prima Sam, se ci sono milioni di cose da scoprire in terra, ce ne saranno altrettante cose elevate all'infinito nella galassia. Ci piacerebbe molto».

    Sam e Cassandra si scrutano a vicenda alla ricerca di reciproci pareri. Davvero mi vogliono con loro? A parte i fratelli, è Sam che non vedo abbastanza convinta. Poi, la proposta mi viene nuovamente ripetuta dalla ragazza col piercing «Allora, vieni con noi o no?». Difficile la decisione, non ho mai abbandonato mio padre nelle sue sofferenze. Potrei rinunciare l'offerta e tornare da lui, ma la proposta è arrivata così all'improvviso che non posso tirarmi indietro. Come acqua per gli elefanti nel deserto dopo un lungo vagare, era l'occasione che in cuor mio realmente cercavo. In fondo, sono anch'io una che scruta l'ignoto e questo è il mio momento per vedere se valgo qualcosa!

    «Posso portare qualche altra cosa oltre al mio cannocchiale?» è la mia risposta finale. La serata al bar prende un altra luce ai miei occhi ed un nuovo ritmo nella mia mente ha preso vita, come un brivido mai provato.

    «Quattro shot ghiacciati per favore!» esplode Patrik al barman. E così, mi ritrovo con tre nuove amicizie e con quattro bicchierini di ghiaccio tra le dita puntati al cielo, a fare un brindisi rivolto alla nostra voglia di avventura.

    Cassandra prende parola per benedire il quartetto con la sua voce «Ad una prosperosa notte di scoperte per noi scienziati e, soprattutto, un augurio per la new entry».

    «A Svea!» recitano infine in coro.

    Troppo commossa, stento a trattenere una lacrima che vuole esternare ad ogni costo le mie emozioni.

    «Grazie, ragazzi. A voi e ai vostri sogni di gloria!» urlo con profonda ammirazione all'intraprendenza dei miei nuovi amici.

    Usciamo dal locale e prendiamo un taxi che, dopo un paio di ore di viaggio verso quel che mi sembra il nulla assoluto, ci lascia ai piedi di una ripida collina sommersa dalla neve ed impossibile da praticate in auto, con soltanto qualche albero cresciuto con fatica. Incalzate le ciaspole ai piedi, usciamo all'aperto per iniziare l'ascesa. A quest'ora della notte l'aria è molto limpida e frizzantina, un buon clima per le osservazioni a ciel sereno.

    «Come prima meta?» domando a Sam, che sembra essere la più autoritaria della comitiva.

    «Seguiamo la strada fino ad Abisko, a nord ovest da questo punto. Seguiremo il GPS e imposteremo il geo-localizzatore per tracciare il nostro percorso affinché possiamo registrare ogni nostro passo».

    Senza fare altre domande, e piena di spirito di avventura, ci inoltriamo lungo il percorso in fila indiana con a capo Sam, Cassandra, me e Patrik a chiudere la fila. La notte, anche senza i fari della metropoli, è molto luminosa grazie alle stelle. Puntando lo sguardo verso la nostra direzione, il percorso  diventa sempre più aspro in quanto a ripidità, mentre la stella polare ci guida verso il polo nord.

    Si sente Patrik avanzare il passo da dietro a passi pesanti «C'è qualcosa che non mi torna. Hai detto che sei una laureanda astronoma, sei in villeggiatura con tuo padre e lo stesso hai portato questo coso enorme» mi dice, accennando al cannocchiale che ho sulle spalle «Cosa di preciso ti ha fatto accettare il mio invito? Hai preso una cotta per me, giusto?».

    Decido di risponderlo a tono, senza guardarlo troppo «Non darti troppe arie. Sei carino, ma questo atteggiamento di troppa sicurezza ti fa perdere punti se speri in quello che hai detto. E poi, ci conosciamo appena».

    Che presuntuoso! A pensarci, è da parecchio che non penso ai ragazzi in questo senso. Mio padre me ne da tanto di affetto, ma non nel modo Shakespeariano che quasi tutte le donne desiderano. Infondo, chi non ne ha bisogno?

    «Fratello» lo chiama Cassandra «Svea non è quel tipo di ragazza che credi. Si vede che è differente da quelle che frequenti».

    «Grazie per l'aiuto, Cassandra» dico alla ragazza.

    «Chiamami Cassy. Però, ricordati che Patrik ti ha fatto anche una domanda» mi ricorda infine.

    «Be, e che dire? Siamo coetanei, studiosi universitari, senza offesa per Sam. E poi, sto inseguendo una cometa».

    Patrik mi spalletta con la mano e tenta una battuta «Allora fai parte dei tre re magi? Darai il telescopio come dono il giorno di Natale? E il tuo cammello, che fine ha fatto?» battuta per altro pessima.

    «Non ho bisogno del cammello se ci sei tu a sostituirlo. Puzzi pure come tale!» gli dico a tono, mentre Sam e Cassandra si scompiacciano davanti a me.

    «Ben ti sta!» aggiunge Sam, con sempre in mano il suo GPS e con Patrik che ammutolisce di colpo alle mie spalle. Poi, una lunga scossa di terremoto si avverte sotto i nostri piedi. Tutti ci accasciare di colpo nella neve per istinto, aspettando che passi cercando di evitale il peggio.

    «Che cosa è stato!» chiedo appena è terminato, anche se il mio primo pensiero è rivolto a mio padre!

    Cassandra, da esperta, interviene per tranquillizzarmi «Non era niente. Qui fa molta neve in questo periodo ed ogni tanto potrebbe verificarsi qualche slavina. Sam, dacci i localizzatori, potremmo averne bisogno nel caso ci perdessimo». Al comando, Sam mette il borsone a terra e, dopo averci frugato, prende degli strani braccialetti colorati.

    «Sono in PVC» ci spiega «Resistenti agli sbalzi di temperature e non congelano. I chip al loro interno trasmettono direttamente sul mio pc il vostro battito cardiaco nel raggio di 10 chilometri e la vostra posizione nel raggio di 1000, con un margine di errore di 50 centimetri circa. C'è un bottoncino seminascosto su di un lato delineato da un cerchio bianco che è da premere solo in caso di vero pericolo, mentre il GPS rimane sempre attivo». Poi, mi passa il mio braccialetto che è di un bellissimo colore arancione evidenziatore. «Muoviamoci» ordina infine.

    La salita si fa sempre più ripida. Comincio a sentire sempre più freddo quanto più siamo vicini alla vetta. Mi ci vorrebbe un altra cioccolata calda in questo momento; e pensare che sto facendo tutto questo solo in nome della scienza!

    «Manca ancora molto?» chiedo.

    «Non mi dire che già ti vuoi fermare?» Sam mi guarda con un espressione di diniego.

    «Se permetti ti posso portare io in braccio. Sempre se non è un problema».

    «Patrik…!» lo ammonisce Cassandra, per poi rivolgersi verso di me «Dobbiamo cercare di arrivare a monte. Più vicini siamo e più abbiamo spazio libero non inquinato da agenti umani. Anche solo un pezzo di carta può inquinare la scena e, di conseguenza, i valori che prenderà Sam saranno sballati anche se di poco».

    Incredibile come si riesca a vedere bene il castello di ghiaccio da qui sopra, immenso e ricco di luci. Almeno spero che la scossa di terremoto non sia arrivata fino a lì (mio padre andrebbe nel panico!), magari è solo un riassestamento di questo posto per la troppa neve caduta nei giorni precedenti. Ma, proprio mentre sto contemplando l'albergo, un'altra scossa smuove il terreno con tutti i miei pensieri.

    «Fermi tutti!» fa Sam.

    Con una velocità estrema, la ragazza afferra una specie di paletto di ferro appuntito dal suo zaino, con una piccola antenna ed un dispositivo in cima. questa viene piantata con estrema violenza nella neve fino ad arrivare (o almeno è quello che penso) nel terreno sottostante. Il pc che tiene in mano comincia ad emettere una luce giallastra dalla spia di accensione ed iniziano ad aprirsi nuove schermate, con pentagrammi e grafici che non riesco a comprendere. La vibrazione del suolo dura una trentina di secondi prima di placarsi.

    «Sei riuscita a raccogliere qualche dato!?» chiede Cassandra a Sam.

    «È strano, ma non riesco ad individuare l'epicentro della scossa. È come se si fosse verificata in una zona molto estesa».

    «Estesa quanto?».

    Alla domanda di Patrik, Sam comincia a tentennare con le risposte.

    «È come se si fosse verificata… in aria» risponde attonita.

    Alziamo gli sguardi a fissare subito il cielo in cerca di risposte. Non c'eravamo accorti, però, che l'aurora ha iniziato a vibrare e ad emettere piccole scintille al suo interno che non presagiscono nulla di buono. Di primo istinto afferro il cannocchiale alle mie spalle, lo fisso a terra con il treppiede e regolo lo zoom alla giusta distanza da esse. Attraverso l'obbiettivo si riescono a vedere delle minuscole scie rosse che vanno dirette verso la terra e che, passando attraverso il fascio di luce colorato, creano queste micro esplosioni gialline. Cosa sarà mai?

    «La mia cometa!» esplodo alla comitiva, intuendo la situazione «Sta per entrare nell'atmosfera e quelle sono le sue parti più piccole che l'accompagnano. A differenza della cometa in se, sono troppo piccole e bruciano in cielo. Forse stanno reagendo chimicamente con l'aurora che le fa risplendere e vibrare».

    «Potrebbe spiegare i terremoti!» deduce il ragazzo.

    Sam, più che stupita, cerca di dare anche lei un senso all'evento «Potrebbe, ma dobbiamo salire più in alto per avere maggiore conferma! Ormai è tardi per tornare in dietro. Per la scienza!» esulta.

    Durante la salita le radiazioni luminose si fanno sempre più forti e i terremoti sempre più lunghi e frequenti, ma non molliamo. Il battito del cuore mi si accelera e comincio anche ad avere perfino paura della mia incolumità.

    «Non possiamo più proseguire!» dice preoccupata la nostra guida Sam, fermandosi di colpo molto più avanti. Guarda afflitta verso il basso, in un burrone che si protrae davanti a noi con un fiume (o forse un lago, per la sua larghezza) che scorre ad una trentina di metri più in basso. Guardo il cellulare ma non c'è segnale per chiamare soccorso, forse per mezzo della tempesta di comete in corso.

    Patrik da dietro lo sentiamo agitarsi molto allarmato «Ragazze, abbiamo un leggero problema: comincia a nevicare luci gialline».

    Neve!?, non mi sembra. Luminose ed accecanti, le piccole lucine cadono dal cielo senza fretta e poggiandosi sulla soffice neve alle nostre spalle che, al contatto, risplende anch'essa.

    Sam cerca di dare un'ennesima risposta per descrivere quello che sta succedendo «L'aurora deve aver caricato positivamente le polveri della tua cometa e… che razza di fenomeno si sta verificando!? Non capisco più nulla!!». Anche lei senza parole, la ragazza allunga il braccio destro verso una di questi leggeri fiocchi che ci stanno raggiungendo, facendola posare sul dorso della mano «Come brucia!» urla. La sua mano prende fuoco all'istante sotto i nostri sguardi increduli, spegnendosi dopo una manciata di secondo.

    «Sam!» grida Cassandra.

    Accerchiamo la ragazza per soccorrerla, ma rimaniamo immobili ad osservare una strana macchia rosso comparirgli sul dorso.

    Altri boati ci costringono a sollevare gli sguardi al cielo, distraendoci dalla sua ferita, lì dove la luce giallastra illumina la notte senza l'ausilio del sole, e la neve, bagnata da quei fiocchi luminosi, s'infiamma. Solo dopo mi accorgo che il magico castello di ghiaccio in lontananza sta divampando in un enorme focolaio alto centinaia di metri. Il fuoco brucia per tutta la vallata e si espande fino a raggiungerci.

    «Papà!» urlo verso quell'orrore.

    «Un riparo, presto!» fa Cassandra tirandomi per un braccio, mentre cerca nel promontorio un eventuale rifugio.

    «Vuoi veramente lanciarti nel vuoto?» dice Patrik, non convinto della decisione della sorella.

    «Perché, Hai un alternativa migliore?» risponde la sorella.

    Sono nel panico. Con il cuore in gola prendo io la decisione per tutti, sperando che sia quella giusta. Con l'orrore alle spalle, mi faccio largo tra la comitiva e mi lancio nel vuoto, verso l'ignoto, correndo qualsiasi rischio del mio folle gesto.

    Il vento mi sfiora i capelli. La voce di mio padre echeggia nell'aria come un sussurro dolce «Buongiorno, piccola mia». Apro gli occhi e lo vedo seduto fuori casa con in mano il suo solito giornale.

    «Ma cos'è successo?» le mie parole risuonano deboli, ed hanno un tono troppo alto per essere le mie, se pur mi riconosca.

    «Hai dormito parecchio sotto il tuo albero di limoni, come al solito. In certi momenti chiamavi anche la mamma nel sonno; aspetta che te la chiamo. Katja!».

    Mamma!? Quanto ho dormito? mi gira la testa! Non faccio in tempo a rendermene conto che, ad un tratto, appare lei, bella come la primavera: la mia mamma. Mi solleva da terra e mi prende in braccio, stringendomi forte per non farmi cadere. Con un pianto la tengo stretta come non mai.

    «Piano, piccola. Stai diventando così grande e forte, e la mamma non può sempre prenderti in braccio. Non vado da nessuna parte amore; sto qui con te». Il suo calore è così profondo che riesce perfino a riscaldarmi il cuore. «Svea, l'estate è quasi finita ed abbiamo bisogno di uno zainetto nuovo Hai già un idea di come deve essere?» Mi domanda. Mentre mi parla, i suoi capelli grigi risplendono d'argento a contatto col sole; quando diventerò grande li voglio avere proprio come i suoi!

    «Lo zainetto lo voglio rosa con tantissimi cuoricini!».

    Entriamo nella prima cartoleria del corso più bello di Stoccolma, contenta che la mamma sia riuscita a trovato proprio quello che volevo!

    «Svea, ora ti va di andare al parco e prendere un gelato?».

    È proprio la mia giornata fortunata! Che cosa c'è di più bello di questo?

    «Mamma, ti voglio tanto bene» Esclamo. Al parco, l'aria fresca mi riempie di allegria e l'odore di erba mi fa venir voglia di rotolarmi sul quella bellissima distesa di verde. «Mamma, spingimi sull'altalena!» le chiedo. Le sue spinte sono dolci, fin troppo. «Più forte. Voglio raggiungere il cielo!». Ma chi è quella bambina che vedo lì giù sullo scivolo? Ha un aria molto triste. E perché mi guarda così tanto?

    «Tesoro, la mamma è un po' stanca. Ora perché non provi lo scivolo?; è molto alto, perciò sta attenta».

    «Ok, però tu guardami quando scendo giù».

    La scalinata dello scivolo è molto alta ed meglio se mi mantengo bene. Un gradino alla volta ed arrivo finalmente in cima.

    «Ave, Svea» mi saluta la bambina triste, ancora in cima allo scivolo; forse sta aspettando la mamma?

    «Ciao. Non scendi dallo scivolo?»

    Un momento, mi ha chiamata per nome, forse mi conosce?

    «Sì che ti conosciamo» Risponde, come a leggermi nella mente.

    La bambina ha addosso una veste colorata di un lucente celeste che, dal basso, sfuma tingendosi di blu scuro a salire, fino a colorarsi di viola; capelli verdastri e lisci, lunghi fino al fondoschiena; il viso è macchiato da rughe pur essendo una bambina piccola come me. Ma quanti anni avrà?

    «Più di quello che pensi» mi risponde lei, senza che gli abbia fatto domande.

    «Sei molto strana, ma mi piaci lo stesso» gli dico.

    Lei d'improvviso si alza in piedi sullo scivolo ed indica verso la fine di esso.

    «Fino a quanto sei disposta a combattere per fare ciò che è giusto secondo il tuo cuore?» dice. Combattere in che senso? Non capisco cosa intende dire.

    Ad un tratto, mi afferra il braccio e mi scaraventa giù per lo scivolo senza neanche fare troppa fatica. Non faccio in tempo a ribellarmi che cado sulla lunga discesa scivolosa con la testa rivolta verso il basso. Vado sempre più veloce e la dritta corsia sembra protrarsi in una perenne discesa senza fine. Tutto si oscura all'istante, eccetto lo scivolo rosso difronte a me. Vado veloce e senza attrito. Per istinto afferro con tutte e due le mani i bordi sgusciati con tutta la forza che ho, ma brucia troppo e lascio subito la presa. Forse è meglio aspettare che termini la corsa. Mi rigiro in posizione seduta e guardo nell'oblio in torno a me. Più avanti finalmente riesco a vedere la fine dello scivolo che termina con un muro di gommapiuma. Perfetto!, direi, se non fosse che un attimo prima c'è un neonato sdraiato alla fine della discesa. Si farà male! Potrei saltare nel baratro per non colpirlo, ma della mia vita non ne sono certa. Allora, con entrambe le mani afferro di nuovo il bordo sgusciato dello scivolo nel tentativo di frenarmi, nonostante il bruciore si stia già facendo sentire. Stringo forte più che posso. Non so se durerò a lungo, ma devo riuscirci! Sembra che funzioni! Cedo per un attimo la presa per alleviarmi dal troppo dolore che sento, solo un attimo, e riprendo la frenata con più decisione. Il bruciore alle mani è così intenso che la vista mi s'appanna; gli occhi si girano; stringo i denti. Non devo mollare per nessuna ragione! Il vento generato dalla velocità ha smesso ad un tratto di soffiare. risistemo gli occhi nella loro naturare posizione per accorgermi che, anche se al limite, sono riuscita a fermarmi.

    Mi trovo ai piedi dello scivolo con il neonato di fronte a me. Questo mi scruta sereno tra le sue rughe, come quelle delle bambina di prima. Si alza in piedi e mi saluta con una strana voce robotizzata:

    «Ave Svea. In te è presente la capacità di prendere decisioni dal tuo forte senso di altruismo. Da oggi in poi sarai conosciuta come Svea la giusta».

    Immobile, osservo il piccolo scomparire subito dopo, trascinato come sabbia da un vento che prima non c'era. Mi guardo le mani pensando che, ormai, saranno ridotte ad un colabrodo, ma mi sbagliavo. Sono estremamente lisce e morbide come, se proprio adesso fossi uscita da sotto una bella doccia idratante. Distratta delle mani, non mi accorgo che l'ambiente circostante era cambiato ancora. Adesso mi ritrovo molto più in alto rispetto allo scivolo, in una situazione di volo perenne, ma come se stessi camminando su di una pavimentazione trasparente. Al di sotto di me si vedono chiaramente le stelle e, se aguzzo bene gli occhi, anche qualche nebulosa, mentre in alto si vede l'enorme globo terrestre, con quella sua corona celeste quale è formata l'atmosfera; sono sottosopra, insomma, ma non ne risento alcun effetto. Davanti a me si eregge una piccola torretta di cristallo in lontananza, su cui riesco a vedere una persona in cima a tutto. Avvicinatomi, scruto la bambina dai capelli verdi seduta sull'enorme trono e sono costretta ad alzare di molto lo sguardo per poterla ammirare.

    «Hai rischiato di perdere le mani per salvare quel bambino che neanche conoscevi. Perché?» mi chiede.

    Io la guardo e gli dono la mia risposta più schietta e sincera «Perché non avrei dovuto salvarlo? Era giusto che andava fatto per un'anima innocente».

    «Quello che hai appena vissuto la chiamiamo "l'ascesa del giudizio", un test con cui valutiamo chi ha lo spirito abbastanza forte per essere degno di noi. E tu, nella tua piccolezza, hai dimostrato di essere colei che è capace di affrontare l'Odissea. Il modo con il quale pensi, punta ad un forte senso di altruismo e responsabilità non comune tra gli umani. Senza fare azioni che possano mettere in gioco anche la tua di vita, sei riuscita a salvarlo». Sventola con un braccio il suo lungo manto di capelli, con il quale riesce a far muovere stelle e pianeti in sotto di noi «Sei pronta a conoscere la nostra storia?».

    Quella di prima era una prova!? Avrei preferito che mi avvisassero prima. Ma così facendo, forse, non avrei dato il meglio di me. Tentenno un attimo, ma la curiosità di sapere cosa vogliono e chi sono è troppo forte. Così, chino leggermente il capo e socchiudo gli occhi per farle capire che sono pronta.

    «Siamo gli spiriti di milioni di bambini trapassati, tutti morti di morte violenta e prematura. Siamo nati in purezza e morti tali, senza aver avuto il tempo di conoscere né male e né bene. Per questo, vaghiamo nel mondo e siamo liberi di osservare tutto quello che vi succede, dare giudizi, ma non di agire. E voi, esseri viventi, alzate le vostre teste e ci guardate con stupore, ma non siete in grado di riconoscerci. Ora vorrei che chiudessi gli occhi ed aprissi la mente. C'è qualcosa di importante che voglio farti vedere».

    Faccio quello che mi viene chiesto e, dopo pochi secondi, mi sento sussurrare nell'orecchio.

    «Apri gli occhi».

    Al suo comando i miei occhi si spalancano da soli e fissano la scena che ho di fronte: mi trovo, stavolta, in cima alle nuvole ed osservo la terra in uno stato di perenne inverno, dove tutta l'atmosfera ha perso il suo colore azzurro. Avvicinandoci all'equatore, riesco a distinguere un gruppetto di persone camminare in fila indiana, tra cui un bambino lasciato un po' più indietro. quest'ultimo cade al suolo e quasi quasi scompare nella neve alta.

    «Cos'è successo?» chiedo, pur avendo una tremenda paura della risposta che mi darà.

    «La verità, Svea, è che il mondo diventerà tale a causa delle sue perversioni; complotti; genocidi e omicidi di massa determinate dall'avidità della tua

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