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La conversione del Buono
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E-book100 pagine1 ora

La conversione del Buono

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Info su questo ebook

Il protagonista vive una vita mediocre fatta di studio per l’abilitazione all’avvocatura, di un lavoro poco gratificante come tirocinante, di rapporti sociali e affettivi pressoché inesistenti e freddi con la famiglia, soprattutto con la sorella Giulia, invalida in carrozzina, considerata da sempre come una rivale, e che, secondo lui, lo aveva privato delle attenzioni e dell’affetto dei suoi genitori. Penalizzato sia sentimentalmente che professionalmente, è stanco di una giustizia cieca che premia i mediocri e penalizza quelli con una morale pura. 
Ma un fatto inaspettato romperà questa ordinaria e inetta routine. Un segreto che rimarrà tale e che porterà il “Buono” a un riscatto sociale, a una rivalutazione di sé stesso e a un recupero del rapporto con la sorella.
“Mi ero reso conto di essere sopravvissuto fino a quel momento, senza mai ascoltarmi, con la paura di perdere o addirittura la paura di vincere, rinunciare ancor prima di provarci, non credere in me stesso. Quella ragazza mi aveva liberato, liberato dalle catene che mi erano state imposte e liberato dall’inedia; le ero grato, ero grato a quell’incidente e mi rammaricavo che avessi imparato la lezione a spese di una vita umana, per quanto insignificante potesse essere.”

Uno sfogo, un memoriale per raccontare il suo abietto segreto.
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2023
ISBN9788830690615
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    La conversione del Buono - Luigi Aremani

    aremaniLQ.jpg

    Luigi Aremani

    La conversione

    del Buono

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8647-2

    I edizione novembre 2023

    Finito di stampare nel mese di novembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    La conversione del Buono

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prologo

    Una Vita mediocre

    Ancora un altro venerdì, di una settimana uguale a quella di prima. Sembrava assistere al film della propria vita, come spettatore passivo di uno spettacolo che eri costretto a vedere e rivedere; una giostra che gira in tondo dopo mille volte, era interessante tanto quanto il mio lavoro: cambiava solo il nome dell’assistito di turno, ma le mie mansioni erano le stesse ossia esaminare i fascicoli, scrivere qualche atto di appello e i vari atti giuridici, passare in cancelleria al tribunale, sfruttare al meglio la banca dati e approfittare delle pause per studiare i punti chiave del diritto che sarebbero stati oggetto dell’esame di avvocatura. I miei orari erano: sai quando vai ma non sai quando torni, un po’ come quando dai gli esami all’università e aspetti il turno con un’ansia crescente e magari dopo dieci ore di attesa, il professore ti mandava a casa e dovevi ripresentarti il giorno dopo e sperare di non replicare l’episodio del giorno prima, per poi rischiare di farti prendere dall’ansia e dallo stress e dire qualche cavolata durante l’appello ed essere infine, pure bocciato. In quel momento però, mi mancava quell’adrenalina e quell’atmosfera che sapeva ancora di cazzeggio giovanile, che da quando mi ero laureato non c’era più. Tutto sembrava diventato così maledettamente serio: il lavoro, i colleghi, i progetti, le ambizioni… il futuro… In realtà sono sempre stato un tipo responsabile, ho sempre perseguito i miei obiettivi al meglio che potevo; anzi forse a volte ho preso le cose fin troppo sul serio, dimenticandomi del sano svago, che spesso mi avrebbe fatto bene. Il peggio era quando mi capitava di essere deluso oppure quando fallivo nel raggiungere un risultato per cui avevo lavorato tanto, la prendevo molto male e rischiavo spesso di impantanarmi nell’autocommiserazione. Al contrario, quando riscuotevo successo mi sentivo degno dei più solenni inni. Non c’era nessuno a congratularsi con me, né a consolarmi, quindi facevo tutto da solo, sognando marce trionfali o vivendo tragedie greche.

    Malgrado la bassa luminosità dello schermo, dopo tutte quelle ore intervallate da un paio di brevissime pause caffè, gli occhi cominciavano a bruciarmi e quindi usai il collirio che avevo sulla scrivania al quale attingevo regolarmente e avidamente per alleviare la stanchezza dei miei poveri occhi (già provati dai logoranti anni di studio) che passavano in rassegna casi su casi, giorno dopo giorno, molti dei quali noiosi e di routine: mariti rovinati che non pagavano gli alimenti alle ex mogli e figli contesi come la striscia di Gaza e sballottati come pacchi postali, ricorsi e contro ricorsi che in un sistema funzionante non avevano luogo di esistere, ma che tanto facevano la felicità di un qualsiasi studio legale di avvoltoi: non era quella l’idea del mestiere di avvocato che mi ero fatto, ma l’ideale al quale aspiravo e il reale con il quale dovevo confrontarmi ogni giorno, anche in questo caso, sembravano in parmenideiana antitesi.

    Da un paio d’ore non riuscivo proprio a concentrarmi: ero stanco nella mente più che nel corpo. Cominciai a sentirmi a disagio in ufficio, pensavo di essere guarito dall’ansia, invece era un attacco di panico: dovevo andar via da quel posto, il malessere cominciava dallo stomaco per poi risalire al petto e mi impediva di essere lucido, quel posto mi stava stretto, ma non

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