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Passione e desiderio di una biologa all'UCLA di Los Angeles
Passione e desiderio di una biologa all'UCLA di Los Angeles
Passione e desiderio di una biologa all'UCLA di Los Angeles
E-book365 pagine5 ore

Passione e desiderio di una biologa all'UCLA di Los Angeles

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Info su questo ebook

Dimostrazione che l'Amore è un processo biochimico. La protagonista, una biologa ricercatrice dell'Università UCLA di Los Angeles, analizza descrive sperimenta lo svolgersi della vita nei laboratori dove imperversa una furiosa creatività nella progettazione degli esperimenti relativi al DNA e alla clonazione dei geni e dove le relazioni umane sono esaltate e sviscerate negli aspetti affettivi e psicologici. Risalta al centro di questo affresco il rincorrersi affannoso dei due protagonisti toccati dal misterioso sentimento del desiderio. Scopriamo i processi biochimici che lo sorreggono e che definiscono pennellate cromatiche di un quadro di emozioni, sguardi, sussurri. Momenti toccanti, profondi, incisivi sul dilemma del piacere e del desiderio di piacere.
Il protagonista uomo è arrivato a una svolta decisiva dell'esistenza e fa i conti con pienezza, buio, tepore e severa grandezza dell'amore. È la sua vertigine.
La protagonista donna è catalizzatrice di questo desiderio che, con la sua capacità empatica attraverso un infinito gioco di rifrazioni, riecheggiamenti e rimandi, fa emergere in piena luce un incontro. Dirige l'evento-desiderio portandolo ai limiti del sentire in una perfetta identificazione con l'altro. Racconta, canta, incanta facendo scivolare dentro la scrittura la meta più intima dell'amore, l'urgenza di un riparo dal mondo e l'imprevidibilità dell'amore.
La natura sempre presente ha lo scopo di ammaliare l'immaginazione in un idilliaco e ipnotico incantamento.
LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2017
ISBN9788826059181
Passione e desiderio di una biologa all'UCLA di Los Angeles

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    Anteprima del libro

    Passione e desiderio di una biologa all'UCLA di Los Angeles - Valeriana Pretto

    VALERIANA PRETTO

    Passione e desiderio di una biologa all'UCLA di Loa Angeles

    UUID: 25e2b41e-5686-11e7-a3f6-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Dedica

    Valeriana Pretto

    Nota dell'autrice

    Cap 1

    Cap 2

    Cap 3

    Cap 4

    Cap 5

    Cap 6

    Cap 7

    Cap 8

    Cap 9

    Cap 10

    Cap 11

    Cap 12

    Cap 13

    Cap 14

    Cap 15

    Cap 16

    Cap 17

    Cap 18

    Cap 19

    Cap 20

    Cap 21

    Cap 22

    Cap 23

    Cap 24

    Cap 25

    Epilogo

    L'Autrice

    Pubblicazioni

    Dedica

    A tutti coloro che amano

    conoscono il desiderio

    desiderano il desiderio

    Valeriana Pretto

    PASSIONE E DESIDERIO

    DI UNA BIOLOGA

    ALL'UCLA

    DI LOS ANGELES

    Libertà e uguaglianza

    possono essere godute

    solo nell’estasi

    del deliro estetico

    GOETHE

    Nota dell'autrice

    Scrivo dipingendo quadri, le parole tracciano immagini, rappresentazioni, vedute, dentro alle quali ci sono io, il mio pensiero, la mia immaginazione, il mio sguardo che osserva. Tutto scaturisce spontaneamente. Improvvisazione che trova la propria genesi in una banda cromatica del mio spirito, un impeto fuggiasco che proviene da chissà dove.

    Atto libertario e liberatorio.

    Il libro prende forma dal metodo analitico fondato sull'osservazione, intuizione, su un dono quasi dostoevskijano di simpatia e di identificazione con l'anima altrui, sui favori del caso, sulla capacità di deduzione che mi permette di disporre di una rigida consequenzialità di indizi sparsi nel tessuto quotidiano della realtà. Porto l'esprit de finesse, l'intuizione e l'analogia al punto estremo di penetrazione trasformandolo in scienza abbacinante che dà certezze più sicure del calcolo aritmetico.

    Confronto, rilevo differenze, pongo tutto in relazione, mi ossessiona il confronto e la classificazione.

    Nelle relazioni cerco, forse, nel mio stato di incoscienza, l’ordine, la regola. Un’inclinazione, forse un desiderio, ma anche un lavoro consumato nel formarsi di una coscienza. E’ un porsi sempre nuovo di fronte a ciò che appare dapprima sconosciuto, vago, imprendibile e che mi pone in uno stato di subordinazione e di sconfitta. E’ una provocazione, un insolente apparire, una vaga presenza. Ma subito segue la l'attiva curiosità che inizia la sua indagine attraverso lo scoprimento, il ravvicinato contatto, la giustificata analisi e la comprovante sperimentazione.

    La protagonista e la voce narrante toccano materialmente e culturalmente l’oggetto indagato, se ne appropriano e lasciano che esso le induca al raggiungimento della più ele vata coscienza.

    Avvicinare, conoscere, indagare, sperimentare, uniche e sole azioni che fanno sentire vivi, consapevoli, intelligenti, soddisfatti tutti i personaggi o meglio le persone presenti nel libro.

    E' la ricerca dell'Indicibile, di quel quid di assoluto che inaspettatamente si manifesta ed è possibile captare come l'accensione di una scia luminosa in un cielo notturno.

    La Natura, sempre presente da protagonista, mi induce a decifrare i suoi misteriosi segnali e a coglierne il significato segreto. Le diverse sensazioni emanate si compongono in una misteriosa unità, basata su analogie che colgo intuitivamente. Profumi, suoni e odori si compenetrano uno all’altro, trasportandomi verso l’estasi dell’anima e dei sensi.

    Scrittura tesa ad assecondare il meglio possibile i movimenti e le intuizioni congiunte della ragione e delle percezioni, del pensiero e dei sensi. Un unisono percettivo e concettuale che entra ed esce inavvertitamente da livelli diversi di realtà per provare a cucirli insieme. Da qui le composizioni, organismi fluidi e sfuggenti, liberi e insieme interiormente necessitati, che fondono o meglio fluidificano evocazione e racconto, argomentazione e immaginazione, intelligenza analitica e confidenza con i territori del sogno

    Nota dell'Autrice

    Cap 1

    Il vagabondo diventa immagine di sé

    Soggiace alla seduzione della Natura

    La sua finitezza si veste di infinito

    La sua pochezza instilla una goccia di immensità

    Anonimo

    Attesa.

    Sono di nuovo a casa. Questo viaggio è terminato. Il mondo ha dispiegato le sue forme sotto la regia del profondo, dell’intimo, dell’abisso che ci sostiene. E crea la nostra identità. Quelle forme esterne, necessarie, consequenziali si adattano a tutte le interpretazioni possibili, si sono donate come plastiche strutture che possono essere lavorate, deformate, comprese dalla nostra mente che ci offre l’illusione di riuscire a comprendere ciò che è fuori di noi. Amo questo mondo per quello che è, sento la sua espressività raggiungermi e potenziare il mio indagare, avverto soprattutto la sua beffarda e, a volte, ingannevole movenza verso altro di indicibile. Ora sono qui, nella mia casa in Santa Monica, Los Angeles, sull’Ocean Street, il luogo dove vivo. E’ questo il mio spazio fisico, il mio paesaggio contenitore delle mie azioni, delle mie sensazioni, delle mie reazioni. Davanti a me the Pacif Ocean, la mia grande veduta, la mia grande nostalgia. E’ una notte luminosa, in cielo la luna sognante si riflette sulle acquee nerastre, mosse da una carezzevole brezza che proviene dall’orizzonte lontano. E le stelle palpitanti si mostrano interessate per quella presenza e si stringono appassionatamente attorno ad essa per celebrare l’impero del cielo e quello della terra. Questo mare, davanti al quale ora sto camminando, sparge un aroma acerbo che stranamente mi eccita e mi fa sentire inquieta come nell’ansiosa aspettativa di qualcosa che dovrebbe accadere. Non attendo che l’accadimento predisponga le sue ragioni e le sue vaghe manifestazioni ma, mossa da indicibile fermento, mi imbarco in una nave peschereccio che salperà tra pochi minuti. Sento espandermi dentro la voglia di misurarmi con la notte e con il mare per vegliare sulle acquee opache e traslucide, per sentirmi unita al cielo e alla terra. E mentre mi cullo tra pensieri felpati, la nave guadagna il mare aperto. Sono rimasta in piedi sul ponte e il vento mi sferza sempre più forte e mi dà la benvenuta quale compagna di viaggio. Mi sto allontanando dalla solidità della riva, lascio la città alle spalle immersa nelle sue luci morbide. Godo dell’instabilità, delle oscillazioni e mi protendo verso l’oscurità impenetrabile che si estende all’infinito davanti a me. Sono esaltata dal senso dell’ignoto, di questo vagare insicuro, rischioso, imprevedibile che mi ha chiuso tra i suoi paraventi, sono avvolta da un serpente in uno stato di dormiveglia. Si sono alterati i confini delle cose, il mio corpo d’un tratto ha preso ad espandersi fondendosi con il mare, mi sento fluida, il mio spirito svapora con intensità sorprendente. L’acqua uno dei quattro elementi che, in rivoli, mi purifica riportandomi a quel senso di verginità primordiale che spesso invochiamo come forma di riscatto dal mondo. Mi sembra di vivere momenti di giocosità, di rinascita, di candore estatico. La necessità, il dovere, l’obbligo si sono eclissati dietro e sotto quest’acqua rumoreggiante, sono decantati nelle oscurità abissali, riassorbiti dal dio degli inferi. Il mondo con le sue dinamiche, le sue imposture, le sue contraddizioni è crollato in un mucchio di polvere che un vento furioso avrebbe sparso nello spazio infinito garantendo che nessuna particella avrebbe avuto la possibilità di aggregarsi con le altre. Ogni possibilità di riformazione sarebbe risultata vana. Uno stato d’animo cullante e silenziosamente estasiato mi invade mentre mi soffermo a guardare il vagabondare e l’operare dei corpi robusti e lucidi delle onde che si rincorrono, si incontrano, scrosciano, si dividono allontanandosi in una direzione inattesa e, improvvisamente, splendono spumeggiando. E intanto la nave scivola giù lungo una ripida montagna di onde, sobbalza violentemente ed io con essa. L’instabilità, la violenza, l’urto procurano uno stato di vertigine come quando si è sull’orlo di un abisso la cui profondità diventa l’unica meta che sentiamo di voler raggiungere. Già molti nodi sono stati percorsi e avverto questa transumanza, questa insolita precarietà, questa forza spirituale che rafforza il legame con la natura. La luna in alto segna l’imperturbabilità dell’Universo, la sua luce nitida, fredda, comunica l’implacabilità degli eventi. E il mare è lacerato, sconvolto, sembra cullare un fremito scomposto e messianico perché si innalza in lingue giganti, fiammeggianti che si protendono, ricurve, nello spazio libero per poi ricadere per farsi riassorbire da giganteschi abissi di schiuma da cui emergono conformazioni frastagliate che, come in un gioco sconvenevole, si lanciano con la forza di braccia spaventose in tutte le direzioni spargendo masse di bollicine come fossero petali di fiori sbocciati all’istante dal rigoglioso giardino del profondo mare. Da lontano una linea bianca taglia il mare, si prolunga dalla costa e si perde nelle onde giganti del mare aperto. Il mare non è libero, ha una spada affossata sul suo torace, un paravento freddo che divide, uno specchio che riflette un raggio potenziato dall’illusione ottica. Il mare ha una ferita o gioca con un drappello fuorviante per la ricerca di uno stato insolito, inusitato, scostante. Anche il mare ha le sue nostalgie, le sue fiere ricercatezze, le sue dispettose parvenze. La lontananza stabilisce un rapporto incerto tra soggetto e oggetto, e in questo caso è l’oggetto a presentarsi sotto mutevoli sembianze giocando d’inganno e lasciando il soggetto nella pura ricognizione allitterata. Mi avvicino a quella dilaniante struttura che ora appare sempre più nitida, più precisa, ricavata da un profilo lineare, fermo. E’ il molo, contrastante di acquee esagitate, che domina la baia protetta, solitaria che attende il navigante, l’avventuriero che qui approda perché grande è la nostalgia per il luogo sicuro. Ma ciò che più esalta il mio sguardo è il maestoso faro che si erge con suprema imponenza come emergendo dalle acquee scagliandosi contro quel cielo che lo esalta con la sua tenebrosa ombra. Questo faro è un segno emblematico, una presenza conturbante, una forza irriducibile che si autoalimenta in un ciclo che sembra perpetuo. Non posso immaginare che questo faro un giorno, domani, tra un anno, dieci anni, potrebbe spegnersi, non più inondare con quel velo di luce la superficie sonora, diventare taciturno in un processo di annullamento del richiamo e della presenza. Il faro non è solo, il suo esistere è dono ed è il guardiano che al faro rivolge la sua attenzione, la sua cura, la sua opera. Il guardiano vive per il faro, trova riparo nelle sue viscere, nel suo cuore pulsante del quale controlla il ritmo e l’intensità. Ama il guardiano la solitudine, una solitudine instillata di improvvisi sussulti, di inaspettati sobbalzi, di brusche tempeste che portano il segno del vacillare sconnesso della vita e della morte. Non si annoia il guardiano a rimanere chiuso per mesi in quello spazio così angusto a lucidare il fanale, a rimuovere aloni turbativi, a vedere sempre le stesse monotone onde frangersi con ripetitività, ad ascoltare lo stormire furioso della tempesta che, funesta, scuote il faro che sembra incrinare la sua solidità sbriciolandosi per scomparire riassorbito dalle onde rapaci. Il guardiano vive di quella luce, di quel bagliore che si accende all’improvviso, brillante, scuote il suo spirito e si annulla, ma solo per un attimo e poi si rigenera. E’ come il battito del cuore, si autogenera, si propaga e si annulla per un nuovo ciclo, una nuova onda di propagazione. L’azione ritmica genera impulsi vibranti, immette quanti di energia, rende propulsiva la mente che ritrova in queste accensioni ricordi che ripopolano le mie visioni al richiamo della memoria. Lentamente la nave si avvicina al molo e viene ancorata. L’attracco. Abbandono la nave e mi incammino lungo la spiaggia sotto la luce fioca della luna. La sabbia si scompone per la mia orma quale impronta che segna il mio passaggio. E’ importante lasciare una traccia, un segno che testimoni il nostro passaggio, un’incisione che sortisca un effetto, una penetrazione che depositi un dono consacrato al ricordo.

    Cammino senza pensieri, avvolta dall’oscurità e dal rumoreggiare dolce dell’onda. Serenità, dolcezza, rifugio. Mi siedo sulla sabbia in una calcolata posizione che garantisca al frangente di lambire i miei piedi affinché quella sensazione di contatto profonda un incanto sognato. Ecco l’avverarsi di un sogno, le sirene intonano quel canto armonioso tale da sconvolgere i sensi e, così sedotta, mi lascio trascinare in quel mondo che, definito di sogno, è in realtà il nostro mondo, quel mondo che andiamo vagheggiando e che risponde alle nostre connaturate aspirazioni. Il canto, un intreccio di musica e linguaggio, una loro fusione là dove le due forme perdono la loro identità per assumere consistenza, espressività oltre i limiti della capacità di interpretazione umana. Il canto invade il mondo metafisico e lo inonda di profondo valore simbolico. E’ la conoscenza che non può essere colta per via razionale se non intuita per lampi la cui luce guizzante svela l’essenza che immediatamente si dissolve per non lasciare traccia di sé, per non permettere all’intelligenza di coglierla, di analizzarla, di frammentarla. Non si lascia imbrigliare dalle attività mentali ma solo intravedere. E’ sconcertante come si rimane di fronte a tale essenza sfumata, a tale intuizione illuminante perché conferisce allo spirito grande sicurezza nel momento stesso in cui è colta. E’ l’enigma che mi affascina, che mi mantiene in perenne allerta, vigile sentinella del suo riapparire dalle antenne pronte ad accoglierne il significato più riposto.

    E’ una sfida che mi provoca e mi attanaglia tra furori e smarrimenti. Questo canto vissuto come richiamo è un’attrazione, un inganno o un’illusione? E’ un'armonia annidata dentro di me e da me trae origine o è localizzata al di fuori o al di sopra di me e come tale incombe con la sua presenza? Non è ingannevole, non può mentire perché la sua musicalità supera il linguaggio corrotto ed abbraccia l’universalità della conoscenza. Il tepore soffuso della pace, il silenzio cosmico, la straordinaria sensazione di essere sola al mondo e di poter disporre di esso per manifestare, proiettare all’esterno l’interiorità, la spumeggiante ed inebriante forza interiore, la possibilità di richiamare l’arcano, l’ineluttabile e lasciarmi prendere dalle loro tentacolari manifestazioni per sentire sensazioni nuove capaci di donare la sospirata potenza di comprendere il tutto, di assumere l’intero, l’unità, di intromettermi nel regolare ed equilibrato manifestarsi delle forze naturali.

    Mi abbandono per questo al mare limpido che aritmicamente mi corteggia e mi coinvolge in una atmosfera di guizzante complicità, un richiamo al contatto, mi vuole avvolgere, vuole comporre una sinfonia nello scivolare, con umettata delicatezza, sulla mia vellutata corteccia che, ora senza veli e costrizioni, si libera in un abbraccio di amanti desiderosi e turbati. L’unione è lenta, meditata, il mio corpo vibra a contatto con l’argentea acqua che ora carezzevole mi assorbe, mi trasporta con sé, mi copre con un’onda delicata e sferzante, mi impone l’abbandono, il vagabondare sereno e lento, mi supplica per un ascolto attento affinché i suoi sussurri siano percepiti come manifestazione del gioco che la natura ha scelto per non annoiarsi. Ed io, manifestazione naturale, non posso sottrarmi da questo disegno che mi conduce a sentire la voce del cosmo, il senso magico della vita, l’immediatezza del prorompente fascino dell’ignoto. Lentamente l’oscurità vanifica le ombre riassorbita da una luce rosea, incerta che permea quel luogo che sprigiona una calma ascensione. E quelle onde che l’oceano lentamente spinge verso di me, sembrano pronte a sollevarmi in un mo- vimento planare su quella morbida superficie. E’ un infinito che procede calmo di tranquilla certezza. Io sono questo mare, o questo mare è me, tutto si confonde o tutto si fonde in un’unità indicibile? Non avverto alcun desiderio, alcuna inquietudine, nessun ricordo affiora a turbarmi o a rallegrarmi. Sono in uno stato di incoscienza, in un barlume di divinità o in un bagliore di svelamento? Sento con profonda convinzione di poter dire: Io sono. L’acqua sigilla un incanto di colori perché la luce è violenta, arrogante, eterna, ferisce gli occhi e riempie il cuore. Il cielo è azzurro punteggiato di leggere nuvole che morbidamente scivolano e turbano l’atmosfera cristallizzata dove anche un pellicano se ne sta immobile su un pilone da ormeggio.

    Se sono amico al mare e più amico che mai quando esso furibondo mi contraddice: lo sconfinato mugghia intorno a me, lontano risplendono spazio e tempo, avanti! Nietzsche

    E’ L’AURORA

    Luce offuscata che diffondi timida nell’aria pesante della notte

    lascia che il mio sguardo scivoli con te

    nell’inondare le acquee pastose di questo mare

    che rispecchia il mondo e l’eternità.

    L’onda si alza sinuosa

    è l’agire che disperde le sue scontrose ribellioni

    e poi si disperde e tutto si annulla.

    Il mondo è fluido.

    Cap 2

    Questa notte è stata un muro compatto di materia miracolosa. Ho mai incontrato una notte così sfrontata e sterminata? Potrei gridare. Vorrei. Sarebbe un grido di chi si sente naufrago e annegato poiché non scorge differenza tra questa notte e il mare pastoso di pece. Sono sorelle le due immensità capaci di stroncare le forze e il fiato, di triturare la volontà e di risputarla in una scia di cenere. Il mio spirito, una roccia compatta e sensibile alle sollecitazioni, dalla composizione eterogenea, diversi tipi di cristalli, tutti con la propria definita struttura e proprietà, si compenetrano con assoluta perfezione. Questa compostezza d’improvviso si dissolve e subentra la vibrazione, la prepotente vibrazione che sconvolge l’ordine e l’armonia. E’ il caos? No, è la variante, è il cambio di registro. E’ innovazione. Alla compostezza si sostituisce la frammentazione, si aprono varchi, corridoi, strettoie, interstizi, infiltrazioni pronti ad accogliere il fluido dell’esperienza, fluido caldo e pastoso che impietoso scorre, riempie e abbandona per procedere oltre. Non fa soste, non ha ripensamenti, non retrocede, non esita ma insegue una cifra. Il divenire lo rapprende, lo solidifica, lo cristallizza. E’ l’ordine che riprende forma ma solo per un istante, non vuol farsi catturare, è intrepido, audace e scompare oltre la cortina.

    Continuo a camminare su Palisades Beach, la luce del giorno vivifica il paesaggio rendendo nitidi i contorni delle Santa Monica Mountains che si innalzano quali protettrici della baia. La luce sorprende per la sua sfolgorante nitidezza per la sua scorrevolezza, per la mantenuta intensità dopo aver investito i corpi dalla superficie scabra e appagante. Il mio sguardo si dilata e si restringe perché l’uniformità di quella visione ha il potere di accartocciare lo spazio e di distenderlo a seconda dell’acutezza del pensiero. Il tempo è un cristallo sospeso su questa sabbia mobile, impenetrabile alla luce ma dotato di un proprio sfolgorio che rimane immutato.

    C’è ancora tempo per il domani o è il domani ad attendere il sopraggiungere del tempo? Anche in questo imperturbabile paesaggio la mutevolezza si impone come regola, come richiamo alla trasformazione che rimane unica verità consacrata all’altare del mondo. Rimango ora immobile davanti a uno schermo bianco che non si impressiona perché rimanda il mio sguardo all’indefinito immaginario. Mi ridesto da questo momento di sospensione perché un vento improvviso sorprende per la sua vorticosa direzione che crea una sonorità ora dolce ora sincopata avvolgendomi.

    Voce che ancora risuoni sbocciante sulla superficie spumeggiante di questo immenso oceano

    innalza la tua disperata emozione oltre i confini misurati del mondo

    per ascendere alle lontananze più remote illuminate dall’idillio sfolgorante del mistero.

    Oh voce spargi sulle terre arse e limacciose scintille

    che accendino la misera sostanza di rintocchi sonori.

    E quando il rumore sovrasta la tua stessa natura

    e si fa stridente ossessivo oppressivo

    sospendi per un attimo la tua melodiosa e vibrante sonorità

    e riposati là dove la cascata rimbalza con energica espansività.

    E quando la notte stringe la taciturna terra allora strappa una stella

    e riportala qui in questa dimora pronta ad accoglierla

    perché possa con la sua luce esaltare la bellezza di due occhi spruzzati di magia.

    Il mio sguardo sorvola la superficie spugnosa dell’oceano, si adagia tranquillo sulla cresta dell’onda e si abbandona alla sua ritmica ondulazione. E quando si approfonda nella piatta forma si addentra nelle profondità più remote per cogliere gli incanti più riposti. Mi soffermo a vagare in questi fondali impervi e complicati da cui emergono figure diafane che si approssimano ad un’emergenza rocciosa sulla quale si adagiano dolcemente conformando il loro corpo all’andamento della superficie. Lo stato di abbandono rappresenta un momento essenziale, è l’atto di cogliere il significato della vita, è la piena coscienza di sé, è il sentirsi vivere. E’ un attimo che dura a lungo. Quanto? Il tempo è stato cancellato, il tempo come evento, come susseguirsi di pensieri, di esperienze. Esiste il prima e il dopo. Ma ora il tempo è stato eluso. Penetro in queste immagini che percepisco come figure, come corpi reali, mi fondo con esse, con le loro sensazioni, con il loro stato estatico. Ma improvvisamente tutto diventa torbido, una corrente si abbatte su quei corpi e li deforma, li assottiglia, li degenera. Avverto un turbamento, un rancore. Seguo questo evento con acuta partecipazione. Tutto si confonde, tutto si unifica in una macchia di color viola che si trasforma, si scompone, si ingigantisce risucchiando il cumulo di vibrazioni che proprio lì si erano generate. La macchia è mobile e, come per incanto, si infrange contro la roccia in un’esplosione catartica di rosso puro. La mia tensione ha una brusca caduta, un vigoroso sentimento di forza si innalza vittorioso su quella scena fino a raggiungere la superficie dell’oceano sulla quale si adagia smorzando le onde che tacitamente si appiattiscono. Le profondità hanno sempre agito sulle superfici il cui destino è lasciarsi assoggettare, impoverire e riassorbire. Perché cos’è la superficie se non la parte esterna della profondità e come tale deve apparire sua naturale espansione.

    Solo ora sento che la mia energia, è energia fredda, audace, inestinguibile. Avverto le situazioni con sensibilità lucidissima senza esserne turbata, avvinta da una volontà decisa che esplode in un fuoco che mi divora e mi innalza. La superficie è rassicurante, trasmette un vago senso di liberazione, è il supporto naturale della poesia. E da questa superficie io distillo gocce di parole, di suoni, di immagini che si fanno definite e presenti.

    La luce ha intensificato la sua luminosità i cui raggi colpiscono, come frecce balzanti da archi sferzanti, la superficie fluida e quella solida. I colori si intensificano, si addensano, diventano perle deterse da un’aria pungente e sibilante. E’ l’ora del meriggio, la quiete si irraggia dominatrice del paesaggio, lo invade e lo ricopre di un colore brillante e placa la sua irruenza che si disperde. Lentamente lascio l’oceano e la spiaggia, percorro noncurante il sovrappasso dell'Interstate 1 e mi abbandono su una panchina dello scenografico ed esaltante lungomare, un crogiolo di palme e aiuole verdissime e ben curate. I suoni e le voci risuonano sempre più lontani, la pace infonde benessere e i miei pensieri prendono forma e la verità che essi profondono sembra giocare e confondersi con le ombre di fantasmi dell’apparente realtà frantumata e dispersa. E’ la rappresentazione di uno spazio mentale popolato di miti, eroi, demoni, santi, artisti che insieme giocano i fatti della vita sotto il riflettore devastante della magia.

    Il Poeta dall’occhio fulgido e appassionato incontra l’Eroina e si sente rapito da un sogno. Tutto attorno a lui appare rarefatto, inconsistente, solo il volto tenero e sereno della dea mantiene la giusta consistenza e si fa dispensatore di armonia che beatifica. Il Poeta vede attorno a sé una Natura incontaminata, stupefacente, produttiva che risucchia con ebbrezza la sua mente confinandola nel luogo più riparato affinché possa trarre da esso un sapiente indizio di quel mistero che si chiama vita. Appartato e solo contempla non la Natura ma ciò che sta dietro di essa, il suo pensiero non si radica su quell'albero ma penetra in esso e va oltre la materia, la sostanza, senza alcun desiderio di ricerca, alcuna aspirazione. Sono sensazioni che egli coglie, dalle tonalità sonore, dalle striature di colore, dai conturbanti profumi che egli traduce in parole che mai esprimeranno quelle autentiche sensazioni, mai potranno essere ascoltate quali interpreti di quel profondo sentire. La poesia ha puro valore? E’ una trasformazione di sensibilità, e come nelle trasformazioni dell’energia si ha sempre una grande quantità di dispersione, così la poesia è solo una parte di ciò che sente il Poeta. La poesia è per ciò che evoca in noi, è uno spiraglio di luce che illumina una parte del mondo.

    La terra esulta sotto i colpi fulminei del tuono

    che rimbomba entro gli abissi infuocati

    che vibranti si addormentano

    Mostra l’esultanza del tuo spirito

    la benevolenza del tuo sorriso

    la sacralità della della tua parola

    perché possa penetrare nelle più nascoste voragini

    che la natura abbia scorticato

    Nasce in cielo una nuova stella

    Il mondo non cesserà mai di esistere

    E’ e sarà un eterno ritorno

    Ecco si avvicina l’Asceta seguito dai suoi discepoli. E’ avvolto in un mantello azzurro che fa risplendere il suo volto tranquillo, lievemente illuminato da un sorriso. Nella sua andatura si legge pace, perfezione. Nulla egli cerca, a nulla egli aspira. Predica con voce ferma e dolce che si libra sugli ascoltatori limpida e calma. E tutti ne sono invaghiti, sedotti. Tutti vogliono rimanere presso di lui, tutti lo vogliono venerare, adorare. Ecco la parola farsi sostanza, verità, superamento dell’Io, superamento del mondo. Il mondo, un’eterna catena di eventi, causa-effetto è la loro unione. La connessione di tutti gli avvenimenti, l’inclusione di ogni essere nella stessa corrente del divenire e del morire. Ma l’uomo non accetta la naturalezza dell’accadere e, radicato su se stesso, elabora sentimenti che lo portano al dolore e alla distruzione. Superare il mondo, aprire un varco in esso per la liberazione. Il varco, un prodotto confezionato da elargire agli affannati che così non sentiranno più il mondo perché narcotizzati e felici?

    Ecco il pittore che passeggia assorto nella città etrusca che mani pazienti stanno riportando alla luce perché possa rivivere almeno nel ricordo. Cammina lento in questo paesaggio dell’anima dove le parole hanno un suono e un peso diversi. E’ incantato dalla bellezza, gli occhi, i sensi sono aperti per cogliere ogni trasalimento per quel mondo che è capace di comunicargli un’eco pur lontana e forse l’ineffabile di qualcosa di più e altro. E’ affascinato dall’alone misterioso che chiude, in un cerchio perfetto e così difficile a violare, il mondo degli antichi. All’improvviso vede questa città fantasma popolarsi di dotti, pensatori, commercianti, donne. Appaiono tutti in trasparenza, tutti nell’imprendibile essenza dell’ombra. Ma vivi con il volto illuminato dal caldo sole del meriggio di un giorno d’estate. Comprende l’artista che la sua ragione non gli basta, quella visione genera uno scatto che lo fa vibrare e forse credere che tutto ciò non è logicamente spiegabile e cade in uno stato di venerazione dell’irrappresentabile di quella visione. E subito esprime il suo stato febbrile depositando sulla tela vortici di colore di intensa sericità. La sua mano si fa interprete del decantato di quella straordinaria civiltà prelevando, da quel deposito di distillato, gocce che stempera con l’intento di lasciare una traccia di serafico splendore. L’opera è sorprendente, punteggiata di bagliori roteanti, caricata di presentimenti che lasciano trasparire una veggenza modale.

    Odo sull’acciottolato uno strepitio fulmineo, un passo incalzante, ritmico.

    E’ il Cavaliere errante sul suo nero destriero. Irrompe con slancio sulla piazza, è energico, sicuro. Ha conquistato il potere. E’ serenamente appagato. Si porta al centro della piazza affinché la sua bellezza, la sua luminosità possa espandersi e sfiorare i volti degli spettatori, le pareti architettoniche in un dominio sensuale. Da un angolo appartato della piazza si innalza leggera una musica, dapprima dolce, tonale, misurata, poi gli slanci impressi dagli archi definiscono l’innalzarsi verso vette di tensione spasmodica e il precipitare dentro baratri d’angoscia, conferiscono un vigore e un furore di estenuante intensità che ben si accorda con la figura estatica dell’eroe. Le note volteggiano serafiche raccogliendosi a gruppi sulla vasca della fontana che si erge quale emblema di questo spazio misterioso. Si immergono nell’acqua come stelle luccicanti sobbalzando e si lasciano trasportare dagli zampilli definendo una nuova armonia. L’eroe scende dal suo destriero, si approssima alla fontana,

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