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In Nepal: Entropia di sorprendenti atmosfere
In Nepal: Entropia di sorprendenti atmosfere
In Nepal: Entropia di sorprendenti atmosfere
E-book367 pagine5 ore

In Nepal: Entropia di sorprendenti atmosfere

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Info su questo ebook

Voglio condividere con te, Lettore, la mia esilarante esperienza vissuta, arricchita dalla sapiente conoscenza di un antropologo, di un poeta, di un alpinista e altri professionisti che mi hanno accompagnato, con dilavamento e immersione, in questo stupefacente paese, il Nepal.
Ho colto la sorprendente atmosfera emanata dai simulacri di un storia viva dell'esuberante città di Kathmandu con il suo fascino fiabesco e decadente, della città di Patan, gioiello architettonico, di Bhaktapur, città vibrante e preziosa che ha ammaliato il regista Leonardo Bertolucci da diventare ambientazione del suo film Piccolo Buddha. Ho perlustrato un complesso rosario di villaggi sparsi lungo i versanti dell'Himalaya e nelle valli interne, mi sono lasciata affascinare dalla condivisione delle attività delle giornate trascorse come ospite presso famiglie amichevoli, da incontri, in grotte isolate ad altezze vertiginose, di monaci eremiti che mi hanno regalato lezioni di saggezza. Ho conosciuto, penetrato, mi sono lasciata rapire e tramortire da emozioni contrastanti, l'esuberante dominio di esaltanti forme di templi, stupa, pagode con le loro pietre, legni intagliati, colori, ori, una profonda malinconia per un tetro sentore di disfacimento, una caduta del senso di potenza e un abbandono alla solitudine. Sono sprofondata nella sua cultura che emana un fascino torbido, frastornante, incontri di persone con i loro suggestivi segreti non sempre svelati, persone accoglienti, laboriose, serene, trasfuse di esplicita e praticata religiosità. Atti, colori, profumi, azioni di menti in venerazione rapite da dei e idoli in un mosaico di templi dove il mistico e il divino si specchia nel mare di sangue degli animali sacrificati. Ho partecipato ai rituali della cremazione lungo il fiume Bagmati, ho partecipato alla venerazione della Dea Kalì con sacrificio di animali, ho incontrato nella sua residenza la Dea Kumari, l'unica dea vivente nel mondo, la vergine bambina, mi sono unita a pellegrini diretti al Monte Kailash. Ho percorso sentieri impervi sulle pendici scoscese verso vette sublimi dell'Himalaya, ammaliata davanti alle bianche cime dell'Everest, sono andata alla ricerca del raro leopardo delle nevi e dell'ombra fuggiasca dello yeti, invasa da piogge di suoni, luci, ombre, lampi e buio dove fiumi, laghi, boschi, rocce mi hanno accolto nel loro primitivo, selvaggio, inconsapevole mistero. Ho sopportato abbagli improvvisi di vedute sorprendenti che mi hanno segnato in modo indelebile la mente di un tamburo di sensazioni ed emozioni. Il Nepal è emotivamente oneroso e spiritualmente intenso.

 
LinguaItaliano
Data di uscita15 dic 2022
ISBN9791222035291
In Nepal: Entropia di sorprendenti atmosfere

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    Anteprima del libro

    In Nepal - Valeriana Pretto

    Dilavante spiritualità

    RINGRAZIO tutti coloro che mi hanno accompagnato ed aiutato a conoscere, penetrare nel variopinto mondo nepalese, nella molteplicità delle etnie, nella maestosità della Natura e nei suoi suggestivi segreti non sempre svelati. In particolare ringrazio l'Antropologo e Poeta Deepak, il Naturalista Ram, l'Etnologo Chimba, l'Alpinista Sherpa, la comparsa Idra nel film Piccolo Budda di Bernardo Bertolucci.

    E da quel giorno, da quel fuoco, con quella gente,

    Siddharta apprese cos'era la sofferenza e

    scoprì la compassione.

    Loro erano lui e lui era loro. Lama Norbu

    INDICE

    1 INTRODUZIONE

    2 DILAVANTE SPIRITUALITA

    3 RESPIRO A KATHMANDU

    4 RITO SACRIFICALE

    5 SULLE COLLINE DI KIRTIPUR

    6 ARTE TIBETANA THANGKA

    7 ESPANDERSI NELL'ALTROVE

    8 KATHMANDU E LA NOTTE

    9 VIBRANTE KATHMANDU

    10 RICERCA E CONQUISTA DI SPAZIO

    11 SENTIERI

    12 FESTIVAL DI DASHAIN

    13 PERDERSI NELL'HIMALAYA

    14 NEL LUOGO DEI GRANDI ALPINISTI

    15 FASCINAZIONE DELLA FORESTA

    16 CELEBRAZIONE DEL SOLE CHHATH

    17 INCANTO DELL'EVEREST

    18 CERIMONIA DELLA CREMAZIONE

    19 LA DEA KUMARI DIVINITA' VIVENTE

    20 PURO BUDDISMO TIBETANO

    21 BHAKTAPUR DI B. BERTOLUCCI

    22 PERLUSTRARE IL DISTRETTO DI ILAM

    23 INCONTRO CON LO SCIAMANO

    PREFAZIONE

    Ho respirato il Nepal trasfuso dalla sua magia imbevuto da un religiosità potente e tradizioni che sconfinano e oltrepassano il rigore logico razionale avvolte da un misticismo cruento e spesso lugubre. Ho percorso vie e sentieri, ho incontrato persone accoglienti, serene, trasfuse di sorridente magia, mi sono lasciata incantare dalle bianche cime dell'Himalaya per ascendere verso il cielo lungo i pendii vertiginosi dell'Everest, mi sono abbandonata all'armonia delle cerimonie religiose dentro a tempi carichi di santità. Ho respirato odori e profumi inconsueti che mi hanno stordito, mi sono lasciata tentare dai sapori deliziosi del cibo, ho sopportato abbagli improvvisi di vedute sorprendenti che mi hanno segnato in modo indelebile la mente di un turbinio acceso di sensazioni ed emozioni.

    Il Nepal è emotivamente oneroso e spiritualmente intenso.

    SENSAZIONI

    Selvagge ali battenti nell’aria sorvolano terre sconfinate e acquee agitate per approdare in quel luogo da esse stesse segnato e qui abbandonarsi a quel richiamo che la Natura ha esaltato perché non possa mai né disperdersi né attenuarsi.

    Pausa.

    Solenni voci si innalzano dall’interno del tempio, sono voci che manifestano un’esaltata benevolenza, una conquistata riconoscenza che aleggia tra il profumo intenso dell’incenso che consacra l’atmosfera alla spiritualità immanente.

    Perché l’attesa? Perché il cammino?

    La mia ricerca antropologica mi spinge a cogliere segni di lontane presenze nelle pietre e nel paesaggio naturale. Il paesaggio è un disvelamento anche quando appare uniforme e monotono come il vasto paesaggio sahariano, si cerca il significato di quel dettaglio, le sue relazioni con il tutto, il grado di induzione che determina sul richiamo di emozioni archiviate nella memoria. Anche nel silenzio si impara a distinguere sonorità diverse, fra cui il sibilo del vento nelle diverse ore del giorno e della notte. E il viaggio si trasforma ora dopo ora in un percorso iniziatico favorendo la percezione di ciò che prima era impercettibile.

    Il Nepal mi appare fluido e circolare, disposto attorno ad un unico centro sul quale trovo posto per assistere a tutto lo spettacolo, un gioco di specchi, di raggi che attraversandolo provocano infinite rifrazioni e diffrazioni che promuovono l'irresistibile volontà dell'incontro con un altro popolo e le sue tradizioni e ritualità. I miei occhi sono pronti ad aprirsi su questo mondo meraviglioso delle analogie e contrapposizioni che indurranno lo sguardo a distendersi non a contrarsi.

    E qual'è il tempo migliore del tempo? L'attimo, ora. Colgo l'attimo.

    Il Nepal diventa la proiezione del mio sentire, una porzione di Terra ribollente dell'intrecciarsi di intense forze, interne ed esterne, generate dalla litosfera, poter fare esperienza di questo fenomeno geologico, l'Himalaya mi attende per stordirmi.

    E' qui che avviene il ciclo delle rinascite, è qui che si assiste alla cremazione lungo il fiume Bagmati, fratello minore del Gange. Il senso del sacro non si vede, si respira, gli abitanti vivono una fede festosa.

    E ancora questo paese mi riporta in un'era arcaica dove ancora gli dei sono i detentori indiscussi del destino dell'uomo che li asserve con espanse rituali sacrificali. La religiosità esce dai confini dei luoghi sacri e si espande nelle strade e vie. Da un punto di vista etnico-antropologico alcune tradizioni stanno perdendo il loro autentico valore e questo è un depauperamento di questa cultura. L'antico e il nuovo si compenetrano assurgendo a una manifestazione surreale, complessivamente alienante nella sua spinta progressista di modernità ad ogni costo da quando il paese ha aperto le frontiere al mondo nel 1951 e il Royal Hotel ( un ex-Rana Palace) era diventato il centro dell'internazionalità ammaliando col suo charme e magnificenza. Il global system colpisce sempre e ovunque! Mi sono documentata, mi sono messa in contatto con studiosi e operatori del luogo per pianificare al meglio la possibilità di venire a contatto con quegli aspetti sotterranei, con quei segreti che non sono di facile presa per chi, come me, è strutturato su un palinsesto di post modernismo ancorato al più florido accaparramento di tutti i beni possibili. Mi interessa analizzare la vita nel suo fieri, nell'atto stesso di darsi nell'immediatezza di uno sguardo, di un sorriso, nella sua manifestazione spontanea declinata negli atti quotidiani di un sorprendente numero di etnie dai tratti somatici con peculiarità distinte, dalle differenze linguistiche accomunate dalla lingua ufficiale, da due religioni, l'induismo e buddismo, che tendono ad amalgamarsi.

    DILAVANTE SPIRITUALITA'

    Stiamo risalendo una valle deserta. Sul versante le distese di neve non risplendono in una dimensione propria oltre i rilievi pedemontani coperti di boschi scuri, ma piombano in nudi speroni nell'abisso dove la neve sciolta si unisce al fiume. Quando le nuvole coprono il sole l'aria si raffredda, il decrescere dell'intensità di luce abbatte l'entusiasmo che si rintana lasciando che la nostalgia diffonda riportando lo sguardo a chiudersi nella tana del ricordo. La difficoltà respiratoria impone i suoi ritmi e l'esultanza si affloscia sostenuta dalla bellezza selvaggia della regione. Le cime innevate si riuniscono da entrambe le parti lungo il nostro passaggio e poi scivolano di lato rivelando montagne ancora più alte. La valle si va restringendo intorno a noi, un manto avvolgente del bosco dal quale provengono lamentosi pigolii e quindi silenzio. Arriviamo a un piccolo villaggio, la povertà è impressa in tutti i villaggi, desolazione, sporcizia, donne affaccendate a portare i panni al fiume per il bucato, uomini dalle facce imbronciate, incorniciate da piramidali turbanti che lasciano trasparire una governata regalità. Hanno reso coltivabile il suolo asportando massi e ciottoli e dopo averli ammassati di lato guardano orgogliosi i loro campi verdeggianti di orzo e di miglio. La via serpeggia tra boscaglia sempre più rada, il sentiero, un arido pietrisco, fischi e urla provenienti dal basso, forse caprai che richiamano il proprio gregge. L'orizzonte davanti a me è ipnotico, e Ram annuncia

    Ci stiamo avvicinando al Tibet.

    L'aspettativa viaggia su onde corte. Il presagio che sempre le frontiere infondono è il cambiamento che portano con sé, una variante che definisce un nuovo prodotto, un nuovo sistema. Una rivelazione quasi sussurrata, amplificata in quest'aria rarefatta dall'aura ultraterrena che ancora si irradia dal Tibet.

    Il paese è stato sbrecciato, dissanguato, polverizzato, anche l'anima si è involata, tabula rasa senza più segnali o segni impressi nelle pietre millenarie, il mito è stato dissolto. Tuttavia da questo passo in cui ora ci troviamo si percepisce ancora il bagliore residuo di una terra che ha respirato per millenni un'aria unica. Rilevo la luce che qui ora sta giungendo dal quel bing bang che, invece di dare origine allo spazio e al tempo, ha rappresentato un'implosione della spiritualità e del sapere mistico sedimentatosi nei secoli.

    La sensazione di entrare in una terra sacra non è solo una prerogativa dei viaggiatori, ma ha ossessionato gli stessi tibetani. Per secoli, anche loro hanno immaginato una terra sacra, leggendaria, invisibile o lontana e irraggiungibile. L'ubicazione di questo regno di Shambhala, luogo di pace o luogo del silenzio , è incerta, ma si dice che si trovi da qualche parte non lontano da queste montagne, cinta da vette innevate invalicabili. Ancora il mito persiste nelle menti di pellegrini che si avventurano tra sentieri impervi ma la via è così sfuggente che i pellegrini si ritrovano a vagare senza speranza. Qualcuno sostiene che Shambhala sia localizzata in un'altra dimensione come al di là di un cunicolo spazio-tempo.

    Una visione rispettosa della relatività di Einstein, ho subito pensato, un connubio di religiosità secolare con la fisica moderna, lo spazio è relativo, il tempo pure, di certo ogni attimo vissuto qui è da me sentito come puramente relativo. La forza del mito ha imbevuto queste vallate, il misticismo è decantato su queste vallate per secoli e secoli ed ora una lieve sua intensità permane e diffonde e cosparge le menti degli occidentali di un sogno non ancora svanito. I sogni sono sempre positivi, aprono vie fino allora imperscrutabili, nuovi mondi, nuove idee. Il mondo va in frantumi, il mondo si ricompone. Mi sto arrampicando su un voluminoso monolite, l'aria è ferma, estraniante. Gli ultimi canti degli uccelli si sono smorzati. Solo un fringuello poco lontano da me si alza in volo, osservo le sue ali vibrare, definire un movimentato contrasto tra il nero della parte superiore del corpo e il bianco dell'inferiore, mentre farfalle nere si abbassano, cercano nutrimento sulla polvere. Sono attorniata, qua e là, da ginestre avvizzite che tappezzano i pendii riparati. Sto camminando su un tappetto di fiori delicati a me sconosciuti e riparata da una parete di arbusti che rasentano il suolo costellati di fiori giallo limone. Comprendo perché i primi botanici avessero sviluppato un'ossessione per queste improvvise eruzioni splendenti nel nulla e che diventavano attrattive forme di ricerca in luoghi impervi e pericolosi. Si poteva rischiare per l'incontro fortuito del papavero azzurro e per la primula stravagante. Lo sguardo assuefatto a quadri aridi, spogli improvvisamente aderisce a un velo floreale dall'aria fragile. Anemoni bianchi irrompono tra la sterpaglia e nidi di boccioli di un rosa intenso si chiudono. Sono davanti al monolite, lo sfioro con la mano. Antico, solitario, sovrasta la valle con la sua mole. La sua superficie si fa messaggera di un inno, di un pensiero esaltante lasciato da qualcuno nella solitudine del luogo. Segni incisi sulla roccia per consacrare la Natura selvaggia. Sopra di me un cielo confinato, compresso, più in là un cielo ben tirato fra la cresta di una parete rocciosa e quella adiacente, è basso, concentrato, una cosa strana. Mi sento scaraventata in una dimensione inusuale, antica e primigenia, dovuta alla presenza di queste gigantesche pareti e delle rocce dall'aspetto millenario che assurgono a ruolo di guardia dell'angusta valle come incorruttibili sentinelle. Percepisco l'arretrare del mondo odierno, il suo scivolare su questa valle, quasi che le enormi muraglie naturali agissero da efficace protezione contro di esso. Fra gli elementi basilari del cosmo quelli che mantengono una propria chiara identità, l'aria, l'acqua, il sole, ne percepisco un altro, mi sento assalire da una benefica sensazione di freschezze dimenticate, una di quelle sensazioni rarissime, legate alla certezza di trovarsi proprio nel luogo dove uno vorrebbe essere, dove desidera essere, dove ha bisogno di essere. Fertilità sublime. Il pensiero rompe a un tratto un cerchio di ferro dentro il quale era stretto, con una determinazione generata dalla follia, da un lucido delirio che è simile all'estasi, che è come una più profonda visione della Natura. Guardo le accecanti ondate di luce, il cielo e giù verso le colline di rame a pieghe, che ipotizzo essere calanchi, una serie di crinali primitivi che si sollevano disegnando varie forme. Questo luogo è troppo vasto, non è reale, la simmetria dei solchi e delle sporgenze mi impressiona, le costanti geometriche mi hanno sempre esaltato, vorrei operare qualche misura ma non ho lo strumento adatto, ma quale strumento può essere idoneo per questa bellezza straziante, chiusa, circoscritta in tutta la sua indifferenza. Anche se fossi rimasta lì per un tempo profondo non sarei pervenuta a nessun risultato. A questa altezza il paesaggio è chiaroveggente, questo è quanto ho elaborato in questo tempo, il mio compito è anche quello di appropriarmi del luogo che il paesaggio dipana e disvela, conosce il futuro tanto quanto il passato. Ora mi fa sentire rinchiusa, circondata, incalzata. Uno sterile tuono sembra aleggiare sulle montagne lontane, lampi di un temporale che si infrangono verso di me. Il tuono forse, un lieve rombo evocativo che risuona nel corso degli anni. Lo sguardo spazia su una terra di stranezza planetaria. Qui e là nella desolazione sorge un monastero, e greggi nomadi brucano il nulla sotto le montagne lontane. E intanto arriviamo a un passo a 4000 metri e l'orizzonte è punteggiato di cumuli di pietre e di bandiere. Qui una marea umana si eleva, molti pellegrini sostano, chiusi nei loro mantelli, assorti in meditazione, forse in preghiera o in qualche loro preoccupante e angoscioso problema. Da questa visione, un raduno silenzioso, diffonde un senso di vuoto e di sospensione di ogni certezza, sospensione dell'atteggiamento naturale nei confronti delle cose che permette di elevarsi alla visione delle essenze. Ram ne tratteggia il profilo

    Questo è un popolo operoso, disincantato di fronte alla realtà, la realtà come propulsore di fatti, di accadimenti, di libere manifestazioni, di azioni egoistiche o ottimistiche, liberatorie o oppressive, gente dedita all'azione, al pragmatismo più reale, più penetrante. Persone che, immerse nel proprio mondo, nella propria quotidianità, assorbite dai propri problemi e catalizzate dalle proprie speranze, all'improvviso, come infettate da un virus che si manifesti in forma endemica, lasciano le abituali occupazioni e, come in un coro che accompagni la voce solista, si mettono in cammino verso la meta che sentono come appagante del loro destino.

    Verso quale meta sono diretti?

    La meta certamente è il Kailash, il monte. Ho accompagnato un esercito di persone che hanno rinunciato alla vita mondana. Centinaia, migliaia di persone che camminano, corrono, saltellano, strascicano, zoppicano lungo sentieri che conducono verso il destino, il destino di ognuno. Si dirigono là dove una luce li chiama, e come la stella polare che, fissa, illumina quel tenebroso cielo notturno verso il quale il navigante, ormai stremato, rivolge lo sguardo per staccare da esso un bagliore che ancora rimane per una speranza che lievita la vita. Tutti si affannano, chi portandosi appresso cibo, bevande, indumenti e suppellettili, chi invece spoglio e libero perché solo lo spirito può appagare l'ansia della risposta al richiamo. C'è solitudine in questo procedere, c'è ripiegamento in se stessi, c'è ricerca della propria anima, c'è volontà di appagare il bisogno di realizzare se stessi per dare un senso alla propria vita, per creare le direttrici che si proiettano tutte su un punto ben qualificato, il proprio destino. Tutti arrivano ai piedi del Kailash, non lo si può e non lo si deve scalare.

    Uno scenario biblico.

    E' un addensarsi progressivo del grande spirito umano fino a diventare coagulo nel quale indistinto rimane il singolo contributo di ognuno, forte ed esplosivo è il magma originatosi per lenta e successiva sommatoria di goccia spirituale nel vaso comune che, come per magica invocazione, diventa il vaso di Pandora, generatore di sortilegi e magici eventi.

    Tutti con gli occhi fissi sul Kailash in attesa, di quell'attesa che genera visioni, immagini, parole che plasmano e scolpiscono un volto, una presenza universale, assoluta, un dio, un demone, uno spirito, un profeta che stupisce, rassicura, affascina, ammalia e stordisce. Un silenzio acuto, pesante, si è addensato, un'onda di desiderio, di ricerca di quella voce che esprime parole che, come perle, rappresentino un valore, un tesoro, una promessa di salvezza.

    Osservo quei volti, pervasi da un emozione fuorviante, sussurrata, disinvolta, si caricano di un arcano senso di mistero, si innalzano oltre il significato rappresentativo di quest'evento quasi volessero in questo sforzo superare gli umani vincoli che sentono con la realtà per abbracciare le più remote lontananze che si stagliano oltre il loro sguardo che, perduto nel vuoto, riaffiora rinnovato di carica vitale. Questa attesa si trasforma in un'immobilità assurda che pietrifica l'iniziale esuberanza, quei corpi sembrano sostare in un terreno di lotta e di resa, di caparbietà e di abbandono. Sono passate molte ore, il sole, scomparso dietro al Kailash, emana una luce tenue, sfibrata che dolcemente lava quei volti che appaiono ora trasfigurati, sembrano tante statue di eroi portate qui a testimoniare le loro leggendarie gesta, i loro eroici e palpitanti tumulti.

    Il monte Kailash è sacro per i buddisti?

    E' venerato sia dai buddisti che induisti.

    Questi pellegrini vengono chissà da dove e sono diretti al luogo sacro, il regno di Shiva assorto in meditazione sulla sommità della montagna, conserva l'ombra del suo passato ribelle. E' il signore della distruzione e della rigenerazione, l'eterno ciclo del mondo. Danzando dà origine al mondo e poi lo distrugge per poi rigenerarlo. L'eterno cambiamento. Dal Kailash si attingono energie psichiche che fanno scivolare nella pace.

    Ripenso a tutti i pellegrinaggi nel mondo, uno sciamare catalizzato dalla speranza. Un viaggio, è questa pure la mia esperienza. E' uno dei fenomeni antropologici più antichi e diffusi, caratterizzato da una dimensione paradossale, il pellegrino lascia la propria terra, la propria casa per andare verso un altrove percepito come luogo in cui poter ritrovare le proprie radici.

    Si mette in movimento per ritrovare stabilità, saldezza. Due sono gli elementi fondamentali e complementari propri del pellegrinaggio, il viaggio stesso, l'essere in movimento, sperimentare lo spazio fisico e antropologico, e il luogo a cui si desidera pervenire. Mi associo a loro e partecipo all'esodo in un rapporto empatico straordinario. Uscita dal proprio mondo, costante cambiamento di prospettive, di orizzonti, di panorami, un'inesauribile ricchezza di volti e paesaggi nuovi, un'alternanza del pensiero tra il luogo noto e certo che si è lasciato e l'ignoto cui si va incontro e del quale si sa solo che può offrirci nuova e duratura salvezza, e per me nuova conoscenza. Condividere l'esperienza con il pellegrino per comprendere quello che prova, il poter constatare se questo sforzo conferisce dei risultati attesi.

    Si vive uno stato che è costantemente intriso di nostalgia e attesa, di rimpianto di quanto abbiamo lasciato il calore delle mura domestiche e la comunione con la gente del villaggio e di timore per quanto ci attende. La preoccupazione di non riuscire a rassicurarci la vita, condizioni ambientali avverse che possono compromettere il vigore del nostro corpo o altre situazioni pericolose. Mi inoltro lungo questo cammino per rigettare le soffocanti sicurezze che ho lasciato che diventano miraggi, che distolgono lo sguardo da possibilità nuove, da spazi aperti ma esigenti. Mi sento polarizzata, ho due poli, ansia dell'ignoto e nostalgia del già noto, la loro interazione è lo struggimento per l'assenza che ferisce il cuore con la presenza.

    Non sono questi i sentimenti che hanno abitato il popolo di Israele durante uno dei viaggi più famosi dell'antichità, quell'esodo è divenuto paradigma di ogni uscita dalla schiavitù verso la libertà, metafora di un ininterrotto viaggio interiore che attraversa l'aridità del deserto in direzione di una terra promessa? Insieme ai pellegrini non solo attraverso lo spazio ma anche il tempo, scopro la non contemporaneità delle diverse culture, i tempi restano diversi a volte inconciliabili. Sperimento quella che i padri del deserto chiamavano la xenitea, l'essere xenos, straniero, senza nessuna protezione sociale, in balia di leggi e costumi propri di altri, circondati da linguaggi e paesaggi sconosciuti. E in questa estraneità acquistano valore insospettabile anche i rapporti con i compagni di viaggio, siano essi persone già conosciute con le quali abbiamo deciso di intraprendere il cammino, oppure viaggiatori, pellegrini incontrati lungo il cammino là dove i nostri sentimenti siano disarmati e predisposti al dialogo e all'apertura.

    Là verso il luogo sacro nel suo significato di separato, altro, diverso dal nostro quotidiano, è già preparazione a vivere in modo altro il tempo e lo spazio.

    E' richiesta un'attenzione estrema per vedere cosa succede davanti a te. E' richiesto impegno, pio sforzo, per vedere cosa stai guardando. Sono incantata da tutto questo, dalle profondità che si schiudono nel movimento rallentato, le profondità delle cose che così facilmente vanno perse nella superficiale abitudine a vedere. Gente e poi ombre proiettate su uno schermo. Comincio a pensare alla relazione tra una cosa e l'altra, questo è lo scostamento dallo scostamento. Non c'è altro posto dove vorrei essere, sembra reale, il ritmo è paradossalmente reale, i corpi che si muovono come su una musica, quasi non si muovono, dodecafonia, le cose che accadono e non accadono, causa ed effetto separati in modo così reciso da sembrarmi reali, come si dice che sono reali tutte le cose del mondo che non capiamo. Calore, spazio, immobilità, distanza. Sono diventati stati mentali visivi. Non so bene cosa significhi. Continuo a vedere figure isolate, vedo le sensazioni provocate da queste parole, oltre la dimensione fisica, sensazioni che si fanno più profonde col passare del tempo. Ecco l'altra parola, tempo. Sono stanca, affamata, l'acqua è finita. Mi chiedo se questa gola, questo passo si apra nelle due direzioni opposte, non riesco a convincermi che ciò non sia possibile. Ora una fitta pioggia scende sferzante dalle montagne, troppo forte per infilarci dentro qualunque pensiero, lasciandoci senza nulla da dire. L'aria è pungente e carica quando la pioggia ha cessato. Un grido esultante nasce dalla bocca di qualcuno e subito i nostri sguardi si dirigono nella stessa direzione segnalata, là in lontananza si erge il cono del monte Kailash, fluttuante su rilievi pedemontani così sbiaditi da farlo apparire isolato nel cielo. In questo istante i pellegrini scoppiano in grida e pianti e forse sono preghiere. Tutti immobili per ammirare il Kailash. Non sembrano esserci altri colori al mondo se non il marrone essenziale del sottobosco, il bianco della neve e la lucentezza del cielo. I tre elementi si fondono creando un fondale alla montagna sacra e il resto è evaporato. Lo sguardo assuefatto si ritira e si incunea sotto di noi là dove in una mezzaluna di silenzio in sé quasi spaventoso, insondabile, un enorme lago s'incurva, vuoto. E' completamente immobile, emana una dura purezza circondato dall'arida liscezza dell'altopiano che, privo di ogni vita, potrebbe essere il residuo di una preistoria sacra, priva della complicazione umana. Definisce un effetto come certe sculture primitive e il suo colore, un violento blu, si spalanca come in una voragine di incommensurabile intensità. Ram si erge come guida rassicurante

    E' un lago oscuro che secondo l'immaginario è popolato da demoni e da spiriti carnivori, i pellegrini lo evitano. La sua sacralità è ambigua.

    Scendiamo lievemente e la mezzaluna scompare per poi, dopo pochi passi, ricomparire mutando la forma, è un cerchio blu cobalto, un altro lago verso il quale siamo diretti. Sono stupefatta, ingessata, respiro lentamente quasi per annullarmi di fronte a questa immensità, le acquee sembrano in questo istante espandersi, dilatarsi così perfettamente incuneate tra montagne innevate che lo contengono in tutta la sua circonferenza.

    E' accogliente, aperto, comunicativo rispetto al precedente ed essendo vicini il primo diventa un complemento oscuro e un compimento psichico del secondo. Ram nella sua esaltazione

    E' il più esteso lago d'acqua dolce della terra, cinquecento chilometri quadrati d'acqua splendono tra le nevi e i pochi pellegrini che percorrono il suo perimetro devono camminare per più di ottantacinque chilometri. Scendiamo e il mio sguardo rimane incollato a queste acquee solcate qua e là da un leggera brezza che incide solchi che sembrano essere le tracce lasciate da navi invisibili, sì perché qui tutto il reale può ricomporre l'irreale che però viene colto come pura forma che si dona nelle totali manifestazioni della nostra immaginazione.

    Non c'è presenza umana sul lago, nessuna imbarcazione può solcarlo, non è ammessa la pesca, è un luogo inalterato, incontaminato.

    Arrivati a livello della superficie, cogliamo la naturalezza del luogo, uno stormo di oche selvatiche vola verso di noi, un vortice d'ali che erutta brividi, e gli uccelli acquatici procedono. E' dominato, il lago, da due montagne che si fronteggiano la cui altezza esercita effetto di compressione, ora il lago mi appare soffocato nella sua quiete e congelato nelle sue acquee immobili.

    Ram rende omaggio

    Il lago è avvolto nella leggenda del credo induista o meglio ha una storia legata a Brahma e a Shiva. Per i Buddisti il lago è collegato a Budda e alle credenze proprie della fusione con l'Induismo. Ad accrescere la sua stranezza si aggiunge la sua formazione geologica, è un frammento in secca dell'originario oceano, il Tetide, del tutto prosciugato in seguito all'innalzamento dell'Himalaya.

    Ram srotola frammenti di leggende sacre che rendono magistralmente magico il luogo. Imbevuta di storie, leggende, fatti, erbe, medium risolutori e terribili, con gli occhi abbagliati dalla iridescente superficie mi sento euforica e allo stesso tempo pervasa da un senso di mancamento, una instabilità mentale e psichica.

    Mi sento immersa in un luogo posto in uno spazio di transizione, tra spazio terreno e ultraterreno, tra spazio biologico e spazio metafisico. Attratta da questa altezza, da questa assenza di orizzonti, dal silenzio profondo e cosmico, da questa luminosità che non viene percepita come accecante ma naturale luce che rende il mondo materiale superfluo, incostante.

    Che cosa resta quando si tolgono i paraventi terrestri? Quale segreto c'è dietro?

    Rimane l'essenza dell'essere, il nocciolo umano e spirituale con una capacità comunicativa straordinaria. Condivido la convenzione di Cézanne, ciò che avvertiamo come visibile non è un dato, ma una costruzione di cui la natura e noi stessi siamo artefici. Il paesaggio si pensa in me e io sono la sua coscienza. Dalla sospensione allo stato di fermezza, sto camminando lungo la riva in senso orario seguendo un pellegrino che, data l'andatura, sta meditando. Medito ergo sum pare che salmodi il pellegrino, colmo di desiderio di ignoti mondi e mari e uomini. L'andare, il procedere rinnova la più fervida curiosità, apporta fresca speranza, nega il prima e il dopo. Lo sguardo si immerge negli ampi spazi vuoti circondati dai versanti delle montagne, questi varchi intatti, però, non sono muti, rappresentano il vuoto, l'apertura cava da cui emerge il sostanziale con tutto lo spazio che lo circonda. Il sole arde di uno splendore purificante. La sabbia è grigia e soffice sotto i piedi che si muovono intorpiditi e per la resistenza opposta e per la lentezza dei miei passi che pare vogliano godere più a lungo questo contatto. E' un andare indagando, penetrando in un substrato sconosciuto, un affondare alla ricerca di un nuovo punto d'appoggio. In quest'aria tersa le distanze sono maggiori di quanto non sembrino, i corpi sembrano più prossimi di quanto non siano, cammino da due ore e non ho ancora raggiunto il promontorio che mi era sembrato relativamente vicino. Lungo tutta la battigia, tra il blu uniforme del lago e la terra gialla, folaghe e sterne costituiscono una frangia di vita in movimento. Procedo tra colonie di uccelli acquatici che al mio passaggio rimangono imperturbati. Gabbiani zampettano in gruppi lungo la riva, piro-piro passeggiano dove il fondale è basso, pettegole punzecchiano col lungo becco il terreno molle accanto all'acqua. Altri uccelli si lavano il piumaggio color rame e si chiamano l'un l'altro con un dolce suono di due note. Tutto questo risuona per me come richiamo, devo entrare in acqua con i piedi e condividere queste plateali manifestazioni. Becchi a pugnale e teste dalle piume nere, spruzzate di rosso tiziano, si immergono di colpo o emettono un richiamo malinconico che si perde nel nulla. Immergersi in questo lago fa parte della ritualità induista, mi sto purificando dai peccati commessi nelle vite passate. Il problema è che non conosco le mie vite passate, non ho vite passate e non ho il concetto di peccato. Il peccato è stato cancellato. Ho raggiunto il promontorio mentre si innalza un vento lieve, onde in miniatura si infrangono sugli scogli, cumulo di massi bianchi che luccicano in modo innaturale, accanto lastre di pietra sistemate

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