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Saggio sulla visione degli spiriti
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E-book137 pagine2 ore

Saggio sulla visione degli spiriti

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Info su questo ebook

Introduzione di Leonardo Casini

Traduzione di Francesca Ricci

Edizione integrale

La possibilità di comunicare con gli spiriti dei defunti, le loro apparizioni, vere o presunte, hanno sempre colpito e affascinato l’immaginazione degli uomini: qualora le loro manifestazioni fossero vere e credibili, solleverebbero un lembo del velo del mistero che circonda sia il nostro destino terreno che la nostra condizione dopo la morte. In questo breve e suggestivo saggio Arthur Schopenhauer sviscera a fondo l’argomento ed espone le sue teorie in proposito con la profondità e insieme la chiarezza espositiva e l’eleganza dello stile per le quali è famoso. La fusione di razionalità moderna e di profondo rispetto per il mistero rendono questo saggio un gioiello prezioso e unico nella storia del pensiero occidentale.

«Magnetismo animale, cure per simpatia, magia, seconda vista, sognare il vero, visioni di spiriti e visioni d’ogni genere sono fenomeni affini, rami di uno stesso albero, e indicano in modo sicuro e imprescindibile un nesso fra gli esseri fondato su un ordine delle cose totalmente differente da quello costituito dalla natura, la quale si basa sulle leggi dello spazio, del tempo e della causalità.»

Arthur Schopenhauer

nacque il 22 febbraio 1788 a Danzica. Quando la città passò sotto il controllo prussiano, il padre, ricco banchiere, si trasferì con la famiglia ad Amburgo. Studiò in Francia e Inghilterra, e alla morte del padre, suicida, andò a vivere con la madre a Weimar. Nel 1813 si ritirò a vita appartata a Jena, per preparare la tesi per l’abilitazione Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, tuttavia non ottenne mai la cattedra a Berlino alla quale ambiva. Nel 1831 si ritirò definitivamente a Francoforte, dove compose tra le altre opere anche la sua ultima, Parerga e paralipomena (1851), e dove morì il 21 settembre 1860. Di Schopenhauer la Newton Compton ha pubblicato La saggezza della vita. Aforismi, Saggio sulla visione degli spiriti e Il mondo come volontà e rappresentazione.
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2012
ISBN9788854138933
Saggio sulla visione degli spiriti
Autore

Arthur Schopenhauer

Nació en Danzig en 1788. Hijo de un próspero comerciante, la muerte prematura de su padre le liberó de dedicarse a los negocios y le procuró un patrimonio que le permitió vivir de las rentas, pudiéndose consagrar de lleno a la filosofía. Fue un hombre solitario y metódico, de carácter irascible y de una acentuada misoginia. Enemigo personal y filosófico de Hegel, despreció siempre el Idealismo alemán y se consideró a sí mismo como el verdadero continuador de Kant, en cuyo criticismo encontró la clave para su metafísica de la voluntad. Su pensamiento no conoció la fama hasta pocos años después de su muerte, acaecida en Fráncfort en 1860. Schopenhauer ha pasado a la historia como el filósofo pesimista por excelencia. Admirador de Calderón y Gracián, tradujo al alemán el «Oráculo manual» del segundo. Hoy es uno de los clásicos de la filosofía más apreciados y leídos debido a la claridad de su pensamiento. Sus escritos marcaron hitos culturales y continúan influyendo en la actualidad. En esta misma Editorial han sido publicadas sus obras «Metafísica de las costumbres» (2001), «Diarios de viaje. Los Diarios de viaje de los años 1800 y 1803-1804» (2012), «Sobre la visión y los colores seguido de la correspondencia con Johann Wolfgang Goethe» (2013), «Parerga y paralipómena» I (2.ª ed., 2020) y II (2020), «El mundo como voluntad y representación» I (2.ª ed., 2022) y II (3.ª ed., 2022) y «Dialéctica erística o Arte de tener razón en 38 artimañas» (2023).

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    Anteprima del libro

    Saggio sulla visione degli spiriti - Arthur Schopenhauer

    Introduzione

    La «visione degli spiriti», cioè l’apparizione delle anime dei defunti a persone viventi in determinati luoghi e circostanze, è un fenomeno narrato sin dalle origini della civiltà umana e appartiene alle religioni e alla letteratura di tutti i tempi e di tutte le culture. Oggetto della credenza, ma anche della riflessione razionale, tema di discussioni inesauribili e mai veramente conclusive da parte di filosofi, psicologi e dei veri «addetti», i cultori delle scienze occulte, la visione degli spiriti, e ancor più la magia, l’astrologia, l’alchimia si sono spesso intrecciate con la filosofia nell’antichità e nel Medioevo. Anche nell’età moderna continua l’interminabile dibattito sullo spiritismo e sull’occultismo, interessando spesso filosofi e scienziati, ma già dall’età del razionalismo e dell’empirismo questo genere di ricerche ha impegnato sempre meno frequentemente i filosofi, dai quali sono state considerate come pura superstizione o, al massimo, oggetto di altro tipo di ricerche e di metodologie scientifiche di carattere psicologico o parapsicologico.

    Nella storia della filosofia moderna v’è stato tuttavia un episodio importante, soprattutto perché ha avuto come protagonista Immanuel Kant nella sua polemica che si può considerare una breve, ma preziosa anticipazione della Critica della ragion pura – con lo scienziato e visionario svedese Emanuel Swedenborg. Costui (vissuto tra il 1688 e il 1772), studioso di scienze naturali e anticipatore di molte ricerche e invenzioni successive, fu uomo di indubbia genialità e vasta cultura. Formatosi sulla lettura di Cartesio e di Newton, agli esordi fu un rigoroso materialista, che riteneva il mondo un agglomerato di materia funzionante come una grande macchina, e l’uomo un essere dotato sì di anima e corpo, ma la cui anima altro non era che una forma più sottile e raffinata di materia. Successivamente maturò una concezione sempre più «spirituale», fino a concepirlo in modo opposto al materialismo e a considerare il mondo come un insieme di realtà spirituali che emanano da Dio, secondo la filosofia e la tradizione neoplatonica.

    Ma l’approdo di Swedenborg a questa concezione filosofico-religiosa o, per meglio dire, teosofica fu ispirato e accompagnato da fatti vistosi e impressionanti: visioni, sogni, allucinazioni, stati fisici e psichici straordinari, il più straordinario dei quali era la visione degli spiriti e i fitti, continuati colloqui con essi. Nel 1747 Swedenborg prese congedo dall’istituto minerario di Stoccolma, presso cui lavorava, per dedicarsi interamente alle sue esperienze spirituali e spiritistiche, stendere gli otto ponderosi volumi degli Arcana Coelestia, pubblicati a Londra tra il 1749 e il 1756, e impegnarsi alacremente nella formulazione di una sua dottrina filosofico-religiosa, sulla base della quale fu poi perfino fondata una chiesa che conta ancor oggi adepti nei paesi anglosassoni e in Germania.

    Queste apparizioni di spiriti e i colloqui che Swedenborg asseriva di intrattenere con essi suscitarono molto scalpore all’epoca, tanto che, sollecitato in modo pressante da persone amiche, Kant, già noto nonostante avesse scritto solo alcuni saggi, peraltro notevoli, di metafisica, fisica, etica ed estetica, vi dedicò un saggio destinato a diventare famoso, i Träume eines Geistersehers, erläutert durch die Träume der Metaphysik (Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica), pubblicato a Konigsberg nel l766¹. Quindi il saggio precede di quindici anni la Critica della ragion pura (1781), e deve gran parte della sua notorietà non tanto al problema in sé, quanto al fatto che la discussione vivacemente polemica su di esso offre lo spunto a Kant per avanzare alcune tesi filosofiche generali che anticipano e definiscono importanti prospettive che saranno poi ampiamente svolte nella prima Critica. A Swedenborg, Kant tributa assai poca stima e scarsissimo, per non dir alcun credito, al punto che non viene nominato se non a partire dalla seconda parte dei Sogni, anche se ovviamente vi si allude – senza nominarlo – nella prefazione e in seguito, parlando genericamente dei visionari. Il congegno di questo pamphlet kantiano – pervaso da cima a fondo da una pungente ironia sulla credulità della gente in simili fenomeni – è complesso, e tutta la prima parte può indurre il lettore in errore, facendogli ritenere che Kant ammetta la possibilità di simili apparizioni. Egli esordisce infatti assumendo un atteggiamento neutrale in materia e asserendo che sarebbe tanto «sciocco pregiudizio» non creder nulla di quanto viene raccontato quanto creder tutto senza un adeguato «esame». All’inizio infatti afferma: «io non so se vi siano spiriti, anzi che è più, non so neppure che cosa significhi la parola spirito»; tenta tuttavia poi, in via del tutto ipotetica, di definire i significati filosofici possibili del termine «spirito» e i suoi rapporti, nell’uomo, con il corpo: per «spirito» si deve intendere una sostanza immateriale che occupi spazio senza riempirlo, che non offra quindi la resistenza che invece oppongono le sostanze materiali e che infine, quando si trova nello stato di unione con il corpo umano prima della morte, sia presente indistintamente in tutte le parti del corpo. Per ammettere inoltre influenze e comunicazioni tra gli spiriti occorre anche presupporre la concezione metafisica di un mondo immateriale (mundus intelligibilis) «come un tutto per sé stante, le cui parti stanno in reciproca connessione l’una con l’altra². Kant confessa perfino «di essere molto propenso ad affermare l’esistenza di nature immateriali nel mondo e a porre la mia anima stessa nella classe di questi esseri» per aggiungere però subito dopo: «ma di quanto mistero non è poi piena questa comunione tra uno spirito ed un corpo?!»³. Ma subito dopo aver ampiamente illustrato i presupposti metafisici che rendono possibile la comunicazione tra gli spiriti e la loro apparizione a uomini viventi, Kant rovescia improvvisamente il discorso per affermare che tali «sognatori della sensazione» sono simili ai metafisici, «sognatori della ragione». Proprio il pregiudizio che voleva evitare all’inizio torna con forza nella parte centrale dello scritto: i sognatori della sensazione vedono illusioni, chimere, sogni vaneggianti (Träumereien) al pari dei metafisici che contemplano invece sogni della ragione; e così si definisce il vero scopo del pamphlet (del tutto indipendente dall’opinione richiesta dagli «amici curiosi e sfaccendati» circa la veridicità dello spiritismo), quello di equiparare la «malattia dei visionari», assai probabile se non apoditticamente certa, alla ben più nascosta «malattia» dei metafisici, che è l’obbiettivo polemico ben più serio e impegnativo in cui comincia a cimentarsi l’autore della futura Critica della ragion pura. Kant non esita quindi a dare complicate spiegazioni fisiologiche, nell’organismo dei visionari, delle cause delle apparizioni degli spiriti, sia pur sotto i veli sempre più sottili, improbabili e invisibili dell’ipotesi. Degli spiriti, della loro natura e delle loro apparizioni Kant conclude che al massimo si potrà opinare, ma mai veramente sapere di più, perché tale conoscenza – nel migliore dei casi, ove non si tratti di «malattia» – supera i limiti della conoscenza sensibile, l’unica che il filosofo comincia già qui a ritenere possibile; la filosofia ha anche il compito negativo di stabilire i limiti costitutivi delle sue possibilità di conoscere, e il mondo degli spiriti sta al di là di essi.

    Se ci siamo così lungamente soffermati su Kant è perché Schopenhauer si è sempre dichiarato seguace e grande ammiratore di Kant ed anche in questo saggio che presentiamo, Versuch über das Geistersehen und was danuit zusammenhaught (Saggio sulla visione degli spiriti e su quanto vi è connesso), prende le mosse dal saggio kantiano, per giungere poi a conclusioni assai diverse, per non dire opposte a quelle raggiunte nei Sogni di un visionario.

    Occorre anzitutto dire che questo saggio fa parte dei due volumi dei Parerga e Paralipomena, stesi da Schopenhauer tra il 1845 e il 1851, che costituiscono l’ultima grande opera del filosofo. Si tratta di una grande raccolta di pensieri di diverso argomento, brevi saggi, come quello che è qui pubblicato, riflessioni morali sui temi più vari e disparati e polemiche vivaci; l’opera, che attenuava il fondamentale pessimismo a cui approdava il suo capolavoro, Il mondo come volontà e rappresentazione, si apriva viceversa a problematiche attuali e comunque toccava la vita vissuta e rendeva accessibili al grande pubblico importanti temi filosofici, riscosse un grande successo e godette di una vasta notorietà che mai le altre opere di Schopenhauer avevano conosciuto. A questo taglio probabilmente rispondeva anche il saggio qui pubblicato, dall’impostazione e dalle finalità assai diverse dallo scritto kantiano. Già sin dal titolo, Saggio sulla visione degli spiriti, non si avverte alcun tratto polemico nei confronti delle «visioni degli spiriti», come invece risulta evidente nell’opera kantiana. V’è da osservare anzitutto che il clima culturale era profondamente cambiato. La ventata romantica in Germania aveva riabilitato tutta una serie di interessi relativi alla sfera «spirituale», magica e occulta in una misura che non sarebbe stata pensabile nell’età dell’illuminismo; lo stesso Schopenhauer esordisce informando che negli ultimi venticinque anni in Germania gli spettri erano stati – e «non a torto» – riabilitati, e le citazioni di scritti e pubblicazioni dell’epoca su tali argomenti che infittiscono le pagine del saggio schopenhaueriano ne sono una testimonianza.

    Sin dalle prime pagine Schopenhauer chiarisce che le spiegazioni sinora date del fenomeno sono state spiritualistiche, mentre egli intende darne una spiegazione idealistica, e così salva la sua coerenza di «kantiano»: le spiegazioni spiritualistiche cadono sotto la critica kantiana alla metafisica, mentre quelle idealistiche dovrebbero sottrarsi ad essa. Cosa in realtà significhi questa terminologia un po’ insolita non è molto chiaro, ma si comprende abbastanza presto che il filosofo intende rifiutare la comune convinzione di una sopravvivenza individuale dopo la morte delle anime o degli spiriti dei defunti, e quindi di una loro apparizione ai visionari, confortando così direttamente o indirettamente la tradizione religiosa. Questo sarebbe lo spiritualismo. La spiegazione «idealistica» – intendendo evidentemente tale termine in un senso molto generico – consiste invece nel vedere nei singoli individui la manifestazione parziale di un’unica realtà unitaria e universale che, com’è noto, Schopenhauer concepisce come la Volontà.

    Occorre qui ricordare sia pur brevemente le linee fondamentali della concezione schopenhaueriana del mondo, senza la quale la tesi e le conclusioni di questo saggio risulterebbero incomprensibili. Schopenhauer accetta da Kant e dai postkantiani che il mondo quale a noi appare è mondo di fenomeni, cioè di sensazioni e di percezioni che si presentano ai nostri sensi e alla nostra soggettività senza che noi possiamo realmente conoscerne l’intima esistenza, la cosa in sé, destinata a rimanere ignota al soggetto conoscente; nella sua «riforma» della filosofia trascendentale kantiana Schopenhauer riduce a tre il numero delle categorie che Kant aveva attribuito al soggetto come strumenti dell’organizzazione del conoscere, cioè dei dati dell’esperienza: lo spazio e il tempo come categorie della sensazione, e la causalità come categoria dell’intelletto. In altre parole spazio, tempo e concetto di causa non appartengono alla realtà in sé, ma sono modi con cui il soggetto organizza e comprende la realtà.

    Per altro verso, attraverso cioè la sfera delle emozioni, tendenze,

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