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Nella profondità di se stesso
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Nella profondità di se stesso
E-book387 pagine5 ore

Nella profondità di se stesso

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Info su questo ebook

Da quattro anni James Sciuto e la sua compagna Nora gestiscono un’associazione che, attraverso un percorso più filosofico che pratico, ha come fine il riequilibrio energetico dell’anima umana. Le dimostrazioni delle capacità extrasensoriali durante l’ultima lezione hanno reso il centro un bersaglio di insulti. James, stanco di ricevere ingiurie, decide di intraprendere un viaggio introspettivo nei boschi della Germania, sperando di far risalire dal profondo di sé il potere dell’auto-guarigione.

Intanto Xavier Thomson collabora al risveglio dell’anima guidando degli esercizi di meditazione. La sua vita procede a gonfie vele. Aspetta una bambina e non ha più quegli svenimenti improvvisi in cui sperimentava la vita di altre persone. Finché un giorno la sua felicità viene lesa da un’agghiacciante previsione riemersa dalla sua mente.

Riuscirà James a risvegliare la sua anima? La paura di Xavier sarà fondata?

Con il sequel di Nella profondità delle menti l’autrice ti prende per mano e con dolcezza ti conduce verso una profonda comprensione di te stesso e del mondo, spazzando la sporcizia dell’inconsapevolezza che ostacola il viaggio.

C’è un universo nuovo da conoscere fuori e dentro di te. Un universo da tirare fuori dal buio della mente condizionata. Illumina la tua vita e vivi veramente.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2020
ISBN9788831672597
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    Anteprima del libro

    Nella profondità di se stesso - Sandra Meissa

    Meissa

    PROLOGO

    Mazara del Vallo, 2022

    Federica Randazzo liberava le persone dal tormento del silenzio. Dava delle risposte. Purtroppo quasi sempre negative. Ma erano risposte. Potevano rassegnarsi, arrendersi all’ineluttabile realtà e pian piano riprendere in mano la loro vita.

    Si ripeteva queste parole ogni volta che le serviva la forza necessaria a formulare quelle che avrebbero spento la speranza e acceso un grande dolore. Questa volta, almeno, sarebbe stata la polizia a informare i familiari della vittima. Era sicura. C’era il cadavere di una donna dietro quelle rocce.

    Fermò i suoi passi. Non voleva vederlo. Non un’altra volta. «Il corpo è oltre quelle rocce, nascosto tra due grossi cespugli.»

    Sapeva quello che avrebbero visto i poliziotti: un cadavere di donna nudo rannicchiato su un fianco con evidenti segni rossi ai polsi, alle caviglie e al collo.

    Rimase ad aspettare osservando il cielo azzurro aprirsi un varco tra le nuvole grigie. Per Federica quello squarcio di volta celeste simboleggiava il sorriso della donna assassinata. Finalmente la sua anima era libera di andare via. Sorrise di rimando. Tra tutti i lati positivi delle sue capacità extrasensoriali quello era il migliore.

    Vide il flash di una macchina fotografica. Un agente le aveva scattato una foto.

    «Bisognerebbe farle una statua, signorina Randazzo. Complimenti» le strinse la mano con ammirazione, «ha centrato anche questa volta.»

    Non si meritava tanta riconoscenza. Lei semplicemente riferiva ciò che la sua mente vedeva. Ma per le autorità era una diva da premiare. Le avevano persino rilasciato numerosi attestati.

    Le sue dichiarazioni non avevano mai messo la polizia su una falsa pista e quindi era spesso consultata perché affidabile nella soluzione di indagini. Soprattutto dopo quella volta in cui un giornalista aveva fatto un esperimento su di lei e altri veggenti. Aveva finto che sua sorella era scomparsa e lei era stata l’unica a capirlo.

    Aveva diciotto anni e solo per i primi cinque anni di vita era stata una persona normale. O forse no. Magari la sua tenera mente aveva trovato la strada della rimozione come fuga dal dolore.

    I suoi poteri extrasensoriali le occupavano buona parte delle giornate e per guadagnarsi da vivere non poteva fare altro che esercitare la professione di sensitiva. Non aveva più i genitori. Nell’arco di un anno la stessa malattia li aveva portati via. Sua madre era deceduta solo alcuni mesi prima. Purtroppo le sue capacità non avevano preannunciato la loro morte.

    Sapeva che non sarebbe passato molto tempo prima che la sua mente avesse un’altra visione. Cosa aveva in serbo per lei? Un’anima tormentata? Scene di brutale violenza? Suicidi? Salme decomposte? Cosa?

    Tutto ciò non era raccapricciante se confrontato a quello che aveva attraversato Xavier Thomson, pensò mentre prendeva il suo libro, Io non Io, una raccolta di frammenti di storie che aveva sperimentato.

    Quell’uomo non era esterno alla scena ma all’interno. Quell’uomo perdeva ogni contatto con la sua mente ed entrava in un’altra, all’improvviso. Poteva capitargli di tutto. Come quella volta in cui si era ritrovato a essere una ragazza che bruciava viva tra le fiamme.

    Si mise comoda nella vasca da bagno colma di acqua calda profumata all’aloe vera e aprì il libro nel punto in cui aveva lasciato un cartoncino per non perdere il segno. Lo aveva quasi finito. Le mancava l’ultima storia.

    Sono Randolf Baumann, per la seconda volta. Non sono più il ragazzino che tenta di far scomparire il veleno di serpente che ha in corpo utilizzando la sua volontà come antidoto. Ma un anziano di duecento anni.

    Solo qualche mese fa ero un giovane pieno di vita, con un figlio pieno di vita. Un figlio che la morte innaturale si è portato via. Non sono riuscito a salvarlo a causa della mia maledetta paura, a causa della mia mente subconscia che teneva in memoria il timore di non salvare dalla morte la persona che avrei amato più di qualunque altra: mio figlio.

    Aveva solo sette mesi.

    Ho preso il mio manoscritto e ho lasciato il villaggio Freiheit. Non  potevo più restare dove ho visto il mio bambino morire tra le mie braccia.

    Voglio stare qui, solo, tra le mura decadenti di questa piccola casa, e vedermi morire di vecchiaia, rapidamente. Sì, è quello che voglio: morire. Lo voglio con tutto me stesso e ogni cellula del mio corpo non può fare altro che conformarsi alla mia voce interiore. Me l’ha già dimostrato ampiamente. Anche adesso che la mia pelle si è increspata velocemente.

    Per le menti programmate, la morte è un suicidio inconsapevole. Per me è un suicidio consapevole. Ma non c’è alcuna differenza.

    La vita si spegne in entrambi i casi.

    (Di seguito quello che ho vissuto in prima persona.)

    Abbasso lentamente lo sguardo su me stesso. Solo adesso percepisco la leggerezza del mio corpo senza corpo. Non ho peso. Non ho una forma delineata e concreta. Non sono una coordinata sulla Terra e non c’è la gravità a trattenermi. Posso osservare da tutte le parti senza bisogno di voltarmi o scostare gli occhi. Ho una prospettiva di 360 gradi e non sono in grado di capire esattamente in che punto del bosco mi trovo.

    Che significa?

    Dov’è il mio corpo?

    Cosa mi è successo?

    Sono esterrefatto, confuso.

    D’un tratto trovo la risposta a tutto: sono morto.

    Sono anima, energia. Sono essenza. Vuoto.

    Mi sono mescolato a un’energia che ha le mie stesse frequenze.

    Mi sono reincarnato?

    Sì, deve essere così. Sto per nascere di nuovo.

    Chi sarò? Cosa mi aspetterà? E, soprattutto, ricorderò chi sono stato? Ricorderò la morte di mio figlio?

    Un nome: Simone Giacomo Pacini.

    Sarà il mio nome, il mio nuovo nome.

    Che cos’è?

    È una scatola di legno. Che cosa contiene?

    Apro il lucchetto con la chiavetta. Sollevo il coperchio. Ci sono fogli di carta antica. Li tengo. Il forte vento potrebbe portarseli via. È un manoscritto. Ma chi lo ha scritto? Non si capisce nulla. Le lettere sono messe a casaccio. O è un’altra lingua? Sì, deve essere così.   

    «Wow!» esclamò. «Questa gli mancava: essere lo spirito.»

    E quest’uomo, Randolf Baumann, aveva visto oltre gli schemi e aveva saputo sfruttare i principi spirituali.

    Osservò il volto pallido di Xavier nel risvolto di copertina.

    Chissà quanta gente lo credeva folle. O pensava che fingesse di essere quello che non era solo per far parlare di lui e vendere il suo libro.

    Di colpo, nella sua mente prese forma una breve premonizione.

    Rimase pietrificata mentre i suoi occhi sgranati ritornavano a osservare Xavier che sorrideva dalla copertina. Lo aveva appena visto, in carne e ossa, davanti a lei, seduto sotto il gazebo in un pomeriggio d’estate di due anni dopo. Posava la tazzina del caffè sul piattino, alzava gli occhi fortemente turbati su di lei e pronunciava:

    «Temo che il mondo così come lo conosciamo stia per scomparire.»

    1

    Serra la Nave, Etna, 2024

    Se aveva avuto lì l’idea che cercava non era un caso.

    Nell’ultimo periodo James Sciuto desiderava trovare una soluzione, ed eccola qui. Era così semplice, a portata di mano, ma evidentemente aveva bisogno di interrompere la routine con quella visita all’Osservatorio Astrofisico per avere l’illuminazione. Aveva osservato una volpe sparire tra gli alberi illuminati dai neon e in un lampo aveva trovato il modo che gli avrebbe permesso di risvegliare la sua anima.

    Nora lo tirò per un braccio, euforica come una scolaretta durante una gita, e si accodarono alla fila sulla scala che saliva verso il telescopio di 40 cm. Stavano per osservare M13, l’Ammasso Globulare di Ercole.

    Avvolti nel buio profondo del cielo, era come se i corpi celesti esercitassero una forza attrattiva maggiore, talmente potente da far levare gli occhi all’unisono non appena furono fuori. Tutti avevano l’incanto stampato sul volto. Stavano condividendo la stessa meraviglia e ciò generava un’energia che permeava i visitatori facendo amare ancor di più quel cielo ingemmato.

    La relatrice che guidava la visita, Vittoria Caudullo, una ricercatrice dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), rispondeva pazientemente alle domande del gruppo di visitatori mentre uno alla volta puntava l’occhio nel telescopio. L’espressione che seguiva era di assoluto stupore.

    Nora era raggiante, brillava di luce propria. Sembrava una delle stelle che stava contemplando. Non abbassava nemmeno per un po’ gli occhi che muoveva esperti da una parte all’altra, come a tracciare una per una le costellazioni visibili.

    James le circondò la vita con le braccia e la baciò sulla guancia.

    «Guarda, quello è Marte» osservò lei. «Negli anni ’30 o oltre chissà quanta gente punterà gli occhi su quel puntino rosso. Assurdo: una colonia permanente.»

    Era arrivato il turno di Nora. Si sedette sulla bassa sedia e accostò l’occhio sinistro alla lente tappandosi quello destro con la mano.

    «Wow!» esclamò senza allontanarsi. «È spettacolare.»

    «Quello che a occhio nudo sembra solo una debole e piccola nuvola in realtà è un’esplosione di stelle, parecchie centinaia di migliaia di stelle» disse la relatrice.

    Quanta bellezza nasconde il nostro cielo. Anzi, quanta bellezza nasconde la nostra mente ai nostri occhi, fu il primo pensiero di James non appena ebbe preso il posto di Nora.

    Si poteva vedere tutto ciò che si voleva.... e il mondo presto lo avrebbe capito.

    Catania

    Prima che Nora congedasse Laura, la babysitter, James era già seduto davanti al computer con la pagina Google aperta. Doveva assolutamente trovare il villaggio Freiheit, il luogo in cui aveva vissuto Randolf Baumann. Come aveva fatto anni prima, digitò il nome del villaggio. Ma, come si aspettava, la ricerca non produsse alcun risultato. Doveva trovare un’altra strada.

    «Ehi» Nora si piegò su di lui con la guancia contro la sua e le braccia incrociate lungo il suo torso, «perché tutta questa fretta di accendere il computer? Villaggio Freiheit» lesse. «È quello descritto...»

    «Nel manoscritto» James ruotò la sedia girevole e la fece sedere sulle sue gambe. «Nora, senti, ho deciso di allontanarmi per un po’.»

    «Allontanarti?» esclamò perplessa.

    «Sai quello che sta succedendo. La gente ci denigra, insulta l’associazione, ci considera degli ingannatori. Non possiamo più continuare così. È necessario che io rimembri la vita in cui ero Randolf, che dimostri quello che sono, quello che la mia anima è veramente. E per farlo devo restare alcuni giorni letteralmente immerso nella natura. Nonostante i quadri appesi alle pareti del salotto mi ricordino tutti i giorni brandelli di vita di Randolf, non affiora nulla nella mia mente, non ci riuscirei nemmeno con una trance. I ritmi di vita civilizzati non mi permettono di rilassarmi nel profondo del mio spirito. Il mondo fa troppo rumore e io ho difficoltà a sentire me stesso.

    Trovare quel villaggio sarebbe una benedizione. Oltre a sentire me stesso, focalizzarmi meglio su quello che voglio liberando la mente dai pensieri stupidi e superflui, dalle distrazioni, trascorrerei del tempo dove lo ha trascorso Randolf.»

    «Ma sei pronto a vivere come un aborigeno? Ci possono essere insidie delle quali sei ignaro. Potrebbe essere pericoloso» osservò preoccupata.

    Ecco il suo lato apprensivo che ogni tanto veniva fuori.  Non era la stessa preoccupazione di una madre nei confronti di un figlio. Quella ormai era passata da tempo, quando aveva preso a innamorarsi di lui. Era un’ansia che adorava e lo faceva sentire amato. E quindi alle volte si tratteneva dal ricordarle quanto fosse stonata per il suo equilibrio interiore.

    «E al tuo sito chi ci penserà?» aggiunse lei. «Sai bene quanta gente ti contatta per avere una tua opera.»

    «La fortuna vuole che in questo periodo tu non eserciti la professione d’insegnante e hai a diposizione buona parte del tempo per occupartene tu. E se ti chiedessero un quadro su commissione, risponderai che la loro richiesta sarà presto esaudita.»

    Ne aveva fatta di strada. James aveva partecipato con successo a concorsi di pittura nazionali e internazionali ed era stato premiato più volte nelle presentazioni artistiche. Aveva esposto in strutture prestigiose, e numerose gallerie d’arte in Italia e oltre i confini avevano accolto e accoglievano le sue opere. Era diventato un noto artista e le sue giornate erano appagate dal sostentare la sua famiglia con la sua passione giacché lo esonerava dal lavoro.

    «Immagino non ci sia nulla che io possa dire o fare per dissuaderti» disse arresa.

    «Sai che è la cosa giusta da fare. Nessuno più ci attaccherebbe se mi curassi una ferita con la mente. La gente sarebbe più propensa a credere alle vibrazioni energetiche e di conseguenza alla legge dell’attrazione, e inizierebbe anche a vedere la propria mente con altri occhi, a dare spazio anche all’Essere.»

    Lei si fece pensierosa, poi riprese: «Ti sei mai chiesto perché Simone non ha bruciato il manoscritto se temeva che venisse letto?»

    Simone... era da un po’ che Nora non lo nominava. Anni. Ma questo non escludeva che lo pensasse, che lo vedesse attraverso gli occhi di James il cui sangue e la cui anima erano gli stessi.

    … noi due, caro figliolo, abbiamo molto in comune.

    Gli aveva scritto Simone in un bigliettino, uno degli oggetti scelti da lui affinché James rievocasse la sua vita precedente, quella di Simone, suo padre, e si innamorasse di Nora. Simone non voleva perderla bensì ritornare a essere il suo uomo. C’era riuscito.

    Chissà se hai ricordato più di quanto pensassi, se ti ho fatto star male. Ma ho dovuto farlo per dare un senso alla mia vita e rallegrare Nora. Adesso devi andare da lei, raccontarle ogni cosa, e farle vedere la chiave. Nora capirà. Quello che scoprirai tienilo per te. Non parlarne con nessuno, neppure con lei.

    Quella chiave aveva aperto il lucchetto della scatola in cui era conservato il manoscritto che Simone da bambino aveva trovato tra le macerie della casa in cui Randolf si era lasciato morire. Quella scatola l’aveva lasciata a Nora facendole promettere che non l’avrebbe aperta per nessuna ragione. Lui sarebbe ritornato a riprendersela. Ma James aveva condiviso quelle parole non solo con lei, ma anche con Xavier Thomson.

    «Forse si augurava che la mia mente sarebbe stata in grado di far risvegliare la sua anima, la mia anima. Lui non è riuscito a guarirsi dal tumore, sebbene sapesse di avere un’anima che nella vita di Randolf era stata in grado di salvarsi dalla morte» le rispose. «Probabilmente voleva che le anime si evolvessero a poco a poco, fino a  raggiungere la Libertà Assoluta.»

    «Pensi di scovare il luogo in cui è o era situato il villaggio Freiheit?»

    «Sul web non c’è traccia del villaggio.»

    «Magari ci sono quelle dei suoi abitanti» suggerì.

    «Ottima idea» esultò, ruotando la sedia verso il monitor.

    Doveva sperare che fossero di Baumann, Wolff o Meier, gli unici cognomi presenti nel manoscritto.

    Allungò una mano verso la tastiera e fece per digitare Randolf Baumann. Nora glielo impedì.

    «Domani. Inizia domani. Dobbiamo fare il pieno se dovrai stare lontano da me» disse languida.

    «Mammina…» chiamò Danilo avvicinandosi a loro, i piedini scalzi.

    I suoi lisci capelli erano arruffati e gli occhi gonfi di sonno cercavano di restare aperti nella luce del salotto.

    «Cosa ti ha svegliato, tesoro?»

    Fece un mormorio stropicciandosi gli occhi e salì sulle gambe di Nora e James, raggomitolandosi. Lei gli alzò la bretella della canotta sulla spalla e gli baciò i capelli mentre lui li avvolgeva in un caldo abbraccio.

    Danilo sembrava veramente il loro figlio. I capelli erano come quelli di Nora, corvini. Gli occhi erano come quelli di James, grandi e blu ceruleo. Aveva la boccuccia carnosa come entrambi e quando sorrideva gli si formavano sulle guance le stesse fossette di Nora.

    Aveva quattro anni ed era il loro bambino da più di tre. Non avrebbe fatto differenza se avesse avuto il suo stesso sangue. Lo amava nello stesso modo in cui amava sua figlia Rossella. Lo amava nello stesso modo in cui il padre adottivo Carmine amava lui.

    Danilo prese a respirare profondamente, segno che si era addormentato.

    «Che adorabile» esclamò James.

    «Siamo stati fortunati ad averlo.»

    «Già. Adesso, che ne dici di rimetterlo a letto?». Le mordicchiò l’orecchio. «Abbiamo, come dire, un vuoto da colmare.»

    2

    Quella cappella metteva a Davide Vitale, e probabilmente a chiunque mettesse piede lì dentro, una certa soggezione. L’ampia prospettiva che dava sulle lapidi gli faceva quasi girare la testa. Tutto quel bianco spento, quasi grigio, tutti quei lumi dalla luce giallognola, tutti quei fiori. Sembrava che l’intero cimitero fosse rinchiuso in quelle mura. L’odore di fiori fradici si mescolava a quello di fiori freschi. Evidentemente i dipendenti non facevano i giri necessari affinché nessun vaso avesse fiori e acqua stagnante da buttare.

    Percorse lentamente uno dei lunghi corridoi semicircolari mentre disparati nomi, cognomi ed effigi passavano davanti ai suoi occhi, che saltavano le lapidi le cui foto erano a colori.

    Doveva essere qui, al terzo piano.

    Sentì una foglia scricchiolare sotto il suo piede e abbassò per un attimo gli occhi. Quando li rialzò non seppe più quale fosse l’ultima tomba che aveva osservato. Decise di ripartire dalla quarta e ultima fila in alto quando una donna lo chiamò. Era seduta alle sue spalle, vicino alla ringhiera che delimitava i piani e si affacciava su un grazioso luogo di culto.

    «Chi cerchi?»

    Non capì se fosse una dipendente o una in visita a una persona cara. O entrambe.

    Rispose con la prima cosa che gli passò per la mente. «Un’amica.»

    «Al pianterreno abbiamo un database. Una mia collega ti dirà in un attimo dove si trova.»

    Lesse una nota beffeggiante nelle sue parole. Be’, in effetti era da stupidi perdere tempo e farsi girare la testa a cercare quando esisteva un registro. Ma non ci aveva pensato.

    «Do un’altra occhiata. Grazie.»

    Non perdere l’aspettativa forse gli avrebbe evitato di scendere tre piani e risalirli. Percorse una ventina di passi quando lesse il nome di Alessio Lanzafame.

    Forse... sì, è lui. È il figlio di Rose Ciardi.

    L’età della sua morte corrispondeva e accanto alla sua lapide c’era quella di Miranda, la ragazzina che stava cercando. Rose aveva scelto di seppellire Alessio vicino alla sorellastra. I suoi due figli sarebbero stati per sempre vicini.

    Splendide rose bianche adornavano la tomba di lei. Chi poteva averle portate se non James Sciuto? Anche il fiore che aveva in mano era bianco, il colore della purezza, del candore. Dell’innocenza che alla piccola Miranda era stata bruciata lentamente, fino a ridurla in polvere.

    Infilò il lilium tra le rose e carezzò con gli occhi il viso di Miranda. Aveva un volto angelico. E i suoi boccoli biondi, anche in bianco e nero, emanavano luce. La sua espressione era dolcissima, perfetta per nascondere il suo tormento. Per nascondere le notti passate a soffocare il pianto nel cuscino. I giorni passati a piangere sotto la doccia, nel bagno della scuola, durante la ricreazione quando in classe rimaneva sola. Passati a sentirsi sporca, sbagliata, diversa, sola, estranea al mondo dei suoi coetanei, al mondo intero. Passati lottando contro se stessa, che da una parte voleva dire tutto alla madre e dall’altra desiderava togliersi la vita. Aveva vinto la parte sbagliata, quella cattiva, irragionevole, che spingeva a compiere il male. Aveva vinto il male. Una vita spezzata a tredici anni, dalle sue stesse mani. O meglio, spezzata da un uomo che si faceva chiamare papà mentre ogni giorno, per anni, abusava sessualmente di lei nel sedile della sua auto, la stessa che la portava a fare divertenti uscite con i genitori prima che si lasciassero, prima che il padre manifestasse la sua pedofilia.

    Rose, seppur in malo modo, aveva continuato a vivere dopo il suicidio di Miranda. In seguito, l’incidente del secondo figlio l’aveva distrutta, consegnandola alla morte.

    Ma la vita continua... anche per chi muore.

    La vita è eterna.

    3

    L’appena percepibile frescura dell’alba era un avviso di quanto afosa sarebbe stata la giornata. Non c’era un filo di vento a mitigare la calura e dopo circa venti minuti di corsa era già tutto sudato. Sentiva la sua pelle grondare sudore e la canotta appiccicarsi sempre più sul petto e sull’addome. La fatica che stava facendo gli impediva di godersi quella corsa. E ciò non gli andava bene per nulla. Non correva per centrare tutte le forze sul suo corpo, per spossarsi, ma per darsi un po’ di pace. Per sentire l’unione con la natura e accompagnare ogni passo al canto melodioso degli uccelli, e non al respiro affannoso.

    Si fermò alla fontanella e mise la testa sotto il getto dell’acqua fredda mentre la ingurgitava. Ne gettò un po’ sulla canotta e sulle braccia e si tirò i capelli indietro. Adesso andava decisamente meglio.

    Di colpo la sua mente formulò un paio di domande: com’era il tempo in Germania? Doveva portarsi un sacco a pelo oltre la tenda? Ancora non aveva idea di dove fosse il villaggio ma era sicuro che lo avrebbe trovato. Se nessun dubbio scalfiva la sua certezza, era una certezza. Lui sarebbe andato dove Randolf  Baumann aveva vissuto per duecento lunghissimi anni.

    Si sedette a cavalcioni su un basso muretto di pietra, gli occhi deliziati dal panorama che aveva davanti. Il sole torreggiava appena tra le colline spandendo una velata luce dorata e con i suoi raggi inclinati conferiva al paesaggio un forte contrasto, accentuava le zone illuminate e nascondeva quelle in ombra. Poteva racchiuderlo in un pugno tanto era piccolo.

    E invece rispetto al sole il mondo è un moscerino, pensò. E cos’è l’essere umano? Mi verrebbe da dire nulla. Ma ciò è l’inganno più grande raccontato all’umanità. La convinzione di non essere nessuno di fronte all’universo, di essere nelle mani di ciò che è più grande è una grossa menzogna piantata nella mente.

    La grandezza è racchiusa in noi.

    Avrebbe dovuto attingere dalla sua grandezza la capacità di ricordare dov’era situato il villaggio. Ma la sua mente programmata aveva preso il controllo di sé e non riusciva a liberarsene. Per farlo aveva bisogno di vivere alcuni giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, immerso nella natura. Lì non c’erano schemi da seguire, il tempo non esisteva, sarebbe stato libero. E con la libertà, con la consapevolezza di Essere, avrebbe trovato la strada verso la sua anima. Verso la sua forza, il suo potere.

    Ma per il momento poteva contare solo su un aiuto esterno.

    Se avesse trovato un sito internet che permetteva di rintracciare una persona anche attraverso scarse informazioni, quanti Baumann, Wolff e Meier c’erano in Germania? Di certo non pochi. Non poteva telefonare a tutti e chiedere se tra i loro antenati qualcuno aveva vissuto in un villaggio. Avrebbe dovuto restringere la ricerca. Ma come? Se avesse saputo quali erano i dintorni del villaggio, avrebbe potuto sperare che i discendenti si fossero stabiliti lì o nelle vicinanze.

    Gli sarebbe bastato conoscere, se c’era, un segno lasciato in città da uno degli abitanti per avere traccia di lui e magari dei suoi discendenti. Chi avrebbe potuto far parlare la città al punto da far vivere quelle parole sul web? Nello stesso momento in cui iniziò a leggere mentalmente il manoscritto, pensò che forse quella persona era il bisnonno di Randolf. Lui era ricco. Era un proprietario terriero.

    Si affrettò a prendere il cellulare dalla tasca dei pantaloni sportivi. Aveva ricevuto un paio di email con oggetto la richiesta di prezzo di un disegno tascabile e uno da parete. Avrebbe risposto più tardi.

    Digitò XVIII SECOLO BAUMANN... Aspetta. Qual era il suo nome? Cornelius? No, quello era il nome del padre di Mathias Wolff. Nikolaus.... era il guaritore del villaggio. Fece per correre a casa per cercare il nome nel manoscritto.

    Ansgar, gli venne in mente.

    … ANSGAR PROPRIETARIO TERRIERO, continuò a scrivere. Pigiò su Cerca.

    Eccolo! Dovrebbe essere lui.

    Aprì la pagina. Nell’intestazione c’era uno stemma ornato di larghe foglie verdi e rosse. Lo scudo rappresentava suggestive montagne punteggiate da piccole case colorate di arancione. Era il simbolo che rappresentava la famiglia dei Baumann.

    Prese a leggere.

    Parlava proprio di lui, di Ansgar Baumann. Era nato nel 1727 e non si conosceva l’anno del suo decesso perché era scomparso da Rosenheim. Aveva lasciato per sempre la sua vita da ricco e stimato proprietario terriero per compiere un viaggio introspettivo nel confine nord-est della città, dove si trova una grande area coperta da vegetazione. Un viaggio che durò fino alla fine dei suoi anni. Molti, compresa la sua famiglia, credevano che fosse impazzito.

    Poteva prepararsi a partire. Preparare un kit di sopravvivenza e prenotare un biglietto aereo. Era tutto eccitato di iniziare questa avventura.

    Quanto avrebbe ricordato? Cosa avrebbe ricordato?, si chiese non appena rientrò in casa, osservando una delle scene descritte nel manoscritto alle quali James aveva dato forma attraverso il disegno a carboncino. Raffigurava la parte finale del manoscritto. Un Randolf Baumann malinconico, duecento anni di vita addosso, con il manoscritto tra le mani, che stava per scrivere le sue ultime parole: Spero di non rimembrare la morte di mio figlio nella prossima reincarnazione. Scusami, piccoletto. E chiedo perdono anche agli abitanti del villaggio per averli abbandonati. Voleva cancellare dalla memoria della sua anima la dolorosa morte del figlio. Quel desiderio era talmente forte che probabilmente Simone Pacini non aveva rievocato. E forse nemmeno James avrebbe ricordato. Si augurava che fosse così dato che non voleva vivere quella dolorosa perdita, sentire il suo cuore strapparsi dal petto per il tormento.

    Pensò a Rossella, al desiderio di riprendersi quel pezzo del suo cuore che era andato via lentamente. Sua figlia era parte di lui e si sentiva incompleto senza di lei. Non era il non vederla ogni giorno a creargli quella mancanza, bensì la rottura del loro rapporto. Le rare volte in cui Rossella decideva di incontrarlo, lui cercava di ricucire il legame di un tempo. Ma lei non lo aiutava, manteneva le distanze. Allora, con le lacrime nell’anima, James rivedeva quei sorrisi che faceva da bambina e che valevano più di ogni cosa. La rivedeva attaccata alla sua gamba ogni volta che voleva che rimanesse con lei. La rivedeva addormentarsi beatamente mentre lo fissava negli occhi e ascoltava la canzoncina che le cantava. Rivedeva la manina stringere forte la sua tra le sbarre della culla per sentirsi protetta dal suo papà.

    Tirarle fuori dalla memoria quei teneri ricordi forse sarebbe stato l’unico modo per riaverla con sé e risanare il suo cuore.

    «Tuo padre sa quel che dice» le aveva risposto con fermezza Nora anni prima. Rossella le aveva domandato cosa spingesse il padre a credere così tanto al potere della mente. I suoi compagni la prendevano in giro, dicevano che la sua famiglia era folle. Quelle offese stupide e immature le avevano pian piano creato un malcontento degenerato in scetticismo più per contrastare il padre e Nora che per non convinzione. A causa loro veniva ridicolizzata e gli insulti che riceveva li scagliava con rabbia addosso a James e Nora. Aveva ferito il loro cuore. Ma non si aspettavano di subire una ferita più grande: la sua ferma decisione di trasferirsi dalla madre biologica, Eliana Lo Presti. Dopo il suo trasloco si era allontanata sempre più da loro... e forse anche dalle loro convinzioni non condizionate, dalla realtà dell’essere umano.

    4

    Desiderava incontrare James Sciuto, l’unica persona viva con la quale Miranda aveva avuto un legame, l’unica persona più vicina a lui che poteva capirlo più di ogni altro.

    Tra insoliti ci si capisce.

    Tramite una ricerca su internet Davide Vitale aveva scoperto che James aveva fondato una piccola associazione, Vola verso il tuo Essere, avente come principio l’ampliamento dell’amore e la

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