Er profumo de Roma
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Er profumo de Roma - Umberto Donato Di Pietro
INDICE
Cover
Er profumo de Roma
Umberto Donato Di Pietro
Er profumo de Roma
Poesie, aneddoti, racconti in romanesco
Aforismi, pensieri, poesie in lingua
"Ai miei figli,
ai miei nipoti."
Prefazione
In questa raccolta l’Autore mostra un po’ a sorpresa una parte meno nota di sé stesso. Abbandonando lo stile aulico e romantico delle sue poesie e dei suoi romanzi UDP si apre ad una forma di comunicazione aspra, graffiante e ironica in dialetto romanesco, per affrontare le ricorrenti difficoltà del quotidiano e le tipiche questioni della nostra vita che, troppo spesso, rimangono senza soluzione.
Con questa gradevole raccolta UDP riscopre la sua verve combattiva e dissacrante, aggiungendo così un tassello importante nell’opera di completamento del suo percorso di scrittore.
Il messaggio è sempre chiaro, a volte spassoso, a volte amaro, come nella tradizione del sonetto romanesco.
Da notare, come negli scritti, si ritrovino vocaboli romaneschi tradizionali accostati a più’ recenti espressioni dialettali, quasi a voler dimostrare come, l’evoluzione del dialetto, non intacchi affatto l’efficacia immediata del tipico sonetto in dialetto.
La lettura è veloce e divertente. I sonetti sottolineano con efficacia alcuni aspetti tipici del nostro vivere e del concepire le cose del mondo. Questo ulteriore tassello nel repertorio di UDP ci restituisce un autore sicuro di sé e più giocondo. Da vedere come questa esperienza influenzerà la tecnica e ritmo della composizione letteraria di UDP. Per il momento, godiamo di questa piacevole raccolta che ci regala divertimento e spunti di riflessione in eguale misura.
Domenico Di Pietro
Poesie in vernacolo
PARLO A UN NEPOTE
Aspetta nepote, riposamose ‘n pochetto
nun me fa còre tanto
vojo guardatte drento l’occhi
che m’aricordeno ‘n’antra perzona
che a noi fu ‘n zacco cara
Ascorta sempre co’ attenzione
quanno nonno t’ariccontaprimo
de la fanciullezza sua
che a te te pare così lontana
Ma a me me pare de rivivela
ogn’istante der giorno
Nun te perde gnente de quello che dico
I fij tua te chiederanno de me
saprai quello che je devi da dì
Questo te lo sto a dì p’esperienza mia
pe’ nun avè mai ascortato mi padre
quanno m’ariccontava de essi
che io nun ho mai conosciuto
E questo me fa male ar còre
Me piace giocà, còre co’ te
Si quarche vorta me vedi stracco
o te paro ammosciato
nun dì gnente, abbraccicheme
Rigaleme ‘na carezza tua
Sapessi che gioia che
me metti drento ar còre
ER BUIO
lo vidi, stava su ‘na panchina der parco
c’era er cane suo e ‘n bastone bianco.
Mocio mocio me so’ seduto affianco
er passo mio ariconosceva e me chiamava.
Che je leggessi ‘na poesia, spesso me chiedeva,
aricconteme de ‘a luna, parlame der mare,
der vento, de le stelle, de ‘a notte ch’io vivo
cose nun potute mai ammirà, solo ammagginate
parleme come l’ucelli riescheno a librà
de l’occhi de ‘na donna mai potuta amà
de li prati, de ‘i boschi, de ‘i fiori
segneme de mi madre er vorto,
‘a mano sua quanno m’accarezza dorce.
Ogni vorta, er viso suo, cambiava d’espressione
m’accorgevo che m’ascortava co’mòrta attenzione.
Passò un ber po’ de tempo e nun annetti ar nostro incontro,
sur giornale lessi, dell’offerta de un cane da guida d’adottà.
Me se fece er monno nero, fui corpito dar gran dolore
Da quer giorno, aritorno sempre ar parco
seduto me metto in quella solitaria panchina
speranno, inutirmente de potello arivedè.
Chissà, po’ esse che ‘ndò sta mò
quelle cose belle se le po’ gustà.
L’ABBUSO
Corevi su quer prato co’ le treccine ar vento
Ne la mente tua dorci vision future
Er fiume lì vicino pareva turbolento
Quer mascarzone ‘ncontrasti
D’esse amico tuo sempre creduto
Fu solo ‘n attimo che durò ‘n’eterno
A brutalità s’espresse con ferocia
Su ‘na gelida pietra accasciata
Te sei aritrovata, capelli scompijati
Le mano su la faccia ‘a veste stracciata
Subbujo ne la mente, profonda umigliazzione
Ignobbile fu l’abbuso de candida purezza
Fatta da quer fijo de ‘na monnezza
Piagnevi, avresti voluto morì
Mentre er Tevere impassibbile testimogno
Scoreva trascinanno torbida piena
‘A DONNA
Bella ‘a donna
D’ogni color creata
Der monno ‘a
Più dorce criatura
In aere spanne sua
Avvenenzainnata
Fiore che arido
Deserto anima
Mai soffrir palesa
Inavversi fati
A essa confidi ‘gni
Turbamento
Animo suo granne
Ascorta te comprenne
Consiji sempre
Er còre suo dispenza
Linfa è d’ogni
Vita nova
Silente amante
Premurosa mamma
Gentilfiore ner
Giardin de vita
Piatta sarebbe
Esistenza nostra
Senza tar faro che
Da infanzia guida
Belli l’occhi sua
Puro se stracchi
Abbraccichela forte
Sfioreje er vorto
In gentil carezza
Sarà como si avessi
Tutto er firmamento
In quer granne
Imparpabbile momento
LA SCULETTATA
Nun ciò gnente contro ‘e donne
Che der monno so ‘e colonne
Anzi me sarebbe piaciuto
Nasce de quer sesso
‘a ragione ‘a capisce chi n’è fesso
Nun me sento ‘n puritano
Ma nun me poi sculettà denanzi
Mostranno pe’ intero er deretano
Prima c’era quer vedi e nun vedi
Che te strabbijava
Strignevi l’occhi pe’immagginà
quer che sotto ce stava
Er gusto bello de ‘na carammella
È quelllo de scartalla piano piano
Mo te le trovi già belle e scartate
Comunque sarvognuno me
Piaceno puro così
Perché a ‘na certa età
‘a vista ‘ncomicia a difettà
E tempo più nun ciài de immagginà
Figurete poi de scartà
ER PIANTO ANNISCOSTO
Puro l’ommini piagneno
Puro quelli cazzuti
Piagneno quanno so’ soli
Piagneno a l’ombra de ‘na stanza
Quanno ‘n raggio de sole je firtra da li scuri
Piagneno de notte quanno nisuno l’ascorta
Mòrte vorte piagneno ma nisuno s’accorge
Eppuro, stanno piagnenno
ER SEI DE GENNARO
Mi padre stava ‘n guera
Mi madre ar Pollicrinico
Li regazzini coreveno
Pe’ strada co’ li regali
Trovati sotto er cammino
Faceveno gran casino
Io ciàvevo ‘n cerchio de fero
E ‘n bastone de radica
Puro io corevo felice
O forze piagnevo
TE AMO
Tò sempre amato.
De quer che