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IO CANTO
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E-book96 pagine1 ora

IO CANTO

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“Certo che tu sei sempre tu,“ mi disse un giorno mio padre. Mi misi a piangere e mi abbracciò (mi sembrava fosse Superman, il supereroe interpretato da Christopher Reeve, ma forse era Mandela Lincoln e Buddha). “Grazie, di cuore papà. Ma crescerò e diventerò un ossessivo compulsivo e un BA.“ “Hai un grande talento. La tua voce è un dono di Dio. La musica ti salverà sempre. Non lo scordare mai.“ “Vorrei che fosse così. Ma i manicomi sono pieni di grandi cantanti.“ “Significa che dovrai lavorare più duramente per riuscire ad affermarti nella vita.“ Proprio a questo lavoro faticoso e vano mi stavo dedicando quel pomeriggio…
LinguaItaliano
Data di uscita22 mar 2018
ISBN9788828301233
IO CANTO

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    Anteprima del libro

    IO CANTO - Massimiliano Paci

    http://write.streetlib.com

    premessa

    Sono sempre stato un uomo pigro.

    Un giorno, mio padre mi disse che la mia inerzia pari a mille era il motivo principale per cui mia moglie mi stava lasciando. Come se il tizio che avevo conosciuto alla riunione dei Bulimici Anonimi non c’entrasse per niente. Myriam disse che avrebbe forse potuto perdonarmi qualche chilo di troppo: gli ricordavo infatti Jeffrey Drugo Lebowski (quando girava in ciabatte e vestaglia, fumando marijuana e bevendo White Russian, tanto per fare un esempio); ma quando non ero andato al funerale di mio padre (morto a due anni di distanza da mia madre, papà di cancro alla vescica e mamma fulminata da un attacco di cuore mentre riceveva una cartella esattoriale di Equitalia che la vedeva debitrice di quasi mezzo milione di euro nei confronti dello Stato Italiano), Myriam aveva cominciato a capire la faccenda della pigrizia. Nel gergo di Goncarov, ero quello che si diceva un oblomovista.

    Ti potevi mettere una giacca e un pantalone, e venire al funerale di tuo padre, disse con il tono di chi stava mettendo la parola fine a una relazione.

    Sei settimane dopo la vidi fare le valigie, prendere un taxi e andare a vivere da Jean Marc, un francese spaccone come d’Artagnan, dall’altra parte della città.

    Se voleva andarsene, che se ne andasse pure. Io non l’avrei certo rincorsa. Di carnefici la vita è piena.

    Mi sdraiai sul letto che adesso era tutto mio, nudo e con il cuscino sugli occhi. Pensai alle prime contromisure e decisi che non avrei mai più indossato mutande e calzini. Via da questi ricatti e inganni, io sarò libero. E se non mi andrà di lavarmi i denti, fare la lavatrice, pulire i pavimenti, che Dio mi sia testimone, giuro che non lo farò...

    Evviva la pigrizia.

    Eppure, so bene che non c’è nulla di bello. Su questo, mio padre aveva ragione. Un giorno, quando avevo nove anni, gli rubai tre mila lire. Non lo feci per l’ebbrezza del furto, ma per inerzia. Non avevo voglia di andare a scuola a piedi, e l’autobus mi era sembrato un’ottima alternativa. Uscendo di casa però, come Pinocchio sul carro per il Paese dei balocchi, finii con lo spendere due delle tre mila lire in cioccolata. Hai ancora mille lire, che vuoi farci? mi domandò la coscienza. Bere una Tassoni, risposi io senza scappare dalle responsabilità.

    Mia madre non c’era mai (oggi penso che si stesse preparando alla separazione, cosa che poi avvenne). La pigrizia, diceva mio padre, la bulimia, potrei dirvi io oggi, si stavano impossessando lentamente di me (le due cose sono strettamente correlate, non è un’espressione dei BA, ma dovrebbe esserlo); d’altra parte passavo molto tempo da solo e non c’era nessuno che mi insegnasse la disciplina o le buone maniere.

    Un altro colpo di genio lo ebbi il giorno che regalai alle compagne di classe gli anelli d’oro di mia madre. Peccato che tra i tanti ce ne fosse uno di diamanti che sollevò un putiferio nella scuola, perché fu l’unico a non essere ricuperato. Era un ricordo di tua nonna, prova a sforzarti. A chi l’hai dato? domandò mia madre. Li ho distribuiti a caso... Mi sembra tutto surreale. Era quello più luminoso! Non ci ho fatto caso... Cosa volevi fare? Hai nove anni, non ti è sembrato un po' presto per regalare degli anelli?

    Chi può dire quando è arrivato il momento per un uomo, e perché?

    La mia vita avrebbe preso una piega diversa se davvero mi fossi sposato a nove anni. I miei demoni sarebbero state entità meno potenti e oggi non avrei fatto richiesta di entrare in una comunità per persone con problemi psichici.

    Forse. Perché magari sarebbe andata allo stesso modo o peggio. In fondo io sono sempre io. Certo che tu sei sempre tu, mi disse un giorno mio padre. Mi misi a piangere e mi abbracciò (mi sembrava fosse Superman, il supereroe interpretato da Christopher Reeve, ma forse era Mandela Lincoln e Buddha). Grazie, di cuore papà. Ma crescerò e diventerò un ossessivo compulsivo e un BA. Hai un grande talento. La tua voce è un dono di Dio. La musica ti salverà sempre. Non lo scordare mai. Vorrei che fosse così. Ma i manicomi sono pieni di grandi cantanti. Significa che dovrai lavorare più duramente per riuscire ad affermarti nella vita.

    Proprio a questo lavoro faticoso e vano mi stavo dedicando quel pomeriggio che conobbi Myriam. Non era trascorso molto tempo da quando si era disintossicata dall’alcool e la mia speranza, suppongo, sarebbe stata quella di trovarla sempre sobria al mio rientro (e così sarebbe andata se non fosse stata una grande attrice dal talento sprecato). Ricordo di avere pensato che eravamo una bella coppia. A cena non avremmo mai confuso i ruoli: lei si sarebbe occupata del beveraggio, io (peraltro in anticipo sui tempi) degli alimenti. Ricordo che sovente lei aveva emicranie pazzesche mentre io indigestioni coi fiocchi.

    Non udimmo mai temi alla Morricone che ci ricordassero che la vita va presa sul serio. Nessuna informazione che non solo la nostra piccola vita ma le vite di tutti gli abitanti del pianeta corressero uguali grandi pericoli. Ma non lo capiamo mai prima, giusto? La storia insegna che la storia non insegna nulla.

    Ricordo anche che andammo vicini ad avere un figlio. Ricordo ogni parola. Certo che ricordo ogni parola. Il giorno che Myriam uccise la vita che portava in grembo morii pure io.

    Era mattina presto. La guardai e pensai che doveva essere incinta. Il test risultò positivo. Ci guardammo e incominciammo a piangere. L’emozione era così grande che dovetti uscire di casa per prendere una boccata d’aria. Al rientro vidi il computer acceso sulla legge 194, quella sull’interruzione volontaria della gravidanza.

    Mi mancò il respiro e qualcosa si ruppe dentro (aveva l’aria di un congegno fondamentale perché dopo non avvertii più dolore). Myriam fu molto contenta che non ne feci una questione di stato. Fino a quel giorno avevo considerato l’idea di stare insieme una fortuna. Forse col tempo

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