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Mohamed Saji (Diario di un malvivente)
Mohamed Saji (Diario di un malvivente)
Mohamed Saji (Diario di un malvivente)
E-book117 pagine1 ora

Mohamed Saji (Diario di un malvivente)

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Info su questo ebook

Mohamed Saji è un giovane tunisino che decide di andare a cercare fortuna in Europa. Insieme all'amica Manjoula, ragazza con i suoi stessi sogni, atterra a Roma e con l'aiuto di un gruppo di ragazzi conosciuti per strada inizia a vendere cd in un parcheggio.

I primi guadagni arrivano però rapinando una casa, ma a causa della misteriosa sparizione di Manjoula decide poi di abbandonare la capitale iniziando così un avventuroso viaggio su e giù per l'Italia all'insegna di furti e omicidi.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ago 2014
ISBN9788867823154
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    Anteprima del libro

    Mohamed Saji (Diario di un malvivente) - Claudio Zubani

    Claudio Zubani

    Mohamed Saji

    (Diario di un malvivente)

    GDS

    Claudio Zubani

    Mohamed Saji ( Diario di un malvivente)

    Editrice GDS

    Via Matteotti 23

    20069 Vaprio D’Adda-Mi

    Tel 02.9094203

    Mail: edizionigds@hotmail.it

    www.editoriunitigds.it

    www.gdsedizioni.it

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Collana Ombre e misteri

    copertina: © Tiero- fotolia.com 

    Ogni riferimento a Nomi,persone e luoghi sono da ritenersi casuali

    Grazie a te, Ida,

    per l'incondizionato amore

    e costante supporto

    Mi chiamo Mohamed Saji, ho 23 anni e attualmente sono detenuto nella casa circondariale di Villate, un paesino sconosciuto in provincia di Bologna. Praticamente sono un carcerato. Non credo avrò modo di uscire presto da qui, in fondo le condanne per omicidio, sommate ad altri reati minori, sono difficili da farsi ridurre, soprattutto nei casi di colpevolezza conclamata. Se dovessi mai riuscire nella mia utopia di riabbracciare la libertà, bhe vi assicuro che non durerebbe comunque molto, in quanto ho già in testa un paio di persone a cui far assaggiare la mia voglia di vendetta.

    Qui dentro, a voler dirla tutta, non si sta poi neanche così male. Ovviamente niente a che vedere con la vita al di la delle sbarre, ma tutto sommato mi trovo molto meglio di quanto immaginassi quando ero fuori, consapevole che prima o poi sarei finito qui o in galera da qualche altra parte del mondo. Per lo meno non devo più pensare a trovar i soldi per tirare avanti. L'unica preoccupazione è decidere come passare la maggior parte del tempo libero, e non pensate che qui le ore trascorrano senza far niente. Tutt'altro. Ognuno di noi ha un suo compito, io per esempio mi occupo tre ore al giorno della pulizia degli uffici sotto la stretta sorveglianza di ben due guardie.

    Comunque ripeto, non mi lamento. Per il resto dormo, guardo il cielo, ripenso alla mia vita e altre due ore al giorno volano via per i pasti. Colazione non la faccio perché preferisco dormire fino a quando decido io. Purtroppo la mia stanza non è dotata di televisione, altrimenti avrei un passatempo in più. Prima ne avevo una, poi un giorno ha smesso di funzionare e l'aver segnalato la cosa a chi di dovere mi ha privato anche della sua funzione di soprammobile. Pensavo me ne avrebbero portata una nuova e funzionante, invece niente. Da qualche giorno ognuno di noi ha ricevuto in dono dalla direzione, la magnanima direzione, dei fogli bianchi rilegati con una spirale di plastica nera ed una matita. Nessuno ci ha spiegato il motivo di tutto ciò ed inizialmente non sapevo neanche cosa farmene di tutta quella carta. Ho anche pensato che potesse trattarsi di una sorta di test psicologico. Ognuno di noi scrive o disegna ciò che gli passa per la testa, poi loro lo analizzano con qualche superspecialista strizzacervelli. Chissà.

    Ieri pomeriggio, mentre sistemavo l'ufficio del direttore, mi è capitato tra le mani un libro intitolato Le mie prigioni, scritto da un certo Silvio Pellico. La cosa mi ha provocato subito un sorriso amaro, ma allo stesso tempo dato l'idea su cosa farmene di tutti quei fogli che mi avevano consegnato. Chi era questo Silvio Pellico? Provai a domandarlo alle due guardie che mi stavano controllando, ma nessuna delle due fu in grado di formulare una risposta adeguata. Poco mi importava, era più una curiosità. Stamattina mi sono persino alzato prima del solito per iniziare a scrivere quella che è la mia di prigione, o più che altro come ci sono arrivato. Non credo proprio che fuori troverei un modo migliore per occupare il mio tempo. Anzi.

    Molti miei compagni di avventura passano le giornate a piangere e urlare. Alcuni sono convinti di essere innocenti, e magari lo sono pure, chi può dirlo, altri invece vorrebbero uscire pur ammettendo le proprie colpe. Ecco, di tutti, questi sono quelli che non capirò mai. Io ho commesso numerosi reati nella mia vita, e fino a quando riuscivo a farla franca ero contentissimo, ma sapevo bene che prima o poi mi avrebbero beccato. Quella maledetta sera in cui quel grosso omaccione mi stese a terra sul pavimento gelido, facendomi poi arrestare, non la scorderò mai. Ero li, immobile, consapevole che il gioco era finito. Presto sarebbero arrivati i poliziotti o chi per loro e mi avrebbero portato in questura. Era giusto così. Non aveva più senso scappare, dovevo arrendermi e accettare di pagare le conseguenze delle mie azioni.

    È come una partita di calcio. Puoi anche perdere 4-0 e continuare a lottare, ma quando mancano ormai pochi secondi al fischio finale sai benissimo di aver perso e non corri nemmeno più. Per lo meno io da piccolo facevo così.

    Tra i tanti reclusi Osvaldo ha la palma di essere il più insopportabile e piagnucolone di tutti. Pensate che ha 72 anni e a sentirlo sembra un bambino di 7 a cui la mamma non vuole dare la marmellata. Qui dentro tutto è regolato dalla più meticolosa burocrazia. Hai bisogno un dentifricio? Bene, compili l'apposito modulo e lo avrai. Devi spedire una lettera? Altro modulo e sarà fatto. Solamente per la mia televisione non c'è stato modulo in grado di farmene avere una nuova. All'inizio c'è da diventar matti, ma poi ci si abitua anche a questo. Osvaldo invece è qui da otto anni e ancora ogni giorno si lamenta perché deve riempire quelle domande per avere qualsiasi cosa gli interessi. Non credo nemmeno sapesse leggere prima di essere arrestato, poi a forza glielo hanno fatto imparare. Forse è per questo motivo che detesta tanto la burocrazia carceraria.

    Comunque, torniamo a monte. Mi chiamo Mohamed Saji e come dicevo ho 23 anni. Avrete già intuito che non sono propriamente italiano, infatti le mie origini sono tunisine. Sono nato a Port El Kantaoui, una piccola zona turistica nella parte est della Tunisia, a 10 km da Sousse. Ero il quarto di sette fratelli, tutti maschi, e sinceramente di buona parte di questi non ho la più pallida idea della fine che abbiano fatto. L'unico con cui sono rimasto in contatto è Karim, il più grande del branco. Sia chiaro, per restare in contatto intendo che l'ho sentito tre o quattro volte negli ultimi tre anni. Da quando sono qui non ho più avuto modo nemmeno di pensare a lui se non in questo preciso momento. Mia mamma passava il tempo occupandosi di noi. Ci chiamava affettuosamente le sue bestioline e a pensarci la definizione calzava molto bene.

    Mio padre era un commerciante. Un po' come tutti gli uomini adulti della mia città. Fare il commerciante da noi è un lavoro completamente diverso da quello a cui sicuramente state pensando voi. Vi spiego come funzionava la sua giornata. Si alzava ogni mattina verso le 6.30. Andava con la sua vecchia Volkswagen Derby color beige rubata chissà dove alla medina, il mercato di Sousse, dove si incontrava con tanti altri uomini, commercianti come lui, per attendere il cosiddetto fornitore. Questo arrivava su un furgone bianco e scaricava una gran quantità di merce sulla strada. Ognuno dei commercianti ne arraffava più che poteva e se la portava nel proprio negozio per cercare di vendere.

    Il tutto avveniva dietro pagamento di una specie di tassa mensile con cui di fatto campava il suddetto fornitore. Se non pagavi la tassa non potevi portare via niente e quindi non vendevi. Poi stava a te accaparrarti più merce possibile, in una sorta di guerriglia senza armi che si risolveva in genere tra i cinque e i dieci minuti. Mio padre non aveva un vero e proprio negozio. Si metteva fuori casa seduto sul marciapiede. La merce era esposta su un calesse e chiunque passava poteva acquistare ciò che era di suo gradimento. Sul calesse c'era di tutto. Dipendeva da quanto recuperato la mattina alla medina. Quasi sempre avanzavano molte cose e così il giorno successivo mio padre poteva alzarsi alle 8 senza dover prima passare da Sousse.

    Gli affari non andavano bene. Era così per tutti. Il più delle volte finiva che chi acquistava qualcosa pagava direttamente con forme di cibo o altri beni. Eravamo ancora al baratto in sostanza. Quando riusciva a portare a casa tanto pane per sfamare tutta la famiglia era festa. Molte volte si faceva a turni per mangiare. Chi mangiava a pranzo saltava la cena e viceversa.

    Mia mamma si arrabbiava sempre perché gli diceva di spostarsi con quel calesse e raggiungere le zone visitate dai turisti europei. Loro si che avevano soldi e di sicuro si poteva raggirarli in qualche modo, così da portare a casa soldi veri. Gli europei non stanno a guardare quanto vale la cosa che comprano. L'Importante è averla presa in vacanza e farla vedere agli amici appena rientrati in patria, poi pagarla 10 o 50 dinaro per loro è uguale. Mio padre però non voleva. Per

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