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E-book355 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Può l’amore per un’artista spingersi a tal punto da organizzare il suo rapimento?

Un giorno Laura, cantautrice italo americana di fama internazionale, si sveglia e scopre di essere stata rapita da un gruppo di fan. A capo della gang c’è Emma, la fondatrice del suo più grande fan club.

I giorni di prigionia saranno l’occasione per entrambe di conoscersi e di ripercorrere alcuni episodi della propria vita. Tuttavia, a Laura qualcosa non quadra: la situazione ha degli aspetti poco chiari che non la convincono del tutto e non smette mai di desiderare la sua libertà. Ma quando riuscirà finalmente a ottenerla, troverà la sua vita sconvolta da un profondo e inesorabile cambiamento.

Tornano Laura e Paola, e altri personaggi legati alle vite delle protagoniste.

Un’incursione nel mondo saffico (e dintorni) e in quello un po’ pazzo dei fan.

Ma è soprattutto un viaggio alla scoperta della nostra straordinaria capacità di amare oltre le convenzioni; di superare i nostri condizionamenti e andare oltre noi stessi.

Nonché di accettare ciò che la vita ci mette davanti anche quando non corrisponde esattamente ai nostri sogni.
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2019
ISBN9788831626187
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    Anteprima del libro

    Fan club - Laura Zoe Pace

    LP

    PRESENTAZIONE

    Può l’amore per un’artista spingersi a tal punto da organizzare il suo rapimento?

    Un giorno Laura, cantautrice italo americana di fama internazionale, si sveglia e scopre di essere stata rapita da un gruppo di fan. A capo della gang c’è Emma, la fondatrice del suo più grande fan club.

    I giorni di prigionia saranno l’occasione per entrambe di conoscersi e di ripercorrere alcuni episodi della propria vita. Tuttavia, a Laura qualcosa non quadra: la situazione ha degli aspetti poco chiari che non la convincono del tutto e non smette mai di desiderare la sua libertà. Ma quando riuscirà finalmente a ottenerla, troverà la sua vita sconvolta da un profondo e inesorabile cambiamento.

    Torna Laura di Nuvole di polvere e diamanti senza nome. Tornano Paola e altri personaggi legati alle vite delle protagoniste.

    Un’incursione nel mondo saffico (e dintorni) e in quello un po’ pazzo dei fan.

    Ma è soprattutto un viaggio alla scoperta della nostra straordinaria capacità di amare oltre le convenzioni; di superare i nostri condizionamenti e andare oltre noi stessi.

    Nonché di accettare ciò che la vita ci mette davanti anche quando non corrisponde esattamente ai nostri sogni.

    In fondo… questo per me è vivere.

    LZP

    PARTE PRIMA

    1.

    Non sapevo cosa volesse dire aprire gli occhi e non avere uno straccio di idea di dove ci si trovi. Adesso lo so. Credevo di essermi svegliata nella mia stanza, invece non coincide più nulla. La finestra è dalla parte opposta rispetto al solito. Le tende sono lunghe fino al pavimento e hanno striature bordeaux che richiamano il colore del tappeto rotondo e lanoso posto in fondo al letto. L’armadio ha metà delle ante ed è beige anziché essere bianco. È anche comparsa una specchiera vintage dello stesso colore delle striature delle tende e del tappeto. Il comodino, poi, è un perfetto estraneo. E io a malapena riesco a ricordare il mio nome…

    Laura… ecco sì… Laura… cantautrice italo americana di fama internazionale. Così dice di me l’enciclopedia online.

    Ma dove sono finita? Domanda lecita, e la risposta scontata: come faccio a saperlo?

    Mi viene il dubbio di essere viva. Mi mordo un labbro e non sento dolore. Ma non sono spaventata. Sono solo in attesa di capire. Prima capisco, poi decido se devo spaventarmi.

    Provo a chiamare. Ehi, c’è qualcuno qui?

    Attendo un po’. Ma non vedo arrivare nessuno. Piano piano mi riaddormento.

    Passo continuamente dalla veglia al sonno. Devono avermi drogata. Sì… ma chi? E dove sono Paola e Flora? 

    Sono stata rapita. È così, senza dubbio.

    Mi hanno portata di peso fino a qui, e per farlo mi hanno di sicuro narcotizzata. Va bene, adesso posso preoccuparmi. Ci sono tutti i presupposti per farlo.

    Certo, di soldi ne abbiamo io e Paola, ma con me non diventano ricchi. Al massimo si fanno qualche anno nel lusso, però non arrivano alla pensione con i miei averi. Se inoltre sono più di uno e hanno pure famiglia, nella spartizione non rimane granché. My God! Appena lo avranno capito mi ammazzeranno, perché non servirò più a niente. 

    Eppure non ho paura. Dovrei averne. Forse ne avrò non appena uno di quei bruti farà irruzione nella stanza con la mollica di pane inzuppata nel brodo vegetale. Mi daranno solo quello da mangiare, lo sento. Zuppa brodosa con scarafaggi. Cercherò di convincerli a darmi almeno una birra. Dio solo sa quanto ho voglia di berne una! Provo ancora a chiamare. Ehi, c’è qualcuno?

    Be’, prima o poi arriveranno. Ora ho sonno, maledizione. Chissà cosa mi hanno dato questi delinquenti!

    Ma quanto ho dormito? Penso parecchio; mi sento in un lago di sudore.

    Non riesco a capire se sono davvero sveglia. C’è una ragazza nella mia stanza. L’ho intravista, avvolta da un alone, come fosse un’apparizione. 

    Quindi mi ha rapito una donna… È una buona notizia per me! Le donne mi hanno sempre riempito di baci e di birre. Ispiro questo in loro: sesso e birra.

    «Ciao Laura. Sono Emma. Ti starai chiedendo perché sei qui e chi sono. Ora ti spiegherò tutto.»

    È lei. Non è un’apparizione. È questa Emma. Niente zuppa di formiche, niente bruti. Forse è davvero il paradiso! Se non fossi convinta che lassù non mi vogliono, penserei di essere morta e di averlo raggiunto. Ma no, non può essere… Il regno dei cieli ha di sicuro una scorta di birra per l’eternità, invece qui non ne vedo neppure l’ombra.

    Ho una sete fottuta. Provo a chiedere ancora.

    Emma però fa finta di niente.

    Forse non è il capo della gang. Deve aver ricevuto ordini ben precisi. Le avranno imposto di non instaurare rapporti personali con la merce in magazzino. Usano di sicuro questa metafora per parlare di me, nel caso ci fossero intercettazioni ambientali.

    «Sono la fondatrice del tuo fan club. Ci siamo viste tante volte, ricordi? Durante i tuoi concerti ero sempre in prima fila, poi con le altre del gruppo ci siamo viste nel backstage, venivamo a portarti i regali dei fan.»

    Allora sei il capo. Okay, prendo atto. Ora mi ricordo di te. Sguardo aperto e pieno di grinta. La tua risata trasforma gli occhi in fessure che sprizzano acume e voglia di vivere. Si capisce dal tuo modo di fare che sei una tosta. Dolcezza e forza, mi viene in mente questo di te. E anche la tua fresca bellezza, i capelli biondi, lunghi e lisci, gli occhi chiari e sinceri. 

    Sei così differente da me, a mia madre saresti piaciuta. La figlia perfetta. Magari ti avrebbe insegnato a non rapire la gente, per il resto ti avrebbe adorata.

    Io invece non ho sentito la sua adorazione, ma avevo i capelli ricci e neri io. Lei sognava una bambina bionda e dolce, e le sono capitata io: riccia, mora e lesbica.

    Non so perché mi sia venuta in mente mia madre, da tanto non pensavo a lei. Forse perché se ti rapiscono e ti tolgono i riferimenti del tempo cerchi dentro di te le coordinate. E mia madre fa senz’altro parte dei punti cardinali della mia vita.

    Emma sta parlando, sto facendo un grande sforzo per ascoltarla. Vorrei capire quali sono le sue intenzioni e quanto mi terranno qui. La mente, però, mi sta trascinando altrove.

    Le mani di mia madre nei miei capelli, il suo profumo delicato, la voglia di stare sempre con lei e la sofferenza di non averla mai abbastanza accanto. Tutto sta tornando alla memoria, come un’onda improvvisa nata da un terremoto lontano. Sento però che non mi farà alcun male, perciò mi lascio andare ai ricordi.

    Ho portato i capelli lunghi fino a dodici anni. Mia madre mi acconciava tutte le mattine per un buon quarto d’ora. Infilava tra i miei ricci ogni sorta di forcina, sembravo una bambolina. Lo faceva anche se sapeva che poi, come uscivo di casa, le forcine finivano in tasca a e io mi facevo la coda bassa perché i capelli non mi dessero fastidio mentre giocavo. Io non ero d’accordo sulla pettinatura, ma avevo intuito quanto era importante per lei quel momento. Perciò, andando contro la mia indole ribelle, la lasciavo fare.

    Solo più tardi ho capito quanta importanza aveva anche per me.

    Mia madre era sempre indaffarata. Me la ricordo costantemente immersa nella correzione dei compiti o nelle faccende di casa. La sistemazione della mia chioma era un momento che dedicava solo a me. Era il nostro punto di incontro, il luogo dove confluivano le coccole mancate, le parole non dette, gli abbracci attesi e mai ricevuti. Sono momenti che custodisco nel cuore gelosamente; con il tempo hanno spazzato via il vuoto lasciato dalla sua scarsa partecipazione alla mia vita di bambina.

    Ricordo che ogni mattina si materializzava dietro di me, silenziosa, mentre mi preparavo per andare a scuola. Attendeva paziente, con le forcine tra le labbra, finché finivo di lavarmi e poi davanti allo specchio iniziava a pettinarmi. Io le chiedevo di chiudere la porta e nel silenzio del bagno le ponevo semplici domande sulla vita o le raccontavo com’era andata a scuola. Lei rispondeva a monosillabi, intenta a domare i miei capelli ribelli. Ma per me i suoi mugugni erano sufficienti: mi bastava averla tutta per me.

    Come raggiunsi l’età del libero arbitrio, però, decisi di rompere quell’incantesimo.

    Non avevo ancora iniziato a farmi domande sulla mia personalità, me ne fregavo di queste cose, semplicemente i capelli lunghi intralciavano le mie attività. Per me era giunto il tempo di tagliarli. Senza rendermi conto, lo capisco solo ora, era arrivato anche il momento di trovare la mia strada.

    La affrontai con queste precise parole:

    «Mamma, mi porti dal parrucchiere a tagliarmi i capelli?»

    Lei si mostrò contraria, ne fece quasi un dramma. Il motivo è presto detto: i miei lunghi capelli erano l’unica evidenza, a parte il nome, che appartenevo al genere femminile. Per il resto, giocavo a basket con i maschi, mi vestivo con jeans e magliette informi ed ero ben lontana da ogni atteggiamento tipico delle bambine di quella età.

    Lei ci teneva, sai, che non fossi scambiata per un ragazzo.

    Aveva sempre desiderato avere una figlia femmina, non era un segreto. Ha continuato per tanto tempo a ripetermelo, aveva solo l’accortezza di non dirlo davanti a Dave, perché era geloso di me e non avrebbe sopportato di essere oggetto della delusione di mamma. Ma la verità era questa. Me l’ha fatto capire raccontandomi per tutta l’infanzia la storia di com’era riuscita a concepirmi. L’ho sentita così tante volte da farne un trattato.

    Quando ancora non conoscevo la magia del concepimento mia madre mi diceva che si avvicinava a papà solo durante la luna piena e, in quei giorni, mangiava solo banane (se sulla luna piena potevo avere qualche idea, ignoro tuttora il ruolo delle banane). Poi, consultava il calendario cinese e quello maya. Più avanti, quando a scuola mi chiarirono come si concepiscono i bambini, andò più nel dettaglio, spiegandomi di aver seguito anche tecniche rigorosamente scientifiche, come attendere di avere rapporti cinque giorni dopo un tal giorno, calcolato sulla base di una vera e propria funzione matematica.

    Ancora adesso mi chiedo come una persona istruita possa affidarsi a certe credenze. Penso che quando abbiamo un sogno, la cui realizzazione dipende totalmente dal caso, come appunto concepire una femmina, questo ci intorpidisca l’intelletto. È l’unica spiegazione possibile. Purtroppo il fatto che ci fosse riuscita (la prima volta no, la seconda sì, e questo dice tutto) non mise mai in discussione i suoi infallibili metodi. Mamma era un’insegnante di matematica. La sua voglia di avere una femmina annullò anni e anni di studio, cancellando dalla sua mente un concetto semplice come quello del cinquanta percento delle probabilità. Questo è per dire quanto lei ci tenesse ad avere una pupattola vestita di rosa.

    «Mamma, non ti ho chiesto un parere. Ti ho chiesto un passaggio dal parrucchiere.»

    A dodici anni ero già tosta. Le dissi proprio così. Mi sarei meritata una sberla (erano tempi in cui si davano ancora), lei però non lo fece.

    Era particolare mia madre. Insegnava in una delle migliori High School di New York, e per molti anni è stata in bilico tra il voler essere controcorrente e la necessità di accettare situazioni convenzionali che le potessero dare stabilità. Alla fine ha prevalso la noia, o almeno io l’ho sempre considerata tale. Ha sposato mio padre, un medico benestante, moderatamente conservatore, italo americano come lei.

    Malgrado questo, era riuscita a mantenere qualche lato autentico e singolare che la distingueva da tante altre signore del suo giro. Amava i sillogismi, le frasi ben fatte, le prese di posizione decise e intelligenti. Con le mie affermazioni l’ho spesso sorpresa. Di fronte alle mie sortite intelligenti, anche se irrispettose, capitolava. Per rispetto verso l’intelligenza, non verso di me.

    Quel giorno finì per accompagnarmi dal parrucchiere. Così, con mia madre piangente a osservare i miei capelli sul pavimento, dissi addio a gran parte dei ricci e a quella importante parentesi della mia vita.

    Emma sta ancora parlando. Il suo tono è dolce anche se a tratti lo sento venato di tristezza. Mi spiega perché sono qua.

    Non ricordavo che mi fosse successo tutto questo. Durante l’ultimo concerto sono salita sul palco ubriaca e a metà esibizione sono scesa. Però senza prendere le scale. Sono caduta da quasi due metri di altezza, ho sbattuto la testa e ho perso conoscenza. Il resto è una storia che posso immaginare. Le mie fan avranno aspettato che fossi fuori pericolo per rapirmi e portarmi nel loro covo segreto. Lo scopo? Disintossicarmi dall’alcol e riportarmi allo splendore degli inizi della mia carriera.

    Comunque ho capito: non berrò più alcolici per molto tempo. Niente vino e ancora meno la tequila! Adoro la tequila di sera… ora dovrò farne a meno.

    Un po’ me la sono voluta. Nell’ultimo periodo ho fatto parecchie cazzate, dovute al mio stato di ebbrezza alcolica permanente. Il mio successo è in declino per questo.

    «Noi vogliamo tutte rivederti sul palco a cantare, vedrai che ci riusciremo. Ti fidi di noi? Abbiamo pensato di darci il cambio. Staremo qui, non ti perderemo mai di vista. Non sarà facile, ci dovrai aiutare. Ma insieme ce la faremo.»

    Quindi bye bye tequila. La faccenda qui sarà dura. Però almeno non mi ammazzeranno. Fra un mese sarò disintossicata e mi lasceranno andare. E finalmente potrò farmi una pinta di birra fresca, in un bicchiere ghiacciato, che scrocchia quando la bevi. Dio che sete! 

    Ultimamente ho esagerato lo ammetto. Anche con Paola ho avuto delle divergenze in merito. E non solo per quello. Sa essere una testa dura quando vuole la mia signora. Sono venuta in Italia perché la amo da impazzire e l’unico mio desiderio era stare con lei e con nostra figlia Flora. Eppure continua a essere gelosa. Di tutte le donne del mondo.

    Non posso fare questo mestiere e stare con una donna gelosa. Perché mi girano intorno bellissime donne piene di buoni sentimenti e basta un bicchiere in più, a volte, per cadere ipnotizzata ai loro piedi. 

    Non l’ho tradita tante volte, sai Emma? Solo due. Due non sono tante in tre anni, meno di una all’anno come media, e se resisto anche quest’anno fa mezza donna all’anno. Che tradimento sarà mai con mezza donna?

    L’ultima volta, cioè la seconda in cui l’ho tradita, non ci ha più visto e mi ha buttato fuori di casa. Ha minacciato di non farmi più vedere Flora se non smetto di bere. Avete fatto bene a rapirmi. Spero solo che non sia troppo tardi. 

    Ho chiesto a Emma se si sono messe in contatto con Paola. Ma non ho ricevuto risposta. Certo, in un rapimento queste cose sono delicate. Credo che prima di tutto si debba mettere la persona rapita in una condizione di isolamento, in modo da poterla manipolare più facilmente. Questo è ciò che penso io, che però non ho mai sequestrato nessuno.

    Alla fine, Paola mi aveva ripreso in casa, ma la situazione non si è del tutto calmata. Ora però si starà sicuramente preoccupando, starà pensando a qualcosa di brutto. O peggio, che sono di nuovo sparita con qualche donna. Un’infermiera, una dottoressa o un’inserviente, ne girano di carine negli ospedali e io ho un debole per il camice bianco, lei lo sa bene. My God! Starà di nuovo facendomi le valigie! Figuriamoci se sospetta un rapimento! No, no, dovete avvisarla. Capito Emma? Ditele che mi avete rapita così sta tranquilla.

    Emma cambia discorso. Mi sento trasparente.

    «Siamo in sei donne a gestire il fan club. Abbiamo fatto un piano. Verranno a presentarsi due di loro nei prossimi giorni. Sarò io, però, il tuo riferimento. Rimarrò qui con te il più possibile. Sai, ho quasi lasciato la mia fidanzata per essere qua. Si chiama Federica. Sì, sono lesbica anch’io come te. Anzi a essere onesta sarei bisessuale perché sono stata con alcuni ragazzi in passato e mi è piaciuto, e anche adesso se vedo un bel ragazzo mi scatta qualcosa. Però le mie ultime relazioni sono state con donne, con l’ultima ci sto convivendo. O, almeno, ci convivevo. Non so cosa abbia deciso di fare adesso. Comunque mi sento più lesbica che bisessuale. Ah… ho ventotto anni.»

    Emma parla senza fretta, la sua voce mi arriva decisa, come se darmi queste informazioni personali fosse per lei un piacevole dovere da assolvere.

    Qualcosa di tutta questa situazione non mi convince. La sento troppo tranquilla, se io avessi rapito qualcuno sarei agitata, pronuncerei le parole a scatti, metterei tanti you know dappertutto. Non si capirebbe nulla. Invece Emma ha parlato correttamente, può essere che si sia preparata, però un tremolio ogni tanto dovrebbe scapparle. Un intoppo nella voce, la necessità di deglutire dopo la virgola. Il suo discorso è andato via troppo liscio.

    Ventotto anni. Sei giovane ragazza. Ne hai di fegato a metterti in un casino come questo. Anche se lo fai a fin di bene, vai poi a spiegarlo alla polizia quando ti verrà ad arrestare. Qualcuno si starà chiedendo dove sono finita e ci mettono poco, al giorno d’oggi, a fare ricerche e trovarvi. Inoltre, se devo dirla tutta, sono piuttosto convinta che qualche soldo lo avete chiesto. Almeno per finanziarvi l’operazione. Non sta in piedi che volete solo farmi smettere di bere. Ecco… bere.

    Disintossicatemi in fretta, per favore, che appena esco di qui mi precipito nel primo pub e chiedo di fare un bagno nella birra ghiacciata!

    Maledizione, mi è ritornato un fottutissimo sonno. Mi avete dato da bere qualche intruglio per farmi dormire, ne sono certa.

    Mi sono svegliata ed Emma non c’è già più. Al suo posto, seduta distante dal mio letto, c’è un’altra ragazza, capelli corti, neri, con grande frangia da un lato, jeans e maglia rossa.

    Mi osserva sorridendo.

    Ma mi riaddormento senza riuscire a chiederle nulla.

    2.

    Credo sia passato qualche giorno. Hanno tenuto le imposte chiuse, da qui non vedo se è giorno o notte, e in quale stagione siamo. Credo sia ancora inverno.

    Il concerto, quello in cui inciampando sui miei vizi sono caduta dal palco, era al chiuso. Fuori faceva molto freddo. Ne avevo preso così tanto girando per la città, di giorno, in cerca di un localino dove bere e mangiare qualcosa, che neppure sul palco, con le luci sparate su di me, avevo iniziato a considerare di togliermi la giacca in pelle indossata sopra al maglione.

    Ricordo che il pubblico mi lanciava sul palco sciarpe e berretti. Ma non sciarpe e berretti qualsiasi. Avevano tutti il mio nome, la bandiera o la frase di una mia canzone. E anche una coperta da divano con la mia foto, come fosse normale avvolgersi nella propria faccia ingrandita dieci volte. Io non rischio mai di prendere freddo, di diventare apolide o di perdermi senza sapere chi sono. Le mie fan, con i loro regali, mi preservano da queste sventure.

    Mi hanno sempre lanciato di tutto sul palco. D’estate mi lanciano i reggiseni. Lo fanno sempre appena inizia un po’ di caldo. Se li tolgono e me li passano, come fosse un intimo favore, con la stessa dolcezza con cui mi passerebbero una rosa.

    Ho ricevuto tante cose in questi anni. Dipinti e disegni di me e della mia famiglia. Braccialetti, collane, anelli, orecchini e peluche. Bandiere e cartelli, taglieri e cuscini. Magliette di tre taglie, per me, per Paola e per Flora. Mazzi di fiori e fiori di pezza. Bambole fatte in casa che indossano i miei vestiti. Portachiavi a cavatappi. Una volta mi hanno portato le frittelle con le mele e l’uvetta.

    E bottiglie di vino e di birra. Tantissime. Sanno che mi piace bere e sono convinte che mi piacciano i regali.

    Infatti li adoro. Se un giorno smettessero di farmi regali io smetterei di cantare. Canti per i pacchetti e le sorpresine mi dicono sempre Paola e Flora, prendendomi in giro. Dicono che sono io la vera bambina tra loro. Poi però mi assecondano o, meglio, mi lasciano fare rassegnate.

    Come quel giorno, che sono tornata da un concerto assieme a tre bamboline con la nostra faccia. Quella raffigurante Paola era paffuta e mi faceva tanto ridere. Lei si era offesa, poi l’aveva accettata. Ho passato molto tempo a giocarci. Le ho portate a tavola con noi e ho apparecchiato per loro con i piattini piccoli, le forchettine e il bicchierino da liquore riempito di birra. Paola e Flora mi hanno aiutata. Alla fine ho fatto una foto con le bambole e noi tre, e l’ho postata sui social. Le mie fan sono impazzite di gioia.

    Da allora non c’è concerto in cui non riceva delle bambole o dei pupazzi che mi assomigliano. Le porto sempre tutte a casa. Ho una parte della libreria riservata a loro, anche se Paola cerca continuamente di metterci dei libri davanti. La lascio fare e poi li sposto.

    Paola deve capire che ho delle voglie represse. Non ho mai giocato con le bambole da piccola e adesso devo recuperare. Questo è strano, lo so. Ogni bambina possiede almeno una bambola. Ma non tutte hanno avuto un fratello come il mio.

    Lascia che ti racconti com’è andata, Emma.

    Dave è più grande di me di dieci anni. Mia madre gli diceva spesso di accudirmi quando ero piccola, solo che il ruolo di fratello maggiore gli toglieva in automatico almeno cinque anni. Non c’era nulla nel suo modo di fare che dava evidenza della sua più avanzata maturità. Era solo più grosso.

    Essendo un maschio, soggetto ad annoiarsi facilmente, per divertirsi mi obbligava a prendere i suoi giochi di un tempo: macchinine, soldatini e supereroi. Convinse mia madre che mi piaceva giocare solo con quelli e che detestavo le bambole.

    Le prime e ultime bambole di cui conservo il ricordo, erano finite subito nelle sue mani: le maltrattò finché si ruppero.

    Mia madre mi attribuì, senza porsi alcun dubbio, la responsabilità di quello scempio. Quando le vide così conciate le buttò nella spazzatura, accompagnando l’operazione con un sonoro: Vergognati, rivolto a me. Non manifestò mai alcun sospetto verso Dave e non tentò più di regalarmene.

    Da quel momento mi riempì di giochi di società, dei quali sono diventata un’esperta, e di libri, che non si disturbava neppure a impacchettare. Tanto i pacchetti sono cose da femminucce, diceva, e dentro casa avevano ormai tacitamente stabilito che non appartenevo a quella categoria.

    Da piccola l’atteggiamento di mia madre non lo ritenevo strano, anche se era chiaramente contraddittorio. Ora riesco a focalizzarlo meglio.

    Desiderava vedermi femminile più di ogni altra cosa e ha tenuto duro, finché c’è riuscita. Poi qualcosa in lei ha ceduto. Credo avesse intuito, già allora, che un giorno mi sarei dovuta interrogare sulle mie preferenze sessuali. La mia presunta avversione per le bambole le aveva dato una conferma definitiva. Decise perciò di non sprecare altro tempo e di tenere per sé, per il proprio riscatto personale, almeno la gestione dei miei capelli e l’acquisto di abiti femminili che non indossavo mai. Però lei li comprava, perché l’armadio pieno di abitini rosa, di fiocchi e di paillettes faceva parte di un sogno irrinunciabile.

    Mentre per il resto… non mi interpellò neppure, non si fermò mai a parlare veramente con me, per cercare di capirmi. Mi spostò da una scatola all’altra, cambiando solo l’etichetta.

    Così inscatolata riuscì a farmi crescere.

    Da allora, per me, le bambole, i pacchetti e le sorprese sono come gli abbracci per un porcospino desideroso di affetto: l’oggetto perenne del desiderio.

    Anche voi mi avete regalato delle bambole Emma, le ricordo bene… Avete messo a Paola un candido vestito bianco da sposa e a me un completo maschile nero, camicia bianca e papillon. Lo so, ci volete vedere sposate.

    Lo faremo, te lo prometto. Quando uscirò di qui andrò da Paola con un grosso anello e le chiederò di sposarmi.

    Vorrei tanto averlo

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