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Emergenza Permanente: L'Italia e le politiche sull'immigrazione
Emergenza Permanente: L'Italia e le politiche sull'immigrazione
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E-book244 pagine3 ore

Emergenza Permanente: L'Italia e le politiche sull'immigrazione

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Info su questo ebook

In Italia, l’immigrazione è ovunque. Non gli immigrati, ma proprio l’immigrazione in quanto argomento di discussione. Anche se i numeri degli immigrati non sono paragonabili a quelli di molti Paesi europei o di altre aree del pianeta, comunque sono sufficientemente elevati da comportare un impatto significativo sulla sfera economica, sociale e culturale. L’obbiettivo di questo volume è fornire un’analisi delle politiche italiane sull’immigrazione. Il focus principale è sui luoghi e sui soggetti che decidono come gestire i flussi migratori e la presenza straniera nel Paese.
Il volume è diviso in tre parti. Nella prima vengono introdotti i concetti principali per definire le migrazioni, i numeri del fenomeno a livello globale, europeo e italiano. La seconda parte descrive l’apparato teorico per l’analisi delle politiche pubbliche, dalle forme di produzione delle policy agli attori coinvolti nel processo decisionale. Facendo riferimento a tali strumenti, la terza e ultima parte offre un resoconto sulla gestione dell’immigrazione in Italia, sul suo sviluppo e sui problemi aperti.
LinguaItaliano
Data di uscita28 nov 2018
ISBN9788829561353
Emergenza Permanente: L'Italia e le politiche sull'immigrazione

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    Anteprima del libro

    Emergenza Permanente - Angelo Scotto

    provenienza

    Introduzione

    L’immigrazione, in Italia, è ovunque. Non gli immigrati, si badi bene, proprio l’immigrazione in quanto tema di discussione. Nei discorsi al bar o sui treni pendolari, nelle trasmissioni televisive, sugli scaffali delle librerie, a volte anche nella musica. Naturalmente anche su internet e in particolare sui social network, dove in alcuni ambienti è diventato ormai un luogo comune divertente, un meme, il personaggio dell’utente che commenta qualsiasi notizia, di qualsiasi argomento, tirando in ballo gli immigrati e i presunti privilegi di cui godrebbero.

    Di fronte a un’attenzione così forte per l’argomento la prima domanda da porsi è: l’immigrazione merita effettivamente tutta questa attenzione che riceve? Probabilmente non tutti risponderebbero nello stesso modo, ma per chi scrive non c’è dubbio: sì, la merita. Il numero di cittadini stranieri in Italia è in costante aumento, e la loro incidenza sulla popolazione è destinata a continuare ad aumentare anche a fronte di una riduzione (già in atto, peraltro) dei flussi migratori, almeno sino a quando le dinamiche demografiche degli stranieri non convergeranno completamente con quelle degli autoctoni. Anche se i numeri degli immigrati in Italia non sono paragonabili a quelli di molti paesi europei o di altre aree del pianeta, comunque sono sufficientemente elevati da comportare un impatto significativo sulla sfera economica, sociale e culturale. A volte, del resto, tale impatto non ha nemmeno bisogno di grandi numeri, basta che esista la percezione del fenomeno. E l’immigrazione è, spesso e volentieri, un fenomeno la cui visibilità va ben oltre le sue dimensioni reali: gli stranieri risaltano in mezzo alla popolazione, vuoi per l’aspetto, il linguaggio o i costumi. Non è una novità: nel 1721 Montesquieu pubblicava le Lettere persiane, in cui appare la divertente scena dei cittadini di Parigi che reagiscono con grande curiosità e fascinazione alla vista di un uomo in abiti orientali, salvo poi ignorarlo completamente quando veste i panni locali. La diversità svetta per sua natura, ma nella maggior parte dei casi la reazione è diversa da quella dei ricchi parigini: timori, diffidenza o esplicita ostilità sono reazioni che, nel corso della storia, hanno spesso accompagnato gli individui che abbandonavano i propri luoghi di nascita.

    L’immigrazione è dunque un tema che merita grande attenzione. Il problema, però, è che tipo di attenzione occorre riservarle. Purtroppo, spesso chi se ne occupa ne dà una visione unidimensionale, concentrandosi solo sugli aspetti negativi o su quelli positivi; sulla componente umanitaria o sui rischi per la sicurezza; sulle potenzialità o sui vantaggi. In realtà le migrazioni sono un fenomeno complesso, e vanno osservate da diversi punti di vista: dei migranti, degli abitanti dei luoghi riceventi, di chi si occupa della gestione del fenomeno migratorio. Un approccio più limitato rischia di darne una visione parziale e distorta.

    Questo volume si occupa delle politiche italiane sull’immigrazione. Il focus principale, pertanto, è sui luoghi e sui soggetti che decidono come gestire i flussi migratori e la presenza straniera nel paese. Queste politiche però non possono essere comprese a pieno se le si considera separatamente dal contesto sociale e politico in cui i decisori operano: l’atteggiamento e le opinioni dei cittadini sull’immigrazione, i comportamenti dei migranti, il loro effetto concreto e atteso sugli indicatori socio-economici, le risorse a disposizione delle istituzioni… tutti fattori che hanno un peso non irrilevante nel processo decisionale, e che cercheremo di tenere sempre presenti nel corso della trattazione.

    Il tema delle politiche sull’immigrazione è già stato trattato ampiamente da altri studiosi, e nella prima parte del volume indicheremo alcuni dei principali contributi della letteratura accademica in materia. Qui abbiamo scelto un approccio che fa ricorso agli strumenti della scienza politica, e prova ad analizzare lo sviluppo delle politiche italiane sul tema a partire dagli interessi dei diversi soggetti politici e sociali che partecipano al processo decisionale. Questa scelta è legata alla consapevolezza che oggi, nel dibattito pubblico sull’immigrazione, troppo spesso si affronta il tema in termini esclusivamente ideologici o etici, e anche quando si considerano gli effetti economici e sociali della presenza straniera in Italia si tende a parlarne con riferimento alla collettività come un’entità indistinta, e non come un insieme stratificato di classi sociali, categorie, gruppi, che sono portatori di interessi differenziati, spesso in conflitto tra loro, e per i quali la presenza migratoria ha un impatto tutt’altro che omogeneo. Anche di questo parliamo quando ricordiamo la complessità del fenomeno migratorio; ignorarlo vuol dire fare cattiva politica, e produrre decisioni inadeguate.

    Naturalmente, analizzare in termini più scientifici l’immigrazione non vuol dire che essa non possa essere valutata sulla base di criteri ideologici, o che le considerazioni etiche debbano essere escluse dal processo decisionale. Al contrario: soprattutto nella fase contemporanea, in cui la dimensione umanitaria è prevalente rispetto a quella economica nei flussi di migranti verso l’Europa, considerazioni di tipo valoriale non possono certo essere espulse dal dibattito sulla gestione dell’immigrazione. Dal punto di vista politologico, però, anche le considerazioni etiche e ideologiche possono essere trattate come degli interessi, e le organizzazioni che le promuovono, cercando di farle valere nel processo di produzione delle politiche, sono definibili a loro volta come gruppi di interesse e pressione. Parliamo quindi di interessi non solo nel senso stretto di vantaggi materiali diretti derivanti dalle decisioni politiche, ma anche in un’accezione più ampia di vantaggi collettivi di medio e lungo periodo. Da questo punto di vista, chi tutela i diritti dei migranti difende (o ritiene di difendere) dei principi etici che sono alla base delle società riceventi, e senza i quali anche il benessere collettivo ne risentirebbe. Allo stesso modo, molti di coloro che sono contrari a politiche di apertura sull’immigrazione temono che un aumento eccessivo della diversità sociale e culturale nel paese ricevente metterebbe a rischio la coesione sociale e la garanzia di quegli stessi principi. Anche questo è un problema non nuovo. Basti pensare alla Lettera sulla tolleranza di John Locke, del 1865, tra le opere fondamentali nello sviluppo del pensiero occidentale sui diritti umani, in cui l’autore difende il principio della tolleranza, ma ne esclude dal godimento quei gruppi, come i cattolici, che non accettano un tale valore. Un apparente paradosso, che oggi si ripropone in termini molto simili nel dibattito su quale sia il modo migliore di gestire le minoranze di fede islamica, per le democrazie laiche.

    Come si vede, semplici considerazioni di metodo sull’analisi delle politiche sull’immigrazione portano facilmente a discussioni sui massimi sistemi. In questo volume cercheremo di volare più basso e di concentrarci sui contenuti concreti delle politiche italiane. Per riuscire in tale scopo senza perdere la visione d’insieme, il volume è diviso in tre parti. Nella prima, e più breve, introdurremo i concetti principali per definire le migrazioni, i numeri contemporanei del fenomeno a livello globale ed europeo, la letteratura in materia. La seconda parte descriverà l’apparato teorico per l’analisi delle politiche pubbliche, dalle forme di produzione delle policy agli attori coinvolti nel processo decisionale. Facendo riferimento a tali strumenti, la terza e ultima parte descriverà gli attori delle politiche italiane sull’immigrazione, il loro sviluppo storico e le problematiche attuali.

    Capitolo uno

    Migrazioni: definizione, numeri, letteratura

    1.1 Definire le migrazioni

    Cosa sono le migrazioni? Per molti il primo incontro con questo termine è stato a scuola. Non durante lezioni di storia, educazione civica o scienze sociali, bensì in ambito scientifico, parlando dei movimenti di specie animali che si spostano da un luogo all’altro a seconda delle stagioni, della disponibilità di cibo o di mutamenti ambientali.

    Partendo da questa osservazione, possiamo dire che l’attitudine a spostarsi, a cambiare habitat, è una caratteristica intrinseca di molte specie, tra cui anche l’uomo. Ma se pure vi è una predisposizione biologica alla mobilità, i modi in cui essa si traduce in comportamenti concreti, vale a dire i motivi, le caratteristiche e le conseguenze degli spostamenti di individui o gruppi, sono invece un fenomeno sociale.

    La mobilità umana può assumere diverse forme, e non tutte, nel discorso comune, rientrano nella definizione di migrazione. L’esempio più ovvio è quello del turismo: lasciare il proprio luogo di residenza per brevi periodi e a scopo ricreativo è evidentemente diverso dal trasferirsi a scopi di studio o lavoro per tempi lunghi o indeterminati. Ma non sempre è così facile tracciare distinzioni precise tra i diversi tipi di spostamento, e anche là dove le differenze sembrano intuitive possono celarsi ambiguità. Nell’esempio di cui sopra si è distinto il turismo dalla migrazione sulla base dei periodi di spostamento e degli scopi; questi criteri sono sempre adeguati? Se per lavoro una persona si sposta da un quartiere periferico ad un altro della stessa città, può essere definito un migrante? E i lavoratori stagionali che si allontanano da casa per poche settimane l’anno per lavorare nella raccolta agricola o nel settore turistico, come vanno definiti?

    Questi problemi nel definire con precisione cosa sono le migrazioni non sono astratti. In questo volume mi occuperò delle politiche dell’immigrazione, e la definizione quanto più possibile univoca dell’oggetto di interesse è importante al fine di individuare le questioni e i problemi da affrontare, di formulare e attuare le politiche, di valutarne gli esiti. Nel secondo capitolo affronterò in maggior dettaglio quali siano gli ambiti in cui l’immigrazione può assumere rilevanza sociale e politica, diventando così oggetto di policy.

    Maurizio Ambrosini, nella sua opera destinata agli studenti universitari (2005), esordisce ricordando la varietà dei fenomeni migratori e la difficoltà di ricondurli a una definizione unica. Utilizza come base di partenza la definizione delle Nazioni Unite del migrante come «persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno». I siti ufficiali delle diverse agenzie delle Nazioni Unite riprendono questa definizione variandone la generalizzazione, ma concentrandosi sempre sulle migrazioni internazionali; ad esempio la pagina Refugee and Migrants definisce i migranti internazionali semplicemente come «coloro che cambiano il proprio paese di residenza abituale, a prescindere da motivazioni e status giuridico»¹, mentre il sito dell’Unesco definisce il migrante come «ogni persona che vive temporaneamente o permanentemente in un paese dove non è nata, e ha sviluppato dei legami sociali significativi con questo paese»².

    È utile prendere in considerazione sin da subito queste definizioni, in modo da poter interpretare correttamente i dati statistici che su di esse si basano (e nel prosieguo del volume saranno utilizzate più volte fonti statistiche delle Nazioni Unite e di altre agenzie internazionali e sovranazionali). Tuttavia, come riconosciuto dagli stessi autori, tali definizioni si concentrano solo sulla dimensione internazionale della migrazione, e non considerano altre forme del fenomeno migratorio che sono ugualmente rilevanti per i sistemi politici da esse interessate. Riteniamo quindi necessaria una definizione di partenza più ampia.

    È possibile distinguere le migrazioni da altre forme di mobilità sulla forma di una dimensione oggettiva, che riguarda il passaggio di un confine, e di una dimensione soggettiva riguardante l’atteggiamento degli individui che si spostano.

    Parlare di migrazioni significa parlare prima di tutto di confini. La migrazione non si esaurisce nello spostamento fisico da un luogo all’altro, ma per definirsi tale richiede che, in questo spostamento, vi sia un passaggio attraverso il quale il soggetto che si sposta sperimenta un cambiamento più o meno ampio a livello della sua identità. Tale cambiamento può essere di natura giuridica, nel passaggio da cittadino a straniero; di natura economica, passando da contadino in area rurale a operaio in città (o da tecnico specializzato nella città di origine a venditore ambulante sulla spiaggia di un altro continente); di natura sociale, nel passaggio da essere membro integrante di una comunità ristretta a un individuo isolato in un contesto metropolitano. In tutti questi esempi vi è una trasformazione nel modo in cui l’individuo si percepisce e viene percepito che influenza anche il modo in cui si inserisce e agisce nel contesto ospitante.

    Deve essere chiaro che la trasformazione di cui stiamo parlando non è un processo graduale, ma piuttosto un passaggio netto da una condizione all’altra che è determinato dal cambiamento di contesto; appunto, dall’attraversamento di un confine. I confini, nel discorso accademico come in quello comune, possono essere intesi in molti modi: in senso puramente fisico; in senso giuridico e istituzionale; in senso simbolico.

    La dimensione soggettiva della migrazione è più difficile da identificare; in estrema sintesi essa potrebbe essere ricondotta alla dimensione della volontarietà, ma è immediatamente chiaro che questo criterio sembra in contrasto con il fenomeno delle cosiddette migrazioni forzate, riguardanti le persone in fuga da situazioni di emergenza. Si può superare questa contraddizione utilizzando una definizione ampia di volontarietà, poiché di fatto, nei contesti delle migrazioni forzate, la fuga e la migrazione verso altri paesi o regioni non è una imposizione, ma una scelta tra restare, fronteggiando rischi molto elevati per la propria incolumità personale, e cercare rifugio altrove. In frangenti simili la scelta è quasi scontata, al punto che si parla comunemente di migrazioni forzate. Ciò non toglie che di scelta si tratti.

    Anche ampliando così l’accezione, però, il criterio sembra insufficiente. Tornando all’esempio del turismo di cui sopra, i turisti sono sicuramente individui che si spostano volontariamente, e anche nel loro caso lo spostamento determina una modifica dello status: molto spesso, e soprattutto nei luoghi dove sono una componente importante del sistema economico, i turisti sono soggetti sociali e politici ben distinti dagli autoctoni. Nella definizione di migrazione deve allora rientrare anche il criterio dello scopo dello spostamento, e anche questo deve essere definito in termini molto ampi, per poter includere fenomeni diversi quali le migrazioni lavorative, quelle di studio, le migrazioni forzate. Ciò che accomuna movimenti così diversi è che chi li compie lo fa con l’aspettativa di ottenere dei miglioramenti nelle proprie condizioni materiali, o immediate (come nel caso di chi migra per trovare lavoro in settori più remunerativi, chi si trasferisce in luoghi dove il costo della vita è minore, ma anche di chi fugge da situazioni di pericolo – nel qual caso il miglioramento consiste piuttosto nell’evitare un peggioramento molto probabile) o in prospettiva (ad esempio chi si trasferisce per studiare e ottenere una formazione migliore rispetto a quella disponibile nel proprio contesto di origine). Riassumendo, possiamo definire le migrazioni come una forma di mobilità umana in cui gli individui si spostano da un contesto sociale all’altro, sperimentando così un cambiamento della propria identità sociale, con l’aspettativa di migliorare le proprie condizioni materiali.

    Questa definizione, se da un lato permette di escludere determinati tipi di spostamenti umani, dall’altro è sufficientemente ampia e generica da includere fenomeni molto diversi tra loro ma che, nel linguaggio giuridico e in quello comune, rientrano comunque nell’ambito comunemente inteso delle migrazioni. Nei paragrafi successivi analizzerò in maggior dettaglio i diversi tipi di migranti. Prima, però, è utile una considerazione ulteriore sul tema dei confini.

    I confini sono importanti per il tema affrontato in questo volume, non solo come condizione oggettiva del movimento migratorio, ma perché delimitano gli ambiti in cui si applicano le politiche, e agiscono i soggetti che le producono e le subiscono. Abbiamo accennato alla natura eterogenea di tali confini, ma c’è un elemento che pare accomunare costantemente le diverse tipologie, ed è la funzione di separazione tra la comunità o gruppo considerata e le altre. Questo significa che, nel discorso comune, si tende a parlare di confini come se fossero sempre e comunque esterni. Ciononostante, altrettanta importanza hanno i confini interni.

    Con questa definizione non intendiamo indicare quei confini di natura non-territoriale, come i confini organizzativi, riguardanti l’accesso di individui

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