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Cinquanta pensieri in Azione: Diritti, libertà, autonomia
Cinquanta pensieri in Azione: Diritti, libertà, autonomia
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E-book184 pagine2 ore

Cinquanta pensieri in Azione: Diritti, libertà, autonomia

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Info su questo ebook

È un continuo, estenuante sventolio di bandiere, intonar di inni, brandire icone che questa politica ci propina tutti i giorni. Ciascuno
tenta di intestarsi la successione di qualche grande leader del passato, di evocare antichi fasti, di scaldare i cuori dei pochi, rimasti militanti per poi giungere, invariabilmente, al risultato agognato: procrastinare se stesso in qualche posto “al sole” per i successivi cinque anni.
È questa l’unica bussola che guida la politica di oggi, tutta intenta ad ascoltare il ventre degli italiani, cogliere il mal di pancia del momento e annunciare la cura più adatta, con le solite promesse salvifiche. Non importa se si sarà in grado di mantenerle e a che costo, tanto lo pagheranno le nuove generazioni, che oggi non possono parlare, né votare. Ancor più grave è che a tutto questo concorrono anche coloro che teorizzano un forte intervento dello Stato e attuano, al contempo, la sua progressiva dissoluzione. Così contribuendo a determinare lo scadimento della politica e una dilagante sfiducia nelle istituzioni, con l’esito di aprire la via al populismo e al massimalismo inconcludente,
che vediamo imperversare da anni. Non c’è più tempo per tergiversare. Il Paese si è impoverito, ha perso capitale umano e industriale e continua ad avvitarsi nella spirale del debito. Occorre mettersi in Azione recuperando il pensiero largo, lungimirante e comprensivo che fu del Partito fondato da Giuseppe Mazzini (rifondato poi nel 1942) al quale aderirono, tra gli altri, Sandro Pertini, Gaetano Salvemini, Emilio Lussu e Carlo Rosselli. Bisogna riprendere la marcia interrotta e affrontare, con le idee chiare, un sentiero irto e accidentato: quello che l’Italia, superata la pandemia, ha davanti a sé.
LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2021
ISBN9788868513313
Cinquanta pensieri in Azione: Diritti, libertà, autonomia

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    Anteprima del libro

    Cinquanta pensieri in Azione - Aldo Berlinguer

    info@arkadiaeditore.it

    Prefazione

    In questi lunghi mesi di lotta alla pandemia abbiamo imparato che più del Coronavirus, che pure sconfiggeremo – ne sono certo – l’Italia corre un rischio maggiore: quello di morire di retorica e inanità.

    La sfida che abbiamo di fronte durerà ancora molto tempo, è inutile nasconderlo. Ma resto fiducioso perché i cittadini italiani, soprattutto nel corso del primo lockdown della scorsa primavera, hanno dimostrato senso di responsabilità, attenendosi con scrupolo alle indicazioni del Governo. Loro hanno funzionato, lo Stato no.

    Nel 2020 abbiamo scoperto il volto peggiore di uno Stato invasivo che indifferentemente acquista le mascherine e l’acciaio, i vaccini e le siringhe per somministrarli, distribuisce redditi di cittadinanza e bonus. Neppure il gigantesco debito pubblico che queste politiche hanno provocato sembra aver fermato la distribuzione, a pioggia, di sussidi, la spesa pubblica improduttiva e l’ipertrofia delle partecipazioni statali. Così non si genera sviluppo ma si ipoteca il futuro delle nuove generazioni.

    Un’analisi impietosa che ritrovo nel libro di Aldo Berlinguer e con la quale concordo appieno. Cinquanta pensieri in Azione, cinquanta pillole di socialismo liberale, sono efficaci spaccati della nostra vita recente, pensieri sparsi legati da un filo comune che gettano luce sul pericoloso sentiero che l’Italia sta percorrendo, sulla china di un dirupo, nel quale rischiamo di precipitare.

    Le sue idee aprono tante riflessioni su vicende, nazionali e locali, che in molti hanno colpevolmente trascurato nel frastuono di una lotta politica, inconcludente, ideologica e fatta solo di slogan.

    Le riflessioni di Aldo Berlinguer sono utili anche alla Sardegna e alla sua autonomia: un grande monumento regionale ingrigito e consumato. Come quelli che sovrastano tante nostre piazze e nessuno vede più, abbandonati alle intemperie del tempo.

    Ora c’è bisogno di aprire una fase nuova nei rapporti tra la politica e gli italiani e c’è altrettanto bisogno di un salto di qualità perché siamo di fronte a una crisi della Repubblica più profonda di quella che affrontammo nel 1992. Quella di oggi non è solo la crisi di una classe dirigente ma dei fondamentali del nostro Paese.

    La via d’uscita deve essere affidata al tentativo di instaurare un rapporto diverso con i cittadini. La pandemia ci ha insegnato un principio fondamentale: uno Stato che funziona fa la differenza tra la vita e la morte. Nel corso del 2020, invece, si sono svelate la fragilità della nostra sanità, l’arretratezza del sistema dell’educazione, l’onnipresenza della burocrazia.

    Che fare? Primo: investire sulle aree in cui l’Italia ha un gap rispetto all’Europa, come nel caso dell’istruzione. Secondo: assicurare al nostro Paese la transizione digitale e ambientale come ho scritto nel mio Rapporto sulla nuova politica industriale approvato dalla Commissione Ue tre mesi fa, con il 75% dei voti favorevoli.

    Oggi rinnovare la politica significa soprattutto portare al governo capacità amministrativa e gestionale, vuol dire convincere i cittadini a guardare la qualità dei programmi e sostenere i bravi amministratori locali, che devono essere coinvolti nella pratica del governo.

    L’Italia è un Paese più forte di chi la vuole debole, che non merita di soccombere sotto il peso di tanto cinismo, inerzia, trascuratezza. Recuperiamo il pensiero azionista, che fu di Giuseppe Mazzini e poi di Ferruccio Parri, Emilio Lussu, Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi e tanti altri che questa nostra Italia hanno contribuito a costruire, non a distruggere. Ed entriamo tutti in Azione, un movimento nuovo, dalle antiche origini, che oggi inaugura un lungo cammino.

    Roma, 8 gennaio 2021

    Carlo Calenda

    Introduzione

    Socialismo liberale o liberalismo sociale: two of a kind

    Questo libro raccoglie cinquanta interventi, commenti, riflessioni che ho svolto negli ultimi anni sui temi più vari. Ogni volta, nello scrivere, ho riversato le mie opinioni, esperienze, sensazioni, a seconda del momento. Rimettendoli oggi assieme, questi pensieri, ne ricavo un’immagine composita e unitaria al contempo.

    E mi pare più nitido anche il loro filo rosso, che passa attraverso i valori dell’eguaglianza, della giustizia sociale, della solidarietà legati ad altri, apparentemente distanti, come democrazia e libertà, quest’ultima intesa nella sua duplice accezione, positiva e negativa: verso lo Stato e dallo Stato. Fino ad abbracciare il valore dell’autonomia, anch’esso da costruire e sviluppare, come una cassetta degli attrezzi in mano a tante comunità locali, le quali potrebbero utilmente avvalersene invece di attendere, invano, risposte dallo Stato centrale.

    Parlano di tutto queste cinquanta riflessioni: dai temi nazionali della cultura, della formazione, del diritto e dell’economia, a quelli locali, relativi alla Sardegna, la quale appare sempre più periferica e distante, ripiegata su se stessa in attesa di un progetto, un’idea di sviluppo e di futuro, magari già pronti e confezionati.

    Man mano che questo filo, lungo e sottile, si snoda attraverso tutti questi argomenti, recuperando e intrecciando tra loro idee e valori, si comincia a intravedere un disegno possibile, ove la diversità non stona e ove ogni fibra, ogni colore trova il suo posto, in armonia con gli altri.

    Si dipanano anche i nodi, le matasse. E svaniscono alcuni paradossi, come quello che molti esponenti della politica italiana (sinistra compresa) hanno coltivato per anni, teorizzando un forte intervento dello Stato e attuando al contempo la sua progressiva dissoluzione. La classe politica tutta, con rare eccezioni, ha infatti, per decenni, praticato una malintesa idea della politica per raggiungere posizioni di potere e procrastinarle nel tempo.

    I Partiti hanno indebitamente invaso spazi non propri, realizzando così una sistematica ingerenza nello Stato e nel mercato, per poterli condizionare e dirigere entrambi. Così facendo, il mercato stesso si è a tratti affievolito, a tratti addomesticato, asfissiato da una delle più invasive e pervicaci piante parassitarie che il nostro Paese conosca: il clientelismo.

    Il sistema pubblico, dal canto suo, è stato utilizzato come ombrello occupazionale per ceti disagiati, con scarsa scolarizzazione e deboli spinte motivazionali, oppure come refugium peccatorum per preferiti e raccomandati. Finendo anche con attribuire loro una sfera di protezione sindacale utile a mantenere l’inefficienza del sistema, piuttosto che ad arginarla. Anche gli investimenti in risorse materiali sono stati ispirati a logiche altre rispetto alla volontà di dotare il sistema pubblico dei mezzi idonei a rendere servizi di qualità. Lo si è visto, da ultimo, anche con la pandemia Covid-19 che ha svelato il penoso stato della sanità italiana.

    Insomma, invece che risolverla, è stata amplificata e procrastinata la nota questione morale intendendo per essa non la necessità che i politici siano onesti (assunto fin troppo scontato) ma la sistematica occupazione, da parte dei Partiti (di vecchia e nuova generazione), dello Stato e del mercato.

    Si è quindi, nella migliore ipotesi, confuso il mezzo con il fine. Invece di dotarsi di uno Stato efficiente e accessibile, idoneo a realizzare le politiche del socialismo, si è trasformato lo Stato stesso in ammortizzatore sociale. Un po’ come, per un velista, affrontare una regata senza vele: sono state usate, nottetempo, come coperte, per ripararsi dal freddo. Né è disceso che il socialismo, in Italia, è divenuto una specie di figura retorica, una nenia da intonare, piuttosto che un vero programma da attuare. Con massimo gaudio per chi nel socialismo non ha mai creduto, teorizzando lo Stato minimo.

    C’è invece da chiedersi se, in una rinnovata visione di socialismo liberale, di taglio mitteleuropeo, declinata con politiche di meritocrazia, responsabilità e rigore dei conti pubblici, lo Stato possa tornare a fare lo Stato: regolatore ed erogatore di servizi; non più ammortizzatore sociale, merce di scambio per politiche clientelari, imprenditore e occupatore seriale di aspiranti al posto fisso. Il Leviatano, liberato dall’obesità e da compiti che non gli competono, si ridimensionerebbe così senza atrofizzarsi. Anzi, potrebbe recuperare attivismo e qualità, diventare più accessibile, più vicino ai bisogni della gente e più efficiente nell’offrire servizi e amministrare il patrimonio pubblico. La tassazione scende, i servizi migliorano; non è un paradosso, è la nostra sfida.

    Ridurre la pressione fiscale non significa infatti dare solo fiato alle imprese e alle famiglie. Significa paradossalmente ridurre anche l’evasione fiscale. Rendere equo e proporzionato il prelievo e poter – allora sì – agire con severità verso chi non adempie. Significa recuperare un rapporto possibile nel quale lo Stato smette di essere inadempiente e censore al contempo. E il cittadino fa la sua parte, obbedendo a norme chiare e mettendosi in regola con adempimenti possibili.

    Con una macchina amministrativa efficiente, un accesso ai ruoli pubblici gestito con meritocrazia e una classe dirigente selezionata e all’altezza, il privato non ha più alibi; ritrova la giusta motivazione, intraprende e contribuisce ai bisogni della comunità, smettendo definitivamente i panni di prenditore di prebende.

    Sul patrimonio pubblico poi, occorre una vera rivoluzione. Socialismo significa cura e valorizzazione dei beni pubblici. Uno Stato che li trascura e li abbandona non ha nulla di socialista. Spieghiamolo a chi non ha capito o fa finta di non capire. Se questo Paese, stracolmo di beni storici, architettonici, naturalistici e culturali inizia a gestire bene le proprie risorse, diventa un Paese che può fare a meno delle produzioni impattanti per fare spazio a quelle sostenibili. E non ha più neppure bisogno di tassare i cittadini.

    Non verrebbe nemmeno più spontaneo guardarsi in cagnesco. Stato e cittadino potrebbero riprendere a parlarsi, financo a stimarsi vicendevolmente e cadrebbe la nostra atavica sfiducia: ciò che ci induce sempre a pensare che l’altro ci voglia spremere o fregare. E potremmo così tornare a parlare dei doveri, che non appaiono nelle parole chiave di questo libro semplicemente perché ne sono il comune denominatore.

    Non esistono infatti diritti senza doveri. Le libertà esigono responsabilità e l’autonomia richiede grandi capacità di gestione. Senza doveri (o con il loro affievolimento) la politica diventa fiaba, inganno, luogo comune e si genera solo assistenzialismo, sudditanza e povertà, culturale ed economica. Esattamente ciò che sta tarpando le ali di intere generazioni e mandando questo nostro Paese a ramengo.

    Ecco, il filo rosso è ormai tutto snodato. Trama e ordito formano una tela che si connota per tante sfumature di rosso. È la tela di un rinnovato rapporto tra cittadino e potere, individuo e comunità, che potremmo chiamare socialismo liberale o liberalismo sociale (al crocevia delle esperienze di Carlo Rosselli e Piero Gobetti), a seconda delle preferenze lessicali. E che ci riporta al pensiero azionista (del partito di Mazzini, poi rifondato nel 1942), che ospitava, al suo interno, un’importante vena liberal socialista. Sullo sfondo: l’individuo e lo Stato, senza prevaricazioni dell’uno verso l’altro e viceversa. Lo Stato non viene smantellato e archiviato, come vorrebbe una certa corrente di pensiero neoliberista, né reso obeso e improduttivo, come vorrebbero gli statalisti delle nazionalizzazioni, dei sussidi, dei pensionamenti facili.

    Lo Stato non viene neppure assorbito del tutto nell’Unione europea o svanisce nella globalizzazione. E con esso la sovranità che si esprime attraverso la rappresentanza. Ben diversi sono i sovranismi che oggi tanto proliferano per incapacità della politica di tutelare l’interesse nazionale e partecipare proficuamente al processo di integrazione europea. La UE assomiglia infatti a un grande condominio. Ovunque i condomini, distratti o assenti, subiscono le decisioni e gli interessi altrui. La soluzione è partecipare di più e meglio, non sciogliere il condominio.

    E poi la meritocrazia: forse il motivo prevalente di questa variopinta tela, in quanto poderoso e duttile motore di mobilità sociale; dunque imprescindibile sostrato di qualsiasi progetto socialista. Essa è pari opportunità e selezione al contempo. E chi non ce la fa viene comunque aiutato e sostenuto, evitando che la selezione diventi prevaricazione o nobiliti le diseguaglianze. Ma attenzione: l’aiuto

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