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Il razzismo è illegale: Strumenti per un’opposizione civile
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E-book134 pagine1 ora

Il razzismo è illegale: Strumenti per un’opposizione civile

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Info su questo ebook

Il razzismo e le politiche di rifiuto dei migranti sono, anche in Italia, una realtà. In questi anni l’odio razziale ha scalato le stanze del potere e si è trasformato in programma di Governo. Gli effetti sono devastanti e sotto gli occhi di tutti. Bisogna moltiplicare le forme di reazione. Subito, prima che sia troppo tardi. 
Di qui una guida concreta per opporsi al razzismo di Stato.
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2019
ISBN9788865792100
Il razzismo è illegale: Strumenti per un’opposizione civile

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    Anteprima del libro

    Il razzismo è illegale - Arci

    Ognibene

    Il libro

    Il razzismo e le politiche di rifiuto dei migranti sono, anche in Italia, una realtà. In questi anni l’odio razziale ha scalato le stanze del potere e si è trasformato in programma di Governo. Gli effetti sono devastanti e sotto gli occhi di tutti. Bisogna moltiplicare le forme di reazione. Subito, prima che sia troppo tardi.

    Di qui una guida concreta per opporsi al razzismo di Stato.

    Indice

    Premessa

    Razzismo di Stato

    La Costituzione tradita

    L’accoglienza negata

    Territorio e diritti

    Diritto di resistenza

    Il ruolo dei giudici

    Premessa

    A ottant’anni dalle leggi razziali riesplode, nel Paese, il razzismo. Aggressioni, percosse, discriminazioni, insulti a sfondo razziale si contano a migliaia: per strada, in bar e supermercati, allo stadio, a scuola, ovunque. E – fatto ancor più grave – si fa strada il razzismo istituzionale che si manifesta sia nei confronti degli stranieri che vivono nel nostro Paese sia nei confronti di quelli che vi arrivano (o cercano di farlo).

    L’escalation è impressionante: leggi lesive dei diritti umani fondamentali, provvedimenti ministeriali come la chiusura dei porti e il rifiuto di accogliere donne e uomini salvati in mare, ordinanze di sindaci con evidenti contenuti discriminatori, dichiarazioni irresponsabili di esponenti di Governo nazionali e locali (fino a quella del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana che, per motivare il suo progetto di «rimandare a casa i migranti», si è prodotto nell’affermazione secondo cui «dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società deve continuare a esistere o deve essere cancellata»). A riprova del fatto che il razzismo non è un, pur preoccupante, atteggiamento muscolare di singoli, magari alla spregiudicata ricerca di consenso elettorale, ma il cemento che unisce la destra italiana, nelle sue componenti sedicenti moderate come in queste apertamente xenofobe, e che si estende anche oltre.

    Sul piano istituzionale la deriva razzista, avviata e legittimata già da leggi e politiche di Governi di centrosinistra, ha avuto un drastico incremento col cosiddetto decreto Salvini dell’ottobre 2018 su immigrazione e sicurezza: un provvedimento che cambia radicalmente la condizione degli stranieri nel nostro Paese, abbatte il principio di uguaglianza, viola i più elementari doveri di solidarietà, prevede una sorta di cittadinanza differenziata a seconda del luogo di nascita.

    Ciò accade benché il razzismo sia – superfluo dirlo – in evidente contrasto con ogni principio etico e con i fondamenti del nostro sistema giuridico, a cominciare da quell’articolo 3 della Costituzione che vuole tutti coloro che abitano il Paese «eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

    La situazione richiede una reazione forte ed efficace. Alla legge ingiusta bisogna anzitutto reagire con il rifiuto e la disobbedienza civile. Ma non basta. Occorre denunciare le pratiche razziste e discriminatorie, attivare reti solidali, costruire politiche alternative. E per farlo occorre mettere insieme esperienze, creare una cultura diversa e definire strumenti adeguati.

    A ciò vuole contribuire questo libro¹. Non un punto di arrivo ma un punto di partenza.

    marzo 2019

    Arci, Asgi, Gruppo Abele, Libertà e giustizia

    1 Il libro, curato e assemblato da Livio Pepino, è frutto di un lavoro collettivo a cui hanno partecipato Alessandra Algostino, Daniela Consoli, Tullio D’Amora, Luca Masera, Filippo Miraglia, Tomaso Montanari, Francesco Pallante, Chiara Sasso, Gianfranco Schiavone, Nicoletta Vettori e Nazarena Zorzella.

    Razzismo di Stato

    1. Programma di Governo

    Il razzismo è da tempo, anche in Italia, una realtà. È un razzismo che si è consolidato all’inizio del nuovo millennio, con l’incrociarsi di situazioni eterogenee: la crisi economica, il disfacimento della politica, la crescita dei flussi migratori dall’Asia e dall’Africa, l’esplosione (pur lontano da casa nostra) del terrorismo internazionale. Due le caratteristiche fondamentali del fenomeno, in un mix di novità e di déjà vu. Anzitutto, ai destinatari tradizionali dell’odio razziale nel nostro Paese – gli ebrei e gli zingari (rom e sinti) – si sono aggiunti i migranti e gli stranieri in genere, in prevalenza quelli con un diverso colore della pelle e una diversa religione, che rapidamente ne sono diventati le vittime principali. Poi, partendo dalle strade, dagli stadi, da gruppi politici minoritari¹, l’odio razziale ha scalato le stanze del potere e si è trasformato in programma di Governo, in razzismo di Stato. È la situazione attuale, di cui è espressione e simbolo il decreto legge n. 113/2018 (il cosiddetto decreto Salvini, convertito nella legge n. 132/2018). Essa, peraltro, non nasce oggi.

    La costruzione delle migrazioni come fenomeno prevalentemente negativo, fonte di disgregazione sociale e da cui difendersi, affonda le radici già nella prima disciplina organica del settore, contenuta nella legge n. 40/1998 (nota come Turco-Napolitano), tanto cauta nell’accoglienza e nella stabilizzazione dei migranti quanto inflessibile (almeno sulla carta) nel controllo dell’immigrazione irregolare, al punto da introdurre, per contrastarla, la detenzione amministrativa, vero carcere senza reato prevalentemente destinato, di fatto, a donne e uomini dalla pelle nera. A essa sono seguiti gli irrigidimenti repressivi della legge n. 189/2002 (cosiddetta Bossi-Fini), l’introduzione del reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato (decreto legislativo n. 286/2008), l’abbattimento per i migranti di fondamentali garanzie processuali e l’estensione della detenzione amministrativa realizzati con il decreto legge n. 13/2017 (più noto come decreto Minniti-Orlando), drammatico punto di svolta verso l’apartheid giuridica, e molto altro ancora.

    In questo quadro normativo si è sviluppata l’attività di governo delle migrazioni.

    Le politiche dirette a impedire gli sbarchi dal Mediterraneo, demandando il controllo e il blocco delle partenze alle autorità libiche (gratificate a tal fine di ingenti finanziamenti e dotazione di mezzi), sono iniziate oltre dieci anni fa e sono state comuni a Governi di destra e di centro sinistra, come dimostrano l’accordo Berlusconi-Gheddafi del 2008 e il memorandum Gentiloni-Serraj del 2017, entrambi dimentichi delle ripetute denunce, effettuate da diverse organizzazioni internazionali, circa le condizioni di vita, gli abusi e le violazioni dei più elementari diritti umani che caratterizzano i campi di internamento libici. Tali condizioni sono descritte, da ultimo, nella sentenza della Corte di assise di Milano 10 ottobre 2017 che, nel motivare la condanna all’ergastolo di un imputato per delitti commessi nel campo di Bali Walid, ha documentato torture con scariche elettriche, ustioni provocate da plastica incandescente, incaprettamenti, pestaggi di persone legate e appese per i piedi con bastoni, tubi di gomma e spranghe di ferro, omicidi, violenze sessuali interminabili. Per terrorizzare i reclusi, alcuni prigionieri venivano uccisi e lasciati esposti per giorni. Quotidianamente ragazze, anche minorenni, erano sottoposte a ripetute violenze sessuali².

    Lo stesso è accaduto per le politiche tese a impedire l’approdo in porti sicuri di migranti strappati alla morte dalle navi delle Ong: casi tuttora aperti ma sempre più sporadici perché i salvataggi in mare sono drasticamente diminuiti – e i morti affogati drasticamente aumentati (addirittura raddoppiati, secondo l’Onu) – da quando, nel luglio 2017, l’ex ministro dell’interno Minniti iniziò a ostacolare le attività di salvataggio condotte dalle Ong, imponendo loro la firma di un codice di condotta restrittivo e umiliante. Oltre a indurre alcune organizzazioni a ritirare le proprie imbarcazioni, l’iniziativa di Minniti diede avvio a una polemica rapidamente degenerata nella criminalizzazione delle stesse iniziative umanitarie, bollate – grazie anche a improvvide iniziative della magistratura, soprattutto catanese – di complicità con le organizzazioni criminali che trafficano in esseri umani. Una politica vergognosa che i vertici del Partito democratico non hanno rinnegato nemmeno di fronte alla drammatica escalation imposta da Salvini.

    In questo contesto, sul finire della scorsa legislatura, c’è stata, con l’approdo in Parlamento del disegno di legge per il riconoscimento, a determinate condizioni, della cittadinanza italiana ai bambini nati e cresciuti in Italia, l’irripetibile occasione di dare un segnale di discontinuità. L’approvazione di quella legge avrebbe assunto il significato di una presa di posizione netta, insieme politica e culturale, capace di avviare una nuova stagione nel confronto sull’immigrazione. La viltà politica che ha indotto il Partito democratico a rinunciare di metterla ai voti, a fronte delle resistenze delle destre, ha contribuito a rafforzare ulteriormente lo status quo.

    2. Lo sdoganamento del pensiero razzista

    Il pensiero razzista, tradizionalmente proprio della destra, si è affermato anche grazie al suo sdoganamento da parte di significative componenti culturali e politiche liberal o di centro sinistra.

    La cosa è oggi evidente, a livello europeo, nei nazionalismi di ogni colore. Ma i precedenti, nel nostro Paese, sono innumerevoli. Alcuni per tutti.

    Sul piano culturale c’è chi si è spinto a teorizzare la regressione dei migranti allo stadio di non persone. È il caso di Giovanni Sartori, annoverato negli anni del berlusconismo tra gli argini contro involuzioni autoritarie, a cui si deve questa incredibile prosa: «Se l’immigrazione clandestina diventa reato, allora il clandestino entra ope legis negli ingranaggi infernali del nostro sistema penale e del suo esasperato garantismo. [...] Il problema è allora di configurare un illecito (una violazione della legge) la cui sanzione sia soltanto l’espulsione, e una espulsione amministrativa contro la quale non sia ammesso ricorso (sennò siamo alle solite). La mia idea è di far capo a una fictio iuris. Questa: che il clandestino non entra in Italia finché non viene ammesso legalmente. Fino a quel momento il fatto che i suoi piedi camminino sul suolo italiano non ha nessun rilievo giuridico. Fino a quel momento è come se non fosse in Italia. L’uovo di Colombo? Forse s컳. A dimostrazione che le garanzie e i diritti fondamentali sono, per molti – anche tra i pensatori considerati liberal – un impaccio, un lusso non consentito quando il gioco si fa duro.

    Altrettanto è accaduto sul versante politico. «La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese», dichiarava il 10 maggio 2017 Debora Serracchiani nella sua

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