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E' questione di maturità
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E-book256 pagine3 ore

E' questione di maturità

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Info su questo ebook

Il liceo Classico “Francesco Petrarca” è un normalissimo liceo italiano. I professori che vi insegnano, come la neoassunta prof.ssa di lettere Camilla Cavilli, condividono le piccole ansie e i dubbi che pervadono tutta la nuova generazione di docenti in erba. La classe V° C non sembra avere nulla di speciale, incastrata fra problemi di rendimento, drammi adolescenziali e l’inevitabile ombra dell’Esame di Stato. Tuttavia, non tutti stanno vivendo quell’ultimo anno di liceo in maniera convenzionale. La realtà scolastica e la vita privata di Silvia, Paride, Margherita, Emma e Jacopo sono messe a soqquadro da un bizzarro evento. Senza volerlo, i cinque studenti intaccano le leggi cosmiche, assottigliando il velo fra la vita e il misterioso “Limbo dei Poeti”, dovranno vedersela con cinque letterati che credevano immobili fra le pagine dei libri. Accompagnati per tutto l’anno da un giovane Manzoni, un acerbissimo Leopardi, un irrequieto Giovanni Verga, un instancabile D’Annunzio e uno spaesato Dante Alighieri, i cinque ragazzi dovranno fare i conti con la loro  conoscenza, il loro futuro, le loro emozioni e il temibile ultimo livello che li separa dalla vita adulta: l’Esame di Maturità.
LinguaItaliano
Data di uscita25 dic 2018
ISBN9788869631917
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    E' questione di maturità - Clelia Pulcinelli

    Clelia Pulcinelli

    È QUESTIONE DI MATURITÀ

    Elison Publishing

    Proprietà letteraria riservata

    © 2018 Elison Publishing

    www.elisonpublishing.com

    elisonpublishing@hotmail.com

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Elison Publishing

    ISBN 9788869631917

    PROLOGO

    Se vi foste trovati a passare per Piazza San Lorenzo, di lunedì 10 settembre, avreste di certo notato, poco distante dal bar di Ciccio Passalacqua, gremito di studenti, una vettura modesta, scura, rigata sullo sportello posteriore sinistro. Ebbene da quella vettura avreste di sicuro visto scendere una donnina con una camicetta giallina e una borsa gigante da cui straripavano costole di libri. Quella signorina minuta, piccola nonostante i sei centimetri di tacco, era la neoassunta professoressa di lettere Camilla Cavilli che si dirigeva trafelata verso il portone del Liceo Classico Francesco Petrarca.

    La professoressa Cavilli non era una veterana del mondo scolastico, le mancavano la disillusione e l’acidità dei docenti navigati e prestava ancora attenzione alla sua immagine, al suo modo di comportarsi e a quello che diceva, chiedendosi mille volte se avrebbe fatto meglio a tacere o a mettere un pantalone diverso. Nei suoi pochi, verdi anni di servizio aveva dato la colpa di quell’ansia latente che mai l’abbandonava agli ambienti infelici in cui aveva dovuto dispiegare la sua didattica. Gli insegnanti delle medie non si curano degli alunni, dettano e assegnano esercizi per poi concentrarsi solo sul pettegolezzo fra colleghi e sui fatti propri, si era spesso ripetuta. Negli istituti non si presta attenzione al sapere, i ragazzi non sanno nemmeno scrivere in italiano corretto ecco perché non capiscono la letteratura, si era detta con amarezza. Il Liceo Linguistico sarà sempre di serie B, purtroppo molti ragazzi poveri di voglia e interesse vengono forzati dai genitori a scegliere un liceo e allora vengono qui quando invece dovrebbero stare altrove, aveva deciso un paio di cattedre prima. In primo sono ancora troppo bambini, in terzo è come se ricominciasse tutto daccapo, si lamentava.

    Tutte verità, ma la verità più grande, che la professoressa Cavilli doveva ancora scoprire, era che i ragazzi, dovunque e a qualsiasi età avrebbero sempre cercato di fare il meno possibile per copiare durante il compito in classe. I colleghi avrebbero avuto sempre l’hobby di tormentarsi fra loro e cercare di colpire i presidi. Le lezioni avrebbero comunque comportato disattenzione e maleducazione. La verità era che la scuola è tutta un’equazione a parte e ogni scuola funzionava allo stesso modo, cambiavano solo le variabili. Ma d’altronde la professoressa Cavilli non insegnava matematica, no, aveva contato 24 in una classe di quindici femmine e undici maschi, fortunatamente non insegnava matematica.

    Quel giorno però la professoressa Camilla Cavilli era felice, finalmente la sua classe di 24… 26 alunni, era un quinto, un quinto di Liceo Classico. Il suo sogno. Giovani menti avide di letteratura e traduzione di lingue antiche, ragazzi di buona famiglia, con genitori premurosi e aspettative da non deludere. Ragazzi abituati allo studio, al carico di compiti, al sapere e alla concentrazione che dovevano allenarsi duramente, prendere bene la mira e centrare l’esame di maturità con una freccia sola.

    Quando fu finalmente seduta dietro la cattedra, la giovane professoressa Cavilli ebbe l’opportunità di osservare quel VC che tanto aveva atteso sfilare di fronte ai suoi occhi e sistemarsi fra i banchi. I ragazzi le sembravano tutti insolitamente normali, per la prima volta non vedeva chiome verdi semi-rasate o cappellini appena poggiati su tagli da calciatore. Certo molti visi erano assonati, non tutti erano puntuali sullo scoccare del minuto, ma tutto sommato si respirava un’aria tranquilla. Quando tutti i posti furono riempiti la professoressa si alzò in tutto il suo metro e cinquantacinque più tacco e sorrise ai suoi studenti.

    «Piacere, io sono la professoressa Camilla Cavilli, vi insegnerò Italiano. Quanto a Latino la cattedra è passata al vostro professore di Greco. So che non è l’ideale cambiare docente all’ultimo anno, ma sono certa che lavoreremo bene insieme.»

    Non ci fu nessuna risposta, la professoressa Cavilli decise di fare l’appello. Tutti presenti, come da manuale, primo giorno di scuola e nessuna assenza. Si presagiva un placido anno di educato sapere. Era il momento di capire da dove ricominciare e come procedere.

    «A qualcuno andrebbe di raccontarmi il vostro percorso con Italiano negli ultimi tre anni, escludendo il ginnasio insomma.»

    Una mano scattò in aria. La professoressa Cavilli sentì una profonda soddisfazione riempirle il petto, subito un volontario, assolutamente per-fet-to.

    «Sì, prego, mi ripeti il tuo nome?»

    «Coletti, Veronica Coletti» disse squillante la proprietaria della mano alzata.

    «Forte e chiaro, benissimo.»

    Una voce interruppe la conversazione dal fondo della classe: «Si abitui prof. dovrà diventare più veloce con le domande se vuole battere sul tempo Coletti!»

    Ci fu un brusio di risa sommesse e la scattante Veronica Coletti lanciò uno sguardo dardeggiante al compagno nell’ultimo banco.

    Il silenzio tornò e la professoressa incitò la ragazza a procedere.

    «In primo liceo avevamo due professori diversi per Italiano e Latino, la professoressa di Latino ci insegnava anche Greco, poi a metà anno è andata in maternità e allora l’ha sostituita il professor Di Angelo che però è rimasto solo per quei quattro mesi perché era precario.»

    La professoressa Cavilli pensò a quale fortuna aveva avuto l’invisibile professor Di Angelo, ad insegnare Greco e Latino in un Classico mentre era ancora precario. Due anni prima lei insegnava Italiano e Storia in una classe interamente femminile dell’Istituto Tecnico in cui erano più frequenti le risse, le litigate, le parolacce e le tirate di capelli che le interrogazioni.

    «In secondo liceo, ovvero l’anno scorso, è cambiato tutto, c’era il professor Narducci che insegnava Italiano e Latino, ma come sa è andato in pensione, Greco è passato professore che abbiamo tutt’ora.»

    La professoressa Cavilli fu sorpresa dal tono con cui quel susseguirsi di docenti era stato raccontato, qualcosa le suggeriva che c’era altro da sapere. Strappare quell’ altro dalla compiacente Veronica Coletti fu impossibile e così la professoressa Cavilli decise di testare la sua nuova classe.

    «Dove siete arrivati ad Italiano?»

    «Come andiamo con la Divina Commedia?»

    «Sapete dirmi qualcosa sul Boccaccio?»

    Le domande si susseguivano varie e sempre meno pretenziose, l’unica mano perennemente alzata era quella di Veronica Coletti e gli unici interpellati che rispondevano erano vaghi e poco eloquenti.

    In meno di mezz’ora la professoressa Camilla Cavilli si sentì dire:

    a) Che il Diavolo, Satana e Lucifero sono tre persone diverse di cui Satana donna.

    b) Che Il Cavaliere non era Giovan Battista Marino bensì Silvio Berlusconi.

    c) Che Dante era un uomo del Rinascimento nonché inventore dei sette peccati capitali.

    d) Che a Firenze al tempo di Dante c’erano delle guerre intestinali fra Guelfi e Ghibellini.

    e) Che Il Fu Mattia Pascal fu scritto da Pittarello.

    L’ultima, gentile cortesia del ragazzo dell’ultimo banco, tale Francesco Belli, che aveva precedentemente interrotto la compagna, Veronica, e che sembrava non avere nulla da dirsi con la realtà circostante visto lo sguardo vuoto e pesante e il continuo rovistare e macchinare sotto il banco.

    Una familiare sensazione iniziò a farsi strada nella professoressa Cavilli: l’ansia.

    L’innegabile nodo alla bocca dello stomaco che fa tremicchiare le estremità e sudare la nuca. In quel momento di montante disperazione e delusione totale la professoressa iniziò a comprendere la Verità Numero 1 Comma 2:

    "VER.1: Se data occasione i ragazzi faranno sempre il minimo indispensabile e tenteranno di copiare durante il compito.

    – Se il docente della materia in questione è privo di polso e carisma i ragazzi calpesteranno la sua materia senza mai studiarla.

    – Se l’insegnamento della materia è incongruo e privo di continuità didattica i ragazzi calpesteranno la materia e avranno anche un’enorme guazzabuglio confusionario nella testa."

    Ancora una volta il sistema scolastico italiano aveva colpito e affondato.

    La professoressa Cavilli era sull’orlo dello scoraggiamento, poi prese un bel respiro e pensò a quello che le diceva sempre sua madre Ti fai troppi problemi inutili prima ancora di sapere cosa succederà o a quello che diceva sempre suo marito I ragazzi sono sempre stati così, non ti preoccupare, anzi io quando ero alle superiori [Inserire storia che farà dire indignata a Camilla Cavilli Ah! Se fossi il mio alunno!]".

    Avevano ragione, non doveva scoraggiarsi, rifletté: Aveva nove mesi per tirare su quei ragazzi, renderli interessati, acculturati, preparati e certi di passare la maturità a pieni voti. Nove mesi. Meno le vacanze di Natale e quelle di Pasqua che insieme fanno quasi un mese. Otto mesi…Meno i ponti, l’immacolata, i morti, i santi, il primo maggio, venticinque aprile, due giugno, carnevale perché passano i carri e la scuola chiude, il santo patrono. Sette mesi e mezzo. Meno due open-day, la festa della donna con la conferenza femminista, il giorno della memoria, la giornata dello sport, dieci film del progetto cinema, un paio di assemblee di classe che di sicuro avrebbero preso anche le sue ore, l’assemblea d’istituto, qualche sciopero, l’autogestione, la settimana del recupero. Sei mesi, sei mesi. Comunque mezzo anno. La gita! La gita di quinto! Almeno cinque giorni all’estero e il giorno dopo sono stanchi, la settimana bianca, lo scambio culturale, prima vengono gli olandesi una settimana e vanno a Roma, a Firenze e alla Cascata delle Marmore con i corrispondenti italiani e quindi non si può fare lezione né interrogare, poi loro vanno in Olanda e non si può spiegare. Poi tornano e sono stanchi. Cinque mesi. E la visita alla moschea? L’incontro con le forze dell’ordine sulla sicurezza informatica e il cyber-bullismo! Il seminario contro la violenza sulle donne, l’incontro con gli immigrati del centro di accoglienza. E durante l’alternanza scuola lavoro non si può spiegare. E l’orientamento nelle università! Devono venire le psicologhe della ASL a fare i test attitudinali ai ragazzi e sono sei incontri da due ore! Metti anche un’influenza, un paio di giorni senza voce se non di più. Quattro mesi, non un giorno di meno. Comunque è un terzo di anno, metà anno scolastico. La professoressa Cavilli sudava, ma prese un altro respiro profondo, poi si ricordò: le elezioni comunali a maggio.

    Una settimana dopo la professoressa Cavilli aveva già avuto tre crolli nervosi, pessimi risultati sui compiti a casa e diverse idee su come mollare l’insegnamento e scappare alle Bahamas. I colleghi già parlavano entusiasti di progetti e piani di programma, la preside continuava a proporre attività supplementari e per giunta Camilla Cavilli aveva già perso due volte la password del registro elettronico e rigato il paraurti posteriore negli stretti parcheggi del centro storico. Sembrava l’inizio di una tragedia.

    Il collega di Greco e Latino alla seconda settimana aveva già aperto le valutazioni e ancora non aveva scambiato nemmeno uno stralcio di conversazione con la professoressa Cavilli. Lei aveva intuito che il professor Alberti, questo era il nome, doveva essere stato un accademico prima che un docente e che doveva aver avuto la sua fetta di fama nel mondo delle lettere antiche. La collega di Storia, la stridula professoressa Righi affermava che Alberti fosse in grado di parlare fluentemente sia Greco che Latino, Camilla Cavilli si era detta che non era merito della Restituta, il professor Alberti doveva essere un vero contemporaneo di Seneca a giudicare dall’intricato reticolo di rughe incartapecorite e la barba ingiallita.

    Al primo consiglio di classe tutti sembravano avere almeno una o due valutazioni per alunno, qualcuno aveva un’interrogazione e qualche intervento, altri un compito in classe e un’interrogazione. La professoressa Cavilli aveva a mala pena un giudizio sulle domande che faceva in classe e a cui rispondeva sempre e solo Veronica Coletti. Il suo VC restava muto e immobile davanti alle sue richieste, a volte riusciva ad avvincerli e a catturare la loro attenzione e lo percepiva come una vittoria, poi trovava nuove, enormi lacune che rendevano impossibile aggiungere informazioni nuove. Le lacune del VC non erano crepe, erano veri e propri buchi neri in cui tutto ciò che la Cavilli spiegava veniva risucchiato, ingoiato e trasformato nel nulla assoluto. Nonostante la pressione e l’imbarazzo che provava nei confronti dei colleghi non poté presentare nessun voto ufficiale.

    Quella sera, tornata a casa, si sentì più amareggiata del solito. Italiano era la materia più importante, la prima prova, il collante di ogni tesina, il principio di ogni collegamento e se la classe falliva avrebbe fallito anche lei con loro. Non c’era tempo, non c’erano i mezzi e non c’era la giusta ricezione. Ci sarebbe solo voluto un miracolo.

    I

    Gli spiriti inquieti e le leggi del Cosmo

    Era tradizione ormai assodata, al liceo Francesco Petrarca, che tutti gli anni le classi quinte organizzassero ognuna una festa di Natale esclusiva di cui si sarebbe dovuto parlare per i seguenti cinque mesi di scuola. La leggenda voleva che in quelle misteriose feste di Natale a porte chiuse si potessero ribaltare i destini di sfigati e rappresentanti d’istituto, si vociferava che riti di passaggio e iniziazione venissero effettuati dalle classi più intraprendenti e che durante il corso della serata ogni gerarchia e antipatia venisse sovvertita permettendo anche al più timido secchione e al più esuberante don Giovanni di diventare amici così come al più distaccato e anonimo di avere una chance con la più bella della classe. Ogni studente ovviamente attendeva con ansia il 22 dicembre del quinto anno sin dal primo giorno di scuola. Le voci accrescevano la curiosità e le fantasie, l’idea di una serata fuori dal comune, separata dal resto dell’anno da quindici giorni di vacanze, rendeva la festa di Natale un evento mistico e idealizzato.

    In verità le feste di Natale del liceo classico Petrarca erano solitamente serate poco divertenti in cui la classe, costretta a stare insieme, si divideva in gruppetti come fra i banchi di scuola e a mezzanotte già era svanita ogni goccia di trepidazione e meraviglia. Tra i corridoi si narrava della leggendaria festa di Natale della quinta A del 2015 in cui il giovanotto più richiesto della scuola si era invaghito della rappresentante di classe da lui precedentemente odiatissima. In verità la serata era finita con un miserabile gioco della bottiglia che però con il passaparola e l’alone di mistero era diventato una spassionata dichiarazione d’amore eterno.

    Il VC non faceva eccezione, tutti attendevano la festa del 22 dicembre organizzata nella villa di Samantha Verzieri, vuota, dal momento che la madre e il compagno erano partiti per una pausa pre-natalizia alle terme. Non c’era stato bisogno di distribuire inviti, tutta la classe era invitata e obbligata a partecipare, l’assenza era ammessa solo per cause di forza maggiore e comunque nessuno si sarebbe mai sognato di perdere la festa di Natale. Alle cinque del pomeriggio già mille messaggi volavano da uno smartphone all’altro chiedendo conferma su cosa mettere, come apparire più magre, se portare alcool supplementare, se ci sarebbero state droghe, se qualcuno avrebbe baciato qualcun altro e chi avrebbe portato e riportato chi. Alle otto in punto iniziò a suonare il campanello di villa Verzieri e piano piano il salotto si riempì.

    Margherita Ravalli arrivò in grande stile sulla sua Mini Cooper nuova di zecca, non si disturbò a suonare o bussare dato che da Samantha si sentiva a casa sua, erano migliori amiche e conosceva la villa come le sue tasche. Al suo seguito c’erano le amiche Irene e Giulia vestite di tutto punto. Mentre Margherita si faceva strada verso Samantha tutti gli sguardi dei compagni si voltavano ad osservarla, studiavano i suoi capelli platinati, la pelliccia d’angora e i suoi tacchi firmati di quindici centimetri. Una ragazza minuta in un vestito paillettato le si parò davanti salutandola vigorosamente e sfoderando un sorriso gigante.

    «Ciao Annalisa» fu la sola risposta di Margherita.

    La ragazza restò delusa, Margherita era la sua compagna di banco e non la degnava mai nemmeno di uno sguardo, spesso le ricordava che l’aveva scelta come compagna solo perché era l’unica ragazza rimasta che non fosse estremamente fastidiosa o imbarazzante da avere nel registro delle conoscenze.

    Samantha salutò entusiasta le amiche e subito il quartetto si tirò in disparte per scattarsi selfie e chiacchierare delle ultime news dei reality e dei pettegolezzi scolastici.

    Emma Franceschetti arrivò portando con sé nella sua Uno sfiancata, Samuele che aveva chiacchierato della nuova serie di Star Trek fino alla nausea per tutto il viaggio, e Valerio che da solo occupava tutti e due i posti del sedile posteriore e incalzava l’amico sul discorso fantascientifico. Emma li scaricò sul divano a cercare di intavolare un discorso con quel povero sfigato di Davide Loria che anche quella sera sembrava deciso a non parlare con nessuno. Emma voleva quasi dirgli qualcosa, attaccare bottone, fargli sapere che lei lo capiva, dirgli che… no, non aveva tempo e non aveva voglia di mettersi a fare discorsi pietosi. Doveva aspettare una persona in particolare quella sera, doveva fare un discorso ben più serio. Era suo dovere, in quanto responsabile per i suoi compagni di classe (ok, il termine giusto sarebbe rappresentante di classe, ma Emma la prendeva ben più sul serio) e in quanto essere umano che si rispetti. Attese per un po’ poi vide arrivare infiocchettata in un terribile vestito color cipria Elena Matteucci.

    «Matteucci!» chiamò Emma interrompendo la passerella della compagna verso le amiche.

    Samantha e Margherita fecero una piccola smorfia di irritazione.

    «Matteucci, era quell’imbecille del tuo fidanzato che imbrattava il piazzale della scuola con frasi fasciste?»

    La ragazza non rispose.

    «Era il tuo fidanzato.»

    «Scusa ma a te che importa?»

    Quella domanda fece lanciare Emma in una delle sue travolgenti sgridate: «Prima cosa parliamo del fatto che è talmente ignorante che la svastica che ha disegnata sullo zaino è al contrario. Seconda cosa non so come fai a vederti con un maiale del genere, siccome sei troppo stupida per capire la gravità delle cose che scrive su Facebook e dei disegni con cui imbratta un piazzale pubblico non mi sorprende che tu ci stia ancora insieme. Ma lasciati dare un consiglio, mandalo a quel paese e scappa più lontano che puoi, è uno schifoso fascista misogino a cui di

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