Del gruppo classe e della sua anima insondabile
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Anteprima del libro
Del gruppo classe e della sua anima insondabile - Maria Amalia Orsini
Formazione
Ho quindici anni, è il 1962. Sinora la mia carriera scolastica procede senza troppi intoppi. Sono stato all’asilo di cui non ricordo molto, solo un minuscolo cestino di vimini ben chiuso che mi portavo appresso e i cui intrecci allentati sul bordo esalavano di solito un profumo di mela e frittata che era il mio pranzo.
Di quel periodo della mia vita conservo anche una fotografia in bianco e nero dove io sono seduto da solo a un banco e do l’idea di aver appena terminato la composizione di una casetta con tre o quattro elementi in legno. In realtà la composizione era già predisposta e solo prestata ai bambini che si succedevano lì seduti per la foto, i quali non erano autorizzati a toccarla.
Dopo ho frequentato la scuola elementare e ho dei ricordi vivissimi degli ultimi tre anni. L’edificio era piuttosto scuro e fatiscente, con ingressi separati per i maschi e le femmine.
Mi sono appassionato alla lettura e alla matematica, ma anche storia e geografia mi piacevano molto. E mi piaceva moltissimo il maestro Della Lucia spesso esigente, severo, ma che sapeva anche farci ridere. Con lui ho scoperto, oltre le materie di scuola, la musica, il teatro dei burattini, la recitazione. Insegnava tutte le materie con la stessa bravura. Non invidiavo due miei amici che venivano nella mia scuola ma in un’altra sezione e avevano invece un maestro che insegnava tutte le materie annoiandoli nello stesso modo.
Ho fatto gli esami di passaggio da un ciclo all’altro delle elementari in seconda e sono stato promosso, con mio grande sollievo, mentre alcuni dei miei compagni sono stati fermati e hanno dovuto ripetere la classe.
Dopo l’esame del quinto anno per cui ho avuto la licenza elementare, sono riuscito ad accedere alla scuola media mediante l’esame di ammissione insieme ad alcuni altri; ci aveva preparato molto bene il nostro maestro, fuori ovviamente dai suoi orari scolastici (noi non eravamo neanche più suoi alunni tecnicamente) senza chiedere una lira ai nostri genitori. Che in coro gli hanno detto solo grazie
, e basta.
Di noi 6 ragazzi, la metà cioè 3, tra cui io, eravamo i primi nelle nostre famiglie a continuare gli studi oltre le elementari. Il dopo guerra qualcosa di buono e di nuovo ci aveva portato.
La scuola media mi è piaciuta tanto, la cosa che mi è piaciuta di più è stata lo studio del latino. Nessuna delle altre materie mi dava la stessa euforia, sentivo che il latino dava un’importanza speciale, una specie di luce a tutto il resto del programma scolastico.
Adesso, sempre ben in ordine con giacca e cravatta, come richiesto, sono studente dell’Istituto Magistrale, il liceo dei poveri
come qualcuno chiama il mio Istituto in seconda battuta. Forse è anche dovuto al fatto che il corso di studi è di soli quattro anni rispetto ai cinque dei licei, sia a indirizzo classico che scientifico. Che il percorso di studi sia abbreviato un po’ mi dispiace, ma non troppo. Dopo tutto, penso, avrò modo di anticipare di un anno, rispetto agli altri studenti, il mio ingresso nella vita adulta e nel lavoro, senza che niente possa comunque impedirmi di continuare una vita personale di studio, di letture e di ricerca di strumenti culturali ben oltre la scuola. Altri miei amici che sanno già di essere destinati all’università, si sono invece iscritti al ginnasio-liceo.
Un po’ li invidio, ma la vera verità è che sono contentissimo di frequentare il Magistrale. Uno, anche qui studio filosofia. Due, continuo gli studi del mio amatissimo latino. Tre, il mio è l’unico istituto di scuola media superiore che consenta lo studio di musica e canto al di fuori del Conservatorio. Ma la cosa che più mi attrae (oltre al fatto che nelle classi ci sono davvero tante ragazze da avvicinare anche se tutte ben nascoste dentro il loro grembiule nero), è l’approccio a una materia come psicologia, in specie psicologia dell’età evolutiva. No, non avrei davvero mai sospettato le rivoluzioni mentali, oltre a quelle fisiche visibili, che gli esseri umani affrontano nel primo anno di vita.
E neanche potevo pensare che all’ingresso della scuola materna, a tre anni, già le forbici della disuguaglianza possono essere tanto allargate tra i bambini, mostrando i diversi condizionamenti familiari degli anni precedenti nel linguaggio, nel controllo dello spazio, nelle abilità di gioco, nella risposta verso l’adulto educatore.
Come ha suggerito genialmente Erich Fromm (uno psicologo che considera la capacità di amare una splendida arte), a occhio nudo è possibile individuare chi fra quei bambini è cresciuto nell’abbondanza di latte e miele, chi ha avuto freddamente e frettolosamente solo la sua razione di latte e chi ha avuto poco anche di quello. Quante buone carte vengono già buttate o truccate in quei primi tre anni?
Sto studiando per diventare un maestro di scuola. Mi dicono che sarò poco pagato anche se avrò abbastanza tempo libero, che non avrò mai la possibilità di fare una vera carriera. Chissà cosa mi aspetta. In questi giorni ho conosciuto un vecchio maestro che sta per andare in pensione, un bel signore alto, vigoroso, con una bellissima barba bianca di cui è orgoglioso perché è un vecchio alpino con tante storie di vita da raccontare.
Quando ha sentito che io ogni tanto mi interrogo sul mio futuro, questo maestro che si chiama Pagnucco mi ha detto: Se deciderai davvero di fare il maestro, ricordati che noi godiamo di un privilegio, noi lavoriamo con la parte migliore dell’umanità
.
Nascita di un maestro
Dai miei 15 anni mi separano ormai sei anni. Ho ottenuto con una buona media l’abilitazione magistrale, ho finito il servizio militare obbligatorio che ho scelto di fare nel corpo dei paracadutisti stanziati a Pisa e a Livorno.
Nel complesso un’esperienza piuttosto dura che mi rallegro sia conclusa. Effettuare i lanci richiedeva un certo dominio di sé, il peggio si verificava una volta toccato terra, quando bisognava recuperare rapidamente tutto ciò che ci era stato consegnato, predisponendosi subito a marce estenuanti nella macchia toscana con ogni tipo di tempo, carichi e armati pesantemente sino al punto di raccolta. Qualche esercitazione era più semplice, qualche altra decisamente più faticosa.
Ho avuto però modo di stringere nuove amicizie e conoscere nuovi luoghi e città diverse dalla mia. Nei bar di Livorno dove andavo a bivaccare ogni tanto sbirciando senza sosta le belle livornesi, mi è capitato di incontrare giovani soldati americani, giovanottoni atletici e chiassosi che accompagnavano a bere i loro commilitoni che già avevano in tasca l’ordine di partenza per il Vietnam. Parevano impazienti, agitati, gli occhi troppo brillanti.
Qualcuno di noi allora caricava il juke box (100 lire, tre canzoni), con la canzone di Gianni Morandi che fa ..c’era un ragazzo/che come me/ amava i Beatles e i Rolling Stones..
e subito il bar si caricava di particolari atmosfere, nell’interno d’improvviso la luce si faceva più tenue, più soffusa, senza che nessuno avesse toccato niente, qualcuno degli americani sorrideva e io sentivo un brivido senza un perché lungo la schiena.
Sono poi tornato a casa in tempo per affrontare il Concorso Magistrale che