La scuola bocciata
Di Lucia D'Aleo
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Anteprima del libro
La scuola bocciata - Lucia D'Aleo
Anno 1976.
Ero una ventiquattrenne appena laureata e avevo fatto domanda di supplenza ai presidi, ne ottenni una in un liceo scientifico della provincia di Siracusa. Mi ritrovai in una quinta maschile che posso dire di ragazzi educatissimi con me, non con il loro preside di cui non ricordo neanche il nome, che stava sempre chiuso nel suo ufficio per evitare l’incontro con gli studenti. Penso che ne fosse terrorizzato, gliene combinavano di tutti i colori e i suoi docenti lo stimavano poco; cosa che a me già allora sembrava assurda e scandalosa.
Dopo 42 anni di esperienza scolastica e oramai in pensione dal 2015, mi sono sempre proposta di raccontare la mia attività lavorativa intitolando il mio saggio La scuola bocciata
. Oggi, secondo me, questa istituzione è culturalmente distrutta dai politici della cosiddetta destra o sinistra, con lo stesso denominatore comune: la volontà di avere giovani ignoranti e incapaci di ribellarsi a questi signori che sanno solo fare i loro interessi e arrecare danno agli italiani. Paragono l’Italia a un campo da tennis, i giocatori sono i politici che simulano i due fronti opposti: destra e sinistra, la pallina rappresenta il popolo che prende colpi da tutte le parti. La scuola è sempre più scadente e demotivante sia per i docenti che per gli alunni meritevoli, che si ritrovano a barcamenarsi in classi che non permettono il loro emergere; molti studenti volenterosi vorrebbero cogliere questa stupenda opportunità che è l’imparare. La nostra scuola compensa la sua carenza con la burocrazia e tanta carta, si scrivono tante sciocchezze sugli alunni ma in sostanza non c’è apprendimento, siamo fuori dalla realtà scolastica europea, stiamo diventando sempre più un paese con una scolarizzazione da Terzo Mondo.
Sono divenuta insegnante dopo una scelta molto difficile, lasciai il laboratorio ospedaliero di Siracusa per sposare un ingegnere che allora lavorava a Torino. Fu lì che cominciai a insegnare definitivamente, dopo le brevissime esperienze da neolaureata.
Nonostante questa sofferta decisione ho avuto sempre una gran voglia di essere un’insegnante coscienziosa, avevo e ho la consapevolezza che gli studenti non siano giocattoli, ma sono il futuro della società.
Nel 1980 ho iniziato i primi anni di insegnamento alle medie con dei ragazzi di provincia - allora ero ad Almese - molto educati e desiderosi di apprendere, per poi trasferirmi in un paese limitrofo, Avigliana. Le materie di insegnamento della classe di concorso erano le scienze naturali, la fisica e la matematica, ovvero un docente doveva sapere e trasmettere il tutto di niente. Non capivo e non capisco perché un laureato in Biologia debba improvvisarsi docente di matematica e non insegnare solo le sue discipline. Ancora adesso le due discipline non vengono separate e questo comporta, a mio parere, un insegnamento non ottimale delle materie di studio. Per fortuna avevo frequentato il liceo scientifico e qualcosa ricordavo. Mi proposi di insegnare al meglio possibile la mia non disciplina: la matematica, così mi misi a studiare i contenuti, perché se non avessi conosciuto quelli come avrei potuto acquisire il metodo più idoneo? Negli anni ho sentito che il metodo era più importante degli argomenti di studio, mi sentivo come uno che stava a testa in giù e continuo a non capire. Quale metodo avrei dovuto applicare senza una buona conoscenza dei contenuti? E cosa potevo trasmettere senza il sapere?
Trovai anche un ottimo libro- il Bargellini - che permetteva un insegnamento molto pragmatico della matematica delle medie inferiori, descriveva esperienze concrete attraverso il suggerimento di lavori in classe. Ad esempio, il libro forniva delle ruote dentate in cartone, di diversa dimensione, per spiegare il rapporto tra due numeri e quindi l’uguaglianza di due rapporti, ovvero una proporzione. Notavo che i ragazzi si divertivano ma allo stesso tempo imparavano e imparavo anch’io la cosiddetta didattica. Allora avevo già la consapevolezza che non tutti gli studenti di quell’età fossero in possesso di capacità di astrazione; molti dovevano concretizzare i concetti attraverso esperienze. Si rendevano conto che una piramide aveva il volume di un terzo di un parallelepipedo con stessa base e altezza, grazie a una scorta di figure poliedriche in plastica; usavano l’acqua, riempiendo tre volte la piramide e versando il contenuto nel parallelepipedo corrispondente, realizzavano che il volume del parallelepipedo era tre volte quello della piramide.
Le figure geometriche si potevano costruire anche con il cartoncino, qualora non vi fosse stata la disponibilità di quelle in plastica, al posto dell’acqua si poteva usare la mollica di pane. Il divertimento più bello era durante le lezioni che riguardavano le frazioni, i miei studenti portavano le mele che poi mangiavano, qualche mamma si offriva di preparare le ciambelle. Non dimenticavano più il significato di un ottavo dividendo la loro mela in otto parti uguali, lo vedevano con i loro occhi.
Potrei continuare a fare tanti esempi della didattica che praticavo in classe, ma mi dilungherei troppo. Di questi ragazzi piemontesi ricordo il rispetto e la puntualità nel portare da casa il materiale da me richiesto per poter realizzare i laboratori scientifici in classe, al fine di rendere tutto più comprensibile e visibile. I microscopi da dilettanti furono utili per lo studio della botanica, durante le interrogazioni facevo commentare o meglio descrivere ciò che vedevano nella parte iconografica del loro libro di scienze, per aiutarli alla memorizzazione dei termini scientifici che non sempre sono così semplici. Notavo la loro attenzione anche dalle domande che mi ponevano.
Il mio insegnamento pragmatico a loro piaceva, visto come erano reattivi, per questo mio legame esperienziale devo ringraziare l’allora preside della mia facoltà, il famoso Marcello La Greca, che esigeva per noi lo studio in laboratorio delle nostre discipline dietro la cura e la sorveglianza dei nostri professori; logicamente anche l’esperienza ospedaliera mi aveva legato definitivamente al pragmatismo.
Nella scuola di Avigliana ho conosciuto il preside Zallio, degno di chiamarsi capo d’Istituto, uno dei pochissimi meritevoli di questa menzione; entrava nelle classi a sentire le lezioni, controllava i registri e pretendeva che i bidelli pulissero veramente la scuola, lui stesso controllava i bagni e altro. In tutta sincerità non posso dire di averne incontrati altri come lui,