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Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole
Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole
Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole
E-book174 pagine2 ore

Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole

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Info su questo ebook

Gianni Michelini, docente di estetica all’Università di Bologna, vive un’esistenza di misurata rassegnazione dopo la tragica perdita della figlia in un incidente d’auto e la conseguente fine del prorio matrimonio.
Mentre partecipa come relatore alle discussioni delle tesi di laurea, rimane colpito da una studentessa – Amelia Borghi – che lo incuriosisce per la contegnosa serietà e per il fatto che si presenta completamente sola all’importante appuntamento. Senza altre finalità che quella di dare una risposta alla propria curiosità e sentendosi anche un po’ ridicolo, invita Amelia a prendere un caffè. Ma dopo un inizio di conversazione quasi rilassato, la ragazza sparisce inspiegabilmente lasciando sul tavolino del caffè un anello. Gianni si improvvisa investigatore e tenta di rintracciare Amelia per restituirle l’anello.
Nel racconto si innestano veloci flash back nei quali si delinea la storia parallela del rapporto di Gianni con la figlia Anna.
Un romanzo all’apparenza introspettivo, che acquista ritmo col procedere della storia ambientata tra l’Emilia Romagna e Venezia. Una scrittura schietta e senza filtri che affronta con distacco e senza falsi moralismi temi ancora “scomodi” in Italia come l’omosessualità di entrambi i generi, o decisamente scabrosi come la pedofilia e le violenze sui minori.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2013
ISBN9788868558550
Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole

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    Anteprima del libro

    Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole - Valerio Giovetti

    Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole

    Valerio Giovetti

    anno di pubblicazione: 2013

    La copertina e le illustrazioni sono di Annalisa Costa ©

    ***

    isbn:Non disponibile

    Questo libro è stato realizzato con BackTypo

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Non c'è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole

    Indice dei contenuti

    Colophon

    Lunedì 29 luglio

    Martedì 30 luglio

    Mercoledì 31 luglio

    Giovedì primo agosto

    Domenica 4 agosto

    Lunedì 5 agosto

    Martedì, 6 agosto

    Mercoledì 7 agosto

    Giovedì 8 agosto

    Venerdì 9 agosto

    Sabato 10 agosto

    Ferragosto, giovedì

    Venerdì 16 agosto

    Sabato 17 agosto

    Lunedì 19 agosto

    Martedì 20 agosto

    Mercoledì 25 dicembre

    Ringraziamenti

    "Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?».

    Matteo 12, 46-48

    Lunedì 29 luglio

    Il dito indice della mano sinistra della ragazza esercitò una delicata pressione sulla parte inferiore della palpebra destra, facendo attenzione a non schiacciare le ciglia, mentre la mano destra si apprestava a tracciare una sottile linea scura sul contorno inferiore dell’occhio.

    La pupilla cercò la propria immagine riflessa nel grande specchio davanti a lei senza comprendervi l’altra immagine, quella della giovane punk, pallida e decorata da borchie e piercing, sul punto di accendersi una sigaretta. Se lo avesse fatto, forse ci avrebbe colto un poco di commiserazione. Eppure anche quelle borchie e quei piercing rispondevano alla stessa esigenza: piacersi e al tempo stesso sottolineare la propria presenza a qualcuno, là fuori. Appena ebbe terminato quella delicata operazione, la ragazza ripose frettolosamente la matita nel beauty che aveva appoggiato sul bordo del lavandino e per l’impazienza urtò l’acciaio di una lametta da barba.

    L’occhio, più libero di spaziare, poté cogliere un movimento fugace alla sua destra: la punk aveva abbandonato la toilette femminile del secondo piano della Facoltà di Lettere, lasciandosi dietro una gradevole scia di tabacco aromatico.

    Amelia ebbe un improvviso déjà vu e sentì le lacrime salirle dal petto, ma per fortuna riuscì a controllarsi. Avrebbe dovuto ripetere l’intera operazione e la cerimonia stava per avere inizio. Controllò un’ultima volta il proprio aspetto nello specchio male illuminato senza riuscire a trovare l’effetto di proprio gradimento; ma si conosceva abbastanza da non farsene un problema.

    S’accorse invece che il dito aveva incominciato a sanguinare leggermente. Prese un Kleenex dalla borsetta e pulì il taglio; poi prese un cerotto trasparente e ce lo avvolse attorno. Infine coprì il cerotto con un anello e indossò due piccoli orecchini. Era pronta per l’atto finale.

    Un gruppo di studenti stazionava davanti all’ingresso della sala dove si sarebbe svolta la cerimonia di laurea. Mischiati a loro c’erano genitori, parenti e amici. Qualcuno teneva in mano corone d’alloro e copricapi goliardici. Amelia reggeva solo una piccola borsetta di pelle e avrebbe potuto apparire come uno degli accompagnatori, ma era invece per un motivo più personale che si trovava lì: stava per laurearsi, all’età di ventitré anni, in lingue moderne, con una tesi su poetica della seduzione. Aveva anche pensato di rinunciare a quell’ultima formalità, che non avrebbe apportato nulla più a ciò che era riuscita a realizzare negli ultimi cinque anni della sua vita in una città che non aveva mai amato. E adesso, mentre frugava nella minuscola borsetta cercando di dissimulare la propria solitudine col solo pudore della riservatezza, adesso non riusciva a convincersi che quello potesse essere un punto di partenza, semplicemente perché Amelia una direzione verso cui muoversi non ce l’aveva proprio.

    La porta dell’aula si aprì e una docente avvolta in una lunga tunica scura con risvolti di raso viola chiamò il suo nome. Le persone che stazionavano là davanti le fecero spazio e Amelia s’infilò dentro.

    La porta fu subito richiusa alle sue spalle. L’accolse un silenzio che a lei parve profondo. Attorno a un tavolo a forma di u sedeva la commissione esaminatrice. Tutti le rivolsero uno sguardo benevolo, anche se non conosceva la maggior parte di loro. Il suo relatore le andò incontro con un sorriso e la fece accomodare al centro. Era un uomo ormai anziano, alto secco e un po’ curvo, dal cui capo pendevano filamenti bianchi e grigi, superstiti di quella che era stata un tempo una folta e fluente capigliatura.

    «Come potete vedere», disse rivolto ai colleghi, «la tesi della signorina Borghi riconduce la nostra attenzione a un aspetto per molti di noi purtroppo dimenticato: il rapporto tra poetica e seduzione».

    Girò lo sguardo attorno per valutare l’effetto delle sue parole; la totalità delle persone che gli stavano davanti aveva come lui superato i cinquanta, tranne forse il professor Michelini, che non conosceva personalmente. La professoressa Raggi, che insegnava epigrafia latina ed era stata amante del rettore (era di dominio pubblico), storse la bocca in una smorfia di difficile interpretazione; la maggior parte degli altri preferì fingersi interessata alla copia della tesi che avevano di fronte, a eccezione di Michelini e del presidente, il professor Galimberti, che commentò:

    «Spero che il tema non contribuirà a rendere ancor più insopportabile quest’afa terribile», e per non essere preso troppo sul serio sorrise di nuovo alla laureanda in modo ancor più aperto e bonario.

    In effetti si era sul finire di luglio e l’unico rimedio alla calura, oltre alle spesse mura dell’edificio in cui si trovavano, erano tre finestre lasciate aperte, ma dalle quali non proveniva alcuna corrente d’aria.

    L’aria è immobile oggi, pensò il professor Gianni Michelini raschiando il colletto che portava educatamente abbottonato attorno a una cravatta che si sentiva in dovere di usare, nonostante il regolamento non la prescrivesse. Stava osservando la giovane laureanda come era sua abitudine fare in quelle circostanze. Era una ragazza esile, portava i capelli raccolti e indossava un semplice paio di jeans, anche se di ottima fattura, e una camicetta bianca con delicati ricami tono su tono. Portava anche orecchini piccoli a ciondolo e un anello. Il tipo acqua e sapone, pensò di primo acchito. C’era però qualcosa in lei che non ricadeva nella definizione di ‘acqua e sapone’, qualcosa che si sforzò di identificare, senza successo.

    La ragazza sedeva quieta, in attesa che il relatore incominciasse a illustrare i contenuti della sua tesi. Subito dopo intervenne il correlatore, che forse anche per via dell’afa non sembrava avere molta intenzione di metterle i bastoni tra le ruote.

    «Noi sappiamo che nella visione di Dante la donna è amata in quanto la sua bellezza è una testimonianza dell’esistenza di Dio, e quindi è amata non per sé ma solo come metafora del bene divino. Oltre a questa, sono state formulate alcune altre ipotesi; ci può dire quali?»

    Senza scomporsi di un millimetro la ragazza rispose:

    «La prima è che l’adorazione del femminile provenisse dall’Oriente attraverso le eresie; la seconda è che alla base del desiderio maschile deviato ci sarebbe il bisogno di placare il senso di colpa del carnefice con l’esaltazione della sua vittima».

    Il correlatore obiettò:

    «Ce ne sarebbe anche una terza, secondo la quale la deviazione - come l’ha definita lei - sarebbe dovuta alla paura per l’incontrollabilità dell’istinto».

    «Sì», rispose la laureanda. «E il simbolo dell’incontrollabile istinto è, nella letteratura, il filtro d’amore, che obbliga a innamorarsi contro la propria volontà. Se il filtro d’amore simboleggia la tirannia del desiderio, i mistici desiderano liberarsi da quella schiavitù e non solo dal desiderio sessuale: loro immaginano perfino di rinunciare allo stesso amore divino. Il mistico cerca un appagamento oltre gli oggetti del mondo, in una raggiunta armonia dello spirito».

    Tutti tacquero, pensosi. La professoressa Raggi pareva a disagio.

    L’idea che il desiderio erotico fosse un triste destino per l’uomo aveva attraversato in alcune circostanze del passato la mente del professor Michelini, senza avervi tuttavia gettato radici solide. È una idea che corre per tutta la storia della cultura europea fino ai giorni nostri, pensò. Noi siamo innamorati dell’idea di amore, non dell’altro. E l’amore dell’amore è uno schermo che copre un fondamentale impulso umano: il desiderio di morte e il bisogno di soffrire. Lacan lo definisce un impulso narcisistico e la sua immagine più bella nella letteratura moderna è quella del Conte Orsino, nella Dodicesima Notte di Shakespeare. Lui, grazie al cielo, era riuscito a sottrarsi alla schiavitù di quell’impulso distruttivo. E coltivava un’altra idea dell’amore.

    «Signorina», disse, precedendo il presidente che stava per dichiarare conclusa la sessione, «lei conosce queste parole? C’è chi desidera l’antico amore e chi uno nuovo, chi cerca tesori e chi due soldi, e tutti distolgono il loro cuore da ciò che realmente posseggono. Hanno il mare dentro di sé ed implorano una goccia dagli altri».

    «È una bellissima citazione, Gianni; però così la metti in difficoltà», lo riprese, bonariamente, il relatore.

    Ma la ragazza rispose con tono fermo:

    «Sono parole attribuite a Farid al-Din Attar, uno dei maggiori poeti mistici persiani e sono tratte dalla sua opera più famosa: Il verbo degli uccelli. Attar influenzò Rumi, che è il massimo rappresentante del sufismo, nella definizione delle sue concezioni».

    «Direi proprio che può bastare così», tagliò corto il presidente. «Per ora può accomodarsi», aggiunse, invitando la giovane a uscire.

    E me ne andrei volentieri anch’io, pensò Gianni. Ma c’erano altri due studenti in lista per quel pomeriggio. Gli venne allora in mente che sarebbe stato bello terminare la giornata di lavoro facendo due chiacchiere con quella ragazza, seduti a un bar, fra la gente. Intanto però c’era da stabilire il voto finale, una decisione che non prese troppo tempo, dato che erano tutti rimasti favorevolmente impressionati, e la media dei suoi esami era eccellente.

    Il relatore, che aveva anche lui un nome, si chiamava Primo Linguerri: un nome non proprio adatto a un professore universitario, che oltre tutto non godeva di grande prestigio, perché aveva scritto appena un libro in tutta la sua carriera, era molto contento quando una delle sue laureande otteneva il massimo dei voti, e lo considerava quasi un successo personale. Per questo corse subito a darle la buona notizia.

    A quel punto il professor Galimberti concesse a tutti una pausa di quindici minuti e Gianni si diresse in bagno. A metà del corridoio, davanti a una grande vetrata che dava su un cortile interno, c’era però il collega Linguerri con la sua studentessa, la quale appariva contornata da un alone di luce, come una madonnina. Linguerri invece era vestito di scuro, non aveva niente di etereo e assomigliava piuttosto a un cocchiere inglese dell’Ottocento. Una voce interiore lo spinse verso di loro.

    «Gianni, ti presento Amelia Borghi, una delle mie studentesse più promettenti». La luce che entrava dalla vetrata tagliava la zona d’oscurità di Linguerri da quella di luce della madonnina con la lama pentagonale di una ghigliottina, come in un quadro del Caravaggio. Un reticolo di capillari si spandeva dal naso fin sulle guance scavate del vecchio professore, e i suoi denti erano neri di caffè e nicotina. Gianni pensò che la ragazza avrebbe dovuto scegliersi un altro relatore; poi vide che stava per rivolgergli la parola, e provò uno strano senso di pericolo.

    «Cosa insegna, professore?»

    Il senso di pericolo svanì, ma si sentì deluso da una domanda così banale.

    «Estetica», rispose.

    Linguerri commentò:

    «Infatti, come vedi, è ancora un bell’uomo».

    E ridacchiando come uno sciocco adolescente aggiunse:

    «Soprattutto tenendo

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