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Un amore comune: Amori tra adolescenti di tutte le età
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E-book148 pagine2 ore

Un amore comune: Amori tra adolescenti di tutte le età

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Info su questo ebook

Nicola e Fabio, padre e figlio, cambiano città dopo la separazione tra i due genitori. La nuova scuola m non è così traumatica per Fabio: incontra subito due gemelli che lo aiuteranno a sentirsi ancora a casa . Gli imprevisti però sono sempre in agguato e coinvolgeranno anche Nicola in una serie di avventure grazie alle quali rivaluterà la sua condizione di padre single .
LinguaItaliano
Data di uscita8 gen 2019
ISBN9788829591770
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    Anteprima del libro

    Un amore comune - Erika Dennis

    dell'anno

    Prefazione

    Quanti di noi hanno vissuto un amore non corrisposto? Tutti, prima o poi. Se ancora non ti è capitato questo tipo di amore, o se invece ti ha già devastato, l'unica difesa è leggere le storie di chi ci è passato, morendone un po'. Ma la parte di noi che sopravvive, la più bella, impara una delle verità preferite, non a caso, dai più saggi: il tempo è l'unico rimedio alla sofferenza. Da un giorno all'altro, infatti, ti svegli al mattino e non te ne importa più niente, così, senza un motivo particolare. A quel punto sei pronto per condividere con gli altri la tua personale storia d'amore, un amore (molto) comune.

    Il primo giorno

    Il primo giorno di scuola era anche il primo della nuova vita di Fabio, in un certo senso.

    I suoi genitori si erano separati all'improvviso, o almeno a lui era sembrato così. Pensava andasse tutto bene tra loro, ma forse era troppo impegnato a gestire la sua pubertà e semplicemente non si era accorto del fatto che ormai da tempo non si amavano più, come gli aveva spiegato suo padre.

    Non aveva mai pensato al fatto che i suoi genitori potessero amarsi, non perché per lui fosse una cosa scontata, al contrario: non pensava che per stare insieme tra di loro ci dovesse essere per forza l'amore. A vederli da fuori stavano bene: scherzavano, andavano in pizzeria, ogni tanto al cinema da soli. Ma l'amore, tra i suoi genitori, era un sentimento che lui, come figlio, non aveva mai preso in considerazione: pensava fosse una cosa da giovani, che quindi facesse soffrire solo lui e altri sfigati suoi coetanei. A 16 anni ne senti parlare tutti i giorni, ma non si era mai accorto (anche perché non se lo era mai domandato) che anche per quelli di 40, padri e madri in particolare, i sentimenti fossero importanti.

    Perciò eccolo in una nuova città, e in una nuova casa, insieme a suo padre: aveva deciso di rimanere con lui perché sperava di sfuggire alle regole soffocanti di sua madre, e in quelle prime settimane del dopo estate gli stava effettivamente andando bene. Suo padre era un bambinone e anche se a volte intuiva la mancanza di una forza autoritaria maschile, con lui il più delle volte si divertiva: tante serate al McDonald's, Playstation tutti i giorni in modalità infinita, disordine tollerato. Per farla breve, vivevano un rapporto di cameratismo che andava bene a tutti e due. Chissà se sarebbe durato, adesso che era cominciata la scuola... Forse no: forse il senso di colpa che suo padre provava per la separazione si sarebbe affievolito e il suo lato da eterno ragazzone sarebbe stato soppiantato dal ruolo genitoriale di padre che deve pensare all'educazione del figlio. Qualcosa si, sarebbe cambiato... ancora una volta.

    Col tempo, forse, sua madre avrebbe finalmente accettato il fatto di non averlo più tra i piedi: ci era rimasta male quando il suo unico figlio aveva deciso di andare a vivere con il suo ormai ex-marito. Avrebbe perso gli unici uomini della sua vita, contemporaneamente, o almeno i più importanti; i suoi occhi, che lo guardavano mentre preparava la valigia la sera prima della partenza, lo accusavano silenziosamente di questo dolore a doppia mandata. Grazie alla sua giovane età, però Fabio non era molto empatico quando si trattava dei suoi genitori, a cui poteva dare la colpa di tutto quello che era e che gli succedeva: in fondo avevano deciso loro di separarsi, e lui una scelta doveva pur farla. Che poi fosse quella più comoda, era un altro discorso.

    Davanti al suo nuovo liceo sciamavano una miriade di ragazzi e ragazze sorridenti, che si ritrovavano dopo tre mesi di vacanza, ammassati sulle scale del portone d'entrata.

    Baci, abbracci, battiuncinque e spallate animavano come tanti piccoli flash lo spettacolo da primo giorno di scuola, dove di solito tutti sono protagonisti e quasi nessuno spettatore. A parte lui, e quelli delle prime classi. Passò attraverso i gruppi in festa a testa bassa ed entrò nel vecchio edificio dai muri scrostati o, dove resisteva un colore tra l'anrancione-sporco e il giallo-triste, impreziositi con murales e scritte di ogni tipo, compresi quelli indecenti.

    Nell'atrio rimase a guardare il cartellone con tutti i nomi degli alunni e le sezioni assegnate, tanto per far qualcosa: sapeva già qual era la sua, III B, secondo piano, ma non aveva voglia di guardarsi in giro con la faccia spaurita per cercare dove fosse, tanto meno di chiedere a qualcuno. Nella sua vecchia scuola, privata, scelta da sua madre, ci sarebbe stato di certo un accoglitore, chiamato scherzosamente da tutti raccoglitore, cioè il rappresentate di classe, che sarebbe venuto a recuperarlo, riconoscendoloo tra 1500 studenti grazie ai suoi superpoteri da Raccoglitore, per poi accompagnarlo in classe, dargli il benvenuto e farlo sentire, secondo lui, subito a suo agio.

    Pure con l'aiuto del Raccoglitore però sarebbe stato impossibile sentirsi a proprio agio in una folla di sconsciuti, anche perché per identificare quello nuovo non c'è bisogno di particolari super-poteri. Tutti sanno che ce n'è uno, e sanno anche chi è, anche se non se lo fila nessuno: si riconosce dall'odore della sfigaggine che emana, che è quello da bucato stirato di fresco da una mamma sorridente e rassicurante. Oggi però quello non era il suo caso: il paio di jeans e la maglietta che indossava erano usciti ben due giorni fa da un self-wash della zona e forse li aveva anche già usati. E in quanto allo stirare, suo padre oltre a usare il termine come sinonimo di investire, non ne aveva mai fatto cenno. Una preoccupazione in meno.

    Cominciò a salire le scale per raggiungere la sua classe, rincuorato dal pensiero del suo odore anonimo, quando un tu sei nuovo vero? lo fece quasi inciampare sui gradini.

    Si, sezione B.

    Anche io sono nuovo, mi hanno bocciato e i miei mi hanno fatto cambiare scuola.

    Ah.... Era un sospiro di sollievo.

    Sezione B anche io mi chiamo Cesco. E alzò la mano da battiuncinque.

    Fabio, ciao. Cesco starà per France...

    No è Cesco e basta. Su certe cose non è il caso di discutere, sembrava voler dire il tono di Cesco, e insieme varcarono la soglia della loro aula, brulicante di alunni chiassosi.

    Si stavano tutti sistemando nei banchi, sbattendo cartelle e spostando sedie: i posti migliori naturalmente erano già stati presi, e mano a mano venivano occupati anche gli altri, fino a che non ne rimasero solo due liberi, in prima fila al centro, proprio davanti alla cattedra. Fabio e Cesco ci si diressero con finta nonchalance, ma il loro fare circospetto tradiva un certo imbarazzo, acuito dalle risatine degli altri che avevano preso a guardarli. Almeno, pensò Fabio, aveva avuto la fortuna di condividere con qualcun altro la sfigaggine da primo giorno in una nuova scuola.

    Subito dopo essersi seduto vicino a Cesco entrò quello che doveva essere l'insegnante di italiano e il vociare cominciò a calare al suo Buongiorno ragazzi, forza, tutti seduti!.

    Cominciò subito a fare l'appello, dopo aver lanciato una rapida panoramica ai suoi allievi. Per fortuna non si soffermò troppo sui due nuovi acquisti come li aveva definiti, risparmiandogli almeno uno dei momenti imbarazzanti che avrebbero dovuto vivere per tutto quel giorno, ma Fabio scoprì che Cesco si chiamava davvero Cesco e basta e per la precisione De Vito Cesco. Il prof non fece un plissè: probabilmente ne aveva sentiti altri, Teo al posto di Matteo, Edo al posto di Edoardo, Ana al posto di Anastasia... A quel punto Cesco si girò a guardare Fabio, intercettando sul suo viso quello che, seguendo questi pensieri, diventò un sorriso scemo e che lui pensò fosse a causa del nome scelto da sua madre.

    Problemi? gli fece Cesco, facendo evaporare i pensieri di Fabio.

    Cosa? Ah no... Guarda che non ridevo per il tuo nome, è che stavo pensando a un'amica che si chiama Anastasia e ad avere genitori originali come i tuoi poteva chiamarsi Ana e..eh eh..magari il fratello gemello Ano.

    Che pensieri profondi. Anche io ho una gemella e si chiama Penelope.

    Bé le è andata bene, poteva chiamarsi Pene, come tu Cesco al posto di Fran....

    Si interruppe un secondo dopo del classico appena in tempo, ma il suo nuovo compagno di banco stava sorridendo. A quel punto mise via mentalmente il contatore delle figure di cacca. Sarebbe stata una lunga giornata.

    La lezione di italiano scivolò via leggera, come anche quella di inglese e di chimica: non si poteva pretendere concentrazione il primo giorno di scuola. In compenso i prof li riempirono di compiti per la volta dopo e il diario intonso di tutti i ragazzi cominciò, anche lui, il suo primo giorno di scuola. Quello di Cesco era nero con un teschio dorato in copertina e le pagine bianche e viola dentro. L'ho fatto io, con l'aiuto di mio padre, è un grafico lo informò.

    Ma dài è bellissimo! Fabio invidiava DAVVERO quel diario. La sua Smemo gli piaceva, ma quello lo adorava.

    Si, c'è un programma scaricabile gratis da internet, ormai puoi farti tutto da solo oggi.

    Ah.. noi ancora non abbiamo la connessione, ci siamo trasferiti qui da poco e stiamo ancora aspettando i tecnici.

    Allora dopo la scuola vieni a casa mia e lo facciamo insieme con il mio computer. A Fabio sembrò un ordine più che un invito, e accettò tacitamente, come gli imponeva di fare la rigida educazione impartita da sua madre, fino a poche settimane prima. Ormai quella vita soffocante era finita, ma le cattive abitudini sono difficili da scardinare, e poi voleva a tutti i costi un diario come quello di Cesco

    Sopravvisse in qualche modo alle ore successive: agli spintoni durante l'intervallo, alla scivolata su un pacchetto di cracker abbandonato sul pavimento del corridoio, al controllo degli sfinteri coatto, dovuto alla mancanza di cartigienica nei pochi bagni quasi-agibili, ma soprattutto alle occhiate di scherno di quelli che sarebbero stati i suoi nuovi compagni, ma che per ora si limitavano ad essere soltanto volti diffidenti e indagatori. Chiamò suo padre e lo liquidò velocemente: Tutto bene si, vado a casa di un mio nuovo compagno, ci vediamo dopo. Il ciao non serviva con suo padre, era scontato.

    Cinque minuti dopo camminava accanto a Cesco sul tragitto per andare a casa sua.

    Casa di Cesco

    Casa di Cesco era grande; casa di Cesco era luminosa, casa di Cesco aveva l'aria condizionata e Cesco aveva la tv in camera.

    Questa musica andava avanti da quando era tornato suo figlio Fabio e non accennava ad esaurirsi neanche al fast-food, eccetto nelle pause per espletare le funzioni necessarie di ogni essere umano: andare in bagno e fagocitare il cheesburger.

    Nicola lo ascoltava pazientemente, ma volentieri: anche per lui erano i primi giorni

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