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L’ultimo giorno di primavera
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L’ultimo giorno di primavera
E-book247 pagine3 ore

L’ultimo giorno di primavera

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Info su questo ebook

Come per effetto di una bizzarra maledizione, anno dopo anno sempre più persone si convincono che Lorenzo compia gli anni il 21 giugno anziché il 20, l’ultimo giorno di primavera.
Per risolvere il problema basterebbe avvisare i suoi amici. Ma lui non lo farebbe mai e non permetterebbe a nessun altro di farlo. Neppure a nonno Raffaele, l’unico che capisce ciò che gli rode dentro.
Quando manca solo un giorno al suo decimo compleanno, la faccenda si complica. Forse dietro quella data sbagliata c’è molto più di quanto Lorenzo abbia mai immaginato.
Solo lui potrà scoprirlo, se avrà il coraggio di affrontare le prime vere sfide della sua vita e le insidiose provocazioni di un “tizio” del tutto fuori dal comune…
Età: da dieci anni in su.
LinguaItaliano
EditoreCondaghes
Data di uscita21 nov 2019
ISBN9788873569824
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    Anteprima del libro

    L’ultimo giorno di primavera - Daniele Mocci

    Daniele Mocci

    L’ultimo giorno

    di primavera

    ISBN 978-88-7356-982-4

    Condaghes

    ai miei nonni:

    Giovanna e Raffaele, Enedina e Antioco

    «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio,

    di quante ne sogni la tua filosofia.»

    William Shakespeare, Amleto (Atto I, scena V)

    Indice

    L'ultimo giorno di primavera

    I – L’esame di quinta

    II – L’orologio verde

    III – Nonno Raffaele

    IV – Le botti addormentate

    V – La scala rampicante

    VI – L’indice della mano sinistra

    VII – Un signore e una signora

    VIII – Il mare sul soffitto

    IX – Le candele di pietra

    X – Le farfalle nella testa

    XI – Blu cobalto

    XII – Qualche promessa, un segreto e una bugia

    XIII – Il bicchiere d’acqua

    XIV – Lo specchio della vergogna

    XV – Pane, burro e marmellata

    XVI – Due rose bianche

    XVII – La morte e la vita

    XVIII – I movimenti della trottola

    XIX – L’alone della luna

    XX – I gigli di San Giovanni

    Epilogo

    Riferimenti alle immagini

    L'Autore

    La collana Il Trenino verde

    Colophon

    L’ultimo giorno di primavera

    I

    L’esame di quinta

    Quella mattina, quando Veronica entrò nella cameretta per aprire la finestra, Lorenzo era già sveglio e sfogliava uno dei suoi fumetti.

    Era il 19 giugno del 1980.

    – Domani compio dieci anni! – disse.

    – Lo so. Se non me lo ricordo io, chi se lo dovrebbe ricordare?

    – Magari i miei amici, i miei compagni di scuola…

    – Cosa vuoi dire? Pensi che loro se ne dimenticheranno?

    – Non è questo, è che…

    Lorenzo si interruppe e guardò il grande orologio verde che ticchettava sulla parete della scrivania. Sua madre aveva fretta, per cui preferì non cominciare il discorso.

    – Niente.

    Veronica capì che Lorenzo stava per aggiungere qualcos’altro. Ma quello non era proprio il momento adatto per sedersi sul letto e fare quattro chiacchiere. Così gli promise che avrebbero continuato il discorso a pranzo, quando lei sarebbe rientrata a casa.

    – Coraggio, ora vai a lavarti le mani e il viso. Poi vieni a fare colazione. Prima di uscire, devo svegliare anche tua sorella.

    Veronica era una maestra della scuola elementare.

    Proprio quel giorno, il 19 giugno, cominciavano le prove d’esame per i bambini di quinta che dovevano passare alla scuola media.

    Lorenzo aveva appena concluso la quarta ed era stato promosso. Era un gran chiacchierone, ma un bravo scolaro. I temi e la geografia erano le sue passioni. Se la cavava bene anche in matematica e nelle scienze. Era veloce a fare i calcoli e i ragionamenti per risolvere un problema. Il disegno gli piaceva e, anche se non era proprio un asso con la matita, riusciva sempre a creare qualcosa di originale. I suoi disegni erano vivi. Non si limitavano a fotografare un personaggio, dicevano sempre qualcosa di lui.

    Con la grammatica non andava d’accordo. Troppe regole, troppe cose da ricordare. Si sentiva più a suo agio nel seguire l’istinto e inventare le sue storie senza pensarci troppo. Gli sembrava che se si fosse messo a studiare, alla fine non avrebbe più scritto una sola riga. Aveva paura di perdersi in mille dubbi sull’uso corretto di un congiuntivo o di un condizionale. Non riusciva a capire a cosa servisse il futuro anteriore.

    La storia lo affascinava, ma era faticosa da leggere, difficile da studiare e quasi impossibile da ricordare. Le date erano il suo punto debole e spesso non riusciva a tenerle ferme nella mente.

    Fin dal principio delle vacanze, ogni giorno Lorenzo pensava all’esame dell’anno successivo. Non vedeva l’ora che quel momento arrivasse.

    A volte, quando era solo in camera sua, quel pensiero gli tornava in mente all’improvviso. Chiudeva gli occhi e strizzava così forte le palpebre da sentire un leggero dolore. Allo stesso tempo, stringeva i pugni più che poteva e restava così per qualche secondo. Poi mollava la stretta e riapriva gli occhi di scatto, sperando che nel frattempo fosse passato un anno intero e che lui si trovasse tra i banchi di scuola per l’esame di quinta.

    Appena si rendeva conto di essere ancora lì, di fronte a un fumetto, un disegno o un giocattolo, tirava uno sbuffo di delusione e ricominciava a fare quello che aveva interrotto.

    Eppure non era un bambino incontentabile. Non era il tipo da scenate o da capricci.

    Quando Veronica era via, lui vigilava sulla sorellina e giocava con lei. Aveva il compito di proteggerla, perché era il fratello maggiore.

    Veronica gli diceva che i fratelli maggiori diventano grandi un po’ prima degli altri: devono avere una risposta alle domande dei più piccoli, essere il loro punto di riferimento.

    Lorenzo era nato per fare il fratello maggiore, per quanto capitasse anche a lui di perdere le staffe e di litigare con sua sorella. A volte la faceva adirare e le imponeva troppe regole, proprio come la maestra con la grammatica.

    Ma era un bravo bambino.

    Nella normalità, era obbediente. Ogni giorno rimetteva in ordine le sue cose. I giocattoli, i quaderni, i colori e, soprattutto, i fumetti.

    Dentro di sé desiderava che almeno per una volta, prima di diventare grande, gli succedesse qualcosa di straordinario. Qualcosa che non accade mai nella realtà. Magari qualcosa di magico. Ma senza esagerare.

    Gli sarebbe bastato poco.

    Per esempio, quella faccenda dell’esame di quinta. Ecco… si sarebbe accontentato di andare avanti di un anno tutto in una volta, e di ritrovarsi sui banchi di scuola per la prima grande verifica della vita.

    Però, più cresceva e più questo fatto straordinario non gli capitava. E più non gli capitava, più si convinceva che non gli sarebbe mai capitato. Pensava che queste cose potessero riguardare solo i bambini delle elementari. Alle medie sarebbe stato troppo tardi.

    I grandi hanno altri pensieri. Non trovano mai il tempo per le cose straordinarie. Si dimenticano perfino di pensarci. E alla fine perdono l’interesse.

    Dopo aver finito in bagno, Lorenzo arrivò in cucina.

    Nonna Giovanna era già lì, seduta sulla poltrona accanto alla finestra a fare la maglia.

    In quelle mattine di giugno veniva sempre per stare con i bambini, perché Veronica doveva ancora andare a scuola tutti i giorni, fino alla fine del mese.

    Dal primo luglio, con l’esaurirsi degli impegni scolastici quotidiani, la famiglia sarebbe stata occupata in tutt’altro genere di attività, lontano dal paese. E la nonna avrebbe potuto tirare il fiato.

    Anche Cesare, il padre di Lorenzo, era un insegnante della scuola elementare come sua moglie. La mattina usciva di casa prima di lei. Comprava il giornale, faceva la spesa e andava a scuola.

    – Ciao nonna.

    – Ciao Lorenzo.

    La solita tazza di latte caldo con i soliti quattro biscotti poggiati sul tovagliolo lo aspettava al suo posto. Lorenzo si sedette e cominciò a mangiare.

    Veronica lo raggiunse due minuti dopo e, dietro di lei, arrivò in cucina anche Elisa, l’unica sorella di Lorenzo.

    Elisa aveva un anno e mezzo in meno di lui ed era una bambina vivace. La mattina, appena alzata, era quasi sempre di cattivo umore. Per questo andava in cucina senza prima lavarsi.

    Sapendo che la mamma doveva andare al lavoro, cercava l’abbraccio della nonna.

    Alla vista di Elisa, l’anziana signora poggiava i ferri e allargava le braccia, come ad accogliere la nipotina assonnata e imbronciata. Elisa le si tuffava addosso e le spingeva la faccia sulla pancia. Lo aveva sempre fatto, fin da quando aveva imparato a camminare.

    Dopo aver bevuto il suo caffè, Veronica fece alcune raccomandazioni ai bambini e salutò nonna Giovanna, che poi era sua madre. Prese la borsa pesante, quella piena di fogli, e uscì di casa.

    La scuola era molto vicina e lei ci andava sempre a piedi.

    Appena sua madre si chiuse la porta alle spalle, Lorenzo si alzò di scatto e corse alla finestra.

    Gli piaceva seguirla con lo sguardo lungo il vialetto di casa, come una stella che sfrecciava con involontaria eleganza accanto alle aiuole da cui traboccavano menta, lavanda e rose. E zinnie e garofani e gigli. Osservava i suoi movimenti veloci e precisi mentre apriva e chiudeva il cancello per poi scomparire sul marciapiede, dietro il muro dei vicini.

    Lorenzo sapeva che sua madre era molto bella. E quel giorno, il 19 di giugno, a quell’ora della mattina, con la luce che il sole ha solo in quel periodo dell’anno, gli sembrava ancora più bella.

    II

    L’orologio verde

    Elisa aspettò che Lorenzo consumasse la colazione e portasse la scodella nel lavandino.

    Non le piaceva fare il primo pasto della giornata insieme al fratello. Lui, a volte, la sgridava per le gocce di latte e per le troppe briciole che lasciava cadere sulla tovaglia.

    Appena Lorenzo lasciò la cucina, Elisa prese possesso del tavolo e nonna Giovanna si alzò dalla poltrona per occuparsi di lei.

    Il bambino tornò in camera e puntò dritto alla scrivania, ma fu bloccato per un attimo dal ticchettio preciso e regolare del grande orologio verde. Erano quasi le nove. Pensò che il suo compleanno si avvicinava troppo in fretta. Forse non c’era più il tempo per sistemare quella cosa che gli rodeva dentro.

    Quando ebbe terminato di riordinare la stanza, si sedette sulla sedia e cominciò a riflettere su cosa fare durante la mattinata. Gli parve che le due scatole sul ripiano della scrivania lo stessero osservando, impazienti di essere aperte.

    La vecchia scatola di latta conteneva i mattoncini Lego, che per consuetudine familiare anche lui aveva sempre chiamato ‘le costruzioni’. Quella di cartone custodiva un mucchio di piccolissimi soldatini di plastica, dello stesso colore delle caramelle al mou. Erano indiani, soldati e cowboy. Solo un occhio esperto avrebbe colto questa differenza. Cesare, suo padre, un giorno lo aveva visto giocare con quei soldatini e aveva pensato che si trattasse di tante copie tutte uguali dello stesso personaggio. Fu Lorenzo a fargli notare le differenze. C’era perfino il capo indiano, che si distingueva da tutti gli altri.

    Nella stessa scatola dei soldatini si trovava anche la sua piccola collezione di Formula 1 d’epoca, tutte degli anni ’50 o ’60. Una quindicina di vetture di plastica colorata, lunghe poco più di tre centimetri. Gialle, verdi, rosse e blu. Soltanto una era color oro, la Maserati. Due le aveva trovate lui stesso, negli ovetti Kinder. Le altre erano il frutto degli scambi con i compagni di scuola. Le aveva pagate con qualche figurina dell’album Calciatori o con piccoli giocattoli dello stesso valore. Se Veronica gli avesse comprato un uovo Kinder ogni tanto, come facevano le mamme di alcuni suoi amici, Lorenzo avrebbe completato la collezione. Purtroppo, in quella famiglia, le uova di cioccolato arrivavano solo a Pasqua.

    Oltre a queste cose, il ripiano della scrivania ospitava alcuni fumetti di Geppo, Soldino e Braccio di Ferro. Due o tre numeri di Topolino. Una matita, una penna blu, una gomma, un temperino, una scatola di pennarelli Carioca e un blocchetto di fogli da disegno piegati perfettamente a metà.

    Sullo scaffale basso, a fianco alla scrivania, riposavano quattro modellini metallici di automobile. Una vecchia Fiat 127 con il marchio e i colori dell’Alitalia. Una Land Rover dei Vigili del fuoco con tanto di scala allungabile sulla capote. L’autobotte di una compagnia petrolifera, con il rimorchio che si poteva staccare dalla motrice. Una Renault 5 verde. Erano modellini di grandezza medio-piccola.

    Lorenzo aveva anche tre modelli più grandi, bellissimi. Una Lancia Stratur da rally, rossa fiammante, ricevuta in regalo per la prima comunione. Una Fiat Ritmo, anch’essa rossa, portata da Babbo Natale. E una Porsche di un bel grigio metallizzato, che i suoi zii Simona e Piero gli avevano portato al ritorno dal viaggio di nozze.

    Quelle tre automobili in scala erano autentici tesori. Lorenzo le teneva in mostra sull’armadio, dentro le scatole originali con la finestrella di plastica trasparente, perché potessero essere ammirate restando al riparo dalla polvere. Come in negozio. Ogni tanto ne prendeva una. La estraeva dalla scatola e la osservava, ripassandone tutti i particolari. Ma erano gli unici oggetti con cui non giocava mai.

    Con tutti gli altri Lorenzo era capace di fare mille giochi diversi.

    Le costruzioni, i fumetti e i modellini metallici più piccoli potevano essere condivisi con Elisa.

    Le Formula 1 d’epoca di plastica colorata, i soldatini e l’attrezzatura da disegno invece no.

    Ciascuno aveva le proprie cose e decideva quali condividere con l’altro e quali tenere tutte per sé. Erano le regole. Regole tra fratelli. Regole sacre.

    Dopo essersi perso in mille ipotesi, Lorenzo prese il blocco dei fogli da disegno e lo aprì alla prima pagina bianca.

    – È un peccato che tu abbia rovinato tutti quei fogli piegandoli a metà.

    Lorenzo si voltò e vide la nonna affacciata alla porta.

    – Ma nonna, non li ho rovinati… – ribatté, mostrandole il blocchetto. – Ho fatto un giornalino. Qui dentro c’è il mio primo fumetto. Lo devo ancora finire… si chiama La Formica Spaziale!

    C’era una punta di orgoglio in quelle parole. Nonna Giovanna gli sorrise.

    – Vi porto a casa mia. Ho ancora qualche faccenda da sbrigare e il pranzo da preparare. Tu ed Elisa potrete giocare in giardino, almeno finché il sole non sarà troppo caldo.

    – Andiamo subito?

    – Certo, sono già le nove e mezza!

    Le nove e mezza.

    Il tempo sembrava trascorrere più veloce degli altri giorni.

    – E ci sarà anche il nonno?

    – Sì. Stamattina è andato in campagna molto presto, ma adesso sarà già rientrato.

    Lorenzo prese il blocco dei fogli e lo mise in una sacca di tela insieme a matita, gomma, pennarelli e ai modellini della Land Rover e dell’autobotte.

    Era contento. A casa dei nonni avrebbe potuto giocare con la bicicletta e chiedere una cosa molto importante al vecchio. Una cosa che gli frullava in testa da tempo.

    Elisa era già pronta e cominciava a perdere la pazienza.

    – Muoviti! Sei sempre l’ultimo! – urlò, senza entrare nella camera del fratello.

    Lorenzo si mise la sacca a tracolla e fece due passi di corsa per raggiungere la nonna ed Elisa che erano già sulla porta, pronte a uscire. Ma il ticchettio del grande orologio verde ancora una volta lo bloccò.

    Si incantò a guardare le lancette.

    Le nove e trentacinque.

    Gli sembrava che quell’orologio fosse impaziente come Elisa.

    In realtà, quello impaziente era lui.

    L’indomani avrebbe compiuto dieci anni e ancora non aveva nessuna idea su come risolvere quella faccenda che lampeggiava dentro il suo stomaco come la spia di un allarme.

    – Lorenzo! – lo richiamò ancora la voce di Elisa, seccata.

    Lui distolse lo sguardo dall’orologio e uscì di corsa dalla cameretta.

    III

    Nonno Raffaele

    La casa dei nonni era la casa dei giochi.

    Giochi semplici che a casa loro erano faccende noiose, ma che lì si trasformavano in esperienze esotiche.

    Quando nonna Giovanna aprì il piccolo cancello di ferro, nonno Raffaele apparve nella passerella centrale del giardino con la scopa tra le mani. Ogni mattina raccoglieva la polvere e le foglie secche dai sentierini di cemento che correvano intorno alle aiuole. Con lentezza e precisione, quell’omino esile e pelato, dai riflessi verdi negli occhi, muoveva la scopa come un remo.

    Navigava nel suo giardino, come un pescatore di fiume. Ogni tre metri si arrestava e formava un mucchietto di polvere e foglie secche. Poi remava per altri tre metri e faceva un nuovo mucchietto. Quando aveva finito, prendeva la paletta e raccoglieva tutti i mucchietti, uno dopo l’altro, nello stesso ordine con cui li aveva composti.

    – Posso raccoglierli, nonno? – chiese Lorenzo.

    – No, io! – protestò Elisa.

    A casa loro non si sarebbero mai offerti volontari per un lavoro simile. E si sarebbero tirati indietro se i genitori gli avessero chiesto di farlo.

    Dai nonni era tutto diverso.

    – Non c’è bisogno di litigare – disse nonno Raffaele. – Uno di voi raccoglierà i mucchietti attorno alle aiuole delle calle, delle rose e dell’arancio. L’altro raccoglierà quelli dell’altra metà del giardino.

    Quelle parole chiarirono tutto. Non c’era nessuna obiezione possibile. Era tutto giusto.

    – Comincia tu, Lorenzo – concluse il vecchio. – Io ed Elisa andiamo a prendere le mentine.

    Nonno Raffaele era un ottimo organizzatore. Di pratiche, di numeri e di persone. Un catalogatore. Un pozzo di ricordi, tutti messi in ordine alfabetico e cronologico, come in uno schedario. Tutti questi ricordi erano utili. Erano esperienze che lui pescava dalla sua vita passata solo quando potevano rispondere a una domanda o fornire una soluzione.

    Conosceva il latino perché lo aveva studiato da sé. Allo stesso modo conosceva la storia e alcuni grandi scrittori italiani e francesi. Sapeva recitare a memoria tantissime poesie. Aveva un vecchio grammofono e amava la musica. Si era perfino comprato un mandolino e aveva imparato a suonarci alcune canzoni senza aver mai preso una lezione.

    Aveva lavorato per tanti anni negli uffici della fonderia, lì al paese. Un ottimo lavoro, considerato che ai suoi tempi era già tanto uscire dalla povertà delle campagne ed essere assunto come operaio nei forni.

    Fu costretto a lasciare il suo impiego pochi mesi prima del pensionamento naturale. I padroni della fonderia non volevano che prendesse la pensione massima.

    Qualche tempo dopo, gli chiesero

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