L'ombra della farfalla
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Per l’ispettore Gatto qualcosa non quadra: la sua esperienza gli suggerisce che è stato fin troppo facile arrestare gli ultimi colpevoli di omicidio. Sono stati presi i veri responsabili oppure c’è una mente più acuta che si sta prendendo gioco di loro dietro la lunga scia di sangue?
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Anteprima del libro
L'ombra della farfalla - Leonardo Seren Rosso
RINGRAZIAMENTI
L’OMBRA DELLA FARFALLA
Due corpi
Vi sono due corpi: quello rudimentale e quello completo, corrispondenti alle due condizioni del bruco e della farfalla. Ciò che noi chiamiamo morte non è che la dolorosa metamorfosi.
La nostra incarnazione presente è progressiva, preparatoria, temporanea.
L’incarnazione futura è perfezionata, ultima, immortale.
La vita ultima è lo scopo supremo.
(Edgar Allan Poe – Racconti straordinari
)
PROLOGO
Non sempre un incontro per dirsi importante deve riguardare due persone. Per il ragazzo dagli occhi scuri si trattò di un luogo. Un luogo che lo avrebbe cambiato per sempre ma lui, come succede con la donna destinata a stravolgere la vita dell’innamorato, non lo capì subito. Quello che però comprese fin dall’inizio, fu che ne era attratto in un modo unico. Come il ferro con la calamita, la Terra con la Luna o il mare con la spiaggia che ne accoglie le onde. Non ne sapeva la ragione ma, dopo aver visto quel posto per la prima volta, decise che sarebbe tornato. Il giorno in cui aveva posato lo sguardo sulla casetta in mezzo al bosco, rideva e piangeva come qualsiasi essere dotato di un corpo e un’ anima, senza immaginare quanto avrebbe influito sulla sua intera esistenza. Da lì a poco tutto sarebbe radicalmente cambiato, ogni sua abitudine, sogno e ambizione. Ogni suo respiro. Ma quelle mura, quelle no, non sarebbero mutate e avrebbero racchiuso parte di lui a lungo. Soltanto con il passare del tempo, si sarebbe accorto del valore di quell’incontro e ne sarebbe stato riconoscente.
BUIO
La luna era piena. Illuminava la notte e tutto ciò che voleva farne parte.
1
Francesco aprì gli occhi e si trovò in un nuovo giorno, era sabato e non sarebbe andato a scuola. Guardò l’orologio, le dieci. Al fianco della sveglia che quel mattino era rimasta muta, era appoggiato l’orologio da polso, il cellulare in carica e il gameboy spento. Si stiracchiò e si alzò dal letto, tirò su la tapparella e sorrise alla vista del sole. Mancava un mese soltanto alla fine del liceo ma, trattandosi dell’ultimo anno, ci sarebbe stato l’esame di maturità. Non era mai stato uno studente modello e nessun pensiero lo poteva preoccupare, soprattutto in quell’inizio di week end di maggio che profumava di libertà.
– Mi raccomando, mettiti a studiare – gli disse sua mamma, mentre usciva di casa.
– Sì, certo… – fu la sua risposta stanca. Sapeva che avrebbe fatto qualsiasi altra cosa tranne che aprire i libri e poco importava se aveva già ripetuto il quinto anno una volta. Il programma sarebbe stato farsi una lunga doccia calda, giocare a Fifa 98 al gameboy e chiamare qualche amico per organizzare una partita a calcetto.
Francesco, detto Kid per il suo aspetto da ragazzino, aveva diciannove anni e un’incontrollata voglia di vivere. La sua spensieratezza era contagiosa, lo caratterizzava anche un’indomita vena ribelle tipica dei suoi anni. I suoi capelli lunghi e neri sopra le spalle gli conferivano un aspetto scapestrato, nessuno li portava a quel modo tra i suoi amici: spesso erano legati in un codino, qualche volta li teneva sciolti fino a quando non ne aveva fastidio.
Accese il cellulare a forma di saponetta e dopo alcuni istanti comparve sullo schermo verde a cristalli liquidi una scritta, accompagnata da un suono allegro, che gli comunicava la ricezione di un messaggio. Si passò una mano tra i capelli sciolti e con l’altra pigiò il tasto centrale del telefonino ripetendo nella mente un nome. La schermata mostrò il mittente: era proprio lei, come aveva desiderato. I due ragazzi si conoscevano ormai da un anno, da quando lui aveva cambiato scuola dopo essere stato bocciato. Si erano visti la prima volta durante un intervallo: davanti alla macchinetta del caffè, lui le aveva chiesto se avesse degli spiccioli, ne era rimasto senza. In breve tempo erano diventati amici. Lei aveva quattro anni in meno rispetto a lui, ma quando erano insieme, nessuno notava lo scarto di età. Negli ultimi mesi, complice la primavera che risvegliava emozioni sopite, si erano accorti che qualcosa stava cambiando nel loro rapporto. Avevano iniziato a guardarsi con occhi diversi immaginando un feeling al di fuori delle mura scolastiche. Fu così che un pomeriggio erano usciti a prendere un gelato. In seguito, erano andati a vedere un film al cinema, un thriller con Harrison Ford, l’attore preferito di entrambi. Non c’era, però, stato alcun bacio, per entrambi era ancora presto.
cosa facciamo stase?c ved? a che ora ci vediamo? risp by cri
Sorrise. Anche lui la voleva rivedere. Le rispose fissando l’ora e il luogo in cui, quella sera, si sarebbero incontrati.
Qualche ora più tardi uscì per andare ai campetti per la partita di calcetto che aveva organizzato insieme al suo amico Diego. Erano nati lo stesso giorno, anche se Francesco era più grande di lui di due anni; molto simili di carattere, avevano però avuto esperienze molto diverse. Diego, infatti, aveva avuto un’infanzia molto complicata, risultato di un padre alcolizzato e una madre presente solo fisicamente. La vera crescita era avvenuta grazie agli incontri che aveva avuto durante la sua vita e Francesco era una di queste amicizie speciali. Quante remate insieme lungo il fiume Po. Amavano il canottaggio più di ogni altra cosa. Questo sport aveva loro insegnato che andare in barca era proprio come la vita. Devi scegliere con cura con chi andare, assicurarti che ti possa fidare di quella persona quando le acque sono agitate e che sappia farti ridere quando invece la giornata è calma e senza vento. Si trovavano al molo, tre volte la settimana. D’inverno si dovevano imbacuccare per bene, mentre durante l’estate sfoggiavano i loro fisici allenati con la mal celata certezza che qualche ragazza li vedesse dalla riva, lungo la pista ciclabile che costeggiava il fiume. Remare voleva dire staccare da tutti i problemi e lasciarsi andare a risate oppure discorsi più profondi. Spesso si ritrovavano a parlare del senso della vita, della possibilità che esistesse un dio. Ridevano di come la loro conversazione potesse farsi seria e si dicevano che forse era il contatto con la natura che faceva scaturire certi discorsi. Oltre alla barca, Diego e Francesco avevano altre cose in comune. Entrambi amavano guardare trasmissioni stupide in televisione e ridere a crepapelle. Si trovavano spesso al bar per il flipper o il calcio balilla. Entravano con le tasche piene di cinquecento e duecento lire e giocavano finché non rimanevano vuote. Quando erano insieme non riuscivano mai a essere seri. Adoravano scherzare su tutto e tutti e alle volte nello scherzo si scambiavano segreti che non avrebbero raccontato a nessun altro. Fu così anche per il segreto della casetta nel bosco, come la chiamava Francesco. Anche su quello ci avevano riso su.
Quel pomeriggio si erano incontrati alle quattro al campo di calcetto. Erano bastate poche telefonate per trovare dieci persone e fare le due squadre. Diego arrivava sempre per primo e subito dopo lo raggiungeva Francesco; avevano così tempo per scambiare due chiacchiere.
Iniziarono a parlare di Lorena, ragazza avvenente ma priva di senso dell’umorismo. Era la ragazza di quarta che piaceva a Diego. Dribblando l’argomento interrogazioni finali per migliorare la media
, fu la volta di parlare di Cristina. Diego ne era segretamente attratto benché non lo avrebbe mai confessato all’amico. Francesco, dall’alto della sua sbruffoneria, disse che ormai era sua, che non sarebbe passato molto tempo da lì al primo inevitabile bacio. Si misero a ridere; poi videro arrivare gli altri loro amici con i borsoni. Finalmente si poteva giocare.
2
Tornò a casa guidando al limite di velocità consentita dal codice stradale. Avvertiva la piacevole stanchezza seguente solo a un’ora ben spesa di sport. Qualche muscolo che tirava e una bella sbucciatura sul ginocchio che avrebbe fatto la crosta
. Parcheggiò e si avviò al portone. Incrociò lo sguardo con quello di Luigi, un uomo sulla quarantina che viveva nel suo quartiere. Francesco non lo sopportava: aveva sempre un’espressione feroce, come se non potesse convivere con altri esseri umani. Lo salutava raramente e aveva la netta sensazione che spesso facesse finta di non vederlo. Fu l’impressione che ebbe anche in quel momento. Mentre saliva in ascensore, i pensieri tornarono alla serata che lo attendeva, ne era eccitato. Nell’ora che seguì, si fece una doccia calda e riposante, cenò con una bistecca di carne e dell’insalata e scambiò due parole con i suoi genitori. Lasciò che il tempo scorresse velocemente verso il momento in cui sarebbe uscito di casa. Prima, però, accese la televisione per guadare il quiz che ogni sera rapiva la sua attenzione: era un gioco a premi in cui si doveva indovinare una frase misteriosa. Ad ogni risposta esatta si poteva richiedere una lettera che componeva le parole della frase in questione. Amava quel gioco ed era diventato imbattibile. Forse perché, senza averlo mai considerato, ci giocava sempre quando era a scuola insieme al suo vicino di banco. Solo che il nome che davano a scuola a quel passatempo era l’impiccato
e non si vinceva alcuna somma di denaro, né si doveva girare una ruota. Anzi, si rischiava di essere ripresi dall’insegnante se avveniva durante la spiegazione. Durante la pubblicità, fece un rapido giro di canali, senza fermarsi su nessuno di essi. Poi rivolse gli occhi verso l’alto, dove era appeso l’orologio a muro e si accorse che era tardi. Spense il televisore e andò in bagno a cambiarsi. Veloce rasatura, camicia bianca, jeans e un po’ di profumo. Si legò infine i capelli con un elastico nero e, dopo essersi infilato i mocassini, uscì.
La serata era fresca ma Francesco, per far vedere che era un vero uomo, non si sarebbe arreso all’indossare il maglioncino. La camicia gli sarebbe bastata. Salì in macchina e si diresse verso l’abitazione di Cristina. Estrasse dal portaoggetti il frontalino e la musicassetta degli Oasis, una delle sue band preferite; gli avrebbero dato ulteriore carica. Al primo semaforo rosso approfittò per ricontrollarsi i capelli, se il colletto della camicia fosse a posto e, infine, verificò di essere in orario. Ogni cosa seguiva la sua previsione. Poi fu di nuovo verde.
Giunto davanti al portone di Cristina, prese il cellulare e le fece uno squillo. Normalmente ripeteva quel gesto durante il giorno perché era il modo per dirle che aveva pensato a lei. Nel giro di poco, ne riceveva uno in risposta. Era un modo per comunicare quasi telepatico. Soltanto quando veniva fatto ai propri genitori poteva voler dire richiamami che ho finito i soldi
. Diversamente poteva essere il modo per darsi la buonanotte, dirsi ciao oppure ti sto pensando. Mentre aspettava, Francesco si chiese se un giorno quella moda strana sarebbe passata e se magari anche i cellulari avrebbero avuto una forma diversa.
Cristina scese dopo dieci lunghi minuti: indossava dei jeans e una camicetta che spuntava dal maglioncino rosa. Aveva un trucco leggero e lasciato i capelli lunghi sciolti. Entrò in auto con un sorriso che ruppe il fiato a Francesco.
– Ciao Kid – era il modo con cui lo chiamava lei.
– Ciao bella – era il modo con cui lui appellava tante ragazze, ma solo quando lo diceva a lei quella parola assumeva il suo significato.
– Dove si va? – chiese la ragazza senza preamboli e con un sorriso che ben descriveva la pienezza della sua età.
– Che buon profumo che hai – replicò senza rispondere.
Lei arrossì.
– Grazie!
– Pensavo che potremmo andare a quella nuova gelateria vicino a scuola, che ne dici?
– Basta che la scuola rimanga lontana.
Risero. Poi Francesco ingranò la prima e si allontanarono.
Quella sera il tempo, come un elastico, si dilatava e restringeva. In un certo istante la serata sembrava ancora lunga e subito dopo era già tardi. Preso il gelato, i due ragazzi si promisero di non parlare di interrogazioni ed esami e chiacchierarono di ciò che riempiva la loro vita. Fu così che Cristina scoprì che da piccolo Francesco si era fatto la pipì nel letto e che un’altra volta invece era stato punto da uno scorpione durante una vacanza in Egitto. Il ragazzo rimase senza parole quando lei gli raccontò che aveva salvato la vita a una bambina che era caduta sui binari del treno. Disse che non aveva mai avuto così tanta adrenalina come in quella occasione. Era da qualche tempo che Francesco avrebbe voluto svelarle quello che nessuno, a eccezione del suo migliore amico, sapeva. Finito il cono, si sedettero su una panchina e capì che quella era la sera giusta per raccontarle il suo piccolo segreto.
– Vorrei che tu sapessi una cosa che nessuno, a parte Diego, sa.
– Diego conosce sempre tutto di te – rispose sorridendo lei – forse un giorno vi sposerete.
– Non mi prendere in giro. Lo vuoi sapere o no?
– Sì! E’ un segreto? Pensavo che solo noi ragazze ne avessimo – sapeva che la sua arma di fascino migliore era l’ironia.
– Sì, è un segreto – lo disse a mezza voce conferendo mistero a quelle poche parole.
– Sono tutta orecchi – affermò sgranando gli occhi.
– Si tratta di un posto. Un posto che conosco solo io. L’ho scoperto per caso mentre stavo facendo un giro in bici con mio padre qualche mese fa. Era rimasto indietro e mi ero fermato per aspettarlo.
– Ma dove eravate andati? – chiese lei incuriosita.
– In collina. Stavamo percorrendo un sentiero tra i boschi. Mentre aspettavo mio padre, il mio sguardo si posò su quello che al primo impatto sembrava un rudere.
– Un rudere? Cioè?
– Si trattava di grosse pietre una sopra l’altra che formavano un muretto.
– E ti sembra qualcosa di speciale?
– Speciale fu ciò che vidi a fianco di quel muretto. C’era, infatti, una casetta di legno. Il suo aspetto era decadente. Sembrava non fosse mai stata abitata, che fosse stata costruita per il solo motivo di lasciarla abbandonata.
– E sei andato a vederla dentro?
– In quel momento no, mio padre mi raggiunse prima che potessi scendere dalla bici e avvicinarmi. Nel week end successivo, però, tornai da solo.
– Fermati, non raccontarmi altro. La voglio vedere. Ci possiamo andare stasera?
– E’ un po’ distante.
– Quanto ci mettiamo?
– Uhm...vediamo. Circa mezz’ora.
– Sono solo le undici e domani è domenica, si può dormire – l’eccitazione aveva appena fatto da apripista alle parole.
– Ok, muoviamoci – disse facendole l’occhiolino.
Risalirono in macchina con l’ebbrezza del bambino che per la prima volta sale su una giostra e vuole subito fare un’altra corsa. La temperatura sarebbe scesa nei minuti successivi, Francesco pensò che avrebbe fatto meglio a prendere un maglioncino.
3
La luna era piena. Illuminava la notte e tutto ciò che voleva farne parte. Regalava al sognatore un silenzio in cui lasciare i propri desideri appena prima di chiudere gli occhi, mentre per l’insonne era uno spazio coltivato a preoccupazioni e ansie.
Francesco aveva parcheggiato vicino a una trattoria che prometteva specialità locali e che a quell’ora, mancavano dieci minuti a mezza notte, attendeva che gli ultimi clienti uscissero per chiudere fino all’indomani.
I due ragazzi scesero dall’auto muniti di torcia. Erano pervasi da un’adrenalina che si poteva leggere nei loro occhi. I grilli davano il loro meglio in un concerto senza precedenti. Il battito si fece accelerato. Per lui si trattava dell’ennesima volta che si recava lì, ma era sempre andato da solo. Cristina sentiva una forte emozione nella consapevolezza di aver conquistato il suo Kid e di averne ora la fiducia. Accesero la torcia e si fecero guidare dal cono di luce.
– Da quella parte – esclamò lui, indicando un sentiero che si inerpicava in una radura. Il fascio luminoso mostrava uno sterrato che conduceva a un bosco. Sembrava non fosse stato mai calpestato da alcuno. La torcia illuminò la via e i due amici la seguirono a passo deciso.
– Quanto c’è da camminare? – chiese Cristina con un principio di fiatone.
– Non molto, tranquilla – lo disse come se tutto l’ambiente circostante appartenesse a lui. Poi la afferrò per mano e nel farlo percepì quanto Cristina ne fu sorpresa. Fu un gesto tanto inaspettato quanto ricco di significato. Avrebbe scommesso che era arrossita, ma il buio non glielo avrebbe mai confermato.
Camminarono per una decina di minuti. Infine, in prossimità di un albero sul cui tronco era stato disegnata una stella a cinque punte rossa, si fermarono.
– Da questa parte – disse Francesco trascinando la ragazza a destra e abbandonando il sentiero principale. Senza lasciarle la mano la guidò tra gli arbusti. Quel che contava erano le sensazioni, totalmente nuove. Kid si fermò all’improvviso e riprese il fiato che era diventato corto a causa della lieve pendenza. Lasciò che la ragazza che aveva condotto fin lì potesse assaporarsi il momento nella sua completezza. Come quando a teatro le tende rosse del sipario si aprivano lasciando nuda la scena, Francesco e Cristina videro davanti a loro, a pochi metri, il luogo segreto.
4
La porta emise un sinistro cigolio nell’aprirsi. I due amici entrarono e vennero immersi nel totale silenzio scandito dall’unico suono presente: il ticchettio, cadenzato, di una robusta lancetta dell’orologio a muro appeso alla parete. Francesco spense la torcia e accese tre candele disposte una a fianco all’altra su un tavolo. La flebile luce della fiamma cercò spazio